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03/10/22

"Il Maestro e Margherita" vive: anche se la Casa di Bulgakov, ritrovo dei satanisti russi, è stata dipinta di bianco

 


Una frase memorabile e molto citata ne Il maestro e Margherita, il capolavoro assoluto di Mikhail Bulgakov, è: "I manoscritti non bruciano" (рукописи не горят ). 

Il Maestro, come si sa, è uno scrittore afflitto sia dai suoi problemi mentali che dalle dure critiche politiche affrontate dalla maggior parte degli scrittori sovietici nella Mosca degli anni '30 nell'Unione Sovietica stalinista. Brucia il suo prezioso manoscritto nel tentativo di ripulire la sua mente dalla guai che il lavoro gli ha portato. 

Quando finalmente si incontrano, Woland chiede di vedere il romanzo del Maestro; il Maestro si scusa per non averlo potuto fare, poiché l'aveva bruciato. Woland gli dice allora: "Non puoi averlo fatto. I manoscritti non bruciano"

C'è un elemento profondamente autobiografico riflesso in questo passaggio: Bulgakov infatti, bruciò la prima copia di Il Maestro e Margherita per le stesse ragioni che esprime nel romanzo

A Mosca, oggi, due musei onorano la memoria di Mikhail Bulgakov e Il maestro e Margherita . 

Entrambi si trovano nell'ex condominio di Bulgakov in Bolshaya Sadovaya, n. 10

Dalla fine degli anni '80 e dalla caduta dell'Unione Sovietica, l'edificio è diventato un luogo di ritrovo per i fan di Bulgakov e per i gruppi satanisti con sede a Mosca

Negli anni hanno riempito i muri di graffiti . I migliori venivano solitamente conservati mentre le pareti venivano ridipinte, in modo che intorno si potessero vedere diversi strati di colori diversi. 

Nel 2003, durante il nuovo corso politico in Russia, tutti i numerosi dipinti, battute e disegni sono stati purtroppo completamente imbiancati. 

I due musei sono rivali: il Museo ufficiale MA Bulgakov, sebbene fondato per secondo, si identifica come "il primo e unico Museo Memoriale di Mikhail Bulgakov a Mosca"

Casa Bulgakov si trova invece al piano terra dell'edificio. Questo museo è stato istituito con iniziativa privata il 15 maggio 2004. Contiene oggetti personali, foto e diverse mostre relative alla vita di Bulgakov e alle sue diverse opere. Si tengono spesso vari eventi poetici e letterari.

La Casa Bulgakov gestisce anche il Teatro MA Bulgakov e il Café 302-bis. 

Nell'appartamento numero 50 al quarto piano si trova il Museo MA Bulgakov ( Музей М А. Булгаков). Questa struttura è invece di iniziativa del governo, ed è stato fondato il 26 marzo 2007. 

27/02/22

Anche Putin è stato un bambino. Ma quale storia da bambino? E quale storia da adolescente?

Vladimir Putin con la madre nel 1958

Assistendo al delirio di onnipotenza di questi giorni di Vladimir Putin ci si può legittimamente chiedere se anche lui sia stato un bambino - e che tipo di bambino e di adolescente, che tipo di infanzia e di adolescente abbiano preparato e forgiato una personalità di questo tipo. 

Vladimir Putin proviene da una famiglia operaia di cui è il terzo figlio. I suoi genitori, Vladimir Spiridonovich Putin (1911-1999) e Maria Ivanovna Putina, nata Chelomova (1911-1998), avevano avuto in precedenza due figli, Viktor Putin e Oleg Putin, nati negli anni '30 ma morti in tenera età. 

Il padre di Putin, soldato dell'Armata Rossa dal 1941, appartenente alle divisioni dislocate intorno a Leningrado, lungo la Neva , fu gravemente ferito alla gamba sinistra. 

La madre, Maria Ivanovna Putina sopravvisse all'assedio di Leningrado di 872 giorni durante la guerra, creduta morta e salvata dal marito dopo essere tornata dall'ospedale. 

Dopo la guerra, la coppia ha lavorato presso lo stabilimento ferroviario di Leningrado. I suoi nonni paterni erano contadini della frazione di Pominovo, appartenente al villaggio di Turginovo ( Tver Oblast ), a nord di Mosca, che vi si erano stabiliti sin dalla fondazione del villaggio nel XVII secolo.

Secondo un biografo di Vladimir Putin, il nonno, Spiridon Putin, fu il primo della stirpe a nascere dopo l'abolizione della servitù della gleba nell'impero zarista.

