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14/08/22

Alla disperata ricerca di una identità: Chi sono?

 


"Sono alla disperata ricerca di una identità". Potrebbe essere questa la frase simbolo dei nostri anni. 

Il problema è che l'Occidente ha del tutto tradito le sue origini del Conosci te stesso di Delfi, sul quale ha costruito la sua intera storia da Odisseo a Dante fino a Baudelaire. 

Conosci te stesso significava che nessuna identità è possibile, se non si viaggia dentro se stessi, alla scoperta di sé stessi (cioè della propria anima). 

Questo viaggio per vari e diversi motivi primo fra tutti il fatto che comporta sofferenza e attraversamento di territori oscuri - nessuno vuole più farlo

Oggi l'occidentale galleggia su bolle d'aria e preferisce tentare di darsi una identità interpretando a caso dei ruoli, intercambiabili. 

Ma, come insegna tutta la letteratura del Novecento, non è indossando maschere che si assumono vere identità. 

Nella baraonda del carnevale ci si diverte pure ma quando arriva il mercoledì mattina si è ancora più soli e ancora più ignoti a se stessi. 

Crescere costa fatica, vivacchiare no. 

Crescere vuol dire cambiare, vivacchiare vuol dire rintanarsi nella comfort zone dello status quo.

Fabrizio Falconi - 2022 



20/03/15

'Qualunque cosa succeda agli animali in seguito capiterà anche agli uomini.' La lettera del capo indiano al Presidente USA.


Lettera inviata nel 1855 al presidente degli Stati Uniti Franklin Pierse dal capo Sealth della tribù Duwamish.

Il grande capo di Washington ci manda a dire che vuole comprare la nostra terra. 

Il grande capo ci manda anche espressioni di amicizia e di buona volontà. Ciò è gentile da parte sua, poiché sappiamo che egli non ha bisogno della nostra amicizia in contraccambio. 

Ma noi consideriamo questa offerta perché sappiamo che se non venderemo, l'uomo bianco potrebbe venire con i fucile a prendere la nostra terra. 

Quello che dice capo indiano Seattle, il grande capo di Washington può considerarlo sicuro, come i nostri fratelli bianchi possono considerare sicuro il ritorno delle stagioni. 

Le mie parole sono come le stelle e non tramontano. 

Ma come potete, comprare o vendere il cielo, il calore della terra? Questa idea è strana per noi. Noi non siamo proprietari della freschezza dell'aria o dello scintillio dell'acqua: come potete comprarli da noi? 

Ogni parte di questa terra è sacra al mio popolo. Ogni ago scintillante di pino, ogni spiaggia sabbiosa, ogni goccia di rugiada nei boschi scuri, ogni insetto ronzante è sacro nella memoria e nella esperienza del mio popolo. La linfa che circola negli alberi porta le memorie dell'uomo rosso. I morti dell'uomo bianco non dimenticano il paese della loro nascita quando vanno a camminare tra le stelle. 

Noi siamo parte della terra ed essa è parte di noi. I fiori profumati, sono nostri fratelli. Il cervo, il cavallo e l'aquila sono nostri fratelli. le creste rocciose, le essenze dei prati, il calore del corpo dei cavalli e l'uomo, tutti appartengono alla stessa famiglia. 

Perciò quando il grande capo che sta a Washington, ci manda a dire che vuole comprare la nostra terra, ci chiede molto. Egli ci manda a dire che ci riserverà un posto dove potremmo vivere comodamente per conto nostro. Egli sarà nostro padre e noi saremo i figli. Quindi noi consideriamo la vostra offerta di acquisto. 

Ma non sarà facile, perché questa terra per noi è sacra. L'acqua che scorre nei torrenti e nei fiumi non è soltanto acqua ma è il sangue dei nostri antenati. Se noi vi vendiamo la terra, voi dovete ricordare che essa è sacra e dovete insegnare ai vostri figli che essa è sacra e che ogni tremolante riflesso nell'acqua limpida del lago parla di eventi e di ricordi, nella vita del mio popolo. Il mormorio dell'acqua è la voce del padre, di mio padre. 

