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28/01/14

Esce domani in libreria '1910' di Thomas Harrison. Un anno cruciale per l'Occidente.






Esce domani in tutte le librerie 1910, L'emancipazione della dissonanza, per Editori Riuniti. Finalmente tradotto in Italia un libro originalissimo che affronta i dilemmi della contemporaneità da una prospettiva completamente nuova, muovendo i passi dalle vicende di un secolo fa. 

Il 1910 non è un anno come gli altri per il mondo occidentale. 

Manca meno di un quinquennio allo scoppio della prima guerra mondiale e l’apparizione nei cieli d’Europa della cometa di Halley sembra preannunciare la tragedia che decreterà la crisi di un’intera cultura. 

In quegli anni arte, filosofia, musica e letteratura rivelano con nuova crudezza le ossessioni e le paure dell’uomo contemporaneo, di cui Thomas Harrison mostra la traumatica gestazione attraverso le vicende esemplari di intellettuali e artisti come Kandinsky, Schiele, Kokoschka, Lukács, Rilke e Schönberg. 

Spostandosi tra Germania, Italia e impero asburgico, l’autore si sofferma sulla complessa figura di Carlo Michelstaedter, poeta, pittore e filosofo di Gorizia che si toglie la vita proprio nel 1910, a soli ventitré anni. 

La tesi di laurea La persuasione e la rettorica, lascito filosofico cui il saggio rivolge particolare attenzione, fu terminata il giorno stesso del suicidio e costituisce un’emblematica dichiarazione di morte della vecchia Europa. 

La percezione di una metafisica conflittuale e l’ossessione universale per la malattia e la morte, la ricerca di un’espressione autentica dell’anima e il perseguimento di un’etica del sacrificio sono temi che accomunano tutti i pensatori e gli artisti del 1910: una ricerca intellettuale brutalmente messa a tacere dalla guerra ma con cui, cento anni dopo, ci troviamo ancora a dover fare i conti.  




Thomas Harrison è professore ordinario alla University of California di Los Angeles, dove dirige il dipartimento di italianistica. 
Insegna e scrive di argomenti di cultura e filosofia moderna, musica, comparatistica e storia intellettuale. 
Oltre a numerosi articoli, ha pubblicato The Favorite Malice: Ontology and Reference in Contemporary Italian Poetry (Out of London Press, 1984), Nietzsche in Italy (Anma Libri, 1988) ed Essayism: Conrad, Musil and Pirandello (The Johns Hopkins University Press, 1991).

16/05/11

Lessico dei poeti 6 - 'Pioggia'.

Il mistero di un grande poeta non può mai essere del tutto svelato. Questa banale considerazione vale per casi esemplari come Leopardi, che in un ‘recinto chiuso’ di vita, hanno saputo scavalcare l’infinito. In America qualcosa di simile è accaduto con Walt Whitman. Che per esempio, pur non avendo mai viaggiato oltre i confini del suo stato, è secondo alcuni, il più europeo dei poeti americani. E lo è, forse, anche in certe piccole sottigliezze. Partendo dalla semplice parola ‘pioggia’ , Whitman imbastisce un segreto dialogo che porta oltre confini impensabili:

E tu chi sei? Chiesi alla pioggia che scendeva dolce,

e che strano a dirsi, mi rispose, come traduco di seguito:

sono il Poema della Terra, disse la voce della pioggia,
eterna mi sollevo impalpabile su dalla terraferma e dal mare insondabile, su verso il cielo, da dove, in forma labile, totalmente cambiata, eppur la stessa,
discendo a bagnare i terreni aridi, scheletriti, le distese di polvere del mondo, e ciò che in essi senza di me sarebbe solo seme, latente, non nato; e sempre, di giorno e di notte, restituisco vita alla mia stessa origine, la faccio pura, la abbellisco; perché il canto, emerso dal suo luogo natale, dopo il compimento, l’errare, sia che di esso importi o no, debitamente ritorna con amore.

Whitman interroga la pioggia, come se fosse un essere vivente. E la pioggia gli risponde. Manifestandosi come artefice di cambiamento, come restituzione di senso, potremmo dire: come ‘anima mundi’.

Qualcosa di diametralmente opposto, eppure di egualmente ‘catartico’ avviene nella poesia di Carlo Michelstaedter, l’infelice e geniale poeta goriziano, nato nel 1887 (cinque anni prima della morte di Whitman). In lui, pessimismo e desiderio di raggiungere quel mondo incondizionato che sta al di là dei limiti della vita umana si coniugano in una sorta di tragico eroismo, che ben sintetizza il titolo di una sua poesia: VOGLIO E NON POSSO E SPERO SENZA FEDE. Qui troviamo un canto alla pioggia, ben diverso da quello di Withman:

Cade la pioggia triste e senza posa

a stilla a stilla

e si dissolve. Trema

la luce d'ogni cosa. Ed ogni cosa

sembra che debba

nell'ombra densa dileguare e quasi

nebbia bianchiccia perdersi e morire

mentre filtri voluttüosamente

oltre i diafani fili di pioggia

come lame d'acciaio vibranti.

Qui la pioggia è dunque non qualcosa che rinnova e ri-crea. Ma qualcosa che dilegua, fa perdere e morire, come in una specie di ‘voluttuoso oblio’.

Più vicino invece al senso whitmaniano della pioggia, miracolosa rinnovatrice, che consente un cambio di prospettiva, e di vita, è la poesia Anni dopo che Vittorio Sereni scrisse nel 1941 e che fa parte de: Gli strumenti umani:

La splendida la delirante pioggia s'è quietata,

con le rade ci bacia ultime stille.

Ritornati all'aperto

amore m'è accanto e amicizia.

E quello, che fino a poco fa quasi implorava,

dall'abbuiato portico brusìo

romba alle spalle ora, rompe dal mio passato:

volti non mutati saranno, risaputi,

di vecchia aria in essi oggi rappresa.

Anche i nostri, fra quelli, di una volta?

Dunque ti prego non voltarti amore

e tu resta e difendici amicizia.

La pioggia è cessata, e noi siamo sopravvissuti. Non soltanto: il rombo che è alle spalle ci consente di apprezzare, di guardare negli occhi quello che abbiamo, quel che di certo abbiamo costruito, e non è poco. Anche se le ombre non sono scomparse. I nostri volti, infatti, potrebbero far parte ancora di quella ‘schiera del passato.’

Lo stesso soprassalto, impaurito – da pericolo scampato, da senso disperatamente ritrovato – lo ritroviamo in una poesia di poco anteriore, della grande Antonia Pozzi (1912-1938), una delle maggiori voci poetiche del Novecento italiano. La pioggia è questa volta nera, ed è anche ‘uno scroscio pazzo’, è un retaggio della notte. Qualcosa che è venuta a stravolgere, a confondere, a straniare. Qualcosa alla quale forse non è estraneo comunque quel senso di Whitman: anche la follia, anche l’urlo del vento ai vetri fecondano, nella vita di un essere umano, nella vita di un poeta, il germe coraggioso della vita. E della poesia.

RISVEGLIO

Riemersa da chissà che ombre,

a pena recuperi il senso

del tuo peso

del tuo calore

e la notte non ha, per la tua fatica,

se non questo scroscio pazzo

di pioggia nera

e l’urlo del vento ai vetri.

Dov’era Dio?


Fabrizio Falconi