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01/07/20

I meravigliosi Sotterranei di Napoli - Un tesoro da scoprire



I sotterranei di Napoli 


Esiste come è noto una vasta mitologia, antica e moderna, legata ai sotterranei di Napoli. Una delle città più affascinanti del mondo, oggi divenuta tentacolare, dallo sviluppo urbanistico e edilizio spaventoso, ormai giunto ad aggredire anche lo stesso minaccioso nume che la domina – il Vesuvio – nasconde nelle sue viscere un’altra città altrettanto caotica ed estesa: un vero e proprio labirinto di profondissime gallerie, cunicoli, grotte, ipogei che costellano gran parte del territorio e che ne costituiscono una specie di tessuto invisibile, propizio per la generazione di leggende, miti, tradizioni legate alla magia bianca e nera, in una città del resto già secolarmente predisposta al culto della superstizione e del soprannaturale.

Questa Napoli sotterranea ha in realtà origini antichissime, che sono quasi del tutto coeve con i primi insediamenti umani: le datazioni al radiocarbonio degli archeologi hanno permesso di stabilire che alcune prime cavità furono scavate cinque o sei millenni prima di Cristo, in epoca preistorica. 

Non sappiamo bene che cosa spinse quegli uomini, originariamente a proiettarsi nelle profondità di quel territorio. Sicuramente uno dei motivi che favorì questa attività fu la relativa permeabilità del suolo, la sua natura lavica o tufacea, che permetteva piuttosto facilmente di penetrarla. 

C’era sicuramente, all’origine, insieme alle pratiche di inumazione delle popolazioni preistoriche, la necessità di preservare i corpi dei familiari morti. E di venerarli post-mortem. Insieme a questa prima funzione cultuale, però, cominciò ben presto anche la pratica estrattiva: già nel III e nel II secolo a.C. i greci cominciarono a scavare nel sottosuolo per ricavare i grandi blocchi di tufo necessari alla fondazione della loro colonia, Neapolis, che prese il posto della cumana Partenope, fondata addirittura nell’viii secolo a.C. 

Ma il vero massiccio lavoro di scavo dei cunicoli della Napoli sotterranea fu sostenuto dai romani, i quali anche in questa occasione dimostrarono la loro incredibile perizia ingegneristica, soprattutto per quanto concerne l’approvigionamento idrico.  

Alcuni degli ipogei che oggi sono visitabili – come la grotta di Seiano o la grotta di Cocceio – testimoniano di una attività inesauribile, sempre alla ricerca di risorse idriche – come quelle del fiume Serino – che venivano convogliate e utilizzate a uso e consumo degli abitanti della ricca colonia romana. 

La manifestazione più alta di questa capacità ingegneristica è costituita proprio dalla cosiddetta Piscina mirabilis, un’enorme vasca costruita a Miseno che con i suoi imponenti quarantotto pilastri cruciformi, garantiva la riserva d’acqua – ben 13.000 metri cubi – per le navi della flotta romana che scandagliavano in lungo e in largo il Mediterraneo. 

Ma l’attività di perforazione del sottosuolo napoletano proseguì incessantemente, nei secoli, trasformandosi in un’opera immane di scavo che aggiunse agli originari scopi di approvvigionamento idrico, altre e più complesse funzioni, fino a realizzare un mostruoso reticolo di condotti – alcuni dei quali sufficiente a malapena per far  passare un uomo – che si ritiene abbia circa due milioni di metri quadri. Una percezione di questa opera – sedimentata in strati diversi, l’uno sull’altro – si ha visitando per esempio gli scavi della basilica di San Paolo Maggiore, uno dei monumenti più insigni di Napoli, costruita sui resti di una agorà greca nella odierna piazza San Gaetano. 

Lì, scendendo ben quaranta metri sotto il livello stradale attuale, in una lunga teoria di gradini e rampe, si possono toccare con mano i diversi livelli di reticoli sotterranei – diversi anche nella realizzazione e nelle tipologie – che conducono fino ai cunicoli d’epoca romana, culminanti nei magnifici resti del teatro romano di Neapolis. 

È soltanto una piccolissima porzione di quel mondo nascosto che volenterose associazioni di speleologi locali sta ancora tentando di esplorare compiutamente e di mappare: non è semplice, visto che è stata appurata l’esistenza di cunicoli lunghi chilometri in grado di mettere in comunicazione punti molto distanti della città. 

Per capire come fu possibile questo dobbiamo appunto procedere in avanti con la storia e comprendere come, alla funzione relativa prima alla sepoltura e poi all’ingegneria idraulica, se ne aggiunsero presto altre: le cavità sotterranee di Napoli, ad esempio, svolsero un ruolo importante nella spaventosa epidemia di peste, che nel 1656 si abbatté sul capoluogo campano e sul Regno di Napoli, mietendo, soltanto nella città, qualcosa come 200.000 vittime in pochi mesi. 

Tra le ragioni che scatenarono il rapidissimo diffondersi del morbo vi fu anche e soprattutto la sovrappopolazione della città e le pessime condizioni igieniche. Nel 1631 un’improvvisa e terribile eruzione del Vesuvio – che aveva ricordato a quelle popolazioni il ricordo ancestrale del disastro di Pompei – aveva causato la fuga di migliaia di persone che si erano rifugiate in città, credendo di trovare un sicuro riparo. 

Le risorse idriche risultarono ben presto insufficienti e i moti che instaurarono la Repubblica napoletana nel 1647 diedero il colpo di grazia, favorendo la diffusione della malattia, forse introdotta da alcune navi che provenivano dalla Sardegna. Nell’anno della peste, i cunicoli sotterranei di Napoli svolsero un ruolo molto importante: dapprima in esso prese a rifugiarsi parte di quella popolazione sfollata a causa della eruzione del Vesuvio. In seguito alla diffusione della epidemia, in molti credettero di poter scampare al morbo, resistendo al chiuso dei cunicoli e delle grotte sotterranee. 