I fiumi sono i nostri fratelli ed essi saziano la nostra sete. I fiumi portano le nostre canoe e nutrono i nostri figli. Se vi vendiamo la terra, voi dovete ricordare e insegnare ai vostri figli che i fiumi sono nostri fratelli e anche i vostri dovete perciò dovete usare la gentilezza che usereste con un fratello. 

L'uomo rosso si è sempre ritirato davanti all' avanzata dell'uomo bianco, come la rugiada sulle montagne si ritira con il sole del mattino. Ma le ceneri dei nostri padri sono sacre. Le loro tombe sono terreno sacro e così queste colline e questi alberi. 

Questa porzione di terra è consacrata, per noi. Noi sappiamo che l'uomo bianco non capisce i nostri pensieri. Una porzione di terra è la stessa per lui come un'altra, perché egli è uno straniero che viene nella notte e prende dalla terra qualunque cosa gli serve. La terra non è suo fratello, ma suo nemico e quando l'ha conquistata, egli si sposta lascia le tombe dei suoi padre i diritti dei suo figli vengono dimenticati. 

Egli tratta sua madre, la terra e suo fratello, il cielo, come cose che possono essere comprate, sfruttate e vendute, come fossero pecore o perline colorate. Il suo appetito divorerà la terra e lascerà dietro solo un deserto. 

Non so, i nostri pensieri sono differenti dai vostri pensieri. La vista delle vostre città ferisce gli occhi dell'uomo rosso. Ma forse questo avviene perché l'uomo rosso è selvaggio e non capisce. Non c'è alcun posto lieto nelle città dell'uomo bianco. Alcun posto in cui sentire lo stormire di foglie in primavera e il ronzio delle ali degli insetti. Ma forse io sono un selvaggio e non capisco. Il rumore delle città sembra quasi che ferisca le orecchie.

E che cos'è mai la vita, se un uomo non può ascoltare il rumore del succhiacapre o delle rane attorno ad uno stagno di notte ? Ma io sono un uomo rosso e non capisco. 

L'indiano preferisce il dolce sapore del vento che soffia sulla superficie del lago o l'odore del vento stesso, pulito dalla pioggia o dagli aghi di pino. L'aria è preziosa per l'uomo rosso poiché tutte le cose partecipano allo stesso respiro. 

L'uomo bianco sembra non accorgersi dell' aria che respira e come un uomo da molti giorni in agonia, egli è insensibile alla puzza. Ma se noi vi vendiamo la nostra terra, voi dovete ricordare che l'aria ha per noi lo stesso spirito che essa sostiene. Il vento che ha dato i nostri padri il primo respiro, riceve anche il loro ultimo respiro. 

E  il vento deve dare ai nostri figli lo spirito della vita. e se vi vendiamo la nostra terra, voi dovete tenerla da parte e come è sacra, come un posto dove anche l'uomo bianco possa andare a gustare il vento addolcito dei prati. 

Perciò noi considereremo l'offerta di comprare la nostra terra, ma se decideremo di accettarla, io porrò una condizione: l'uomo bianco deve trattare gli animali di questa terra come suoi fratelli. 

Io sono un selvaggio e non capisco altri pensieri. ho visto centinaia di bisonti marciare nelle praterie, lasciati lì dall'uomo bianco dal treno che passava. Io sono un selvaggio e non riesco a capire come un uomo bianco preferisca un cavallo di ferro sbuffante che un bisonte che noi uccidiamo solo per sopravvivere. 

Che cos'è l'uomo senza gli animali? Se non ce ne fossero più gli indiani morirebbero di solitudine. perché qualunque cosa capiti agli animali in seguito capiterà agli uomini. tutte le cose sono collegate. 

Voi dovete insegnare ai vostri figli che la terra sotto i loro piedi è la cenere dei nostri antenati. Affinché rispettino la terra, dite ai vostri figli che la terra è ricca delle vite del nostro popolo. Insegnate ai vostri figli quello che noi abbiamo insegnato ai nostri: LA TERRA E' NOSTRA MADRE. Qualunque cosa capiti alla terra, capita anche ai figli della terra. Se gli uomini sputano in terra, sputano a se stessi. 

Questo noi sappiamo: la terra non appartiene all'uomo ma è l'uomo che appartiene alla terra.Questo noi sappiamo.Tutte le cose sono collegate, come il sangue che unisce la famiglia. 

