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24/10/22

Umberto Galimberti: La fede cristiana non è "la fede nei miracoli"

 

Michelangelo Merisi da Caravaggio, L'incredulità di Tommaso 

In un suo recente intervento su La Repubblica - D del 15 ottobre - Umberto Galimberti torna a riflettere sulla Fede e in particolare sulla fede miracolistica, la fede nei miracoli, quella che secondo il filosofo, "sottrae ai credenti la qualità spirituale alimentando le parti più infantili di noi."

E' un intervento come sempre stimolante, su cui si può discutere. Mi preme però riportare qui un passo particolarmente interessante sul quale tutti - anche i cristiani - riflettono spesso molto poco. 

"Vorrei spostare l'attenzione sulla devozione, peraltro molto diffusa, che riduce la fede cristiana a fede nei miracoli. 

Guai se una fede trova nel miracolo il sigillo della verità, adunando le folle intorno a un santuario costruito a seguito di una apparizione o di un evento considerato miracoloso, perché questo significa contravvenire al monito che Gesù rivolge all'apostolo Tommaso che dubita della sua resurrezione: "Perché hai visto, o Tommaso, hai creduto; beati coloro che non hanno visto e hanno creduto."(Giovanni, 20,29)

Se Gesù ha mostrato a tutto il popolo di Gerusalemme lo strazio della sua passione e a pochissimi il miracolo della resurrezione, ciò forse significa che non intendeva consegnare la fede, che da allora si sarebbe detta "cristiana", allo stupore del miracolo, ma intendeva affidarla alla sua partecipazione al dolore del mondo, che da quel giorno, nella religione cristiana, acquistò un senso, peraltro testimoniato dal fatto che il simbolo di quella religione divenne il crocefisso." 

Parole su cui è bene meditare.

Fabrizio Falconi - 2022 


31/07/20

Luoghi dell'Anima: Cabo Espichel, in Portogallo. Un posto e una storia bellissimi




        La storia della cristianità non è fatta solo di grandi templi, magnificenza, ori e porpora, ma anche – e soprattutto? – di luoghi umili, fuori dalle rotte, di pietre dimenticate, o mute, di storie minute sussurrate dal vento.
        Una di queste storie, una storia semplice, l’ho trovata molti anni fa, in Portogallo.
        Lisbona, all’epoca, era un cantiere sterminato, in vista dell’Esposizione Universale del 1998, che doveva cambiare la faccia a un paese rimasto ancorato alle struggenti malinconie della sua terra e della sua musica, anche dopo la fine della dittatura salazarista, la più lunga di tutto il Novecento in Europa.
        In quei giorni non c’era una sola parte di Lisbona immune dal frastuono delle ruspe. Una nuvola bianca di polvere, enorme, si levava al di sopra del Bairro Alto, della Baixa, dell’Alfama.
        Dalla terrazza dell’Elevador de Santa Justa, ardita costruzione del prediletto allievo di Eiffel, riuscivi a vedere i colpi inferti alla città, in ogni direzione, e il traffico impazzito, in coda sul Ponte 25 Aprile (l’unico mezzo per varcare l’estuario del Tago, prima della costruzione dell’immenso ponte Vasco de Gama, realizzato appunto per quella Esposizione Universale), sotto il sole cocente.
        Fu scelta obbligata lasciarsi alle spalle il prima possibile l’infernale caos, e fuggire verso sud, dove solerti depliants forniti dalla receptioniste dell’albergo di Lisbona, promettevano paesaggi deserti, spiagge selvagge, e invitanti degustazioni gastronomiche.
       Il Portogallo vive del suo mare.
       Nel bene o nel male, ne determina i destini. Il clima più piovoso d’Europa condiziona l’umore degli abitanti, lo spazio sconfinato che si spalanca dietro ogni curva di strada statale dirotta il pensiero su termini immateriali.
       Succede così anche quando si imbocca, in macchina, l’autostrada IP1, che arriva in poche ore fino alle coste dell’Algarve.
        Questa strada, appena oltrepassato l’enorme ponte sospeso sull’estuario del Tejo, com’è il nome del fiume in portoghese,  devìa leggermente verso destra, verso la costa atlantica, per poi dirigersi verso Setubàl.  A sud di Lisbona il litorale dapprima è sabbioso,  poi all’improvviso si ergono le rocce scoscese della Sierra de Arrabida, il promontorio che culmina nel Cabo Espichel,  secondo lembo più occidentale di tutto il continente europeo.
        Il primato in questo senso spetta infatti al Cabo da Roca (pochi chilometri a nord di Lisbona), quello che i romani chiamarono promontorium magnum,  leggendario punto di partenza   dei navigatori portoghesi, cantato da Camoes nelle Lusiadi.
            Onde a terra acaba/ e o mar comeca  Dove la terra finisce e il mare comincia.