Ma la peste si diffuse presto anche lì e gli stessi cubicoli finirono per diventare ossari dove venivano deposti i corpi degli appestati, cosparsi da uno strato di calce. Un esempio di questa funzione è la cosiddetta, leggendaria grotta degli sportiglioni cioè “dei pipistrelli”, ubicata al di sotto della odierna chiesa di Santa Maria del Pianto, nucleo originale del cimitero di Poggioreale

La grotta, che non è stata ancora localizzata nonostante le molte ricerche degli anni passati, è il classico esempio del diverso utilizzo delle cavità sotterranee di Napoli, dapprima usata per la ricerca di risorse idriche, poi come ricovero o nascondiglio (fu anche usata dalle truppe francesi del capitano Lautrec nel 1528), infine come ossario e sepoltura degli appestati partenopei.


Fabrizio Falconi

Il racconto continua su:


13/11/19

Presentazione di "Rima di Frattura" a Roma - Venerdì 29 novembre alla Libreria Odradek


Sarà presentato a Roma VENERDI' 29 NOVEMBRE ALLE ORE 18.00, alla Libreria Odradek in Via dei Banchi Vecchi, 57,  il libro Rima di Frattura (Guida Editori) di Paola d'Agnese e Fabrizio Falconi.

Con gli autori saranno presenti Annamaria Robustelli e Antonio Pascotto




Rima di frattura in termini tecnici indica la sede di una frattura(ossea), mostrandone la forma e la lunghezza. E’ sembrato il titolo suggestivo per l’opera di due poeti, Paola d’Agnese e Fabrizio Falconi, che hanno attraversato diverse stagioni creative e si affrontano nella maturità per confrontarsi sui punti di vista di genere: maschile e femminile, femminile e maschile sono le due voci che si confrontano in quest’opera con testi di diversa struttura: un testo-flusso, un racconto di vita iniziale; dieci parole comuni e non comuni che funzionano da ispirazione; dieci liriche che abbracciano tre diversi decenni di produzione poetica. 
In un periodo storico nel quale molto si parla e si discute di genere e di confronto/confusione/dialogo tra maschile e femminile, Rima di frattura offre un saggio personale di due voci poetiche che si interrogano sul passato, il futuro e la realtà tra vissuto e aspirazione.



NOTE BIOGRAFICHE


Paola d’Agnese  è nata a Napoli.

Nel 1995 è fra le fondatrici dell’Associazione Culturale Donne e Poesia, all’interno della Casa Internazionale delle Donne di Roma. 
Ha curato oltre che il Premio Internazionale Donna e Poesia con l’ideazione e l’organizzazione di edizioni antologiche, seminari  e laboratori di scrittura poetica.
Nel 2002 comincia la collaborazione con l’artista Bruna Esposito in occasione del concorso  Migrazioni  promosso dal Ministero dei Beni Culturali , con un testo per l’ opera E così sia, al Maxxi , Museo d’Arte Contemporanea di Roma e al  Museo  Castel Sant’ Elmo di Napoli. L'opera vince il Premio alla giovane Arte Italiana.
Dal 1990 vive e lavora a Roma come organizzatrice di rassegne , eventi, fra cui dal 2004 il Premio Fabrizio De Andrè - Parlare Musica, evento patrocinato dalla Fondazione De Andrè.
Nel 2010 ha pubblicato, edita da Zona , la raccolta di poesie 58 secondi, accompagnata da alcune note del Maestro Ennio Morricone.

Fabrizio Falconi è nato a Roma. 

Ha esordito come freelance per testate (PanoramaPaese SeraIl manifesto), lavorando poi per quasi un decennio alla RAI, poi a Telemontecarlo. Attualmente è caporedattore per la testata News Mediaset. In narrativa ha esordito nel 1985 con un volume di racconti, Prima di Andare, cui hanno fatto seguito opere di saggistica, narrativa e poesia, tra le quali  L'ombra del Ritorno (Campanotto Editore), 1996, (finalista al premio Sandro Penna e segnalato al premio Montale di quell’anno), Il giorno più bello per Incontrarti (Fazi, 2000), Cieli Come questo (Fazi, 2002), Poesie 1996-2007 (Campanotto, 2007), Il respiro di oggi (Terre Sommerse  2009), Dieci Luoghi dell'Anima (Cantagalli, 2009), I fantasmi di Roma (Newton Compton, 2010), In hoc vinces (con Bruno Carboniero, Edizioni Mediterranee, 2011) Monumenti esoterici d'Italia (Newton Compton, 2013), Roma segreta e misteriosa (Newton Compton, 2015).
È autore e contributore di diversi blog e siti on line, per argomenti che spaziano dalla spiritualità alla poesia, alla storia della conoscenza e delle radici filosofiche dell'Occidente.
Sue poesie sono apparse tradotte in lingua inglese da David Lummus nella rivista TriQuarterly dedicata alla poesia italiana contemporanea curata da Robert Pogue Harrison e Susan Stewart (n.127/2007).


13/06/19

28 giugno presentazione a Napoli di "Rima di frattura"




Sarà presentato a Napoli, Venerdì 28 giugno alle ore 18.00, allo  Spazio Guida in via Bisignano 11, "Rima di Frattura" il nuovo libro di Paola d'Agnese e Fabrizio Falconi appena uscito da Guida Editori.
Poesie che mirano a creare una “Rima di frattura” (Guida editori), di Paola D’Agnese e Fabrizio Falconi. “Ognuno di noi, almeno una volta, ha chiesto tempo. Tempo per andare, tempo per parlare… A chi me ne chiede dico sì… una, due, mille volte. Prendo tempo al tempo, formando una lunga catena di minuti. Minuti importanti, preziosissimi. Me li regalo. Te li regalo. Eccoli” scrive D’Agnese. 
Con gli autori ci saranno Antonio Pietropaoli e Floriana Coppola.

26/04/19

Quando il fumetto è arte: Corto Maltese sbarca a Napoli per una grande mostra.





