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14/10/22
Beatles: "Love me Do" ha compiuto 60 anni !
09/10/22
L'ultimo giorno di vita di John Lennon e le sue ultime incredibili parole
Come trascorse l'ultima giornata di vita di John Lennon, uno dei più grandi musicisti della storia, assassinato da Mark David Chapman, lo squilibrato che gli sparò davanti al portone della sua casa di New York la sera dell'8 dicembre del 1980 ?
Anche quel tragico 8 dicembre John, che ebbe una vita sempre movimentatissima, non si fermò un attimo. Come raccontò in seguito sua moglie Yoko Ono, quella fu una bellissima giornata a New York, il cielo era terso e l’aria era frizzante: la coppia aveva una marea di impegni in programma, tra i quali uno shooting fotografico, un’intervista e un’altra session di lavoro alla loro canzone Walking On Thin Ice presso gli studi Record Plant.
Dopo aver fatto colazione al Café La Fortuna insieme a Yoko, John Lennon andò al Viz-à-Viz per farsi dare una sistemata ai capelli: quando uscì fuori dal salone, l’artista aveva un nuovo taglio in stile retrò, che ricordava molto quello che aveva all’inizio della sua carriera. Subito dopo tornò nel suo appartamento, dove la fotografa Annie Leibovitz stava allestendo il set per lo shooting fotografico che avevano già iniziato la settimana precedente. Il produttore David Geffen aveva fatto in modo che John e Yoko ottenessero la prossima copertina di Rolling Stone, ma l’editore Jann Wenner cercò di realizzare una cover dedicata esclusivamente all’ex dei Beatles. In ogni caso, la fotografa che si occupò del servizio fotografico in seguito raccontò che non avrebbe mai dimenticato quella giornata: “John venne ad aprirmi indossando una giacca di pelle nera. Aveva i capelli pettinati all’indietro. Rimasi molto colpita perché aveva il suo vecchio look alla Beatles”.
Quella mattina Yoko Ono non posò per le foto insieme al marito: aveva deciso di farsi da parte per lasciare la copertina a lui, ma la fotografa era rimasta molto colpita dalla cover dell’album Double Fantasy dove i due coniugi erano stati ritratti mentre si scambiavano un tenero bacio e per questo desiderava fotografarli insieme. “Negli anni ’80 – spiegò – sembrava che il romanticismo fosse morto. Ma ricordai quanto fosse semplice e bellissimo quel loro bacio e mi lasciai ispirare. Inoltre, non era difficile immaginare John e Yoko senza vestiti perché stavano sempre così”. Alla fine John e Annie decisero di realizzare una foto con lui completamente nudo mentre abbracciava la moglie che invece era vestita, in posizione fetale. La fotografa così li immortalò in questa posa sul pavimento color crema del loro salotto.
La fotografa inizialmente fece una prova con una Polaroid e John ne fu entusiasta: “È proprio così, è esattamente questa la nostra relazione!”, disse il musicista. Annie quel giorno scattò un intero rullino, sia a John e Yoko insieme, sia a lui da solo, in varie stanze della sua casa. Una volta terminato il servizio fotografico, John scese al piano di sotto dove, nell’ufficio di Yoko Ono, lo attendava il team di RKO Radio per un’intervista con Dave Sholin. A lui raccontò la sua tipica giornata: “Mi alzo all’incirca alle 6, vado in cucina, bevo un caffè, tossisco un po’ e poi mi fumo una sigaretta, mentre guardo il programma Sesame Street con mio figlio Sean. Mi assicuro che guardi la PBS e non i cartoni con la pubblicità. Non mi interessano i cartoni animati, ma non voglio che lui guardi gli spot pubblicitari”.
Dave Sholin rimase affascinato da John e Yoko: “Il contatto visivo tra di loro era incredibile – disse in seguito di quell’incontro – non c’era bisogno di parlare. Loro si guardavano entrando intensamente in connessione”. Durante l’intervista, John parlò anche del suo quarantesimo compleanno, festeggiato da poco: “Spero di morire prima di Yoko – disse – perché se lei morisse io non saprei come sopravvivere. Non riuscirei ad andare avanti”.
A Sholin parlò poi della sua musica, spiegando di pensare alla sua carriera come un percorso continuo: “Ho sempre considerato il mio lavoro come un'opera unica – disse – sia con i Beatles, con David Bowie, con Elton John o con Yoko Ono. E penso anche che il mio lavoro non sarà finito fino a quando non sarò morto e sepolto, cosa che spero accada tra molto, molto tempo”. Queste parole oggi fanno un certo effetto, considerando che John Lennon morì poco dopo averle pronunciate. “Ci sono stati solo due artisti con i quali ho lavorato per più di una serata - proseguì – sto parlando di Paul McCartney e Yoko Ono. Penso sia davvero un’ottima scelta. Come talent scout, penso di aver fatto davvero un ottimo lavoro”.
