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15/12/21

Chi era il "guru" che sedusse Carlos Santana e John Mc Laughlin e che fruttò uno degli album più rivoluzionari della musica?

 

I cultori della musica hanno una vera adorazione per Love Devotion Surrender, uno degli album più innovativi della musica contemporanea, pubblicato nel 1973 da due dei più grandi chitarristi di sempre: Carlos Santana e John McLaughlin, con il sostegno delle rispettive band, Santana e The Mahavishnu Orchestra. 

Come si sa, l'album si ispirò direttamente agli insegnamenti di Sri Chinmoy o più esattamente, Chinmoy Kumar Ghose, filosofo, poeta e artista indiano, nato a Boalkhali nel 1931 e morto a New York nel 2007. Maestro spirituale Sri Chinmoy, rifacendosi ad alcune tradizioni hindu, già dagli anni '70 praticò e diffuse in Occidente la meditazione, la recitazione di mantra, la preghiera e la pratica sportiva anche estrema quali vie personali per aspirare all'illuminazione, intesa come realizzazione in Dio.

L'album fu inoltre, un tributo al grande John Coltrane: contiene infatti due composizioni di Coltrane, due canzoni di McLaughlin e una canzone gospel tradizionale arrangiata da Santana e McLaughlin. 

Santana e McLaughlin, all'epoca alla ricerca di nuove vie musicali sperimentali, erano stati discepoli di Sri Chinmoy, e il titolo stesso dell'album riecheggia i concetti di base della filosofia di Chinmoy, che si concentrava su "amore, devozione e resa"

Chinmoy così parlò dell'album e del concetto di resa : Sfortunatamente, in Occidente la resa è fraintesa. Sentiamo che se ci arrendiamo a qualcuno, allora lui lo dominerà su di noi... Ma dal punto di vista spirituale... quando il finito entra nell'Infinito, diventa l'Infinito tutto in una volta. Quando una piccola goccia entra nell'oceano, non possiamo rintracciare la goccia. Diventa il potente oceano. 

Per entrambi i musicisti, l'album arrivò in un momento di transizione spirituale e delle loro carriere, iniziate assai precocemente (Santana si esibì praticamente ventenne sul palco di Woodstock):  Love Devotion & Surrender era una "ricerca molto pubblica del loro sé spirituale". 

Carlos Santana stava passando dal rock al jazz e alla fusion, vivendo un "risveglio spirituale", mentre McLaughlin stava per sperimentare lo scioglimento della Mahavishnu Orchestra dopo essere stato criticato da altri membri della band. 

Santana considerava McLaughlin un maestro musicale e fu proprio McLaughlin a presentare Santana a Sri Chinmoy nel 1971, con il guru che gli conferì il nome "Devadip".

I due iniziarono a suonare e registrare insieme nel 1972. 

Secondo il suo biografo Marc Shapiro, Santana aveva molto imparare da McLaughlin: "Si sedeva per ore, affascinato dai nuovi modi di suonare che McLaughlin gli stava insegnando", e la sua nuova spiritualità ebbe il suo effetto sulla musica: "la sensazione era che la ritrovata fede di Carlos fosse presente in ogni groove ." 

Fu la nascita di un album per molti versi leggendario. 




17/03/21

Libro del Giorno: "Il silenzio" di Erling Kagge

 


Mi sembra che la nostra epoca sia, più di ogni altra cosa, l'epoca della interruzione. Tutte le nostre vite sono diventate frammentate, continuamente interrotte. Mentre siamo impegnati a fare qualcosa, siamo costantemente distratti e interrotti dalle notifiche dello smartphone, di ogni tipo, dalle telefonate, dai messaggi, dalle mail della posta elettronica, dall'aggiornamento del pc, dalle chat in continua proliferazione.  

Parlare di silenzio nella nostra epoca è dunque quanto mai opportuno e in un certo senso coraggioso.

In media, secondo uno studio, perdiamo la concentrazione ogni otto secondi: la distrazione è ormai uno stile di vita, l’intrattenimento perpetuo un’abitudine

E quando incontriamo il silenzio, lo viviamo come un’anomalia; invece di apprezzarlo, ci sentiamo a disagio. 

Erling Kagge, al contrario, del silenzio ha fatto una scelta

Grazie alla sua passione di viaggiatore estremo, nei mesi trascorsi nell’Artide, al Polo Sud o in cima all’Everest, ha imparato a fare propri gli spazi e i ritmi della natura, e a immergersi in un silenzio interiore, oltre che esteriore: un immenso tesoro e una fonte di rigenerazione che tutti possediamo a cui è però difficile attingere, immersi come siamo dal frastuono della vita quotidiana

Ma che cos’è il silenzio? Dove lo si trova? E perché oggi è piú importante che mai? 

Queste sono le tre domande che Kagge si pone, e trentatre sono le possibili risposte che offre. 