Il più affascinante e misterioso dei marinai è approdato al Museo Archeologico di Napoli: intitolata 'Corto Maltese. Un viaggio straordinario', si è aperta al pubblico (fino al 9 settembre 2019) la mostra dedicata al maestro del fumetto mondiale Hugo Pratt (1927 - 1995) organizzata da Comicon con Patrizia Zanotti di CONG: circa 100 i pezzi tra tavole, schizzi, fotografie ed ingrandimenti in un suggestivo e ricco percorso nel mondo di un personaggio solitario, ramingo, condottiero, imprevedibile e arguto nelle sue battute

Allestita nelle sale che custodiscono reperti archeologici legati al mare, la mostra (patrocinata dal Comune di Napoli e realizzata in collaborazione con Rizzoli Lizard) fa parte del progetto Obvia dell'Universita' di Napoli Federico II per il MANN e rientra nella sinergia tra museo e Comicon per intercettare le passioni ed i gusti dei piu' giovani. 

"L'esposizione, la prima cosi' completa che la citta' dedica a uno dei piu' grandi fumettisti mondiali e alla sua graphic novel dallo spessore letterario, fa parte di un percorso di eventi, tra il Mann e i Campi' Flegrei, verso 'Thalassa. Mare, mito, storia ed archeologia - spiega il direttore del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Paolo Giulierini - una grande mostra che stiamo preparando dedicata all'archeologia subacquea del Mediterraneo". 

Claudio Curcio patron del salone Comicon sottolinea: "Siamo particolarmente fieri di poter finalmente lavorare con uno dei piu' grandi e celebrati autori italiani del fumetto che ancora non avevamo avuto la possibilita' di presentare al pubblico di Comicon e di Napoli e il cui lavoro mancava nella nostra citta' dagli anni novanta". Alla mostra e' abbinato il catalogo con approfondimenti di esperti del fumetto e dell'opera di Pratt, sul rapporto di Corto Maltese con il mare, le donne ed i viaggi. 

Analizzati i legami che Pratt ha avuto non soltanto con i suoi maestri ispiratori (tra questi, Milton Caniff e Will Gould), ma anche con il mondo del cinema; focus, ancora, sulla biografia dell'artista, narrando le sue avventure in giro per il mondo. 

 Patrizia Zanotti, Managing Director della Cong SA, disegnatrice, che ha iniziato a lavorare con Hugo Pratt a 17 anni scrive nel catalogo: "Da Venezia a Malta, da Hong Kong a Escondida, da Buenos Aires a Napoli, Hugo Pratt amava le citta' di mare perche' sono naturalmente aperte all'arrivo di altre genti, altre navi, altre culture".

C'e' molto fumetto nella comunicazione del Mann che ha prodotto anche il volume 'Nico e Canova' (Electa). Un Topolino speciale per celebrare la mostra su Canova sara' in edicola dal 1 maggio, entrambi i prodotti sono firmati dal disegnatore Disney Blasco Pisapia. L'artista americano Frank Santoro ha donato al Mann alcune tavole originali su Pompei che erano state in mostra lo scorso anno. 

Fonte - ANSA

13/02/19

Nuovo studio: 3 Tsunami in età medievale causati da Stromboli.




Un cedimento del fianco nord-occidentale del vulcano Stromboli, nell`arcipelago delle Eolie, sarebbe la causa dei tre maremoti che hanno raggiunto le coste della Campania tra il 1343 e il 1456. 

A dirlo, lo studio Geoarchaeological Evidence of Middle-Age Tsunamis at Stromboli and Consequences for the Tsunami Hazard in the Southern Tyrrhenian Sea, recentemente pubblicato su Scientific Reports, a cui hanno partecipato l`Istituto Nazionale di Geofisica eVulcanologia (INGV), il Dipartimento di Scienze della Terra dell`Universita' di Pisa, le Universita' italiane di Modena-Reggio Emilia e di Urbino, il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), la City University e l`American Numismatic Society di New York

"L`identificazione di Stromboli come la sorgente dei maremoti avvenuti nel 1343, nel 1392 e il 5 dicembre 1456 - spiega Antonella Bertagnini, vulcanologa dell`INGV di Pisa e co-autrice del lavoro - e' stata possibile grazie ad un lavoro interdisciplinare che ha messo in campo competenze vulcanologiche e archeologiche. Era noto che l`isola di Stromboli fosse capace di produrre tsunami di piccola scala (analoghi a quello osservato il 30 dicembre 2002)" - prosegue l`esperta - "questo lavoro porta pero' alla luce, per la prima volta, la capacita' del vulcano di produrre, anche in tempi relativamente recenti, tsunami di scala nettamente superiore e potenzialmente in grado di raggiungere aree costiere anche molto distanti"

Il principale dei tre eventi, avvenuto nel 1343, sarebbe la causa della distruzione dei porti di Napoli e di Amalfi, di cui fu testimone oculare d`eccezione il poeta Francesco Petrarca

Lo scrittore si trovava in missione come ambasciatore inviato nella citta' partenopea da Papa Clemente VI e racconto' l`accaduto in una lettera, descrivendo il maremoto come una misteriosa quanto violenta tempesta marina avvenuta il 25 novembre di quell`anno e che aveva causato l`affondamento di numerose navi nel porto di Napoli. 

"Incrociando metodologie, tecniche e competenze diverse - prosegue Bertagnini - lo studio ha permesso anche di rivelare come nella prima meta' del 1300 l`isola di Stromboli fosse abitata e rivestisse un ruolo importante come snodo del traffico navale dei crociati provenienti dalle coste italiane, spagnole e greche. A seguito dei crolli responsabili della generazione delle onde di tsunami e di una contemporanea e particolarmente intensa attivita' eruttiva del vulcano, l`isola fu abbandonata a partire dalla meta' del 1300 e fino alla fine del 1600, quando inizio' il suo ripopolamento

La scoperta conferma, quindi, il pericolo da tsunami generato da Stromboli nel Tirreno Meridionale, sebbene una sua precisa quantificazione richieda ulteriori studi mirati al riconoscimento e alla caratterizzazione di questo fenomeno su un periodo temporale piu' esteso". La ricerca pubblicata ha una valenza essenzialmente scientifica, priva al momento di immediate implicazioni in merito agli aspetti di protezione civile. 