Dopo l’intervista, John e Yoko uscirono e la strada sotto la loro casa era stranamente deserta: “Dove sono i miei fan?”, chiese infatti il musicista che, nel frattempo, era stato raggiunto dal fotografo e suo grande amico Paul Goresh che doveva fargli vedere alcuni scatti che aveva realizzato di recente. A quel punto si avvicinò un fan e gli chiese un autografo sulla copertina di una copia di Double Fantasy: questo momento fu immortalato da Goresh. Nessuno poteva immaginare che quel fan con gli occhiali e il cappotto stropicciato solo cinque ore più tardi avrebbe ucciso Lennon, sconvolgendo il mondo.
Ignaro del suo destino, l’ex dei Beatles salì in macchina e andò con sua moglie agli studi di registrazione Record Plant, dove il produttore Jack Douglas li stava aspettando per lavorare a Walking On Thin Ice, un brano composto da Yoko Ono al quale John collaborò, sia suonando l’assolo di chitarra che partecipando alla produzione. Alla fine del lavoro, il musicista era pienamente soddisfatto e molto entusiasta del risultato: “D’ora in avanti faremo solo cose come questa – disse alla moglie – è grandioso! Questa è la direzione che dobbiamo prendere! È meglio di qualsiasi pezzo di Double Fantasy, pubblichiamolo prima di Natale!”. In realtà i produttori gli suggerirono di pubblicarlo dopo le feste e di fare le cose per bene, considerando anche che Double Fantasy stava continuando a scalare le classifiche britanniche, cosa alla quale John Lennon teneva particolarmente. In quei giorni era molto felice anche perché finalmente Yoko Ono stava iniziando ad attirare l’interesse della stampa e della critica e di questo era molto orgoglioso.
Dopo aver completato il lavoro, la coppia e il produttore si diedero appuntamento al mattino seguente per gli ultimi ritocchi. John e Yoko erano esausti perché in quelle ultime settimane avevano lavorato senza sosta, così decisero di prendere qualcosa da mangiare sulla via del ritorno; poiché era tardi, però, alla fine preferirono tornare subito a casa per augurare la buonanotte al figlio Sean che era con la babysitter. Alla cena ci avrebbero pensato dopo: salirono così nella limousine che li riportò a casa e scesero davanti alla loro residenza, il Dakota. Yoko scese per prima e si avviò verso il portone, mentre John la seguiva, portando con sé delle cassette, tra le quali anche l’ultima registrazione di Walking On Thin Ice.
Erano le 10:45 di una serena notte newyorkese quando la quiete fu interrotta dallo sparo che uccise Lennon. A premere il grilletto fu proprio quel fan che poche ore prima gli aveva chiesto un autografo. Pochi minuti dopo il canale ABC diede la terribile notizia, interrompendo il big match di football tra i New England Patriots e i Miami Dolphins. John Lennon morì prima di arrivare in ospedale e ben presto la strada dove abitava si riempì di fan sconcertati.
Alcuni giorni dopo, il 14 dicembre, su richiesta di Yoko Ono alle 2 del pomeriggio fu organizzata una veglia di preghiera: la donna invitò tutti a partecipare e in tutto il mondo le radio osservarono dieci minuti di silenzio in onore del grande artista. A Liverpool si radunarono circa 30mila fan, mentre 50mila persone si riunirono a Central Park per ricordare quell’uomo che aveva definito New York come la sua casa. Quel giorno tutti i progetti di John Lennon andarono in frantumi e la storia della musica cambiò per sempre.
Fonte: VirginRadio.it
19/08/22
Quella volta che George Harrison fu aggredito e colpito da 40 coltellate, mentre si trovava a casa
20/07/22
"Paranoid Android" : come nacque il capolavoro dei Radiohead, sull'album "OK computer"
OK Computer dei Radiohead è stato pubblicato nel 1997 e rimane non solo uno degli album definitivi degli anni '90 ma anche "l'ultimo album che ha cambiato la storia del rock". Una miscela di rock ed elettronica, oggi il disco è considerato il ponte tra gli esordi chitarristici di Pablo Honey e The Bends e ciò che sarebbe avvenuto con dischi come Kid A e Amnesiac.
Fondendo musica pionieristica e commenti sociali taglienti sulla diffusione della tecnologia e dell'economia neoliberale, l'LP è uno degli album più completi mai pubblicati. Grazie alla sua pertinenza, OK Computer è stato un successo trasversale ed è rimasto uno dei migliori della band.