Trentatre riflessioni scaturite da esperienze, incontri e letture diverse, e tutte animate da un’unica certezza: che il silenzio sia la chiave per comprendere piú a fondo la vita.

Cercare il silenzio. Non per voltare le spalle al mondo, ma per osservarlo e capirlo. Perché il silenzio non è un vuoto inquietante ma l'ascolto dei suoni interiori che abbiamo sopito.


Il silenzio. Uno spazio dell'anima 

06/08/19

Libro del Giorno: "Dove va l'anima dopo la morte" di Cesare Boni




Al contrario di molti libri futili pubblicati sull'argomento, questo volume è uno studio serio, erudito, profondo e comparato dei più grandi testi sapienziali di tutte le tradizioni che descrivono, istante per istante, il viaggio dell'anima dopo la morte, una ricerca condotta meticolosamente da uno dei più brillanti tanatologi italiani. 

E dunque quest'opera non è affatto di facile lettura. 

Ma se si ha costanza e voglia di conoscenza, spalanca notevoli orizzonti.

Cesare Boni, già docente alla Scuola di Specializzazione in "Psicologia del Ciclo della Vita" ed insegnante nei Corsi di Perfezionamento dell'Università Statale Federico II di Napoli, ha insegnato nelle più prestigiose scuole di psicologia in Italia e nel "Master in psicologia oncologica" dell'Ospedale Bellaria di Bologna. e in questo libro ha condensato le pratiche di conoscenza della vita e della morte e dell'accompagnamento del morente maturata sul campo in numerosi grandi ospedali italiani.

Boni parte anche da esperienze personali approfondite poi in lunghe permanenze in India e in numerosi convegni universitari in Italia e all'estero, collaborando con l'Università di Roma "La Sapienza", con quelle di Parma, Magonza (Spagna), Monaco di Baviera (Germania), New Delhi, Mumbai e Varanasi (India).

La morte come si sa, è divenuta, nel mondo contemporaneo l'ultimo dei grandi tabù.  Della morte, sempre in Occidente, è divenuto sempre più difficile parlare. Come altrettanto difficile è parlare, informare, diffondere conoscenza sul cammino di avvicinamento della morte e su quello che le grandi tradizioni sapienziali e quelle spirituali dicono sul post-mortem (in alcune parti rilevanti suffragate dalle testimonianze di coloro che hanno vissuto esperienze di pre-morte, le cosiddette NDE, Near Death Experience). 

L'Occidente ha un ossessivo timore per un processo che non conosce: è ossessionato dal mito dell'eterna giovinezza, vede la morte come la fine della vita, e dunque la tratta come un argomento tabù. 

Eppure i grandi libri sapienziali di tutte le tradizioni e i grandi saggi di ogni epoca dicono esattamente l'opposto, descrivendo una dimensione eterna della vita, che già esisteva ben prima della nascita e che non finirà con la nostra morte. 

Cesare Boni in questo testo più volte ristampato, ripercorre l'affascinante cammino di conoscenza delle pratiche di pre e post-morte, confrontate con  le teorie dei maggiori studiosi di questa fase dell'esistenza umana, il professor Moody, la dottoressa Kübler-Ross e il dottor Melvin Morse. 

Dalle oltre 400 pagine di questo libro si esce affascinati dalla constatazione del pozzo di misteri nel quale la nostra vita terrestre è calata, ma anche fortificati dalle massime sapienziali di culture antichissime che hanno indagato ad Oriente, come ad Occidente, i limiti della vita, o meglio - come direbbe l'autore - l'altra faccia della vita, perché la morte, se soltanto vi si riflette, non è qualcosa di separato dalla vita, ma qualcosa che è essenzialmente legato alla vita, dal suo punto di vista più naturale. 

Come scrive Mario Mastropaolo nella prefazione: "Il libro è un racconto attendibile e circostanziato del viaggio che attende l'anima, una volta lasciato il corpo, verso il compimento del suo destino: la fusione con la Luce. Intriso della tristezza del distacco, struggente per l'inevitabilità dell'evento e nello stesso tempo gioioso, aperto, fiducioso della realtà ultima dell'uomo."

Un viaggio, insomma, che è necessario prepararsi immediatamente, dopo aver preso coscienza della dimensione dualistica dell'esistere e di quella profonda nostalgia per l'unità perduta che viene continuamente espressa dal tentativo di confluire nell'indifferenziato senza aver raggiunto la piena consapevolezza della separazione e della disperazione che ne consegue.

Fabrizio Falconi



02/01/15

La meditazione e il Campo Unificato - una esperienza trascendente.



Chi sperimenta le tecniche di meditazione - in particolare quella trascendentale, formalizzata nei suoi canoni da Maharishi Manesh Yogi nella seconda metà del Novecento - sa che nella radicata tradizione vedica, vecchia di 10.000 anni si può raggiungere un contatto con il cosiddetto Atman, quel soffio vitale o energia, che la psicologia occidentale identifica con il , il nucleo più autentico dell'individuo, in contatto con il mondo inconscio archetipico. 