            Ma se si immagina un Finisterre, il Cabo Espichel non ha eguali.  
            La strada si divide in due prima di Sesimbra, e punta dritto verso il margine del  promontorio.  Sembra non offrire alternative, giunti all’ennesima curva, di non poter far altro che terminare nel vuoto.
            Così è.



            La strada asfaltata si ferma qualche decina di metri prima di un antico, isolato complesso religiosa, diviene una lingua di sterrato che prosegue oltre e non si ferma fino all’ampia distesa di terra che un centimetro dopo precipita nell’oceano. Cabo Espichel è una specie di zoccolo di roccia, spianato, 180 metri a strapiombo sul mare.  Vi si arriva attratti dal magnete del grande Faro bianco, che svetta di lato, sulla scogliera. Poi, si entra, senza quasi accorgersi, in un lunghissimo recinto rettangolare. Sullo sfondo, la facciata della Chiesa di Nossa Senhora do Cabo, come viene comunemente chiamata dalla gente del posto, nonostante il nome esatto sia: Santuario de Nossa Senhora de Pedra Mua. Ai lati della Chiesa, in un perimetro perfettamente rettangolare, le due ante dell’Hospedarias, l’alloggio per i pellegrini, che cominciarono a visitare questo luogo, sempre più numerosi, a partire dal XII secolo.
            Prima di entrare in chiesa, oltrepassandola, si procede verso la scogliera, arrivando proprio sul punto più a strapiombo della costa.  I gabbiani, guinchos come li chiamano qui, disegnano rapide traiettorie nel vento forte. L’aria è tersa, l’orizzonte ampio, senza più ostacoli. Qui, come in tutto il Portogallo, è ancora viva la memoria dell'epopea del descumbrimiento, l'epoca delle navigazioni che portarono i malinconici e impavidi lusitani lungo le coste dell'Africa e nelle terre più remote del pianeta.  I vecchi della zona conoscono a memoria i racconti tramandati da intere generazioni,  di tempi dimenticati, quando i fari andavano ad olio di oliva, e qualche volta facevano cilecca: le navi nel mare, quand’era in tempesta, si illudevano, attratti come falene dalla luce di Espichel,  d’essere ormai in vista del porto di Lisbona, e finivano per schiantarsi contro la scogliera.
           Le sventure dei naviganti non finivano nemmeno con il naufragio, perché nascosti tra i rovi, sotto la pioggia, c’erano pirati ad  attendere i  superstiti, per ucciderli e saccheggiare il bottino.
            Approfittavano, gli assassini, di quegli unici sentieri che scendono ancora oggi stretti e serpeggianti sul fianco della scogliera, ma che è meglio conoscere bene prima di affrontarli, se non si vuol finire nel precipizio: dicono che questi sentieri siano stati tracciati centinaia di anni fa, dai pacifici pescatori che vivevano qui, prima ancora dei pirati,  e che benedivano ogni giorno questi fondali ricchi di pesci, soprattutto bacalao, e bodiao, e poi alghe, cucinate direttamente sul fuoco ed erano, sembra, gustosissime.
