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24/10/12

Crisi delle religioni e isolamento individuale (nelle questioni ultime).




Nessuno più parla del termine alienazione - così in voga nel Novecento - corollario che sembrava quasi indistinguibile da quello di modernità.

Eppure sintomi diversi di alienazione - il disagio dell'uomo nell'età moderna, ormai lontano dalle radici e dal contesto naturale - continuano a manifestarsi e riguardano l'essenza stessa dell'umano: le domande fondamentali alla base di ogni coscienza.  

La crisi delle religioni - soprattutto nell'aspetto della pratica collettiva - sta portando e porta infatti come effetto collaterale anche quello di sospingere ogni tema meta-fisico - la percezione di esso, nell'ambito strettamente individuale.

Ciascuno è incoraggiato, invitato - dal mondo in cui vive - e in certi casi perfino costretto a sbrigare questo radicale confronto nell'appartato mondo del proprio sé.  

Ciò comporta che di temi metafisici - che in definitiva sono quelli che più ci occupano mentalmente durante la vita (chi siamo, perché siamo qui, dove andiamo a finire, esiste dio) non è più conveniente parlare in pubblico. Anzi, questi temi sono caldamente banditi da ogni consesso pubblico e il nuovo conformismo prevede che debbano essere vissuti interiormente e individualmente.

Tale tendenza - è appena il caso di sottolineare che per molti secoli non è stato così, i temi metafisici venivano con-divisi socialmente - porta ad un sempre crescente isolamento e in definitiva ad una sempre crescente infelicità, perché ogni uomo è lasciato solo a ruminare i suoi dubbi, i suoi scoramenti, la sua inadeguatezza di fronte all'incomprensibile e all'infinito.

La nuova umanità - vagheggiata -  comincerebbe da qui: da una nuova possibilità che su queste vicende ultime, e essenziali, ogni uomo possa ritornare ad aprire - senza paura - il suo cuore (oltre che la sua mente) e la sua bocca. 

Fabrizio Falconi

24/06/10

Saramago, un grande maestro, e il cattivo trattamento dell'Osservatore Romano.


Davvero sono rimasto piuttosto basito nel leggere il commento che l'Osservatore Romano ha dedicato alla scomparsa di José Saramago, quello che secondo molti - compreso chi vi scrive - era il più grande scrittore contemporaneo.

Con il titolo L'onnipotenza (presunta) del narratore, il quotidiano vaticano ha dedicato un duro pezzo di commiato - completamente privo fra l'altro di qualunque pìetas - al grande scrittore, premio Nobel, nel quale si legge fra l'altro: un uomo e un intellettuale di nessuna ammissione metafisica, fino all'ultimo inchiodato in una sua pervicace fiducia nel materialismo storico, alias marxismo. Lucidamente autocollocatosi dalla parte della zizzania nell'evangelico campo di grano, si dichiarava insonne al solo pensiero delle crociate, o dell'inquisizione, dimenticando il ricordo dei gulag, delle 'purghe', dei genocidi, dei samizdat culturali e religiosi.

Ora io dico: ma come si fa ad essere così ciechi ? Davvero quelli dell'Osservatore sembrano usciti dal romanzo-capolavoro di Saramago: Cecità.

Chi minimamente conosca l'opera (e anche la vita) di Saramago, sa che - pur dichiarandosi e professandosi ateo - egli ha sempre avvicinato e attraversato il mistero metafisico, in ogni opera. Anche Cecità è un grande affresco metafisico, dove tutto ciò che accade può essere letto come una grande parabola sulla verità e sulla presunzione umana di credere soltanto a ciò che si vede.

Ma poi come non ricordare tutte le grandi opere nelle quali Saramago ha affrontato a suo modo la figura di Cristo, o di Maria. Tutta la sua opera letteraria non esisterebbe se non fosse esistito il cristianesimo: tutta la sua opera è un dialogo - a tratti sfrontato, assoluto, provocatorio, ma anche rispettoso, mai volgare, mai pretestuoso - con il cristianesimo.

L'Osservatore, invece di scagliare il suo anatema contro i grandi dissolutori di princìpi che scorrazzano liberamente nel confuso mondo di oggi, spesso mascherandosi proprio dietro le sembianze di attributi pii, sbaglia ancora una volta obiettivo, e spara a zero, nel giorno della sua morte, contro un grande spirito libero che forse - più di ogni altro - aveva davvero nostalgia di Dio.


07/01/09

Benedetto XVI - Il Cosmo non è governato da una forza cieca.


Penso che l'intera omelia di Benedetto XVI, ieri mattina, nella Basilica Vaticana, per la Messa dell'Epifania, meriterebbe di essere letta e meditata (la trovate nella sua interezza cliccando qui ). Uno sguardo ad ampio raggio su orizzonti davvero inusuali, per un Papa. E di una ricchezza speculativa notevole. Ve ne riferisco qui di seguito una rapida sintesi, postata dall'agenzia Zenit:

Benedetto XVI ha raccolto questo martedì, solennità dell'Epifania, la lezione lasciata da Galileo Galilei al pensiero: l'universo non è governato da una forza cieca, ma dall'Amore.

Nell'omelia della Messa in cui i credenti ricordano i Magi, esperti di astronomia, giunti a Betlemme guidati da una stella, il Papa ha ricordato che nel 2009 si celebra il quarto centenario delle prime osservazioni di Galileo grazie al telescopio.

Questo anniversario ha portato l'UNESCO a proclamare l'Anno Mondiale dell'Astronomia.

Benedetto XVI ha affermato che in questo momento si verifica “una nuova fioritura” in questo campo, “grazie alla passione e alla fede di non pochi scienziati, i quali – sulle orme di Galileo – non rinunciano né alla ragione né alla fede, anzi, le valorizzano entrambe fino in fondo, nella loro reciproca fecondità”.

“Il pensiero cristiano paragona il cosmo ad un 'libro' – così diceva anche lo stesso Galileo –, considerandolo come l’opera di un Autore”, ha aggiunto nella sua omelia.

Secondo questo libro, ha affermato, “è l’amore divino, incarnato in Cristo, la legge fondamentale e universale del creato. Ciò va inteso invece in senso non poetico, ma reale”.

“Così lo intendeva del resto lo stesso Dante, quando, nel verso sublime che conclude il Paradiso e l’intera Divina Commedia, definisce Dio 'l’amor che move il sole e l’altre stelle'”.

“Questo significa che le stelle, i pianeti, l’universo intero non sono governati da una forza cieca, non obbediscono alle dinamiche della sola materia”.

“Non sono, dunque, gli elementi cosmici che vanno divinizzati, bensì, al contrario, in tutto e al di sopra di tutto vi è una volontà personale, lo Spirito di Dio, che in Cristo si è rivelato come Amore”, ha spiegato.

Per questo motivo, ha constatato, gli uomini non sono schiavi degli “elementi del cosmo”, “ma sono liberi, capaci cioè di relazionarsi alla libertà creatrice di Dio”.

“Egli è all’origine di tutto e tutto governa non alla maniera di un freddo ed anonimo motore, ma quale Padre, Sposo, Amico, Fratello, quale Logos, 'Parola-Ragione' che si è unita alla nostra carne mortale una volta per sempre ed ha condiviso pienamente la nostra condizione, manifestando la sovrabbondante potenza della sua grazia”.
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