Sebbene il disco sia stellare dall'inizio alla fine, con brani come "Karma Police", "Exit Music (For a Film)" e "No Surprises", il pezzo forte è la seconda traccia, "Paranoid Android". Un'epopea rock di oltre sei minuti, che mette in mostra ogni aspetto della maestria dei Radiohead in quel momento, e non sorprenderà sapere che la band si è ispirata a "Happiness is a Warm Gun" dei Beatles, un brano costantemente locomotore di "Abbey Road", per il modo in cui ha fuso insieme due brani musicali contrastanti.
Un altro brano classico che li ha ispirati è stato "Bohemian Rhapsody" dei Queen e, a causa delle sue dinamiche sempre mutevoli, sarebbe stato etichettato come "La 'Bohemian Rhapsody' degli anni '90", cosa che la band avrebbe immancabilmente scrollato di dosso grazie alla sua modestia senza compromessi.
Sebbene potremmo parlare per ore della musica di "Paranoid Android", il brano si distingue anche per un altro motivo: i testi del frontman Thom Yorke.
La prima è avvenuta quando Yorke si trovava in un bar di Los Angeles e si è seduto accanto a un gruppo di amici strafatti di cocaina. Una delle donne del gruppo era stata accidentalmente ricoperta dal drink di un'altra persona e si era scatenata in una rabbia di proporzioni "disumane". "C'era uno sguardo negli occhi di questa donna che non avevo mai visto prima da nessuna parte", ha spiegato "Quella notte non sono riuscito a dormire per questo".
Anche se Yorke ha parodiato la donna con l'intramontabile battuta "scalciante porcellino di Gucci", ha voluto fare qualcosa di più con la sua esperienza che non semplicemente criticarla. Ha usato questa esperienza come mezzo per osservare la società nel suo complesso. Ha sfogato la sua rabbia su di noi come collettività, non solo sulla donna, poiché le sue azioni erano indicative di come ci troviamo nei tempi moderni; da qui il sarcasmo di "Dio ama i suoi figli, sì".
Per il titolo, Yorke ha scelto "Paranoid Android" sia come riferimento a Marvin, l'originale androide paranoico del romanzo spaziale di Douglas Adams Guida galattica per gli autostoppisti, sia per fare del sarcasmo su come il pubblico lo vedeva.
Una canzone incredibilmente stratificata, non c'è da stupirsi che "Paranoid Android" sia uno dei brani ancora oggi più ascoltati e più discussi dei Radiohead.
17/06/22
* Domani il leggendario Paul McCartney compie 80 anni ! Storia della sua canzone forse più intima e più famosa*
Domani Paul McCartney di sicuro il musicista vivente più famoso al mondo, compie la bellezza di 80 anni. Nato il 18 giugno 1942, sotto il segno dei Gemelli, a Liverpool, McCartney, in coppia con il collega John Lennon ha scritto qualcosa come 170 canzoni fondamentali nella storia della musica. A queste sono da aggiungere poi, ovviamente, quelle della sua lunga carriera solista.
Tra quelle 170 forse la canzone più intima e famosa, quella che meglio di ogni altro disegna il mito di Paul, inserite nell'ultimo album dei Beatles, omonimo, è Let it Be, esattamente la sesta traccia di quel capolavoro, canto del cigno del gruppo.
Come è noto, Paul McCartney rivelò che l'ispirazione per la canzone gli venne da un sogno, nel quale aveva parlato con la madre Mary, morta di cancro nel 1956 quando lui aveva solo 14 anni.
Paul, infatti, al momento dell'incontro fatale con John Lennon era orfano di madre, come lo stesso John, che aveva perso la sua all'età di 16 anni.
Nel sogno, secondo il racconto del musicista, la madre consigliava a Paul, preoccupato per le tensioni nel gruppo, di lasciare correre, cioè to let it be, nel senso che "tutto si sarebbe aggiustato".
John Lennon accolse la canzone con malcelato sarcasmo, poiché la considerava troppo "pseudo-religiosa". Secondo alcuni, l'antipatia di Lennon per il brano sarebbe confermata proprio dalla collocazione della canzone sull'album, posta appena dopo l'irridente frase di Lennon: «And now we'd like to do "Hark The Angels Come"!» ("Ed ora vorremmo eseguire Udite! Gli angeli cantano!"), e subito prima dell'esecuzione di Maggie Mae, dedicata ad una prostituta di Liverpool.
Il singolo raggiunse la prima posizione in classifica in mezzo mondo.
