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02/09/18

Poesia della Domenica: "Come può esser ch'io non sia più mio?" di Michelangelo Buonarroti.



Come può esser ch’io non sia più mio?
O Dio, o Dio, o Dio,
chi m’ha tolto a me stesso,
c’a me fusse più presso
o più di me potessi che poss’io?
5
O Dio, o Dio, o Dio,
come mi passa el core
chi non par che mi tocchi?
Che cosa è questo, Amore,
c’al core entra per gli occhi,
10
per poco spazio dentro par che cresca?
E s’avvien che trabocchi?


edizione Laterza,  Bari, 1960 a cura di Enzo Noè Girardi.

19/02/18

L'immensità della Cupola di San Pietro - i suoi numeri impressionanti.



Tutto è grandioso nella Cupola di San Pietro, creata dal genio di Michelangelo che per essa si ispirò alla Cupola di Santa Maria del Fiore di Firenze, derivandone una struttura a doppio guscio. 

Come si sa, Michelangelo diresse la costruzione di tutta la parte inferiore della Cupola fino al tamburo, che era quasi terminato, al momento della sua morte (1564). La cupola, dopo la morte del maestro rivestita di lastre di piombo, con l'interno a nervature, fu eretta in 22 mesi da Giacomo della Porta assistito da Domenico Fontana.  In altri 7 mesi infine fu completata la lanterna cuspidata. 

Diamo qualche cifra per intendere la maestosità dell'opera: la penna che tiene in mano S. Marco, in uno dei tondi di mosaico nei pennacchi della Cupola, è lunga circa 1 metro e mezzo.  La lanterna è alta più di 17 metri. 

Il diametro dei tondi con i 4 evangelisti è di 8 metri l'uno. 

Un'iscrizione latina, in mosaico su fondo dorato,  si svolge nel fregio della imponente trabeazione che gira tutto intorno alla chiesa; nel fregio della trabeazione all'imposta della cupola sono scritte le parole con le quali Gesù istituì la chiesa: Tu es Petrus et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam et tibi dabo claves regni caelorum.   

Da questo livello si eleva il tamburo con 16 finestre fra coppie di lesene che sorreggono il cornicione terminale, sopra cui si incurva la calotta. 

Questa è divisa da 16 costoloni fra i quali la decorazione a mosaico si svolge su 6 ordini. 

In cima, sopra i papi santificati e i dottori della Chiesa, seguono le figure sedute del Redentore, della Vergine, di San Giuseppe, del Battista e degli Apostoli, e infine ancora più in alto una teoria di angeli con vari simboli e i tondi con serafini. Nella Lanterna, sigilla l'immane costruzione, l'Eterno Padre benedicente. 

Fabrizio Falconi
2018 - riproduzione riservata




27/10/16

Le leggende del Campidoglio e la Statua del Marco Aurelio, l'unico esemplare di questo tipo giunto fino a noi.




Il Campidoglio è da sempre il simbolo del potere cittadino, a Roma. Anticamente questo nome si riferiva soltanto all'altura più piccola dove sorgeva il Tempio di Giove Ottimo Massimo, il più importante tra gli dèi del Pantheon, la cui area era all'incirca quella occupata oggi da Palazzo Caffarelli. 

Più tardi, nel corso dei secoli, la dizione Campidoglio si estese all'intero colle. 

Ancora oggi il Campidoglio rappresenta una meraviglia delle meraviglie: esso ospita infatti reperti preziosissimi e unici al mondo, come i due leoni di basalto grigio ai piedi della scalinata, che provengono dall'Iseum et Serapeum del Campo Marzio, il Tempio che i romani avevano dedicato alle divinità egizie, e che raccoglieva moltissimi reperti importati da quelle terre. 


I due meravigliosi leoni egizi furono sistemati qui da Giacomo Della Porta, per fare da ali alla cordonata del Campidoglio.   Furono rimossi nel 1880 e sostituiti con delle copie, ma poi tornarono sul posto grazie all'illuminato prof. Pietrangeli, in tempi piuttosto recenti, nel 1956. 

Sembra che dalla bocca dei due leoni sgorgasse, in alcune particolari ed eccezionali circostanze, vino, (dalla bocca dell'uno, bianco, dall'altro rosso) anziché acqua. Come ad esempio nell'occasione della cerimonia di impossessamento della Basilica Lateranense da parte del Papa neo-eletto. 