13/12/18

Un popolo misterioso vissuto 4.000 anni fa nella lontana Cina.



Un popolo misterioso dedito al culto del sole e a riti sciamanici visse 4000 anni fa nelle valli del Fiume azzurro. La scoperta della sua civilta', nel secolo scorso, ha riscritto la storia della Cina antica portando alla luce capolavori intrisi di spiritualita'. 

Il MuseoArcheologico Nazionale di Napoli (Mann) ospita, per la prima volta in Europa, nella mostra 'Mortali Immortali, i tesori del Sichuan nell'antica Cina' (14 dicembre - 11 marzo 219) ben 130 testimonianze della cultura Shu. 

Nel'immenso salone della Meridiana, opere in bronzo, oro, giada e terracotta, dal secondo millennio a.C. fino all'epoca Han (II secolo d.C.) raccontano il percorso di un popolo destinato a sparire e l'enigma delle maschere di bronzo piu' sofisticate dell'archeologia di tutti i tempi. 

"Questa importante esposizione, che chiude idealmente l'anno del turismo Europa-Cina e rientra tra le attivita' promosse nell'ambito del Forum Culturale Italia-Cina del Mibac - spiega il direttore del Mann Paolo Giulierini, che domani inaugurera' la mostra insieme a una delegazione cinese - conferma il sempre piu' solido legame tra il museo e il paese del Dragone per la promozione del patrimonio culturale italiano ma anche di quello cinese in Italia. Ricordiamo che le mostre del Mann su Pompei, nei maggiori musei cinesi fino al luglio 2019, contano gia' oltre due milioni di visitatori". 

Gli oggetti esposti a Napoli includono grandi statue e vasi rituali di bronzo, elementi decorativi in oro, preziosi reperti in giada, le celebri maschere con gli occhi sporgenti e ingigantiti, statuette in terracotta e delicati recipienti di lacca

Dalla terra dell'abbondanza, cosi' come era chiamata la fertile regione cinese, alla 'Campania felix' delle citta' vesuviane sepolte: ed e' cosi' che il cavallo di Sanxingdui, il sole di Jinsha, l'immagine del piu' grande albero di bronzo della storia dell'archeologia, dialogano in insoliti e suggestivi accostamenti, con la meridiana, la statua in bronzo di Apollo ed il cavallo di Ercolano. 

La mostra realizzata sotto la guida dell'Ufficio provinciale della Cultura del Sichuan, raccoglie pezzi dai principali musei databili dal 1600 a.C. (Dinastia Shang) al 220 d.C. (Dinastia Han). L'allestimento, con suggestivi effetti riflesso, e' curato dagli architetti Gaetano Di Gesu e Susanna Ferrini di "studio Asia". 

Ricostruzioni digitali, foto, video dello scavo aiutano il pubblico a comprendere il contesto di rinvenimento dei reperti e lo sviluppo di questa antica civiltà cinese cosi' lontana dalla cultura della Cina 'classica'. 

"I morti dovrebbero essere serviti come i vivi" e' l'espressione piu' antica ritrovata sul tema dell'aldila' ed e' proprio l'armoniosa convivenza tra uomo e natura il segno esemplare di un popolo che rappresenta un mistero profondo dell'archeologia della Cina e del mondo intero.



16/03/18

Ecco i Sette Nuovi Musei da visitare nel 2018 !

Il Louvre Abu Dhabi, Emirati Arabi

I sette musei da visitare nel 2018

Dal Louvre di Abu Dhabi alla Casa Lego danese, dall’Urban Nation di Berlino alla Zeitz Mocaa di Città del Capo; ecco i nuovissimi luoghi della cultura che meritano un viaggio.


Louvre Abu Dhabi, Emirati Arabi
Inaugurato lo scorso novembre, il faraonico museo Louvre Abu Dhabifirmato dall’architetto Jean-Nouvel, è una meraviglia architettonica tutta da scoprire. Sorge sull’isola Saadiyat, non lontano dal cuore finanziario della capitale degli Emirati, ed è formato da 55 edifici bianchi ispirati a una Medina orientale, coperti da una cupola in acciaio di 180 metri di diametro. Il museo ospita opere di tutte le epoche e civiltà; tra i pezzi esposti più prestigiosi ci sono un Corano del VI secolo, una Bibbia gotica e una Torah dello Yemen come simbolo di fratellanza e di scambio di culture. Il museo offre dunque uno sguardo sull’arte universale - dalla Preistoria fino ai giorni nostri, passando per l’Antico Egitto, la Grecia e la Roma imperiale - con più di 300 opere provenienti da 13 musei francesi e varie sezioni dedicate alle mostre temporanee; solo una piccola parte, con 23 gallerie permanenti, è invece destinato all’arte moderna e contemporanea. Info:www.louvreabudhabi.ae
Curiosità: la cupola che ricopre il museo è pesante quasi quanto la Torre Eiffel ed è formata da 7.850 stelle metalliche, che creano un gioco di luci e ombre ispirato ai suk orientali. Il Paese ha pagato quasi un miliardo di euro al governo francese per poter usare per 30 anni il nome del suo museo più famoso, il Louvre.