La scienza, la fisica moderna è al lavoro sulla identificazione del Campo unificato, sulla base di quella intuizione di Albert Einstein, che passò gli ultimi anni della sua vita alla ricerca di una teoria di unificazione dei campi (oggi chiamata variamente Teoria del tutto) in grado di tenere insieme la gravità e l'elettromagnetismo, insieme o oltre la legge della relatività generale.   

Oggi molti teorici sono convinti dell'esistenza di questo Campo unificato, per la dimostrazione del quale mancano alcuni definitivi tasselli sperimentali, una specie di campo delle possibilità (la meccanica quantistica è già realtà, si lavora alla supersummetria) dove ogni particella è sospesa tra esistenza e non esistenza, una sorta di mare quantico, misteriosa origine di ogni cosa, visibile ed invisibile. 

La possibilità di accedere (intuitivamente, ma anche concretamente) a questo campo sottostante la nostra stessa vita individuale è una possibilità che offrono le tecniche di meditazione. 

Ed è un peccato non approfittarne, anche per comprendere come sia molto labile il confine delle nostre occupazioni e pre-occupazioni quotidiane e come in fondo il nostro irrompere sulla scena del mondo sia molto.... relativo (per dirla con Einstein), ma allo stesso tempo molto collegato a una rete molto più ampia di quello che possiamo anche soltanto immaginare.

Fabrizio Falconi


12/09/14

"Consumiamo Internet per coprire la nostra solitudine" - Intervista a Thich Nhat Hahn.


riporto l'intervista realizzata da Claudio Gallo de La Stampa a Thenac, in provincia di Bordeaux a Thich Nhat Hanh, uno dei grandi maestri spirituali contemporanei, e pubblicata il 9 settembre scorso.  

Scorre sul finestrino del treno la campagna francese tra Bordeaux e Bergerac, filare dopo filare tra boschi e prati verdissimi che riflettono un’idea di potente dolcezza. È la stessa forza gentile che sembra di ritrovare negli insegnamenti di Thich Nhat Hanh. Monaco buddhista vietnamita, vive insieme con la sua comunità monastica al Plum Village, sulle colline intorno al minuscolo paese di Thenac. Tutti lo chiamano Thay, maestro semplicemente. Ottantotto anni, il volto severo che all’improvviso fiorisce in un sorriso contagioso di fanciullo, fu esiliato dal Vietnam del Sud nel 1973. Scelse l’Occidente, dove era già apprezzato da Martin Luther King e Thomas Merton, conosciuti nei suoi tour americani in favore della pace. In oltre un centinaio di libri ha creato un insegnamento buddhista rivolto agli occidentali, basato sulla Mindfulness: consapevolezza, presenza mentale. Assieme al Dalai Lama è forse il buddhista più celebre nel mondo, ha centri in ogni continente e un seguito di centinaia di migliaia di persone. Non chiede ai suoi seguaci occidentali di abbandonare la propria religione. Tra i quasi settecento italiani presenti al ritiro di fine agosto, molti infatti erano cristiani. 

Thay, che cos’ha da offrire il suo buddhismo alla generazione digitale, ai giovani che stanno tutto il giorno su Internet?  
«Oggi i giovani passano troppo tempo su Internet, questa è una malattia del nostro tempo. Quando passiamo tre ore davanti al computer ci dimentichiamo completamente di avere un corpo. Internet è uno strumento che può essere di grande beneficio o portarci molti problemi. Utilizzare Internet è un tipo di consumo. Consumiamo attraverso le idee, le immagini e i suoni con cui veniamo in contatto e questi possono essere elementi salutari o tossici. Le persone sono spesso sopraffatte dal numero di informazioni che ricevono su Internet. Molti di noi possono sviluppare una vera e propria dipendenza dall’essere online. Perdiamo noi stessi in questo mare di informazioni e quindi non siamo presenti per noi stessi, per i nostri cari e per la natura. Ci illudiamo pensando che rimanendo su Internet possiamo connetterci con gli altri, ma in realtà ci sentiamo sempre più soli. La consapevolezza ci aiuta prima di tutto a moderare il tempo che passiamo su Internet, e allo stesso momento ci aiuta a sapere se quello con cui entriamo in contatto è benefico o se ci fa sentire ancora più disperazione e solitudine. Consumiamo Internet per coprire la nostra solitudine, ma in realtà ci fa sentire sempre peggio. Molto spesso, quando consumiamo news, film, pornografia e pubblicità, stiamo consumando rabbia, violenza, paura e desiderio». 