Fu l'ultimo singolo dei Beatles pubblicato prima dello scioglimento della band. Infatti sia l'album Let It Be che il singolo The Long and Winding Road uscirono quando il gruppo ormai ufficialmente non era più in attività.
Nel 2004 il brano ha raggiunto il ventesimo posto nella classifica delle 500 canzoni migliori di tutti i tempi pubblicata dalla rivista Rolling Stone.
La versione finale venne registrata il 31 gennaio 1969, come parte del progetto Get Back (l'album che successivamente diventerà Let It Be). McCartney suonava un pianoforte a coda Blüthner, Lennon il basso, Billy Preston l'organo, George Harrison la chitarra elettrica e Ringo Starr la batteria.
In questa seduta furono registrate due versioni della canzone. In entrambe le versioni il pianoforte suonato da McCartney presenta un accordo dissonante a 2:58.
Recentemente McCartney nella sua autobiografia (Paul McCartney - The lyrics. Parole e ricordi dal 1956 a oggi - A cura di Paul Muldoon, Traduzione di Franco Zanetti e Luca Perasi, Rizzoli e © 2021) è tornato con un più ampio racconto, sulla genesi di Let it be. Ecco il passo relativo:
"Sting una volta mi ha detto che cantare Let it be al Live Aid non è stata una buona scelta da parte mia. Pensava che fosse implicito che era necessario agire, e "non cercate di cambiare, le cose vanno già bene così" non era un messaggio adatto in quell'occasione, in quell'enorme chiamata alle armi che il Live Aid rappresentava. Ma Let It be non è una canzone sull'autosoddisfazione, o sulla connivenza. Parla dell'avere un senso del quadro d'insieme, del rassegnarsi alla visione globale.
La canzone è nata in un momento di angoscia. Era un periodo difficile, perché stavamo andando verso la separazione dei Beatles. E un periodo di cambiamento, in parte anche perché John e Yoko si erano messi assieme e questo aveva condizionato le dinamiche del gruppo. Yoko si metteva in mezzo, nel vero senso della parola, alle sessioni di registrazione, il che era gravoso. Ma era anche qualcosa con cui dovevamo fare i conti. Sino a che non vi fosse stato un problema davvero serio - sino a che uno di noi non avesse detto: "Non posso cantare se lei è qui" - dovevamo lasciare che fosse così. Non eravamo polemici, ce la siamo messa via e siamo andati avanti. Eravamo ragazzi del Nord, quell'atteggiamento era parte della nostra cultura. Sorridi e sopporta. Una cosa interessante di Let It be che mi hanno fatto ricordare di recente è che, all'epoca in cui studiavo letteratura inglese al Liverpool Institute High School for Boys con il mio insegnante preferito, Alan Durband, ho letto l'Amleto. A quel tempo dovevi imparare brani a memoria perché quando li portavi all'esame dovevi essere in grado di citarli parola per parola. Ci sono un paio di frasi, verso la fine che recitano: "O, I could tell you - But let it be. - Horatio, I am dead". Mi sa che quei versi mi si sono conficcati nella memoria, senza che ne fossi consapevole. Quando stavo scrivendo Let it be stavo facendo troppo di tutto, ero sfinito, e ne stavo pagando il prezzo. La band, io... stavamo tutti passando "times of trouble", brutti momenti, come dice la canzone, e non sembrava esserci modo di uscire da quel casino. Un giorno mi sono addormentato stanchissimo e ho sognato che mia mamma (che era morta più di dieci anni prima) era, letteralmente, venuta da me. Quando sogni di vedere qualcuno che hai perso, anche se a volte è solo per una manciata di secondi, sembra proprio che sia lì con te, ed è come se ci fosse sempre stato. Penso che chiunque abbia perso una persona cara lo capisca, specialmente nel periodo immediatamente successivo alla loro morte.
Ancora oggi sogno John e George e parlo con loro. E in quel sogno, vedere il bel viso premuroso di mia mamma e trovarmi con lei in un luogo tranquillo mi ha dato molto conforto. Mi sono subito sentito a mio agio, amato e protetto. Mia mamma era una persona molto rassicurante, e come molto spesso fanno le donne, era lei che mandava avanti la famiglia. Ci teneva su il morale. Nel sogno sembrava aver capito che ero preoccupato per quello che stava succedendo nella mia vita e per quello che sarebbe successo, e mi ha detto: "Andrà tutto bene. Così sia". Mi sono svegliato pensando che fosse una grande idea per una canzone. Ho cominciato pensando alle circostanze in cui mi trovavo - alle grane sul lavoro. All'epoca in cui abbiamo registrato Let It be stavo spingendo affinché la band ritornasse a esibirsi in piccoli club - per tornare alle origini e rinnovare il legame che ci univa, chiudere il decennio come lo avevamo iniziato, suonando solo per il piacere di farlo. Non lo abbiamo fatto, come Beatles, ma quell'idea è stata alla base della direzione presa dall'album Let It be. Non volevamo trucchetti di studio. Volevamo un album onesto, senza sovraincisioni. Non è andata a finire proprio così, ma quella era l'intenzione. La cosa triste è che i Beatles non hanno mai suonato questa canzone in concerto. Dunque l'esecuzione al Live Aid è stata, per molte persone, la prima volta che hanno sentito il pezzo suonato su un palco.