Ma il vero gioiello del Campidoglio è la monumentale statua equestre del Marco Aurelio, divenuta nei secoli emblema cittadino al pari del Colosseo, oggi sostituita sulla piazza da una scrupolosa copia e conservata invece nel nuovo cortile protetto dei Musei Capitolini. 

Si tratta, come non tutti sanno, dell'unico reperto di questo tipo esistente al mondo, , cioè dell'unica statua equestre in bronzo dorato, dell'epoca romana giunta fino a noi e per molti secoli, pur essendo diventata un nume cittadino intoccabile, fu persino confusa la sua attribuzione, ritenendola una statua dell'imperatore Costantino (Caballus Costantini). 

Fu scolpita nel 164-166 d.C.  e raffigura l'illuminato imperatore a cavallo, col braccio e la mano protesi, come per affrontare il nemico. 

Una icona così potente non poteva che diventare un simbolo cittadino di prima grandezza, ed è inevitabile che, trattandosi di Roma, intorno ad essa siano fiorite nel corso dei secoli, infinite leggende, come quella della famosa civetta , il ciuffo dei peli tra le orecchie del cavallo, al cui distacco della velatura bronzea fu legata alla fine del Mondo e alla sua distruzione. 

La statua fu posta al centro del Piazzale del Campidoglio nel 1538 da Papa Paolo III Farnese su suggerimento di Michelangelo, che si era occupato di progettare la nuova piazza, nelle attuali forme che sono ammirate in tutto il mondo.  Per essa fu studiato un apposito basamento, disegnato sempre da Michelangelo. 

Pochi sanno che in quella occasione fu anche istituita la carica onorifica di Custode del Cavallo, un titolo dignitario grandemente ambito tra i nobili romani e che veniva conferita per espressa decisione papale. 

Il prescelto veniva anche ricompensato simbolicamente, in natura con una prebenda minuziosamente prevista comprendente: dieci libbre di cera, tre di pepe, sei paia di guanti, alcune scatole di confetti e due fiaschi di vino. 

Fabrizio Falconi © - riproduzione riservata.







25/07/16

Grazie a misteriosi benefattori giapponesi torna a splendere il meraviglioso Ninfeo di Villa Giulia.



Un gruppo di misteriosi benefattori venuti dall'Oriente. Una delle piu' raffinate e preziose ville del '500. E il primo teatro d'acque di Roma, oggi tornato ai tempi in cui qui venivano Vasari, Michelangelo e piu' alti intellettuali dell'epoca

 E' il piccolo miracolo che si e' compiuto, celato e senza clamori, a Villa Giulia, massimo esempio di villa rinascimentale voluto da Papa Giulio III alla cui realizzazione tra il 1550 e il 1555 parteciparono tutti i piu' grandi artisti, oggi sede del Museo Nazionale Etrusco

Da qualche settimana la villa sorprende i visitatori con un Ninfeo, cuore dei suoi splendidi giardini con la fontana ideata e scolpita dal Vasari e dall'Ammannati, le cariatidi a sorreggere la balconata in marmo travertino e il mosaico dedicato a Tritone, tornato allo splendore di 500 anni fa

"Tutto e' iniziato nel 2014", racconta all'ANSA Alfonsina Russo, Soprintendente per l'archeologia, beni architettonici e paesaggio dell'area metropolitana di Roma, Viterbo ed Etruria meridionale, che fino a pochi mesi fa, prima della riforma del Ministero, aveva il suo quartier generale proprio a Villa Giulia. "Da tempo cercavo aiuto per il Ninfeo - spiega - Non solo era ormai grigio, infestato di muschi e muffe, ma iniziavano i primi problemi strutturali, soprattutto al mosaico. Le forze interne, purtroppo, non erano sufficienti". 

Poi una sera, un concerto con una delegazione giapponese, una visita a Villa Giulia, un colpo di fulmine e l'offerta a sorpresa: "potremmo finanziarlo noi". Contributo di 25 mila euro (senza neanche i vantaggi dell'Art Bonus essendo stranieri) e un'unica richiesta: "questo gruppo di imprenditori giapponesi, del campo dell'editoria, vuole rimanere anonimo e misterioso", dice la Soprintendente. 

Cosi' a settembre 2015 sono partiti i lavori, condotti dal Consorzio Kavalik. "La battaglia piu' difficile - racconta il restauratore Antonio Giglio, che vi ha lavorato con Alessandro Ferradini e Kristian Schneider - e' stata contro la vegetazione. Da un lato dovevamo eliminare i depositi delle alghe, con potenti biocidi in modo che non tornassero a crescere. Dall'altro, volevamo risparmiare le piante delle nicchie". 