          Deve essere capitato ad uno di questi pescatori, un semplice umile pescatore tra tanti, in un mattino di luce, di scorgere all’improvviso, quella misteriosa visione, mentre risaliva dal suo scoglio. Fu un prodigio inspiegabile, la cui fama si diffuse come un lampo, in un’epoca in cui  il Portogallo era tornato ad essere cristiano. Nel 1064 Coimbra era stata riconquistata, strappata agli arabi,  dopo quasi quattro secoli. Diventava nuovamente capitale del Regno.
         Ed ecco che in questo villaggio sperduto, eremo estremo verso l’occidente, un pescatore scorge un segno:  Maria - Nossa Senhora per il popolo, per gli umili, le donne, i pescatori -  la madre di Gesù, appare a cavallo di una mula.
          Non esistono descrizioni ufficiali dell’evento: possiamo soltanto immaginarlo. Possiamo immaginare la diffidenza e lo spavento, gli sguardi sospetti, e la propagazione del racconto del pescatore. Che a quanto pare, non ebbe altri testimoni, oltre a lui. La convocazione da parte di qualche alto prelato, gli interrogatori, i tentativi di dissuasione, forse. L’ostinazione del pescatore.
          Il miracolo quotidiano del cristianesimo è anche questo:  che in un luogo così, la voce di un pescatore in un mattino assolato, diventi fede. Fede per tutti.
          Non sappiamo attraverso quali passaggi la tradizione orale si trasformò in convincimento e fede, e memoria di e per tutti.  Quel che sappiamo è che la leggenda, nel trascorrere delle generazioni, aggiungeva ogni volta nuovi particolari, come quello secondo cui la mula, la mula di Cabo Espichel, la mula di Maria, aveva lasciato perfino delle impronte, bene impresse in una pietra, sulla scogliera, pietra che naturalmente divenne oggetto di venerazione.
          E così, dopo  tre secoli, tre secoli durante i quali questa storia divenne il cemento di una intera popolazione,  nel 1410 si costruì il primo santuario, anzi più propriamente l’eremo, pensato espressamente per loro, i mareantes, la gente del mare, gli eterni protagonisti delle stagioni di Espichel. All’inizio doveva essere solo una piccola costruzione, minima come quella che adesso si ammira a circa 100 metri dalla Chiesa, e oggi è conosciuta come Ermida da Memória o anche  Capela da Memória, minuta cappella con cupola,  all’interno decorata con splendidi azulejos azzurri e bianchi. 
         E’ questo il luogo esatto in cui apparve la visione e in cui fu originariamente conservata l’immagine della Vergine, di origine misteriosa, che celebrava l’apparizione di Maria sulla Mula.
          Questa immagine era il lasciapassare per ogni impresa, per ogni avventura tra le onde, per ogni giornata di duro travaglio lontano da casa, consegnati mani e piedi al capriccio della sorte, e delle tempeste. Di tutto quel che l’uomo non può mai controllare, e lo aspetta nel buio della notte, nel vento improvviso, nella mareggiata che spezza la schiena,  e non perdona.  Dove oggi sorge la rozza croce di pietra, lì iniziava la lenta processione dei mareantes, verso l’immagine della Vergine.