Lego House, Danimarca
E’ nato lo scorso settembre a Billund, la città natale della Lego in Danimarca, il museo dedicato ai mattoncini colorati più famosi al mondo. La casa della Lego è un luogo dove grandi e piccoli possono divertirsi giocando e creando, secondo la filosofia della celebre azienda danese. Sorge su 12mila metri quadrati nel cuore della città di Billund e ospita 21 blocchi con attrazioni a pagamento e spazi all’aperto, come la Lego Square, una grande piazza al centro del museo dove gli ospiti possono giocare liberamente o concedersi un’esperienza gourmet in uno dei 3 ristoranti presenti. Cuore della Lego House sono le “experience zones”, che si sviluppano in 4 aree di gioco colorate, dove ogni colore rappresenta un aspetto dell’apprendimento dei bambini: rosso è creativo, blu cognitivo, verde sociale e giallo emozionale. Completano l’esperienza una magnifica galleria “Masterpiece” dove i visitatori possono esporre le proprie creazioni e la “History Collection”, uno spazio dedicato al racconto e alla storia dell’azienda.
Curiosità: i 21 blocchi del museo sono sovrapposti in modo sfalsato, proprio come i mattoncini Lego; la facciata è ricoperta da tegole in cotto che danno l’impressione di essere un mattonicino, così come il tetto, coronato da un gigantesco Lego in scala gigante. Non lontano dal museo sorge il parco dei divertimenti Legoland dove il mondo in miniatura è fatto di mattoncini colorati.

Urban Nation, Germania
Nel quartiere Schöneberg di Berlino è nato da pochi mesi il primo museo dedicato all’esposizione, allo studio e alla promozione della street art, l’arte contemporanea urbana, che vanta anche una biblioteca tematica con oggetti e più di 5mila libri, donati da Martha Cooper, la reporter americana che negli anni Settanta documentò la nascita del fenomeno artistico a New York. Il museo rappresenta un punto di riferimento importante per artisti, appassionati d’arte, berlinesi e turisti e offre un laboratorio didattico agli studenti. La facciata del museo, disposto su due piani con muri alti sette metri, è ricoperta di grandi pannelli modulari sui quali gli artisti realizzano graffiti e murales; i pannelli con le opere d’arte sono rimovibili per poter essere trasportati in altre parti della città o conservati all’interno del museo. Info: urban-nation.com
Curiosità: un corridoio/passerella all’interno del museo tra murales e graffiti crea un effetto “distanza”, come se le opere fossero sulla strada o sulle pareti di muri o edifici in giro per la città. “Il museo”, ha spiegato l’architetto progettista Thomas Willemeit “deve riflettere l’aspetto dinamico e non convenzionale della street art”.

Musée YSL Marrakech, Marocco
Inaugurato lo scorso ottobre in un palazzo color ocra con una cornice in pizzo di mattoni, il nuovo museo dedicato a Yves Saint Laurent è un omaggio alla moda e alla creatività dello stilista francese, scomparso dieci anni fa, e allo speciale rapporto d’amore che aveva con Marrakech, luogo ispiratore delle sue collezioni. Dal primo viaggio nella città marocchina nel 1966, infatti, lo stilista francese non smise di tornarci fino al 1980 quando la scelse come seconda casa, vivendo nella villa ai Jardin Majorelle con il compagno Pierre Bergé, uno dei luoghi che ogni visitatore ammira arrivando a Marrakech, tra le piante di cactus del giardino botanico e il blu cobalto delle pareti della villa. Il museo dedicato a Yves Saint Laurent, voluto della Fondation Pierre Bergé–Yves Saint Laurent e costruito vicino ai giardini Majorelle, è stato concepito come un grande centro culturale che comprende uno spazio espositivo permanente, una galleria temporanea di mostre, una biblioteca di ricerca, un auditorium, una libreria e una caffetteria con terrazza. La facciata è un raffinato incastro di volumi quadrati e circolari, alti e bassi, pieni e vuoti, che ricorda le sculture cubiste; i materiali usati sono tipicamente maghrebini: terracotta, pietra, ceramica e marmo. Se l’esterno è opaco, l’interno è volutamente luminoso, liscio e vellutato proprio come il rivestimento di una giacca sartoriale. Info: www.museeyslmarrakech.com
Curiositàal piano interrato c’è il dipartimento di conservazione: è una “camera di Tutankhamon”, un luogo speciale supportato da sofisticati sistemi hi-tech che oltre a conservare a temperature ottimali, è in grado di anticipare, prevenire e ostacolare il deterioramento naturale dei pezzi esposti, cioè di scarpe, cappelli, gioielli, vestiti a trapezio, cappotti di lamé, cappe di taffetà con buganvillee ricamate e altri capi d’alta moda.

Wien Museum Beethoven Museum, Austria
Da fine novembre Vienna ha un nuovo museo dedicato al grande compositore Ludwig van Beethoven, che nella capitale viennese visse molto a lungo, prima per prendere lezioni da Mozart e poi come allievo di Joseph Haydn. Il nuovo museo, che si trova al 6 di Probusgasse nel distretto termale di Heiligenstadt, fuori dal centro della capitale, è il risultato dell’ampliamento di uno degli appartamenti dove visse il compositore tedesco, che qui cercò di curare i disturbi all’udito di cui soffriva. L’allestimento museale, moderrno e interattivo, permette di conoscere la storia della cultura viennese tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento e di approfondire la figura di uno dei massimi compositori di tutti i tempi. All’interno 14 stanze raccontano attraverso gli oggetti e le testimonianze alcune tematiche legate alla vita e alle opere di Beethoven: la storia della casa, il trasferimento da Bonn a Vienna, il soggiorno a Heiligenstadt, le composizioni e le rappresentazione teatrali dell’epoca. In questa casa-museo a 32 anni Beethoven, in preda a un profondo sconforto, scrisse il “Testamento di Heiligenstadt”, una lettera ai fratelli, che non fu mai spedita, dopo aver appreso di essere destinato alla sordità. Sempre in questo appartamento si dedicò alla stesura di alcune opere, tra cui le tre sonate per pianoforte che compongono l’Op. 31, l’oratorio “Christus am Ölberge” e la “Sinfonia eroica”. Info: www.wienmuseum.at/de/standorte/beethoven-museum.html
Curiosità: nel museo sono esposti tubi acustici, una buca del suggeritore che Beethoven metteva sul pianoforte per amplificare il suono, e alcune uova, che simboleggiano il carattere irascibile del compositore. Nelle “stazioni” sonore, inoltre, si può avere una percezione simulata dell’affievolirsi dell’udito del compositore tedesco.