Si e' intervenuto poi sul mosaico del Tritone, piccolo gioiello di epoca romana "probabilmente ricavato da una piu' ampia pavimentazione di un edificio, forse, termale" che per un cedimento del supporto una dopo l'altra iniziava a perdere le sue millenarie tessere bianche e nere. 

Ed ecco la sorpresa: "eravamo abituati a vedere il Ninfeo tutto di un colore con la pavimentazione ormai nera", dice la Russo. 

"Eppure qualche anziano dipendente di Villa Giulia - prosegue Giglio - raccontava di colori. E anche antichi disegni suscitavano dubbi"

Pulitura dopo pulitura, eccoli riemergere: un ventaglio di marmi policromi, dal giallo antico al verde e pavonazzetto, venati di bianco, massima espressione di raffinatezza nella moda del cinquecento, a esaltare invce la bianchissima bellezza delle otto Cariatidi erette a emiciclo.

 "Che non sono tutte uguali - sottolinea Giglio - Noi le abbiamo sempre viste molto serie. Invece le quattro in seconda fila ridono palesemente". 

Il motivo "dovremmo chiederlo a uno storico dell'arte. Forse - ipotizza la Russo - simboleggiano il dualismo della tragedia e della commedia nell'antichita' classica", tanto piu' che il Ninfeo, in origine ricco anche di decorazioni, nacque proprio come teatro d'acque per attori e musici. "Oggi - conclude la Russo - ha ripreso vita. Basta guardarlo per immaginare i banchetti di Papa Giulio III, quando qui venivano il Vasari, Michelangelo, altissimi intellettuali". E i misteriosi donatori? "Sono rimasti a bocca aperta, felicissimi. Ma, sempre avvolti nel mistero. Non hanno voluto nemmeno un'inaugurazione ufficiale perche' li ringraziassimo".

fonte ANSA

26/02/16

Ricerca: Michelangelo aveva un'osteoartrite.


Michelangelo aveva un'osteoartrite delle mani, una patologia degenerativa che colpisce le articolazioni, usurando cartilagine ed osso e provocando dolore e rigidità. 

Alla base di questa patologia, potrebbe esserci l'uso prolungato di martello e scalpello, dovuti alla sua intensa attività di scultore. 

E' questa la diagnosi contenuta in un recente studio, pubblicato sul Journal of the Royal Society of Medicine, che ha analizzato tre ritratti dell'artista e la sua vasta corrispondenza con parenti ed amici. 

Tutti e tre i dipinti ritraggono un Michelangelo di età compresa tra 60 e 65 anni e mostrano le piccole articolazioni della mano sinistra affette da alterazioni degenerative non-infiammatorie, che possono essere interpretate come artrosi. 

Sabato 27 Febbraio alle ore 11,00 presso il Complesso Monumentale di Santo Stefano al Ponte (Firenze), dove è in corso la mostra "BODY WORLDS", il gruppo di ricerca autore dello studio, composto da Davide Lazzeri e Manuel Francisco Castello (specialisti in chirurgia plastica ed estetica ed esperti del settore), Donatella Lippi (Professore di Storia della Medicina,Università degli Studi di Firenze), Marco Matucci-Cerinic, (Direttore Unità Operativa di Reumatologia Ospedale Careggi, Università degli Studi di Firenze) e George M. Weisz, (emerito di ortopedia ed esperto del settore) parlerà dell'indagine e delle conseguenze che questa malattia ha potuto avere sull'opera di Michelangelo, insieme a Cristina Acidini (Presidente dell'Accademia delle Arti del Disegno di Firenze) e Fabio Di Gioia (curatore italiano di BODY WORLDS).


24/02/14

450 anni dalla morte di Michelangelo. Nuovo allestimento delle sale agli Uffizi.





In occasione del 450° anniversario della morte di Michelangelo Buonarroti, è stato presentato il nuovo allestimento delle Sale 33-34 della Galleria degli Uffizi, titolate, rispettivamente, I Ritratti greci e L’Antico e il Giardino di San Marco.