Qualunque cosa capiti alla terra, capita anche ai figli della terra.Non è stato l'uomo a tessere la tela della vita, egli è soltanto un filo. Qualunque cosa egli faccia alla tela, lo fa a se stesso. Ma noi consideriamo la vostra offerta di andare nella riserva da voi stabilita per il mio popolo. 

Noi vivremmo per conto nostro e in pace. 

Importa poco dove spenderemo la fine dei nostri giorni. I nostri figli anno visto i loro padri umiliati nella sconfitta. I nostri guerrieri hanno provato la vergogna. E dopo la sconfitta, essi passano i giorni nell'ozio e contaminano il loro corpo con cibi, dolci e bevande forti. Poco importa dove passeremo il resto dei nostri giorni: essi non saranno molti. 

Ancora poche ore, ancora pochi inverni, e nessuno dei figli delle grandi tribù, che una volta vivevano sulla terra e che percorrevano in piccole bande i boschi, rimarrà a piangere le tombe di un popolo, una volta potente e pieno di speranze come il vostro. 

Ma perché dovrei piangere la morte del mio popolo? Le tribù sono fatte di uomini e nient'altro. gli uomini vanno e vengono come le onde del mare. Anche l'uomo bianco, il cui dio cammina e parla con lui da amico ad amico, non può sfuggire al destino comune.  Può darsi che siamo fratelli dopo tutto. Vedremo. 

Noi sappiamo una cosa che l'uomo bianco forse un giorno scoprirà: il nostro dio è lo stesso dio. Può darsi che voi ora pensiate di possederlo, come desiderate possedere la nostra terra. Ma voi non potete possederlo. 

Egli è dio dell'uomo e la sua compassione è uguale sia per l'uomo rosso che per l'uomo bianco. 

Questa terra è preziosa anche per lui. E far male alla terra è come far male al suo creatore. Anche l'uomo bianco passerà, forse prima di altre tribù. Continuate a contaminare il vostro letto e tra qualche notte soffocherete nei vostri rifiuti.


22/12/13

La modernità - Robert Pogue Harrison.





"Ecco quello che penso," continuò: "Che quando si tratta di essere moderni siamo scolari senza scuola, iniziati senza riti, devoti senza preghiere. Nessuno è stato all'altezza di insegnarcelo, nessuno ci ha insegnato ad aggiornare le nostre vite interiori.

Siamo entrati in quest'era come neonati, urlando e scalciando, e ancora non c'è neppure un adulto in vista. 

Ecco quello che penso: che mentre ci stiamo avvicinando a un nuovo millennio alla velocità della luce, ancora annaspiamo per trovare un capezzolo che ci consoli, e aspettiamo svegli che una mamma venga a darci il bacio della buonanotte.


Ecco a cosa penso: al colossale crollo di nervi. Come si fa a crescere ? Mi aspetto che me lo dicano gli scrittori moderni, e invece non trovo che gemiti e lamenti: un asilo nido per nostalgici e sconsolati. 


Chi di loro ha mai osato sostenere la propria epoca, o andare nella sua direzione ? Che ne sanno davvero della scienza ? Come fai a pretendere di essere uno scrittore moderno senza sapere niente della scienza ? Musil è l'eccezione.  Ha visto nella nostra epoca l'occasione per sperimentare, una sfida a ciò che è ancora indeterminato nella nostra natura, affinché abbracci la precisione del pensiero, l'esattezza, l'analisi, il processo tecnico, meccanico, standardizzato, anonimo - e in questo processo elevi la nostra umanità.

Al diavolo le trasformazioni stilistiche. Musil ha visto la necessità di una trasformazione spirituale, di una metamorfosi delle nostre strutture interne. 

... Malgrado la sua mancanza di talento, ha cercato di insegnarci un paio di cose sul giusto vivere in condizioni nuove, su come modernizzare le emozioni senza comprometterne la densità.  E' un inizio.  E' quanto ci serviva per l'inizio - un inizio, o almeno un monito che ci ricorda che non abbiamo neppure iniziato a fare i conti con noi stessi. 

Non sono forse gli scrittori i soli che possono iniziare l'opera di trasformazione interna ? 