Spiridon, che secondo Vladimir Putin era il membro della sua famiglia che ammirava di più, sarebbe stato un cuoco per i Romanov , poi per Lenin e Stalin. 

Pochi giorni dopo la sua nascita, la madre di Vladimir Putin chiede segretamente che suo figlio sia battezzato nella Cattedrale della Trasfigurazione, in anni in cui il battesimo era severamente punito in Unione Sovietica , uno stato ateo . 

È uno studente mediocre e un combattente, finché non incontra un maestro che lo guida alla scoperta della cultura e delle arti, portandolo a visitare i musei di Leningrado. Questo ha cambiato la sua apertura al mondo. 

Vladimir Putin ha cominciato prestissimo a praticare arti marziali, wrestling, sambo e judo russo in gioventù dall'età di 11 anni (è stato più volte campione di sambo di Leningrado; nel 1973 gli viene conferito il titolo di maestro dello sport in sambo, e nel 1975 in judo). 



Successivamente, il giovane Putin studiò giurisprudenza all'Università di Leningrado (ora Università statale di San Pietroburgo), laureandosi 1975 con una tesi su “Il principio del commercio delle nazioni più favorite nel diritto internazionale”. 

Putin  imparò a parlare correntemente il tedesco, avendo vissuto e lavorato per diversi anni nella Repubblica Democratica Tedesca , ma parla pochissimo inglese e preferisce usare interpreti quando conversa con persone che parlano inglese.  

Secondo il suo stesso resoconto, Putin tentò senza successo di essere assunto nel KGB all'età di 16 anni. Dopo una formazione iniziale di base di cui si sa poco, entrò nel servizio territoriale decentralizzato del KGB - la direzione del KGB per la città di Leningrado e la sua regione, dove prestò servizio per diversi anni prima come subordinato, poi come ufficiale operativo nel servizio di controspionaggio locale, incaricato in particolare della lotta della polizia politica contro i dissidenti e altri “elementi antisovietici” (sotto il patrocinio della quinta direzione del KGB). 

Come tutti gli altri servizi speciali europei dell'epoca, il KGB inviava solo uomini sposati, condizione intesa in linea di principio ad escludere gli omosessuali ed evitare legami con donne straniere. Putin si è sposato nel 1983. 

Con il grado militare di maggiore, fu mandato nel 1984 a frequentare un corso annuale di formazione continua presso l' Andropov Institute (o Red Flag Institute, Krasnoznamenny Institoute – KI) del KGB a Mosca, in linea di principio per diventare una spia. 

Durante i suoi studi universitari a Mosca, fu chiamato in codice "Platov" e prestò servizio come leader volontario della sua unità di cadetti. Dopo aver lasciato il KGB KI, Putin non entra nello staff dell'apparato centrale del KGB a Mosca, ma torna a Leningrado dove parte del suo servizio viene trascorso nell'unità locale sotto la supervisione del primo comando generale del KGB , l'intelligence straniera servizio. 



È entrato nella "riserva attiva" del KGB per prepararsi a una missione operativa nella Repubblica Democratica Tedesca (RDT). Dall'agosto 1985 ha officiato, per il suo primo incarico all'estero, a Dresda nella DDR, ufficialmente come impiegato consolare, con l'incarico di reclutare spie con il ruolo di  maggiore dei servizi segreti russi. 

In particolare, cerca di costringere un professore di medicina a dargli accesso a uno studio sui veleni mortali che non lasciano quasi traccia, ricattandolo con elementi pornografici. 

Dopo la caduta del muro di Berlino, ha impedito ai tedeschi di entrare negli uffici del KGB per saccheggiarli e depredare gli archivi, distruggendo lui stesso questi documenti . 

Fu richiamato nel febbraio 1990, nel contesto della riunificazione tedesca . Secondo il media tedesco Correctiv , deve il suo ritorno al fatto che Werner Grossmann, l'ultimo capo dei servizi di spionaggio esteri della DDR, rivela ai suoi colleghi del KGB che Putin sta reclutando agenti della DDR la cui copertura è stata violata, il che crea un notevole rischio per il KGB.

Tali scelte di vita verranno rinnegate più tardi, nel 1999, quando Putin prese le distanze dalla ideologia sovietica descrivendo il comunismo come "un vicolo cieco, lontano dalla corrente principale della civiltà".

Fabrizio Falconi 2022

16/01/16

Il racconto della fine di Esenin.

Sergej Esenin sul letto di morte


Nel 1925 Esenin sposa a Mosca Sof'ja Andreevna Tolstaja, nipote del grande scrittore. 