I due lati porticati dell’Hospedarias , una volta occupati dagli alloggi per i pellegrini, oggi sono in abbandono, fatiscenti, chiusi.   Soltanto vicino alla Chiesa c’è una piccola bottega, che vende bevande fresche, e qualche vecchia cartolina. 
           Una vecchia contadina, che vende semplicemente le sue mercanzie dentro cassette di legno, ci guarda, spiega che ha imparato un po’ di italiano da un lontano parente, scappato al fascismo, e rimasto lì per cinque anni prima di riuscire a imbarcarsi per l’America.
           Lei si chiama Maria Dominga, ci dice, e quel nome le è stato imposto proprio in onore di Nossa Senhora. Per loro, per la gente di Espichel, Nossa Senhora è una persona, prima di tutto. Qualcuno a cui affidarsi, che capisce, che dà consigli. “Molte tragedie”, ci dice, parandosi gli occhi dal sole, con la mano rugosa dritta come un ventaglio, “sono state evitate da lei, è lei che ha detto a un uomo, prima della tempesta: non andare ! E lui non è partito. Si è salvato.”
            Davvero ?
            “Anche mio marito non è partito,” spiega seriamente con uno sguardo da bambina corrucciata in un volto di vecchia, “il giorno dopo c’era tempesta, una tempesta  grande, muito muito…. Grande   agita la mano, per far intendere che si tratta di qualcosa veramente memorabile.   “ E il mio marito fu livre de perigro , seguro.”
            E’ ancora vivo ?  No, risponde, non è più vivo, ma una malattia, sembrerebbe quasi voglia dire con quel ciondolare della testa, una giusta malattia – non l’ingiusta tempesta – lo ha portato via.
            Poi ci fa segno di seguirla. 
            Di nuovo attraversiamo il piazzale dietro la chiesa, sotto il sole.   Ci conduce, con andatura spedita, senza esitazioni, fino al punto di osservazione dove eravamo poco prima.
           Poi ci chiede di osservare una linea nella roccia della scogliera, verso sud, la dove le falesie sono altissime.   Effettivamente, guardando con attenzione, c’è una linea più scura, che attraversa diagonalmente la parete scoscesa, come la vena di una mano.
          “ La vedete ?  Quella fenda…si è formata quando…. È arrivato il grande tremor de terra ! ”
          So a cosa si riferisce, naturalmente.  So cosa intendono i portoghesi quando si parla di ‘grande tremor de terra’.   ‘Il’ terremoto,  quello vero, qui è stato uno soltanto, quello che nessuno – come idea - ha mai dimenticato, nessuno che viva qui.  Il terremoto del 1755.   Uno dei più spaventosi terremoti che abbiano mai scosso il suolo della terra, a memoria d’uomo.
          “ Quella fenda non esisteva, prima, “ disse la donna, “ a mio padre lo raccontò mio nonno, e a mio nonno, suo nonno..”
          Capimmo cosa sosteneva.  La crepa sulla scogliera, questo intendeva, si era formata quel giorno del 1755, e aveva rischiato di spaccare per sempre la montagna in due, portando in fondo all’Oceano il Cabo Espichel, con il suo santuario.  
           Oracao, pedido…”
           Erano state le preghiere, questo ci disse, a fermare la crepa nella montagna.  Il racconto dei nonni sosteneva che tutta la gente di Cabo Espichel, quando la terra aveva preso a tremare, come mai nella storia, e le onde si erano alzate fino a cento metri,  tutta la gente, si era chiusa dentro il Santuario a pregare.  E la sorte sembrava segnata, perché quella crepa sulla scogliera voleva soltanto dire che….
           Ma le preghiere a Nossa Senhora, furono ascoltate.
           Nossa Senhora non voleva questo. Voleva proteggere la gente di Cabo Espichel.
           La donna indicò ancora la riga scura sulla scogliera:
           “ Sì è fermata, da quel giorno ! Si è fermata lì. E non si è più mossa.  La fenda è ferma, da più di duecento anni ! “
         
