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11/08/18

A San Paolo, in Brasile, la presentazione delle "Lettere a Bruna" scritte da Ungaretti.





Per me che ho scritto anni fa un romanzo, dedicato a questa vicenda: Per dirmi che sei fuoco, pubblicato da Gaffi, questa notizia è bellissima:


L'Istituto Italiano di Cultura di San Paolo in Brasile presenta il prossimo sabato, 18 agosto il volume "Lettere a Bruna", pubblicato da Mondadori, in una tavola rotonda con la partecipazione di Francesca Angiolillo, Anna Carboncini, Bruna Bianco e Francesca Cricelli Maeci. 

La vicenda è nota agli appassionati della grande poesia di Ungaretti: per via di una serie di conferenze, Giuseppe Ungaretti durante l'estate del 1966 è in Brasile, un luogo dove ha vissuto e a cui e' particolarmente legato. 

Al termine di un incontro pubblico gli si avvicina Bruna Bianco, una giovane fotografa, che gli da' alcune delle sue poesie su cui vorrebbe un giudizio, e lui - che sta per rientrare in Italia - rimane folgorato.


Tra i due, nonostante la grande differenza d'età, ha inizio una corrispondenza, già mentre Ungaretti e' a bordo della nave che lo riporta in Italia. 

Dopo alcuni telegrammi, la prima lettera di Ungaretti a Bruna e' datata 15-19 settembre. È una lettera lunga. Molte altre ne seguiranno, fino all`aprile del 1969. 

Bruna Bianco e' la "stella" che brilla in Dialogo (1966-1968, unica raccolta ungarettiana a due voci). 

Sei comparsa al portone 
In un vestito rosso 
Per dirmi che sei fuoco 
Che consuma e riaccende


Comincia in questo modo una relazione tra la giovane italiana e Ungaretti che, a causa della distanza, si svolgerà soprattutto attraverso le lettere. 

Quasi 400, conservate con cura dalla destinataria,raccontano la cronaca quotidiana di un amore impetuoso e prepotente, che riaccende nel poeta il desiderio di scrivere e da' inizio ad un nuovo slancio creativo. 

Bruna Bianco, parteciperà all'incontro a San Paolo del Brasile e sarà particolarmente emozionante ascoltare i suoi ricordi.

Sab 18 Ago 2018 
Orario: Alle 19:00 
Organizzato da : Biblioteca Mário de Andrade
Rua da Consolação 94.
Ingresso Libero 


11/09/17

Ungaretti e Bruna Bianco - Un grande amore tardivo. Sul Venerdì un articolo di Marco Cicala.




Su questo (apertura del Venerdì dell'8 settembre) e sull'amore di Ungaretti per Bruna Bianco ho scritto nel 2008 un romanzo, "Per dirmi che sei fuoco", pubblicato da Gaffi e ancora reperibile (per chi fosse interessato - link e copertina sotto).

PIETRA LIGURE. In Comizi d’amore, il documentario del 1965 sulla sessualità degli italiani, Pier Paolo Pasolini gli chiese se nella vita intima si fosse mai lasciato tentare da qualche forma di trasgressione. Quasi ottantenne, Giuseppe Ungaretti rispose: «Che cosa vuole, io sono un poeta... Quindi incomincio col trasgredire tutte le leggi facendo della poesia... Ora sono vecchio e allora non rispetto più che le leggi della vecchiaia, che purtroppo sono le leggi della morte»

Parole tombali. Però il vegliardo mentiva. O peccava di falsa modestia. Perché in fatto di passione l’inverno della sua vita fu abbastanza vorticoso da sbriciolare come uno squallido cliché l’equazione vecchiaia = pace dei sensi

A riprova le circa quattrocento ardentissime lettere inviate alla giovane poetessa italo-brasiliana Bruna Bianco tra il ‘66 e il ‘69. 

Se ne conoscevano soltanto pochi stralci, adesso escono al completo da Mondadori (Lettere a Bruna), a cura di Silvio Ramat. 

Vampe e acciacchi senili, viaggi, onori da star, riflessioni – qua e là velenosette – su letteratura, arte, musica, società, politica... Nel nubifragio di epistole – che nei momenti di massima esaltazione decollavano al ritmo di due al giorno – c’è dentro tutto il centauro Ungaretti: per metà sommo poeta della concisione e per l’altra affabulatore torrenziale. 