Con lei va ancora a Baku. Suoi versi sono tradotti in georgiano. Nel settembre torna a Mosca per curare la pubblicazione delle sue opere con le edizioni di Stato. 

E' di nuovo in preda all'alcool. I giudizi severi della critica, lo sconforto, le allucinazioni lo portano sull'orlo della catastrofe.

L'angoscia si rispecchia nel suo ultimo poema (L'uomo nero), finito il 12-13 novembre. Alla fine dello stesso mese entra in una clinica. 

Ma il 23 dicembre, eludendo la vigilanza della moglie e degli amici, parte per Leningrado.

Qui, in una stanza dell'albergo "Angleterre", nella notte dal 27 al 28 dicembre 1925 s'impicca con la cinghia della sua valigia . La notte precedente scrive col sangue, per mancanza d'inchiostro, due quartine d'addio, coi famosi versi finali: 

In questa vita morire non è nuovo,
ma neppure vivere, certo, lo è di più.

Ad essi V. Majakovskij risponderà parafrasando, coi versi finali di un'aspra poesia (A Sergej Esenin): In questa nostra vita/morire non è difficile/costruire la vita/è notevolmente più difficile. 

I funerali del poeta si svolgono a Mosca l'ultimo giorno dell'anno, il 31 dicembre con grande partecipazione di popolo.  Tra gli artisti e scrittori che portano a braccia il feretro si trovano Isaak Babel', Vsevolod Ivanov, Vsevolod Mejerchol'd e Boris Pil'niak.

Qualche tempo dopo, A.Tolstoj definisce con esattezza il dramma di Esenin in un suo commosso articolo sulla morte del poeta: Egli se n'era andato dalla campagna, ma non era arrivato nella città. 


i funerali di Esenin

tratto da S.Esenin, Il paese dei banditi, a cura di Iginio De Luca, Einaudi editore, 1985, p.XXIV

17/02/14

Dieci grandi anime. 6. Pavel Florenskij (1./)



  Dieci grandi anime. 6. Pavel Florenskij (1./)



Quando Pavel Florenskij scriveva, nel 1914: Tutto scivola dalla memoria, passa attraverso la memoria, si dimentica. Il tempo …  divora i propri figli. L'essenza stessa della coscienza, della vita, di ogni realtà, sta nella transitorietà, cioè in una specie di dimenticanza metafisica (1) probabilmente non poteva certo immaginare che proprio la sua opera – unitamente alla parabola della sua vita – avrebbe così evidentemente contraddetto questa legge.   La nascita e la morte, aggiungeva,  sono i poli di un'unica realtà: chiamala vivere, chiamala morire, ma il nome più esatto è destino o tempo. Questo tempo uno, questo destino, consta a sua volta di nascita-morte unite polarmente, e così via fino agli ultimi elementi della vita, cioè ai minimi fenomeni di attività vitale. (2)

Il destino di Pavel Florenskij era stato quello di morire fucilato vicino Leningrado -  insieme ad altri 500 deportati dal Gulag delle isole Solovki, brandelli di terra nel nulla del Mar Bianco, dove Florenskij era stato internato dopo essere stato arrestato  il 26 febbraio del 1933 -  con questa accusa: “svolge attività controrivoluzionaria, inneggiando al nemico del popolo Trockij”.

Davvero uno strano destino, per lui, ordinato sacerdote della Chiesa Ortodossa nel 1911 finire i suoi giorni in un campo di prigionia - nell’estremo nord della Russia, esattamente sulla linea del Circolo Polare Artico -  che era in origine un antico complesso monastico, uno dei maggiori centri di spiritualità dell’ortodossia russa, trasformato dal regime bolscevico nel 1923 in SLON, ovvero Lager a destinazione speciale delle Solovki.        

Pavel ci era finito proprio perché ad ingrossare le fila dei detenuti di questo gulag erano soprattutto credenti, in particolare vescovi, preti, monaci e religiosi. 

Eppure, Florenskij non si era mai sognato di essere un controrivoluzionario militante, e pagava l’unica colpa di testimoniare la libertà di pensiero e di aver scelto l’esperienza ecclesiale al termine di un lungo percorso di consapevolezza, in un tempo in cui tutta l’intelligencija russa virava verso un forte sentimento anticlericale e antireligioso.   

Non v’è dubbio alcuno che quella che fu spenta in quel giorno d’ottobre, nel massacro di Sandormoch, fu una delle menti più brillanti dell’intero Novecento.  E la personalità, il pensiero scientifico, la filosofia di Florenskij sono sfuggite all’oblio. Non solo: oggi fioriscono ovunque saggi e studi a lui dedicati, e il suo lascito spirituale  - specialmente dopo l’apertura degli archivi del KGB -  oltre che puramente letterario continua ad apparire un luminoso esempio per le generazioni future.