           Quando tornammo a Lisbona, qualche giorno dopo, ripensai al grande terremoto del 1755, che in qualche modo i furori dei cantieri in corso evocavano con fumi e strepiti. La mattina del primo novembre di quell’anno, 1755, un sisma del nono grado della scala Richter rase al suolo questa città, causando quasi centomila morti.  Le scosse provocarono danni incalcolabili in tutto il Portogallo, perfino in zone lontanissime dalla  capitale, come la costa dell’Algarve, interessando 10 milioni di chilometri quadrati di territorio. Il terremoto fu avvertito in Olanda, nelle Antille, nelle Barbados, e i danni furono disastrosi perfino sulle coste del Marocco.  6 interminabili minuti di puro terrore. Il mare, a Lisbona – raccontarono i pochi superstiti – si ritirò del tutto, lasciando le barche in secca; dopo qualche minuto un’onda spaventosa si abbattè   su tutta la costa aggiungendo nuova devastazione, penetrando nell’entroterra, fino alle colline di Cintra.
           L’apocalisse, quel giorno, bussò alle porte di un paese sfortunato, lo lasciò in ginocchio, ancor più motivato nel suo ‘bisogno di sventure’.
           In tanta devastazione, Cabo Espichel, il fragile sperone di roccia, aveva resistito.  Il silenzio era salvo.  L’impronta prodigiosa della mula, era ancora al suo posto.  E la
semplice fede di  Maria Dominga si rinnovava ogni giorno nel simbolo della linea scura della fenda, che una misericordia non umana, aveva cristallizzato sul fianco della scogliera, per sempre.



Tratto da: Fabrizio Falconi, Dieci Luoghi dell'Anima, Cantagalli Editore, 2009 - Vedi il libro su Amazon clicca qui

13/06/10

La conferenza dei Medici Cristiani indaga sui benefici della fede.


Circa 270 medici e personale paramedico di 40 nazioni si sono riuniti per partecipare alla Settima conferenza internazionale dei medici cristiani del WCDN (World Christian Doctors Network) che si è svolta presso lo Sheraton Roma Hotel & Conference Center di Roma, il 21 e 22 maggio scorsi.

Diversi medici hanno partecipato a questa conferenza internazionale dei medici cristiani nei luoghi del martirio dell’apostolo Paolo incentrata sul tema "Spiritualità e medicina", per discutere diversi casi di guarigione divina sulla base di dati medici e scientifici.

Con l’aiuto di una presentazione video sono stati illustrati sette casi di guarigione divina, selezionati attraverso un attento esame analitico e studiati confrontando i dati diagnostici ottenuti prima di ricevere la preghiera e i dati della valutazione eseguita dopo la preghiera stessa.

Il dott. Cesare Ghinelli, pediatra dell’ospedale universitario di Parma in Italia, ha presentato casi di guarigione divina nell’ambito pediatrico e della chirurgia pediatrica.

Il dott. Eydna Eysturskard, chirurgo delle Isole Faroe (Danimarca) ha esposto il caso di guarigione dagli effetti postumi della frattura del polso di un violinista. Il dott. Chauncey Crandall, medico specializzato in patologie cardiovascolari, operante nella Palm Beach Cardiovascular Clinic di Palm Beach Gardens (Florida, Stati Uniti), ha presentato il caso della risurrezione di un paziente a seguito di un infarto.

Sono stati illustrati anche i casi di guarigione riferiti dal dott. Jaerock Lee, fondatore & presidente di WCDN e autore del libro "Understanding the Message of the Cross of Jesus Christ". Il caso di un paziente guarito da un cancro allo stomaco con la sola preghiera, senza la somministrazione di farmaci, presentato dal dott. Fidel Fernandez patologo delle Filippine, ha stupito molti partecipanti. La dott.ssa Teh Mii Lii, ostetrica e ginecologa della Malesia ha esposto il caso di guarigione di una donna a cui è stata riscontrata la rottura della placenta alla diciannovesimo settimana di gravidanza; la paziente, che a causa del suddetto problema rischiava un aborto spontaneo o un parto prematuro ha invece ha partorito un figlio sano al termine della gravidanza senza particolari complicanze grazie alla preghiera del dott. Jaerock Lee.

Il World Christian Doctors Network è un movimento internazionale fondato per discutere i numerosi casi di guarigione divina avvenuti in tutto il mondo ed esortare medici e scienziati a testimoniare l’esistenza di Dio e l’autenticità della Bibbia. Dal 2004 a oggi le conferenze annuali internazionali dei medici cristiani si sono tenute a Chennai (India), Cebu (Filippine), Miami (Stati Uniti), Trondheim (Norvegia), Kiev (Ucraina) e Roma; Ottava conferenza si svolgerà a Brisbane (Australia) nel 2011.