Il buddhismo considera l’individuo un’illusione: c’è ancora posto in questa visione per la distinzione tra bene e male?  
«Nel XX secolo l’individualismo è stato messo in primo piano e questo ha creato molta sofferenza e difficoltà. Creiamo una separazione tra noi stessi e gli altri, tra padre e figlio, tra uomo e natura, tra una nazione e l’altra. Non siamo consapevoli dell’interconnessione tra noi stessi e tutto ciò che ci circonda. Quest’interconnessione è quello che nel buddhismo chiamiamo “interessere”. Il cammino etico che ci viene offerto dal buddhismo si basa sulla comprensione profonda dell’interessere. Quello che succede all’individuo influenza quello che accade in tutta la società e sull’intero pianeta. Su questo cammino la pratica della presenza mentale ci aiuta a fare una distinzione tra ciò che è bene e male, giusto e sbagliato. Quando siamo consapevoli possiamo vedere i danni che sono stati causati agli animali e al pianeta al fine di produrre carne per il nostro consumo. Con questa consapevolezza mangiare cibo vegetariano diventa un atto di amore verso noi stessi, verso il nostro ecosistema e il pianeta. Molti di noi rincorrono la fama, il potere, i soldi o il piacere dei sensi. Pensiamo che queste cose ci possano portare la felicità, ma al contrario ci possono portare a distruggere il nostro corpo e la nostra mente. Spesso i giovani confondono il sesso con il vero amore, ma in realtà una sessualità vuota può distruggere l’amore, e portare ancora più desiderio, solitudine e disperazione. La presenza mentale ci aiuta a sviluppare la nostra comprensione riguardo l’altra persona. Il vero amore non può esistere senza comprensione». 

È possibile superare la paura della morte?  
«La radice della paura è la nostra visione erronea per quanto riguarda la natura della morte. Abbiamo paura della morte perché pensiamo che una volta morti diventeremo il nulla. La scienza moderna ci insegna che nulla si crea, nulla si perde e che tutto si trasforma. Osservando una nuvola possiamo chiederci se possa morire. Può una nuvola da qualcosa diventare nulla? Osservando in profondità, possiamo vedere che la nuvola può solo diventare pioggia, neve, grandine e poi di nuovo vapore acqueo. Anche la nostra natura è come quella della nuvola. Proprio come la pioggia e la neve sono la continuazione della nuvola, le nostre azioni di corpo, parola e mente ci continuano sempre». 


intervista realizzata da Claudio Gallo de La Stampa a Thenac a Thich Nhat Hanh, pubblicata il 9 settembre scorso.

18/05/14

La poesia della Domenica - 'E qual è il sentiero?' di Ezra Bayda.




E qual’è il sentiero?
Impara ad abitare ciò che la vita propone.
Impara a prestare attenzione alle cose
che bloccano il flusso di una vita più aperta
e vederle come la vera via del risveglio:
costrutti, identità,
esitazioni, difese,
paure, autocritiche e accuse,
tutto ció che ci separa dall’accettare la vita.

E qual’è il sentiero?
Rinunciare alla ricerca di consolazione
e alla fuga dal dolore.
Aprirsi alla volontà di essere
semplicemente in questo istante
così com’è.
Non più tanto pronti a cadere
nel vortice inarrestabile della mente.
Praticare è risvegliarsi al vero Sé:
nessuno in particolare, nessuna meta.
Abitando nel cuore, basta essere.

Siamo tanto di più che questo corpo,
che questo dramma personale.
Abbarbicati alla paura,
alla vergogna, al dolore,
perdiamo la gratitudine di una vita spontanea.

Come si manifesta, adesso, il nostro aggrapparci alle opinioni?

Rilassando il giudizio incessante della mente ci risvegliamo al cuore che cerca il risveglio.

E quando si alza il velo della separazione,
La vita si rivela come vuole.
Liberi dal sogno autocentrato
possiamo donarci agli altri,
come un uccello bianco nella neve.

Il tempo vola.
Non esitare.
Accogli grato questa vita preziosa.



Ezra Bayda, tratto da Cuore Zen.

14/01/14

La paura di soffrire - Corrado Pensa.







Un ingrediente essenziale di tutti gli stati mentali negativi o difficili sembra essere la paura, cioè la paura di soffrire.

Paura di imbattersi nello spiacevole, paura di perdere il piacevole.

Spesso noi assomigliamo a una persona che si è barricata in casa e che impiega tutta la propria energia a cercare di impedire che un gruppo di suoi prigionieri (cose piacevoli) possa fuggire e, contemporaneamente a tentare di impedire l'entrata in casa a visitatori ostili (cose spiacevoli).

E malgrado il fatto  che i prigionieri continuano a evadere e che i visitatori continuano a fare irruzione, noi non rinunciamo al nostro vano tentativo e non ci rendiamo conto che, in realtà, c'è un solo vero prigioniero e siamo noi.

Non comprendiamo, cioè, che la nostra paura di soffrire è una fonte primaria di sofferenza, poiché essa o crea sofferenza, oppure intensifica notevolmente la sofferenza obiettiva.