Zeitz Mocaa, Sudafrica
Il Museum of Contemporary Art Africa, inaugurato lo scorso settembre a Città del Capo, è il punto di riferimento per l’arte contemporanea nel continente africano, un Paese dalle molte potenzialità e in continua attesa di rilancio. Il museo Zeitz Mocaa potrebbe finalmente rappresentare questa possibilità grazie anche all’intervento di un ente no profit che sostiene gli artisti africani. Gran parte delle opere sono di proprietà del collezionista tedesco Jochen Zeitz, ma presto arriveranno nuove risorse e nuovi curatori, che punteranno sugli artisti africani e su elementi quali la multimedialità e le piattaforme digitali. L’enorme museo, dall’architettura spettacolare, è stato progettato dal britannico Thomas Heatherwick ed è di proprietà di V&A Waterfront, la società che possiede l’area del porto della capitale sudafricana. All’interno si trovano 80 gallerie, una collezione permanente, mostre temporanee e un centro per la fotografia, oltre a ristoranti e a un centro commerciale. Info: zeitzmocaa.museum
Curiosità: i 9.500 metri quadrati della struttura sono distribuiti su 9 piani, ai quali si accede da un imponente atrio che il progettista ha realizzato a forma di chicco di mais dei silos di cemento, dove un tempo si immagazzinava il grano.

Thomas Dane Gallery, Italia
Il gallerista inglese Thomas Dane ha inaugurato a fine gennaio un nuovo spazio espositivo al primo piano di Casa Ruffo, splendido palazzo ottocentesco nel cuore di via Chiaia, a Napoli. Un’elegante atmosfera neoclassica domina le 5 sale espositive, gli uffici e il grande salone centrale della galleria di Casa Ruffo, raffinato e sobrio, con una veranda che collega le opere dell’interno con la città campana; una splendida terrazza si affaccia su Capri e regala uno scenario mozzafiato. La galleria, che ogni mese ospita nuove esposizioni, è stata affidata alla direzione di Federica Sheehan, che formatasi tra New York e Milano, vive stabilmente a Napoli da sette anni. Info: www.thomasdanegallery.com
Curiosità: per Thomas Dane quella di Napoli è la prima sede esterna, la prima esperienza di galleria fuori da Londra; “Siamo rimasti molto colpiti“, racconta il gallerista, “dal grande riscontro ricevuto. Sono venute tantissime persone provenienti da tutta Europa, sicuramente per il grande interesse che questa città generaVolevamo essere presenti”, ha continuato Thomas Dane in una città ricca di storia e di opportunità per i nostri artisti. È una città unica, con la sua grande cultura e le sue peculiarità”.

21/12/16

Un posto bellissimo e misterioso: le rovine di Cuma e l'antica grotta della Profetessa.


Le rovine di Cuma, in Campania, con l’antica grotta della Profetessa.

La città di Cuma – le cui rovine si ammirano oggi nel territorio di Pozzuoli, nella zona dei Campi Flegrei, non lontano da Napoli – fu una delle prime in assoluto fondate dai coloni greci nell’ottavo secolo avanti Cristo, proprio negli stessi anni in cui più a nord nasceva in una sorta di disputa fratricida, la leggenda di Roma sul colle Palatino.

I coloni della Magna Grecia che per la prima volta arrivarono fin qui, scelsero il nome di Cuma -  Κύμη (Kýmē) – proprio perché questo terreno roccioso, in realtà di lava solidificata nel corso dei secoli, ricordava un’onda.

Il rialzo della roccia apparve a questi avventurosi colonizzatori il luogo ideale per costruire una città fortificata, dotata di acropoli che, in breve tempo giunse ad espandere il suo territorio a buona parte dell’attuale Campania. Un regno indipendente che durò poco, prima dell’invasione subita da parte dei Campani prima, e dei Romani poi, che concessero però alla nobile città il rango di civita sine suffragio, che garantiva cioè tutti i diritti di cittadinanza romana, con l’esclusione del voto.

I resti che si ammirano oggi di Cuma, si riferiscono però quasi interamente all’epoca di Augusto, durante la quale furono restaurati gli edifici più antichi. Ciò che fu invece salvaguardato, per il rispetto che il luogo incuteva era la Grotta, che una persistente leggenda, durata per secoli, indicava come la dimora del più celebre oracolo del mondo, la Sibilla Cumana, la sacerdotessa in grado di predire il futuro.

Chi era dunque Sibilla ? E perché questo luogo continua ad esercitare lo stesso fascino misterioso descritto da Virgilio, che della Sibilla fa un personaggio centrale, la traghettatrice che conduce Enea nel regno dell’Oltretomba (lo stesso ruolo che svolgerà Virgilio medesimo nella Comoedia dantesca) ?
Virgilio, nell’Eneide, nel sesto libro, fornisce questa immagine della Grotta della Sibilla: profonda grotta, immane di larga apertura/di roccia, da un nero lago difesa, e dai boschi tenebrosi.

Una Grotta, specifica ancor meglio Virgilio, abitata da vapori sulfurei,  in cui la profetessa appare come una virgo violentemente posseduta dal dio Apollo, che dolorosamente deve scacciare dal proprio petto, in un passaggio simbolico che richiama tutte quelle figure di sacerdotesse dell’antichità, il cui culto fu probabilmente importato dall’Oriente e passando attraverso la Pizia di Delfi, finì per essere assorbito dalla cultura della Magna Grecia prima, e romana poi.
L’habitat descritto da Virgilio, riguardante la Sibilla, era quello che già si tramandava oralmente e radicato dunque nella tradizione. Per intraprendere il viaggio negli inferi il visitatore – in questo caso Enea – doveva procurarsi un ramo d’oro (secondo diverse versioni doveva trattarsi di vischio) e condursi all’entrata del Lago di Averno, formatosi nell’antichità nel cavo di un vulcano e ricolmo di acque sulfuree le quali erano anche all’origine del suo nome, perché si riteneva scacciassero gli uccelli (l’etimologia di ‘Averno’, nel senso di ‘Inferno’ sembra derivi, oltre che dal colore scurissimo delle sue acque e dalla fitta vegetazione intorno, dal greco, Aornon, cioè ‘senza uccelli’).