Nato il 9 gennaio del 1882 nella città di Evlach, nell’Azerbaigian, Florenskij era il primogenito di sette figli nato dall’unione tra un ingegnere e la colta erede di una famiglia armena.   Su di lui, studente precoce e portato per la scienza, ebbero  una grande influenza le  opere dell’ultimo  Tolstoj:  il grande romanzo di Resurrezione,   e soprattutto La confessione. 

All’inizio del 1900, dopo molti anni passati in Georgia con la famiglia, intraprese gli studi all’Università di Mosca, dove si laureò in Matematica e Fisica quattro anni più tardi, discutendo una tesi di laurea sul principio di discontinuità che suscitò immediato interesse nel mondo accademico.   Ma lo studio della fisica e della matematica non bastavano ad una sete di conoscenza famelica: Florenskij negli stessi anni, cominciò a nutrire interesse per la filosofia antica, per la storia, per la poesia.   Infine nel 1904 la decisione di iscriversi alla Facoltà teologica di Mosca, dove come se non bastasse, cominciò ad approfondire le materie bibliche, liturgiche, insieme allo studio delle lingue antiche.  Forse più e meglio di altri Florenskij finì per incarnare un modello di aspirazione per un nuovo sapere multidisciplinare, sintesi di un modo di ri-pensare il mondo che – a cavallo del Novecento – si andava disfacendo, disgregando in una nuova (per molti aspetti spaventosa) complessità.

Nella religione Florenskij cercava il necessario complemento a quella metafisica completa capace di affrontare la lettura del mondo come un insieme.  Il cammino verso l’unità e quindi verso la verità era, per lui, fatto di passaggi attraverso i contrari, fino a congiungerli insieme, ma senza mai  fare confusione  e mantenendo le distinzioni; nella sintesi del Simbolo perfetto (Uno e Trino),  separato e inseparabile - era il pensiero di Florenskij -  c’è la formula che si può estendere a qualsiasi simbolo relativo, e a qualsiasi opera d’arte.


Cari figli miei, scriveva nel Testamento – iniziato l’11 aprile del 1917 , pochi giorni dopo lo smantellamento dell’Accademia Teologica moscovita nella quale Florenskij insegnava, e la cui redazione si protrasse per diversi anni fino al 1922 nel presagio dei drammi futuri che lo aspettavano - non permettete a voi stessi di pensare in maniera grossolana. Il pensiero è un dono di Dio ed esige che si abbia cura di sé. Essere precisi e chiari nei propri pensieri è il pegno della libertà spirituale e della gioia del pensiero. (3)

(1./segue) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

1.      Pavel A. Florenskij, La colonna e il fondamento della Verità, tr. it. di P. Modesto, Rusconi, Milano 1974, p. 54.   Questa è la prima traduzione mondiale di un’opera di Florenskij, e certamente contribuì in modo rilevante alla sua riscoperta in tutto l’occidente.
2.     Pavel A. Florenskij , Lo spazio e il tempo nell'arte, a cura di N. Misler, Adelphi, Milano 1995, p. 261
3.     Il Testamento di Pavel Florenskij è contenuto nella edizione italiana di Non dimenticatemi, a cura di Natalino Valentini e Lubomir Zak,  edizioni Mondadori, Milano, 2000.  Cit. pag. 418. 

20/10/13

Dieci grandi anime. 2. Andrej Tarkovskij (4./)



Dieci grandi anime. 2. Andrej Tarkovskij (4.)


Nei taccuini di Tarkovskij cominciano ad intensificarsi citazioni dalle Scritture, dall’Ecclesiaste, dai Vangeli, soprattutto, ma anche da Lao-tse, Seneca, Dostoevskij, Montaigne.

E la radicalità nei confronti di quella che Tarkovskij chiama falsa conoscenza, ritorna in forme sempre più definitive e apparentemente arbitrarie. La vera poesia si accompagna alla religiosità, scrive, un non credente non può essere un poeta. (11)
        
Ma essere poeta, di qua come di là dalla Cortina di Ferro continua ad essere sempre più difficile. Spero quando si ha a che fare con mancanze primarie. A Larisa, la moglie di Tarkovskij viene concesso alla fine del 1982 un permesso per raggiungere il marito a Roma. Ma con lei non c’è l’adorato figlio, adesso dodicenne, al quale le autorità non permettono l’espatrio. Andrej ha il cuore spezzato: ha la moglie, ma non il figlio.  Vorrebbe lasciar tornare la moglie in Russia, ma ha paura che una volta rientrata non le permettano più di uscire.   Si svolgono accorate telefonate tra Roma  e Mosca. 