Ora, aprirsi gradualmente allo spiacevole in noi e fuori di noi, e, più sottile e importante ancora, aprirsi alla vasta, potente e paralizzante paura che intride letteralmente ogni minuto di così tante vite, sembra essere una caratteristica cruciale del corretto lavoro interiore.


tratto da Corrado Pensa, La tranquilla passione, Ubaldini editore, Roma, 1994, pag. 14.

illustrazione in testa: the goldfinch (il cardellino), Carel Fabritius, 1654.



01/11/13

L'annuncio sul giornale di Laurie Anderson per il marito scomparso, Lou Reed.


“Ai nostri vicini: Che autunno meraviglioso! Tutto luccica e splende come oro e tutta quella incredibile luce morbida. L’acqua ci circonda. 

Lou e io abbiamo passato molto tempo qui negli ultimi anni, e anche se siamo gente di città questa è la nostra casa spirituale. 

La settimana scorsa avevo promesso a Lou di portarlo fuori dall’ospedale per tornare a casa, a Springs. E l’abbiamo fatto! Lou era un maestro di Tai chi e ha passato i suoi ultimi giorni qui, felice, abbagliato dalla bellezza, e dalla forza, e dalla dolcezza della natura. 

E’ morto domenica mattina guardando gli alberi e facendo la famosa posizione 21 del Tai chi, con le sue mani da musicista che si muovevano nell’aria.

Lou era un principe e un combattente e so che le sue canzoni sul dolore e la bellezza del mondo riempiranno molta gente dell’incredibile gioia che aveva per la vita. Lunga vita alla bellezza che scende, attraversa e si impadronisce di tutti noi. 

Laurie Anderson, moglie innamorata e amica eterna”. 

Così  Laurie Anderson, la compagna di Lou Reed nel messaggio nel ricordo del marito, pubblicato ieri sul giornale locale The East Hampton Star.

28/01/13

Pietro Citati - Elogio delle Chiese silenziose e vuote.



La fede solitaria al posto di quella solenne, il vero cristianesimo Qualche tempo fa — il giorno di Santo Stefano — sono andato in una chiesa del mio quartiere. Tutte le porte erano chiuse a chiave o con robusti catenacci. La chiesa era impraticabile, come certe chiese protestanti olandesi, che aprono un'ora al giorno o meno, solo durante le striminzite funzioni che il pastore accorda ai suoi fedeli.

È così bello entrare nelle chiese vuote, dove non soffia nemmeno un respiro umano; e sedersi su un banco o una seggiola, pensando, ricordando, fantasticando, rimuginando. La mente sembra più libera, più vasta, più oggettiva, più sicura di sé; e vaga dovunque attraverso i cieli oppure si concentra in un punto fisso del cielo.

Vive di pura contemplazione, nello spazio pieno di silenzio e di echi. Essere soli nella chiesa vuota dà all'anima una quiete e una profondità, che altrimenti non conosce. La fede solitaria, da solo a solo con il Figlio o il Padre: non c'è nulla di così intimamente cristiano. Tutto il resto del mondo è dimenticato. Non ci sono più i sentimenti, le passioni, la coscienza dell'io, l'orgoglio, il desiderio di potere, il desiderio di scrivere.

L'Islam conosce un'altra esperienza dello spazio religioso. Quando si entra in una moschea egiziana o persiana, centinaia di persone stanno sedute a terra, su un tappeto o con le spalle contro il muro.

Qualche volta parlano con Dio: più spesso parlano, chiacchierano, cinguettano tra loro. Tanti sono gli argomenti possibili: gli amori, gli odi, la politica, gli affari del giorno o della settimana. Si compra, si vende. 

Qualche ragazzo studia, a mezza voce, su un libro di testo gualcito. Un europeo ha l'impressione che nella moschea piena una sola figura manchi: quella di Dio.

Non è vero. Sotto la cupola della moschea, Dio esiste, ma confuso con tutti gli esseri umani, con tutta l'immensa e colorata realtà, della quale è Signore unico e nella quale sembra perdersi. Se le nostre chiese sono vuote, la ragione è semplice e tutti la conosciamo. Come deplora il Pontefice, il cristianesimo, almeno in apparenza, è stanco: i cristiani, che frequentano le chiese occidentali, diminuiscono ogni giorno. La nostra religione si sta dunque estinguendo?

Non lo credo affatto. In questi ultimi sessant'anni, il cristianesimo ha perduto i fedeli che veneravano il Cristo perché così volevano il potere e la società: dunque, mai o quasi mai per un impulso religioso. Ora, dopo tante perdite, sono rimasti i cristiani puri: quelli che siedono o pregano nelle chiese vuote, che leggono i Vangeli e le migliaia di libri, che la fede e la tradizione hanno ispirato durante quasi venti secoli.

Labbra silenziose discorrono con il loro nascosto ispiratore. C'è una prova. Oggi, quando il loro numero è diminuito, i cristiani dell'Occidente leggono molti più libri di ispirazione cristiana o religiosa, di quanti non ne leggevano sessant'anni prima.