... Il morire ha fatto progressi e noi siamo all'ultimo respiro.  Come dovremmo usarlo ? Per dire cosa ? Niente. Non c'è più niente da dire, eccetto che non abbiamo più niente da dire, e tutto perché coloro che presumono di parlare per noi si sono votati alla denuncia di ciò che conosciamo come reale invece di collaborare con esso, di investirlo creativamente."



Robert Pogue Harrison, Roma, la pioggia... A che cosa serve la letteratura ? Garzanti editore, 1995, traduzione di Stefano Velotti. 

11/10/13

Bauman su Lampedusa: "la modernità produce persone superflue. Viviamo in un'epoca in cui il vecchio muore e il nuovo non può nascere."




“Qualsiasi cosa tenti di fare il premier Enrico Letta, o l’Europa, gli arrivi dall’Africa non finiranno”. Per Zygmunt Bauman, a Milano per la rassegna Meet The Media Guru, niente riuscirà a fermare chi è “in cerca di pane e acqua potabile”: né i governi, né tragedie del mare come quella di Lampedusa.

Durante la conferenza stampa di presentazione dell’incontro pubblico, il sociologo e filosofo polacco, 91 anni, ha spiegato che gli sbarchi non si fermeranno, perché “le migrazioni sono inseparabili dalla modernità. Infatti una caratteristica della modernità è la produzione di “persone superflue”: individui tagliati fuori dal processo produttivo che perdono la propria fonte di sussistenza. Il progresso economico consiste nel produrre la stessa quantità di cose che producevamo ieri con una minore quantità di lavoro e a un costo più basso. Chi rimane tagliato fuori diventa una persona superflua. E alle persone superflue, non resta che andarsene, cercando un altrove dove ricostruirsi una vita”.

Per Bauman poi “le economie europee hanno bisogno d’immigrati, perché senza di loro non potremmo vivere. Se nel Regno Unito gli irregolari venissero identificati e deportati, la maggior parte degli ospedali e degli alberghi collasserebbe, e credo che si possa dire lo stesso per l’economia italiana”.

Il sociologo ha ricordato che “per alcuni demografi la popolazione dell’Unione Europea diminuirà da 400 milioni di persone a 240 nei prossimi cinquant’anni: un numero troppo basso per mantenere i nostri standard di vita, il nostro benessere”. “In base ad alcuni calcoli - ha detto Bauman - nei prossimi 20 o 30 anni sarà necessario accogliere in Europa circa 30 milioni di migranti”.

Un fenomeno che gli stati nazionali, inadeguati di fronte alle sfide della contemporaneità, hanno pochi strumenti per arginare o regolare. Per il teorico della società liquida “i popoli non credono più che i partiti e i parlamenti nazionali siano ancora in grado di assolvere le funzioni per cui sono nati, e non solo perché in alcuni casi i politici sono corrotti o incapaci, ma perché per queste istituzioni è strutturalmente impossibile realizzare quello che promettono agli elettori”.

E per spiegare cita Antonio Gramsci: “Viviamo in un interregno, un’epoca in cui il vecchio muore e il nuovo non può nascere: le regole e le leggi del passato sono scomparse, ma le nuove leggi non sono ancora state inventate. La sovranità degli stati nazionali è ormai in buona misura una finzione. Il potere è la capacità di fare, la politica è decidere che cosa fare. La globalizzazione ha fatto evaporare il potere degli stati nazionali verso poteri sovranazionali liberi dal controllo della politica. Se un governo provasse a realizzare ciò che davvero vogliono i suoi elettori, invece di ciò che esige la finanza, i mercati lo punirebbero con durezza”.


19/04/10

Susanna Tamaro: Il femminismo non ha liberato le donne. Le ragazze oggi meno libere di 40 anni fa.


vi propongo l'articolo pubblicato ieri, domenica 18 aprile 2010 da Susanna Tamaro su Il Corriere della Sera.