Scrive: Con quanta tristezza Tjapa (il figlio,  NDA) parla al telefono ! Che nostalgia che ha… Come deve essere disumana una società per arrivare a dividere le famiglie senza nessuna pietà, con il solo scopo di avere degli ostaggi. E sarà sempre peggio, questo è chiaro. Ma è anche chiaro che Dio ci guida. (12)  E più avanti: Penso continuamente a quanto abbiano ragione coloro che ritengono che la creatività sia una condizione dello spirito.  Donde viene?  .. Il nostro dovere dinanzi al Creatore impiegando il libero arbitrio di cui Egli ci ha fatto dono, combattendo il male che è in noi, di superare gli ostacoli sul nostro cammino verso di Lui, di crescere in senso spirituale, combattere tutto ciò che c’è in noi di turpe. Dobbiamo purificarci. Allora non avremo nulla da temere. Aiutami Signore ! Mandami un Maestro! Sono stanco di aspettarlo… (13)

Nel 1983, intanto esce sugli schermi Nostalghia.  Che ottiene favori non unanimi. C’è anzi già chi è disposto a scommettere che il grande autore russo abbia perso brillantezza e ispirazione, lontano dal suo paese d’origine. Il film vince il Gran Premio della Giuria  a Cannes, nonostante l’ostruzionismo di Sergej Bondarciuk, il regista ‘ortodosso’ sovietico, che fa parte della Giuria. 

Nello stesso anno va in scena una memorabile rappresentazione del Boris Godunov al Covent Garden di Londra che ottiene un successo trionfale. Tarkovskij si rende conto che ormai non può più tornare indietro.  L’ostracismo delle autorità sovietiche, anzi, gli rendono necessario alzare i toni, nella speranza di smuovere le cose e riunificare la sua famiglia,  e nel 1984 chiede e ottiene asilo politico dagli Stati Uniti, con un annuncio che viene dato in una affollatissima conferenza stampa a Milano.

Ma il regime di Mosca non è disposto ancora a cedere.  
Nel 1985 Tarkovskij è impegnato nella realizzazione del suo ultimo film, Sacrificio (Offret), che rappresenta una sorta di testamento spirituale del grande regista, con la storia di Alexander, un uomo che assiste al crollo di ogni cosa in cui crede in seguito all'improvviso scoppio di una guerra nucleare, e che  disperato prega Dio di salvare il mondo, facendo voto di rinunciare a tutto ciò che possiede, se questa sua preghiera si dovesse realizzare.

Tarkovskij fa appena in tempo a terminare le riprese del film.  Il 6 dicembre del 1985, a Parigi, si sottopone ad una radiografia e scopre di avere “un’ombra” nel polmone sinistro. Dieci giorni dopo gli viene diagnosticato un tumore incurabile.

I Diari registrano la reazione umana di Tarkovskij, il dolore profondo, anche la disperazione, che però si rivolge subito ad altro, agli altri, a coloro che ama:

L’uomo nel corso della propria vita sa che prima o poi dovrà morire. Non sa però quando morrà, perciò sposta questa scadenza lontano nel futuro. E questo lo aiuta a vivere. Ora, invece, io lo so. E niente mi può aiutare a sopravvivere. E questo è molto duro.   Però ora la cosa importante è Lara. Come potrò dirglielo ?! Come potrò infliggerle un colpo tanto tremendo con le mie stesse mani ?!  Come reagirà ?  Come farà in futuro per Andrjusa e la mamma ? (14)  Bisogna continuare a combattere per ottenere il loro espatrio. Andrjusa ha bisogno di vivere libero, non deve vivere in prigione. Visto che abbiamo cominciato su questa strada, bisognerà andare fino in fondo. (15)


(segue -4./) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

       
11.     Op. cit. pag.486
12.   Op. cit. pag. 550
13.   Op. cit. pag. 556
14.   La “mamma” a cui si riferisce qui è Anna Semenovna, madre di Larisa, cioè la suocera di Tarkovskij, che è colei che per tutti gli anni dell’esilio di Tarkovskij si è occupata del nipotino, Andrej, e che riuscirà a lasciare la Russia, proprio a causa della malattia di Tarkovskij, insieme al bambino, un mese dopo questa nota scritta dal regista.
15.      Op.cit. pag. 653.