Elogio delle chiese silenziose e vuote Fonte: PIETRO CITATI - Corriere della Sera Lunedì 28 Gennaio 

20/04/12

"George Harrison - Living in the material world" di Martin Scorsese - La recensione.



Ho visto ieri sera, "Living in the material World-George Harrison" il docu-film realizzato da Martin Scorsese sulla vita di George Harrison, uscito nell'ottobre scorso negli USA.

E' un'opera pregevolissima, che raccomando a tutti - non solo agli amanti dei Beatles e della musica in generale-  con l'unica avvertenza che consiglio di considerare,  e cioè che si tratta di un'opera molto lunga, della  durata complessiva di ben 3 ore e 38 minuti (sconsigliabile dunque l'ultimo spettacolo..!)

Si tratta comunque di un film splendido, tenuto in mano dalla saldissima regia di Martin Scorsese che ormai alle opere documentariste sul rock ha dedicato una parte rilevante della sua filmografia, da Woodstock (di cui curò, in modo misconosciuto il montaggio) a The Last Waltz a Shine a Light, del 2008, dedicato ai Rolling Stones. 

Splendido perché ricostruisce con materiali di archivio stupefacenti - e mai visti - gli anni d'oro del percorso creativo di Harrison insieme ai Beatles, gli anni della Swinging London, la crisi definitiva del gruppo, la carriera solista, ma soprattutto il percorso personale di ricerca interiore di quello che era certamente il più 'solitario'  e meditativo - il più attratto dal lato spirituale dell'esistenza - dei Fab Four

Lo fa, oltre che ripescando i materiali sonori e visivi dell'epoca (molti dei quali messi a disposizione dalla vedova di Harrison, concedendo molto spazio alle interviste dei testimoni, che raccontano il loro lato di George:  Paul McCartney e Ringo Starr,  Eric Clapton e George Martin, Yoko Ono e Terry Gilliam,  Phil Spector e Ravi Shankar, e via discorrendo..

Il quadro che si compone è quello di un'anima, più che una persona, che si trovò coinvolta in un fenomeno senza precedenti - quello della popolarità del quartetto di Liverpool che in meno di dieci anni riuscì a conquistare il mondo intero, cambiando per sempre la storia della musica contemporanea - e che però riuscì a non farsi sopraffare, cercando sempre di tendere a quel 'centro' , a quella ricerca intorno al senso dell'esistenza, per la quale si può dire di non essere vissuti invano. 

Un tributo colto e approfondito, umano e non distaccato, che non poteva lasciare indifferente un autore come Scorsese da sempre attratto dai temi spirituali . "Tutta la musica dell'ultimo Harrison funziona da supporto alla meditazione, come avviene nelle tradizioni orientali " ha raccontato Scorsese a Richard Schickel nel libro autobiografico "Considerazioni su me stesso e tutto il resto" uscito da poco per Bompiani. 

E dunque un vero atto 'meditativo' è anche la visione di questo film.

Fabrizio Falconi

12/10/11

La porta del silenzio.



Il coro dell'opinione comune sostiene oggi, di non sentire Dio, di vedere e percepire - specie qui in Occidente - solo realtà e materia (e soldi, beni, consumi...). Eppure, di fronte a questa evidenza, ciascuno dovrebbe interrogarsi su cosa sono diventate le nostre vite. 


Nei luoghi di lavoro, nelle famiglie, negli stadi, negli aeroporti, anche nelle chiese. Dappertutto vige una stessa caratteristica: l'assenza del silenzio. 

Eppure la radice stessa etimologica della parola mistico (come del resto quello della parola mistero) proviene dal verbo greco muein, ovvero: tacersi.

Se uno non si tace, non avrà alcuna possibilità di ascoltare Dio.

Se uno pretende di trovare Dio, o un senso mistico dell'esistenza in mezzo al caos, al rumore, al fraintendimento, al vociare, al pulsare di mille sollecitazioni, non avrà alcuna possibilità di riuscirvi.

Il silenzio è merce rara. Anzi, introvabile. Ormai, anche navigando su di un battello in mezzo al mare, si sentirà musica orrenda sparata dagli altoparlanti a bordo, che impedirà di ascoltare perfino il rumore del mare.

Come è possibile, nel rumore assordante, ascoltare se stessi, che è appunto l'unico modo di ascoltare Dio ?

Raimon Panikkar scrive:

Nel processo a Gesù egli risponde alla domanda del potere ("che cos'è la verità?") tacendo: se non capiamo quel silenzio come la risposta a Ponzio Pilato, non abbiamo capito Gesù e non abbiamo capito il linguaggio umano. 
Perchè ogni linguaggio è vero in quanto rivela quella sorgente di silenzio da cui la verità sgorga. Cristo ha detto: "Io sono la verità"; ma non ha detto: "La verità è quello che voi dite di me". Egli è la via, la verità, la vita, ma solo se si cammina per la via, se si sta nella verità, e se si vive, altrimenti stiamo vivendo la vita di altri. 
Una profondità "mistica" è ciò che ci manca oggi: la mistica di Abramo che, pur non sapendo dove stava andando, sapeva però che proprio là stava la voce di Dio. 