Per ulteriori informazioni, visitare il sito web http://www.wcdnaustralia.org

31/10/08

Vittorio Messori - Gli stupefacenti segnali che ho ricevuto da Dio.



Davvero sorprendenti queste rivelazioni dello studioso cattolico Vittorio Messori (coautore con Papa Wojtyla di "Varcare le soglie della speranza" e con il card. Ratzinger di "Rapporto sulla fede"), che in nuovo libro-intervista racconta di sè, di come si e' avvicinato a Dio quando era un giovane cronista a Torino, nell'estate del 1964, sfogliando dopo tanti anni un Vangelo.

"Il libricino - ricorda - usci' polveroso, non so come, dai recessi dell'armadio. Non ho ricordo di note che, anche se ci fossero state, sarebbero state arse dalla vampata che eruppe da quel testo. Neppure in questo, dunque, ci fu la mediazione di qualcuno: di un biblista che commentasse quei versetti, di una Chiesa, di un prete, di un amico. Un incontro nudo e crudo, nella mia piccola stanza al piano rialzato del 27 di via Medail, dalla quale non vedevo strade ne' persone ma un cortiletto sempre deserto.

Fu un andare a sbattere, senza intermediari, con una Parola che divenne carne". L'episodio e' raccontato dallo stesso Messori nel libro-intervista scritto con Andrea Tornielli, "Perche' credo", edito da Piemme. Molto citato, nella conversazione, lo scrittore Andre' Frossard, autore del best seller degli anni '70 "Dio esiste, io lo ho incontrato". Ma se a Parigi era stato l'atmosfera di una chiesa a aprire il cuore di Frossard, ad accendere il fuoco della fede in quello di Messori non era bastato, qualche anno prima, l'evento straordinario di una telefonata dall'al di la'.

"Erano gli anni del liceo ed ero - rivela - ancora lontano dalla svolta che mi avrebbe 'costretto' alla fede. Era il primo anniversario della morte di Aldo, lo zio materno morto giovane per un ictus cerebrale. Solo in casa dormivo del sonno pesante di quel giovanotto in salute che ero, quando fui svegliato dal telefono. Alzai la cornetta: un gran caos di disturbi elettrici, di fischi, di raschi, i disturbi che c'erano allora sulle linee quando la chiamata era interurbana e veniva da molto lontano. Dopo qualche mio 'Pronto! Pronto!' mi arrivo', chiarissima, inconfondibile, la voce, che ben conoscevo, di mio zio.

Mi disse, affannato, parole che ancora adesso ricordo come se le avessi udite ieri: 'Vittorio, Vittorio! Sono Aldo! Sto bene! Sto bene!'. Subito dopo, il rumore che annunciava la caduta della linea, la fine del collegamento. Guardai l'ora. Come mi confermarono poi i miei genitori, era quella, esatta al minuto, della morte dello zio, giusto un anno prima".

Rispondendo a Tornielli, Messori ammette candidamente di aver "esaminato ogni altra possibilita'" dopo quella straordinaria telefonata. "Ho finito con l'arrendermi all'evidenza, non essendo come gli ideologi, gli atei in primis, che fanno prevalere sui fatti il loro schema aprioristico: era proprio zio Aldo, sua era la voce, non reggono ipotesi di scherzi macabri, equivoci, allucinazioni.

Ne' mi e' possibile pensare a un sogno, visto che ero ben sveglio sia durante sia dopo la telefonata: in effetti, quella notte non tornai piu' tra le coltri e attesi in piedi l'alba".

Una telefonata che tuttavia "non basto'" ad avvicinarlo alla fede: "passata la sorpresa - confida lo scrittore - rimossi presto il ricordo di quella notte, mettendo l'episodio tra le singolarita' inspiegabili in cui a tutti puo' capitare di imbattersi.