Questo luogo, dunque, il Lago di Averno, che ancora oggi è possibile ammirare per fortuna libero dalle esalazioni che sono scomparse o attenuate, eppure pesantemente minacciato dallo sproporzionato sviluppo edilizio della zona, era la porta degli inferi, e la Grotta, quell’antro dove era possibile portarsi al cospetto della Sibilla.


20/05/16

L'incredibile Cappella di San Severo a Napoli.



La Cappella di San Severo a Napoli
 di Fabrizio Falconi


Dieci anni della mia vita pur d’essere lo scultore del Cristo Velato !  La celebre esclamazione, frutto di una sconfinata ammirazione unita alla irrefrenabile invidia degli artisti, suole essere attribuita nientemeno che ad Antonio Canova quando nel 1780, in visita a Napoli, alla Cappella dei principi di Sansevero, si trovò di fronte l’incredibile ritratto scolpito del Cristo morto velato, adagiato su di un giaciglio, la testa reclinata su due cuscini, ai piedi gli strumenti del supplizio. 

Lo stupore di Canova, però, come anche il nostro oggi, era pienamente giustificato: come aveva fatto un giovane scultore di soli trentadue anni, Giuseppe Sanmartino,  ancora poco conosciuto, a realizzare un’opera di tale virtuosismo ? Il Cristo, sotto il velo minutamente realizzato in ogni piega, in ogni spessore, come forse mai prima di allora, sembrava davvero appena cristallizzato dopo il supplizio e la morte, ancora palpitante, come se la vita l’avesse appena lasciato. 

Com’era possibile un tale prodigio ? 

Se lo continuarono a chiedere in tanti, anche dopo la visita di Canova, e riuscirono anche a darsi una spiegazione: quella magia, quella straordinaria esibizione di bravura, non era tutta farina del sacco del giovane scultore, non era opera sua l’invenzione di una simile tecnica di lavorazione del marmo. No, c’era di mezzo qualcuno di molto più sapiente, nello studio e nell’utilizzo delle più segrete tecniche alchemiche.  Era stato lui, era stato sicuramente il principe Raimondo de Sangro, l’erudito colto studioso misantropo, che aveva commissionato l’opera dapprima al veneziano Antonio Corradini e poi alla morte di questo proprio al Sanmartino e che a quest’ultimo aveva insegnato le segreti arti di trasformazione dei materiali, per permettergli di realizzare un’opera unica al mondo.

A questo proposito c’è da dire che le leggende a proposito del Principe Raimondo sono fiorite e hanno prosperato con il passare dei decenni a Napoli, città dove lo scambio e la tradizione orale hanno potere come in pochi altri posti al mondo, e c’è da capirlo vista la fama che circondò in vita l’artefice della Cappella.

Raimondo proveniva, per nascita, dall’alta aristocrazia dei Grandi di Spagna. La sua famiglia vantava estesi possedimenti nelle Puglie, ed è proprio qui, nel feudo di Torremaggiore che nacque Raimondo, nel 1707. (1)

I suoi genitori erano Cecilia Gaetani dell’Aquila d’Aragona, membro di una delle casate patrizie più antiche d’Italia, e Antonio di Sarno, duca di Torremaggiore.

La madre Cecilia, morì pochi mesi dopo il parto.  Al suo ricordo, Raimondo rimase per sempre devoto, e nel suo Pantheon personale, che è la Cappella di cui ci stiamo occupando,  a lei dedicò la statua della Pudicizia velata, che fece realizzare da Antonio Corradini nel 1752, dove già si evidenziano i prodigi della lavorazione del velo che copre il corpo della donna, sostenuto da una lapide spezzata, a simboleggiare proprio la prematura scomparsa della madre. 
Il padre, Antonio di Sangro, era invece un nobile dal carattere vanesio e libertino. Troppo preso dalle sue tresche, pensò  bene di affidare il figlio, orfano di madre, alla cura dei nonni paterni.  Nel frattempo, invaghitosi di una giovane ragazza, ne fece uccidere il padre che si opponeva alla relazione. Il fattaccio avvenne in Puglia, nella città di Sansevero, dove i duchi avevano sempre goduto di fama e rispettabilità. Stavolta però il delitto fu talmente sfacciato da non poter essere perdonato: il sindaco di Sansevero impugnò un procedimento penale contro il principe Antonio, che fu costretto a fuggire e a rifugiarsi presso la Corte di Vienna, da dove cercò di difendersi dalle accuse grazie alla protezione dell'Imperatore. Quando il Tribunale pugliese, su pressione diplomatica, archiviò il caso, Antonio poté rientrare nei suoi feudi ma ancora non pago, decise di vendicarsi ordinando l’uccisione di quello che era stato il suo principale accusatore.  Una nuova fuga lo portò stavolta a Roma, dove però Antonio di Sangro trovò il modo di convertirsi, dopo essersi pentito dei suoi misfatti, prese i voti e si ritirò in convento.


15/06/15

Un meraviglioso libro di foto su Pompei - da Electaphoto.


La collana Electaphoto dedica il quarto volume all’indagine del profondo legame fra Pompei, la sua immagine ben presto divenuta icona dell’Antico, la sua fortuna culturale e le numerose valenze emotive ed estetiche che l’arte, tesa nello sforzo di far vivere la storia spezzata della città romana, ha, nel tempo, messo in scena.