Comunque sia, Let It be è entrata ormai da tempo nella scaletta dei miei concerti. È sempre stata una canzone collettiva, sull'accettazione degli altri, e credo che il suo momento funzioni proprio bene quando sei davanti a una folla. Vedi molta gente che abbraccia i propri partner o gli amici o i propri cari e che canta in coro. Le prime volte, quando la suonavo, si vedevano anche tantissimi accendini tenuti sollevati. Adesso ai concerti non si può più fumare, e le luci vengono dai cellulari. Riesci sempre a capire quando una canzone non è molto popolare, perché la gente mette via il telefono. Ma quando faccio questa, lo tirano fuori. Anni fa eravamo in Giappone e abbiamo suonato al Budokan di Tokyo. Avevamo appena fatto tre serate alla Tokyo Dome, un grande stadio da baseball da cinquantacinquemila posti. Per compensare abbiamo chiuso il tour con una serata al Budokan, che in confronto offre una certa intimità. Non erano passati proprio cinquant'anni da quando i Beatles ci avevano suonato, ma è stato uno spettacolo speciale, in un posto che mi suscita molti ricordi. Ai miei addetti al tour piace farmi delle sorprese, e in quell'occasione hanno distribuito a tutto il pubblico dei braccialetti. Non sapevo cosa stesse per accadere, ma durante Let it be tutta la sala si è illuminata, con migliaia di braccia che si muovevano. In momenti come questi, a volte è difficile continuare a cantare.
Alcuni hanno detto che Let it be ha una leggera connotazione religiosa, e sembra un po' una canzone gospel, in particolare per via del pianoforte e dell'organo. Probabilmente il termine Mother Mary viene in prima battuta inteso come un riferimento a Maria Vergine, la Madre di Dio. Come forse ricorderete, mia madre Mary era cattolica, mio papà invece era protestante, e io e mio fratello siamo stati battezzati. Per quanto riguarda la religione, quindi, sono ovviamente influenzato dal cristianesimo, ma ci sono tanti validi insegnamenti in tutte le religioni. Non sono particolarmente religioso nel senso convenzionale del termine, ma credo nell'idea che ci sia una specie di forza superiore che ci aiuta. Questa canzone allora diventa una preghiera, o una piccola preghiera. Da qualche parte, nel fondo di essa, c'è un desiderio. E la stessa parola "amen" significa "e così sia" - o "let it be"".
fonti: Wikipedia - LaRepubblica
08/06/22
*Quando Charles Manson il guru killer di "Bel-Air" era convinto che le canzoni dei Beatles gli parlassero e il caso di "Sexy Sadie".*
La guida spirituale, presentata l'anno precedente ai Beatles dalla moglie di George Harrison Pattie Boyd in un periodo particolarmente delicato del loro percorso esistenziale, aveva suscitato dapprima curiosità e fiducia nei membri del gruppo, specialmente in Harrison e Lennon. Quest'ultimo sosteneva fermamente che nel guru risiedeva la risposta a tutti i suoi problemi, che magari gli sarebbe stata elargita con una semplice e risolutiva frase, foriera di una verità talmente profonda e paradossale da cambiare radicalmente in lui il modo di concepire difficoltà e avversità. Tuttavia questa frase tardava a venire, fintantoché il gruppo cominciò a nutrire seri dubbi sui metodi e sulla filosofia di vita del Maharishi.
02/06/22
La Canzone più drammatica (e allo stesso tempo lieve e sublime) scritta dai Beatles: "She's Leaving Home*
Da quel capolavoro assoluto che è Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band, album del 1967, ho riscoperto con meraviglia una delle canzoni di quell'album, piuttosto dimenticata.
19/05/22
Per la prima volta Roger Waters parla del suo incontro con John Lennon ad Abbey Road: "Era arrogante, ma anche io lo ero"
01/05/22
Chi era Michael Abram, l'uomo che nel 1999 colpì George Harrison con 44 coltellate
Michael Abram, l'autore dell'aggressione a George Harrison nel 1999 |