Gesu' stesso ci avverte, nella parabola del povero Lazzaro, quando il ricco, ormai morto, chiede ad Abramo di poter avvertire i cinque fratelli perche' non finiscano essi pure all'inferno. Ed Abramo: 'Se non ascoltano Mose' e i Profeti, non sarebbero persuasi neanche se qualcuno risuscitasse dai morti'.

Per Messori, che lo ha sperimentato su se stesso, "c'e' un mistero di accecamento" per gli uomini "che si lagnano del 'silenzio di Dio'. Spesso non e' Lui che e' muto, siamo noi che siamo sordi. E' vero che, per rispettare la liberta' delle creature, il Creatore ha scelto di praticare la 'strategia del chiaroscuro'. Ma, lo dice la parola stessa, accanto al buio c'e' anche la luce: ed e' proprio questa che spesso ci si ostina a non vedere".

Nell'intervista rilasciata a Tornielli, lo scrittore racconta anche di una sua inchiesta compiuta su un analogo episodio "paranormale" accaduto ad un facoltoso professionista torinese che si era rivolto per telefono a un istituto di suore per un'infermiera. La sera dopo si presento' una religiosa nel suo abito austero e da allora, ogni notte, venne puntualmente a vegliare al capezzale dell'uomo. Guarito, decise per prima cosa di andare con la moglie all'istituto della religiosa per salutarla e ringraziarla ancora dell'assistenza. In portineria si stupirono per il nome della suora perche' una di loro aveva portato quel nome: per tutta la vita aveva assistito i malati e che aveva lasciato un ricordo esemplare. Ma era morta da molti anni".

Comprensibilmente, quei coniugi non sapevano capacitarsi. "Li condussero - racconta lo scrittore - nel piccolo cimitero al fondo del giardino del convento e mostrarono loro la tomba, con la foto della defunta sotto la croce: ne segui', ovviamente, un rischio di malore per la coppia, visto che entrambi la riconobbero senza esitazione. Era proprio lei".

"Sulle prime - spiega Messori a Tornielli, che fedelmente riporta - pensai a una sorta di leggenda metropolitana, ma alla fine mi decisi e andai a conoscere quei coniugi. Mi confermarono tutto, senza esitazione, eppure con pudore, temendo, stimati borghesi com'erano di essere scambiati per allucinati. In effetti, mi accolsero con cortesia, mi raccontarono, concordi, com'era andata ma con altrettanta concordia, malgrado le mie insistenze, non mi permisero di parlarne sul giornale. Volli completare, approfittando delle mie conoscenze nel giro religioso per ottenere dalle religiose di mostrarmi quella sepoltura. Vi sostai, ovviamente, con emozione: ma, a quel tempo, la scoperta della fede era gia' avvenuta. Se non potei scriverne allora, lo faccio adesso perche', vista l'eta', credo che quei due siano gia' andati da tempo a salutare e ringraziare quella misteriosa infermiera notturna. Dai cenni che mi fecero, mi parve di capire il perche' di quelle visite: con pazienza, con amabilita', con l'esempio, la suora giunta dall'Aldila' li aveva riavvicinati alla fede, li aveva indotti addirittura a riscoprire i sacramenti. Insomma, le era stato concesso un prolungamento dell'apostolato che aveva esercitato in vita".

Secondo Messori, "in casi come questi si dimostra come il vero libero pensatore sia il credente. Questo constata i fatti e, se sono oggettivi e provati, li accetta, anche se vanno al di la' degli schemi razionalisti e dell'esperienza comune.

Il non credente, invece, e' prigioniero del suo schema ideologico: se i fatti non vi rientrano, tanto peggio per i fatti, una spiegazione 'naturale' bisogna assolutamente cercarla, altrimenti va in crisi il pre-giudizio. E, se non adesso, la spiegazione - conclude - la si trovera' in futuro".

fonte AGI