Fabrizio Falconi.

fonte Mysterium

09/08/11

RI-COMINCIARE. Da dove ? (12 cose da cui ripartire) – 8. BENE E MALE.




Non resterò confuso, non mi farò trascinare dalla corrente mai.

Sarà questo uno dei punti fondamentali. Il flusso della corrente non permette di fermarsi e dentro la corrente, non al di fuori di essa, è molto facile smarrire se stessi. 

Non resterò eternamente confuso, non resterò a chiedermi chi sono. Non farò quello che fanno gli altri. 

Trascinato dal flusso della corrente sarà infatti inevitabile perdere ogni riferimento, pensare di non poter più distinguere ciò che è bene da ciò che è male. 

Ma nella essenza del mio essere umano io ritroverò sempre le ragioni della distinzione che permette di orientarsi. L’essenza del mio essere umano è il mio centro.

Ed è lo stesso centro che orientava il cammino dell’Uomo sui ghiacciai di Similaun, 5000 anni fa. E’ lo stesso centro a cui attinge una madre a cui nasce un figlio. Lo stesso centro a cui fa appello un vecchio nell’ora della morte.

Ad ogni latitudine, in ogni epoca.

Il grano e la gramigna non sono una invenzione, semplicemente esistono, e questo è il grande mistero della esistenza: la differenziazione. Che qualcuno chiama libero arbitrio.

So che ha a che fare con la conoscenza di me, con l’allontanamento o la vicinanza che saprò mantenere, dalla capacità che avrò di ascoltare il mio centro‎.

Come scrive Carl Gustav Jung, ci sforziamo di raggiungere il buono e il bello, ma al tempo stesso afferriamo anche il malvagio e il brutto, poiché nel pleroma essi formano un tutt'uno col buono e col bello. Se invece restiamo fedeli alla nostra essenza, cioè alla differenziazione, allora ci differenziamo dal buono e dal bello, e perciò anche dal malvagio e dal brutto, e non cadiamo nel pleroma, ossia nel nulla e nel dissolvimento.


Fabrizio Falconi

10/04/09

L'ora del Grande Silenzio.


E' l'ora del Grande Silenzio.
L'ora in cui il mondo si ferma. E il Mistero avvolge ogni cosa. Non ha altro da opporre, l'uomo, in questa ora, che il Silenzio. Qualunque altra sua manifestazione, ogni altra manifestazione umana sarebbe insensata.
Non è stato per quello che Lui è morto: non è stato per lasciarci qui a discutere tra chi di noi abbia avuto o abbia ragione.
Non è stato per attribuire meriti o colpe.
Non è stato per riempire per tornare sulle nostre debolezze.
Non è stato per esprimere un giudizio.
Non è stato per riavvolgere il film, non è stato per imprecare al legno storto dell'umanità, che ogni cosa porta a rovina.
Non è stato per amore del Golgota. Tutt'altro.
Non è stato per impartire una lezione, nè per infrangersi contro le nostre orecchie sorde.
Siamo anche noi, Lui.
Siamo noi quell'uomo offeso, a morte, incrociato, bestemmiato, cancellato. Siamo noi, e non c'è distinzione.
Per questo, è l'ora del Silenzio che può salvarci.
Dobbiamo entrare dentro questa ora.
Viverla, soffrirla, passare il guado.
Dobbiamo varcare la soglia tenebrosa.
Recitare il nostro silenzio di questa ora è veramente rinascere.
E' credere, per sempre, al destino di un nuovo appello, che non si potrà più dimenticare.
E' l'ora della croce. Del sangue e dei chiodi. Degli occhi, tragicamente stanchi, che si chiudono. Delle ultime 7 parole pronunciate e pronunciabili.
E l'ora in cui il cielo si squarcia e calano le tenebre.
E' l'ora di ogni silenzio umano.
Che renderà grande ogni possibile risveglio.
.

27/03/09

Signore dei Tempi e degli Attimi - Una preghiera.


Cari amici, capita, di tanto in tanto, di imbattersi in un testo antico, ricoperto di polvere, che parla al nostro cuore e alla nostra fede, con una freschezza, una attualità e una potenza che ci sorprende e crea come un lago di pace nei nostri giorni affannati. Mi è successo con questo testo di un anonimo siriaco, che non conoscevo, e che voglio condividere con voi.


Signore dei Tempi e degli Attimi.

Quando viene la sera,
dov’è dunque la luce di questo giorno?
La sera spoglia ogni uomo,
lo distende per il sonno,
mostrandogli che tutti i suoi beni
restano quaggiù.