Con Bruna Bianco si conobbero a San Paolo del Brasile nell’estate ‘66. Lei aveva 26 anni, lui oltre mezzo secolo di più. «Finiva agosto. Dopo una sua conferenza all’Hotel Ca’ d’Oro mi avvicinai trovando il coraggio per consegnargli una busta con le mie poesie. Bruttissime» sorride Bruna ricevendomi nella casa di Pietra Ligure dove passa le vacanze. È un’affettuosa signora con un fisico asciutto da maratoneta. Oggi ha più o meno la stessa età del poeta all’epoca. Continua: «Ungà mi invitò immediatamente a colazione. Rifiutai. Lui ripartì per Rio. Doveva restarci dieci giorni. Ce ne ne rimase solo tre. Una mattina, arrivando in ufficio, mi dissero che aveva chiamato una ventina di volte. E adesso il telefono squillava di nuovo»... 





10/05/17

Un outsider troppo presto dimenticato - Alberto Lecco.





Avevo poco più di vent'anni quando ebbi l'occasione di conoscere Alberto Lecco.   Abitava nella stessa casa in cui abitò fino alla fine dei suoi giorni, nel cuore di Trastevere, in Via San Francesco a Ripa. 

Erano i primi anni '80.  Lecco, che aveva letto il mio libro di racconti d'esordio - Prima di andare - e che era uno scrittore piuttosto famoso, mi chiamò al telefono per conoscermi. Il libro gli era piaciuto, mi chiese se amavo parlare di letteratura, disse che gli interessava conoscere i gusti di uno come me, così giovane, che si affacciava allo scrivere. 

Erano cose che accadevano, in quegli anni. 

Con la timidezza tipica di quell'età mi affacciai a casa sua, all'appuntamento convenuto.  Mi ricevette con il garbo e l'eleganza di altri tempi.  Per me, che venivo da una famiglia di operai, era una delle prime esperienze nella casa di un intellettuale e tutto aveva un fascino: gli scaffali pieni di libri, i tappeti orientali, le finestre affacciate sulla vita trasteverina, il giradischi sempre acceso. 

Passammo la prima volta quasi due ore insieme. Si parlò di tutto, soprattutto di Dostoevskij che era la sua ossessione (e anche la mia, già in quegli anni). Ascoltammo Beethoven insieme, mi parlò nel suo modo fluviale, del mondo letterario italiano, che detestava, con i suoi snobismi e le sue cricche. 

Mi regalò i suoi libri, pubblicati con Mondadori, L'incontro di Wiener Neustadt,Un Don Chisciotte in America i Racconti di New York. Libri che mi affascinarono, soprattutto l'ultimo, così singolare, così diverso da quello che si pubblicava allora in Italia. 

Alberto Lecco era un intellettuale colto e raffinatissimo, assai legato alle sue origini ebraiche che interrogava in ogni libro, alla luce di un radicale cosmopolitismo che sentiva come destino inevitabile della contemporaneità. Ma era al contempo geloso delle sue origini e della grande tradizione narrativa ebraica. 

Nato a Milano nel 1921, era diventato perfettamente romano nello spirito vitale e nella confidenza con il quartiere che abitava. 

Tornai da lui parecchie volte, anche insieme ad altri amici. E sempre si ripeté lo stesso rito: con conversazioni interminabili, consigli e diktat che venivano pronunciati sempre con dolcezza - soprattutto quello di fuggire come la peste dalle conventicole e combriccole letterarie, obbedendo solo alla propria interiorità -  oro puro per la formazione di un giovane che aveva in mente di scrivere com'ero io. 

Negli anni seguenti lo persi di vista.  So che continuò a pubblicare, con sempre minore successo, totalmente isolato dal resto dell'ambiente letterario italiano. Ed è un peccato che oggi le sue ultime opere:  La morte di Dostoevskij, I Buffoni, La casa dei due fanali, siano praticamente introvabili, come del resto i vecchi. 

Sarebbe bello che qualcuno oggi, un editore illuminato, li riscoprisse.

Alberto Lecco è morto a Roma, nel silenzio quasi unanime, nel maggio del 2004, a 83 anni. 


Fabrizio Falconi