Come ha commentato Antonio Natali, Direttore degli Uffizi, Nel 2014 saranno 450 gli anni trascorsi dalla morte del Buonarroti, e agli Uffizi – museo che ospita l’unica opera certa di lui dipinta su tavola – si sentiva il dovere di rammentarlo. È parso, dunque, che la maniera migliore per celebrare l’anniversario della morte di Michelangelo fosse quella di far precedere la sala di lui (e d’altri artefici cresciuti alla scuola del Magnifico, compreso il poco più grande Granacci) da una stanza allestita con marmi e gessi capaci di richiamare il mitico ‘Giardino di San Marco’ e di far da introibo al nucleo dei maestri fiorentini – capintesta il Buonarroti – raccolto nella stanza ampia immediatamente successiva

In questa occasione, con l’apertura delle sale 33-34 degli Uffizi, si completa dunque un progetto delineato già nel 2012, quando si decise di finanziare il nuovo assetto della sala 35, detta di Michelangelo, che conserva al suo interno il Tondo Doni, l’unica prova certa su tavola del suo talento pittorico. 

Le Sale 33-34, le cui pareti di colore verde ricordano quello delle pitture di Paolo Uccello, si trovano al secondo piano della Galleria degli Uffizi, e prima dell’attuale sistemazione accoglievano quadri toscani della seconda metà del Cinquecento e lombardi. 

I due locali precedono la sala 35, detta Sala di Michelangelo, che conserva il Tondo Doni ed evocano il ‘Giardino di San Marco’, il luogo che Lorenzo il Magnifico volle istituire per educare alle arti i giovani artisti fiorentini, tra cui lo stesso Buonarroti.

 “Sono due sale contigue fra di loro, ma profondamente diverse per temi affrontati e impianto - afferma Fabrizio Paolucci, direttore del Dipartimento di Antichità Classica della Galleria degli Uffizi. La prima, che volutamente riecheggia il perduto “gabinetto degli uomini illustri” di lanziana memoria, si propone di restituire al visitatore la genesi di quella che fu una delle più grandi conquiste dell’arte classica: il ritratto fisiognomico”. 

Qui si trova una selezione di marmi, repliche di età romana da originali databili fra il V e il III secolo a.C., da sempre nelle collezioni granducali.

I rilievi conservati in questa sala, anticamente destinati a impreziosire le pareti delle domus italiche, offrono prove dell’abilità nel riprodurre l’iconografia e lo stile degli archetipi del V secolo a.C., divenuti modelli normativi per il gusto dell’epoca. Il secondo ambiente è dedicato al ‘Giardino di San Marco’. 

“Questa sala - continua Paolucci - vuole ricordare l’eccezionalità di un luogo divenuto, per volontà di Lorenzo il Magnifico, sede di un’esclusiva accademia votata allo studio dell’Antico. Qui giovani scultori e pittori, quali Leonardo, Francesco Granacci, Lorenzo di Credi, Baccio da Montelupo, Andrea Sansovino, oltre allo stesso Michelangelo, avevano avuto la possibilità di “riconquistare” i valori dell’arte classica grazie alla guida di un esperto restauratore di ‘anticaglie’ quale Bertoldo di Giovanni”. 

L’atmosfera di quel luogo viene rivissuta attraverso una scelta di opere che ricordano i soggetti visti dai frequentatori dell’accademia laurenziana e, in particolare, da Michelangelo. I sarcofagi con scene mitologiche, le teste di satiro o l'amorino dormiente visibili in questa sala, evocano le sculture realizzate dal Maestro in quegli anni.

fonte CLPonline.

15/02/14

Michelangelo e il Monte dell'Altissimo .




Il 18 febbraio 1564, all’età di 88 anni, Michelangelo Buonarroti muore nella sua casa romana. 

A 450 anni dalla sua morte si ricorda uno degli episodi più importanti e tormentati della sua vita: il sogno mai realizzato di cavare e rifornirsi gratuitamente dello statuario del Monte dell’Altissimo, nel territorio lucchese, in Alta Toscana. 

Dopo aver ottenuto l’incarico per la realizzazione della facciata della Chiesa Fiorentina di San Lorenzo, obbedendo alla volontà di Leone X (Giovanni dei Medici), Michelangelo, nel 1518 inizia a costruire la strada che sarebbe servita per raggiungere i bacini marmiferi dell’Altissimo. 


Seguendo un’intuizione pari alla sua capacità di svelare le figure celate nei blocchi di marmo, il Buonarroti percepisce le potenzialità e la qualità del marmo racchiuso nelle cave dell’Altissimo, uno statuario ancora più bello e prezioso di quello carrarino: di grana unita, omogenea, cristallina, e ricorda lo zucchero. Michelangelo qui desidera cavare e far cavare ogni et qualunque quantità di marmi o di qualunque altra miniera in decte montagne dello Altissimo, et loro vicine circustanze

Il Monte, un bacino marmifero di enorme ampiezza era ripieno di marmi in tutte le parti che ve n’è da cavare fino al giorno del Giudizio.