Il volume comprende: le precoci dagherrotipie degli scavi pompeiani, quasi una trascrizione figurativa delle stampe degli incisori; le prime vedute calotipiche legate alla pressoché immediata necessità editoriale di diffondere la conoscenza del sito e dei "tesori" che venivano dissepolti; le immagini fotografiche ritoccate ad acquarello ancora debitrici del gusto pittoresco del Grand Tour; la funzione ancillare della fotografia ottocentesca di edifici, decorazioni, sculture e suppellettili rispetto alla ricostruzione del mondo antico nella pittura accademica e pompier europea, come nell'architettura in stile fino alle soglie del Fascismo; le foto-cartoline sciolte vendute presso gli Scavi e al contempo le campagne di ripresa istituzionali come quella affidata, ancora in periodo borbonico, a Giorgio Sommer; la presenza a Pompei di tutte le principali ditte italiane (Alinari, Brogi, Vasari, Chauffourier) dotate delle più moderne strumentazioni e con peculiarità diverse nell'allestimento dei set; le rovine pompeiane come scenario creativo per autori come Plüschow che hanno inteso popolarle e farle rivivere nella suggestione di immagini mentali cariche di significati; la rivalutazione critica della loro opera a partire dagli anni sessanta del XX secolo quando la citazione, il rendering, la copia e la contaminazione di stili e generi sono divenuti al centro delle poetiche postmoderne e dell'arte cosiddetta neopompeiana; la più recente dicotomia fra una fotografia documentaria che muove da criteri scientifici di ripresa, una crescente fotografia "turistica", e gli sguardi decisamente autoriali dei più grandi maestri della fotografia contemporanea.


La rassegna, visitabile fino al prossimo 2 novembre, è organizzata da Electa e promossa dalla Soprintendenza Speciale per Pompei, Ercolano e Stabia e dalla Direzione Generale del Grande Progetto Pompei, con il Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

L’esposizione nel Salone della Meridiana del museo di Napoli è curata da Massimo Osanna, Maria Teresa Caracciolo e Luigi Gallo. 

A Pompei la sezione “Rapiti alla morte”. I calchi è a cura di Massimo Osanna e Adele Lagi, mentre “La fotografia” è curata da Massimo Osanna, Ernesto De Carolis e Grete Stefani. La mostra ha ottenuto il patrocinio Expo Milano 2015.

23/03/12

Neruda: all'asta "Los versos del Capitan", scritto a Capri, che ispirò "Il Postino" (uno dei libri più rari al mondo).


Va all'asta il libro del poeta cileno Pablo Neruda, "Los versos del Capitan", che ispiro' "IlPostino", il romanzo di Antonio Skarmeta pubblicato nel 1986 e divenuto celebre per la trasposizione cinematografica realizzata da Massimo Troisi nel 1994. 

E' un libro di mitica rarita' di cui non si registrano copie vendute in asta nei decenni scorsi. Sara' messo in vendita dalla casa Bloomsbury a Roma (Palazzo Odelscalchi) martedi' 27 marzo con una stima che oscilla tra 15.000 e 20.000 euro. 

Neruda lo scrisse a Capri nel 1951, esule e ospite nella villa che era stata di Curzio Malaparte, e lo pubblico' l'anno successivo a Napoli, presso Arte Tipografica (8 luglio 1952), finanziato dai compagni italiani comunisti e socialisti. 

La tiratura fu di sole 44 copie, 3 per lo stesso Neruda e le altre 41 per i suoi famosi sottoscrittori, tra cui Renato Guttuso, Salvatore Quasimodo, Giulio Einaudi, Elsa Morante, ma anche Giorgio Napolitano, allora giovane dirigente comunista napoletano. Notevole la rarita' di questo volume originale di Neruda sul mercato antiquario: nessuna copia e' stata battuta prima all'asta da quando e' uscito alle stampe e solo di recente, nel marzo 2011, un libraio antiquario pugliese offriva la copia n.19 (quella per Salvatore Quasimodo) a 40.000 euro, per poi venderla presumibilmente a 30.000 euro. 

La copia proposta da Bloomsbury e' in brossura editoriale verdina con testa di Gorgone al centro, al frontespizio una figura mitologica che ritorna a pagina 13 in posa diversa, e a pagina 177 una veduta di Capri con barche in primo piano. 

La copia riporta l'elenco dei sottoscrittori, con il colophon con l'indicazione della tiratura di soli 44 esemplari destinati ai sottoscrittori (in questo caso il n.35), delicati restauri al dorso e alla cuffia superiore della copertina, con un piccolo strappetto al primo foglio di guardia. 

Nel 1951 Neruda fu ospite in esilio a Capri nella villa dello storico italiano Edwin Cerio (la medesima di Malaparte), dove compose gli struggenti versi d'amore per Matilde Urrutia, la sua musa ispiratrice dopo la separazione con Delia del Carril. "I versi del Capitano" e' un libro che occupa un posto particolare nella vasta produzione di Neruda. 

Fu pubblicato inizialmente anonimo, precauzione presa dal poeta per non offendere la prima moglie, Delia del Carril, a cui si sentiva ancora sentimentalmente legato. Questi versi costituiscono infatti un unico canto d'amore per la donna che da poco era entrata nella sua vita e che non si sarebbe mai distolta dal suo fianco, nei momenti buoni e in quelli cattivi: Matilde Urrutia. 

Alla prima edizione di soli 44 esemplari per amici e sottoscrittori, segui' un'edizione argentina ad ampia diffusione e l'autore dei versi fu facilmente smascherato, non senza qualche dispiacere da parte di chi vedeva in questi versi "intimi" un abbandono dell'impegno e della lotta. Timore fuori luogo, perche' in Neruda amore e lotta non sono mai in constrasto: l'amore e' anche lotta per un futuro migliore

Neruda lascera' l'Italia prima ancora di veder stampato il volume, che gli verra' inviato solo l'anno successivo in Cile. La vicenda di questo breve soggiorno, durato pochi mesi, ha ispirato il romanzo "Il Postino" di Skarmeta