Gli leva le vesti,
lo mette a nudo.
Così la morte spoglia l’uomo
dei suoi beni.

Appare il mattino
e rende le vesti
a coloro che se ne rivestono:
figura della Risurrezione,
grandioso stupore.

Dì a te stesso questo:
quel che la sera ti toglie,
il mattino te lo rende
perché tu te ne copra le membra.

Svegliaci Signore,
dalla sonnolenza di questo mondo.
Allora in colui che viene
noi erediteremo la vita con i tuoi santi.

Donaci di rivestire
le vesti appropriate
per la sala del banchetto
e di prepararci
dei sontuosi mantelli di virtù.

Lode a te, mio Signore,
che hai separato la notte dal giorno,
e li fai immagini, parabole del mistero.
Noi ti confessiamo, Signore dei tempi e degli attimi.
Tutto se ne va, ma tu, tu resti te stesso
senza fine. Amen.



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24/03/09

Il cielo.

Al cielo, Dio mio, sembriamo proprio non riuscire più a guardare, se non quando ci informiamo sulle previsioni del Tempo. Eppure è lì nel cielo, il mistero che ci sovrasta, e del quale fatichiamo così tanto ad occupare la nostra mente.

Ecco allora questo semplice invito a ri-osservare il miracolo costante del cielo, con un video accompagnato dal Violin Concerto di Philip Glass, per i lettori de Il Mantello di Bartimeo ( va visto fino alla fine !)

25/02/09

PARCE MIHI DOMINE - Quando la preghiera si fa musica - Jan Garbarek

 

Capita a volte che la musica sia la porta più semplice per arrivare a Dio. E' questo il caso di un disco particolarissimo, che spesso metto sul mio stereo. Lo ha realizzato anni fa Jan Garbarek. Si intitola Officium. Sono elaborazioni moderne (Garbarek è un grande sassofonista) sulla base di canti gregoriani del XV. secolo . Vi riporto qua sotto la scheda tratta da http://ruckert.splinder.com/ ma poi vi invito a guardare semplicemente questo video (o ad ascoltare soltanto la musica) e ad abbandonarvi completamente. Islanda. Un oceano irregolare di lava raffreddata si distende fino all'orizzonte. Manfred Eicher il percorre con la sua auto la strada. Era, come sempre, pensieroso e pronto a far esplodere la sua mente in mille idee, spesso meravigliose quanto folli, ma capaci di rendere la sua casa discografica - ECM records - una delle più importanti al mondo per la diffusione della musica contemporanea.

In sottofondo, a far da contorno a quel'affascinante paesaggio lunare, la musica dell'Officium defunctorum di Morales (XVI° secolo). Passano i giorni nella fredda e desolata Islanda. Nella mente di Manfred le idee iniziano a raffreddarsi e stratificarsi lentamente. Nei suoi pensieri riecheggiano contemporaneamente ascolti recenti, musiche del passato e del presente, i canti polifonici medioevali ed il sassofono inconfondibile di Jan Garbarek, musica antica e jazz.

Poi tutto trova d'incanto la sintesi in un'idea assurda e coraggiosa: unire le improvvisazioni di Garbarek con le voci di un lontano passato del quartetto vocale inglese "The Hilliard Ensemble". Così nacque "Officium", uno dei lavori discografici più indescrivibili, affascinanti, coraggiosi, intriganti e profondi degli ultimi vent'anni.

Un incontro impossibile tra musiche di epoche diverse, un paradosso temporale cui è impossibile dare un nome e tantomeno un'etichetta. Un quartetto vocale esegue brani polifonici di musicisti vissuti fra il 1200 ed il 1500, mentre in sottofondo il "jazzista" Jan Garbarek improvvisa con il suo sassofono. Che fortuna può avere una follia del genere? Da come venne accolto il disco all'epoca della sua pubblicazione nel 1994, vien da pensare che avevano ben ragione i latini nel dire: "Audax fortuna iuvat". Il disco ebbe un grande successo, tenuto anche conto dell'ambito colto al quale si rivolgeva. Un successo non solo di vendite, ma anche di critica. Certo come sempre non mancarono alcune voci sfavorevoli, ma furono comunque minoritarie. I più furono affascinati dalle peripezie di Garbarek che con semplicità si univa alle voci del quartetto vocale inglese. Questo accostamento in apparenza innaturale e assurdo riesciva ad avere e dare un senso di estrema naturalezza, linearità e continuità. Un disco unico insomma. Questa musica regala pace ed oggi riavvicinandomi ad essa ho constatato che gli anni non hanno modificato la percezione ed il ricordo di questi suoni sereni, spirituali ed intensi. Immobile nel tempo, sospesa nello spazio questa musica non invecchia e vive autonomamente in un luogo che non esiste e non è mai esistito se non nella mente meravigliosamente folle di un produttore discografico. Chissà se Manfred quel giorno era consapevole della forza della sua idea.