Il femminismo non ha liberato le donne
Tutti i messaggi si concentrano sul corpo: siamo passati dall’angelo del focolare alla mistica della seduzione

Appartengo alla generazione che ha combattuto, negli anni della prima giovinezza, la battaglia per la libertà sessuale e per la legalizzazione dell’aborto. La generazione che nei tè pomeridiani, tra un effluvio di patchouli e una canna, imparava il metodo Karman, cioè come procurarsi un aborto domestico con la complicità di un gruppo di amiche. Quella generazione che organizzava dei voli collettivi a Londra per accompagnare ad abortire donne in uno stato così avanzato di gravidanza da sfiorare il parto prematuro. È difficile, per chi non li ha vissuti, capire l’eccitazione, l’esaltazione, la frenesia di quegli anni. La sensazione era quella di trovarsi sulla prua di una nave e guardare un orizzonte nuovo, aperto, illuminato dal sole di un progresso foriero di ogni felicità. Alle spalle avevamo l’oscurità, i tempi bui della repressione, della donna oggetto manipolata dai maschi e dai loro desideri, oppressa dal potere della Chiesa che, secondo gli slogan dell’epoca, vedeva in lei soltanto un docile strumento di riproduzione. Erano gli anni Settanta.

Personalmente, non sono mai stata un’attivista, ma lo erano le mie amiche più care e, per quanto capissi le loro ragioni, non posso negare di essere stata sempre profondamente turbata da questa pratica che, in quegli anni, si era trasformata in una sorta di moderno contraccettivo. Mi colpiva, in qualche modo, la leggerezza con cui tutto ciò avveniva, non perché fossi credente — allora non lo ero — né per qualche forma di moralismo imposto dall’alto, ma semplicemente perché mi sembrava che il manifestarsi della vita fosse un fatto così straordinariamente complesso e misterioso da meritare, come minimo, un po’ di timore e di rispetto. Come sono cambiate le cose in questi quarant’anni? Ho l’impressione che anche adesso il discorso sulla vita sia rimasto confinato tra due barriere ideologiche contrapposte. La difesa della vita sembra essere appannaggio, oggi come allora, solo della Chiesa, dei vescovi, di quella parte considerata più reazionaria e retriva della società, che continua a pretendere di influenzare la libera scelta dei cittadini. Chi è per il progresso, invece, pur riconoscendo la drammaticità dell’evento, non può che agire in contrapposizione a queste continue ingerenze oscurantiste. Naturalmente, un Paese civile deve avere una legge sull’aborto, ma questa necessaria tutela delle donne in un momento di fragilità non è mai una vittoria per nessuno. I dati sull’interruzione volontaria di gravidanza ci dicono che le principali categorie che si rivolgono agli ospedali sono le donne straniere, le adolescenti e le giovani. Le ragioni delle donne straniere sono purtroppo semplici da capire, si tratta di precarietà, di paura, di incertezza—ragioni che spingono spesso ormai anche madri di famiglia italiane a rinunciare a un figlio, ragioni a cui una buona politica in difesa della vita potrebbe naturalmente ovviare.
Ma le ragazze italiane? Queste figlie, e anche nipoti delle femministe, come mai si trovano in queste condizioni? Sono ragazze nate negli anni 90, ragazze cresciute in un mondo permissivo, a cui certo non sono mancate le possibilità di informarsi. Possibile che non sappiano come nascono i bambini? Possibile che non si siano accorte che i profilattici sono in vendita ovunque, perfino nei distributori automatici notturni? Per quale ragione accettano rapporti non protetti? Si rendono conto della straordinaria ferita cui vanno incontro o forse pensano che, in fondo, l’aborto non sia che un mezzo anticoncezionale come un altro? Se hai fortuna, ti va tutto bene, se hai sfortuna, te ne sbarazzi, pazienza. Non sarà che una seccatura in più. Qualcuno ha spiegato loro che cos’è la vita, il rispetto per il loro corpo? Qualcuno ha mai detto loro che si può anche dire di no, che la felicità non passa necessariamente attraverso tutti i rapporti sessuali possibili? Chi conosce il mondo degli adolescenti di oggi sa che la promiscuità è una realtà piuttosto diffusa. Ci si piace, si passa la notte insieme, tra una settimana forse ci piacerà qualcun altro. I corpi sono interscambiabili, così come i piaceri. Come da bambine hanno accumulato sempre nuovi modelli di Barbie, così accumulano, spinte dal vuoto che le circonda, partner sempre diversi. Naturalmente non tutte le ragazze sono così, per fortuna, ma non si può negare che questo sia un fenomeno in costante crescita.