Nel dare il via alla sua impresa più ambiziosa, e consapevole del grande tesoro custodito dalla montagna, Michelangelo aveva chiesto e ottenuto, non senza penare, dall’Opera di Santa Maria del Fiore e dai Consoli dell’Arte del Lana di potersi rifornire gratuitamente e per tutto il resto della sua vita di marmi dell’Altissimo, una volta che fosse riuscito a mettere in esercizio quelle cave. 


Malauguratamente un “breve” di papa Leone X del 20 di febbraio 1520 sollevava Michelangelo dall’incarico della costruzione della strada

Per l’artista, giunto alla soglia dei quarantacinque anni e attento imprenditore di se stesso, ciò fu motivo di grande delusione. Ricordava il Vasari nella “Vita” che a Michelangelo …convenne fare una strada di parecchi miglia fra le montagne

Ma il sogno di Michelangelo, da lui mai realizzato, prese forma. 

Nei quasi cinquecento anni che separano l’inizio della costruzione della strada dell’Altissimo il bacino marmifero di Seravezza ha donato un capitolo sostanzioso alla storia, all’arte e all’architettura mondiali. 

 Le cave dell’Altissimo vengono raggiunte dalla strada che si completò per volere di Cosimo I dei Medici nel 1567, che riusciva, laddove aveva fallito il divino Michelangelo, a dare il via all’estrazione di quei marmi bianchi che “…producono colonne alte più di 50 cubiti”. 

Di quel marmo, che il Buonarroti sognava già per la facciata di San Lorenzo in Firenze, venne calato alla marina nel 1569 il primo blocco fra l’esultanza del popolo seravezzino che vedeva, nel discendere del carro a valle, l’inizio di un’attività economica rilevante per la comunità. 

Fu il Giambologna a realizzare la prima figoura di marmi bianco ocire fuora di quel monto del Haltissimo la “Fiorenza”, o Vittoria, oggi al Bargello. 

Al disegno di Michelangelo e di Cosimo I seguì quello di Francesco I dei Medici. Le cave di Seravezza rappresentavano un vero patrimonio. 

Nel sunto storico della cava si intersecano anche periodi di abbandono, ma una nuova vita ha inizio con l'arrivo nelle Apuane del Signor Jean Baptiste Alexandre Henraux nel 1820. Il Signor Henraux è Soprintendente Regio alla scelta e acquisto dei marmi bianchi e statuari di Carrara per i monumenti pubblici nella Francia di Napoleone

E il Signor Henraux che visita le cave di Michelangelo stringe la storia degli ultimi duecento anni del Monte dell’Altissimo al suo stesso nome, e da attento imprenditore quale è dona nuova vita al bacino marmifero seravezzino. 

Sono numerose e importanti le opere portate a compimento con i marmi dell’Altissimo, dall’epoca di Cosimo e di Francesco dei Medici le pagine di storia dell’arte e dell’architettura si arricchiscono considerevolmente con i materiali estratti dalle cave. 

Ma dal 1821 Monsieur Henraux traccia la via a commesse di notevole prestigio, come quella del 1845 per lo Zar di Russia che ordinava grandi quantità di marmo per la costruzione della Cattedrale di Sant’Isacco a Pietroburgo. Anche Auguste Rodin fu ospite di Henraux a Querceta. 

L’Altissimo è un importante comprimario di quel genio dell’uomo che costruisce bellezza. Da qui iniziano storie di opere e capolavori dell’arte concepiti da artisti, per citarne alcuni in epoca moderna o contemporanea, quali Henry Moore, Hans Jean Arp, Joan Mirò, Antoine Poncet, Jacques Lipchitz, Rosalda Giraldi, lsamu Noguchi. 

E ancora le cave dell'Altissimo, come profetizzato da Michelangelo, continuano a fornire materiale per la realizzazione di grandi opere in tutto il mondo: da qui sono stati realizzati numerosi progetti quali il pavimento policromo della Basilica di San Pietro, o la ricostruzione della chiesa Abbaziale di Montecassino come, più recentemente la Grand Mosque per lo Sceicco Zayed Bin Sultan al Nayhan II ad Abu Dhabi, il Campus Exxon Mobile a Houston (detto anche Delta project), e negli Stati Uniti il Devon Energy World Center, One Market Plaza a San Francisco e molti altri.

Ancora oggi le cave sono proprietà della Henraux Spa e della Fondazione Henraux ad esso collegata.