Sono più felici, mi chiedo, sono più libere le ragazze di adesso rispetto a quarant’anni fa? Non mi pare. Le grandi battaglie per la liberazione femminile sembrano purtroppo aver portato le donne ad essere soltanto oggetti in modo diverso. Non occorre essere sociologi né fini pensatori per accorgersi che ai giorni nostri tutti i messaggi rivolti alle bambine si concentrano esclusivamente sul loro corpo, sul modo di offrirsi agli altri. Si vedono bambine di cinque anni vestite come cocotte e già a otto anni le ragazzine vivono in uno stato di semi anoressia, terrorizzate di mangiare qualsiasi cosa in grado di attentare alla loro linea. Bisogna essere magre, coscienti che la cosa che abbiamo da offrire, quella che ci renderà felici o infelici, è solo il nostro corpo. Il fiorire della chirurgia plastica non è che una tristissima conferma di questa realtà. Pare che molte ragazze, per i loro diciotto anni, chiedano dei ritocchi estetici in regalo. Un seno un po’ più voluminoso, un naso meno prominente, labbra più sensuali, orecchie meno a vela. Il risultato di questa chirurgia di massa è già sotto ai nostri occhi: siamo circondate da Barbie perfette, tutte uguali, tutte felicemente soddisfatte di questa uguaglianza, tutte apparentemente disponibili ai desideri maschili. Sembra che nessuno abbia mai detto a queste adolescenti che la cosa più importante non è visibile agli occhi e che l’amore non nasce dalle misure del corpo ma da qualcosa di inesprimibile che appartiene soprattutto allo sguardo.

Siamo passati così dalla falsa immagine della donna come angelo del focolare, che si realizza soltanto nella maternità, alla mistica della promiscuità, che spinge le ragazze a credere che la seduzione e l’offerta del proprio corpo siano l’unica via per la realizzazione. Più fai sesso, più sei in gamba, più sei ammirata dal gruppo. Nella latitanza della famiglia, della chiesa, della scuola, la realtà educativa è dominata dai media e i media hanno una sola legge. Omologare. Ma questo lato apparentemente così comprensibile, così frivolo — voler essere carine o anche voler mitigare i segni del tempo — che cosa nasconde? Il corpo è l’espressione della nostra unicità ed è la storia delle generazioni che ci hanno preceduti. Quel naso così importante, quei denti storti vengono da un bisnonno, da una trisavola, persone che avevano un’origine, una storia e che, con la loro origine e la loro storia, hanno contribuito a costruire la nostra. Rendere anonimo il volto vuol dire cancellare l’idea che l’essere umano è una creatura che si esprime nel tempo e che il senso della vita è essere consapevoli di questo. La persona è l’unicità del volto. L’omologazione imposta dalla società consumista—e purtroppo sempre più volgarmente maschilista — ha cancellato il patto tra le generazioni, quel legame che da sempre ha permesso alla società umana di definirsi tale. Noi siamo la somma di tutti i nostri antenati ma siamo, al tempo stesso, qualcosa di straordinariamente nuovo e irripetibile. Cancellare il volto vuol dire cancellare la memoria, e cancellare la memoria, vuol dire cancellare la complessità dell’essere umano. Consumare i corpi, umiliare la forza creativa della vita per superficialità e inesperienza, vuol dire essere estranei dall’idea dell’esistenza come percorso, vuol dire vivere in un eterno presente, costantemente intrattenuti, in balia dei propri capricci e degli altrui desideri. Senza il senso del tempo non abbiamo né passato né futuro, l’unico orizzonte che si pone davanti ai nostri occhi è quello di una specchio in cui ci riflettiamo infinite volte, come nei labirinti dei luna park. Procediamo senza senso da una parte, dall’altra, vedendo sempre e soltanto noi stessi, più magri, più grassi, più alti, più bassi. All’inizio quel girare in tondo ci fa ridere, poi col tempo, nasce l’angoscia. Dove sarà l’uscita, a chi chiedere aiuto? Battiamo su uno specchio e nessuno ci risponde. Siamo in mille, ma siamo sole.

Susanna Tamaro


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