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27/07/09

La difficoltà della Fede.


Davvero è una bella iniziativa quella del Corriere della Sera di concedere una pagina del giornale, ogni ultima domenica del mese, al Cardinale Carlo Maria Martini.


Spero che i lettori divengano sempre più numerosi, perchè davvero è difficile trovare in giro pensieri così lucidi, come quelli che espone, pacatamente e fermamente, nelle sue risposte, il card. Martini, che - del resto - è davvero una 'grande anima' (come dicono gli orientali), e speriamo che ci sia conservata ancora a lungo.

Della pagina di ieri mi ha molto colpito una frase che Martini utilizza per rispondere alle molte lettere che gli giungono sul tema della fede perduta - come si fa a ritrovarla, come si fa rinforzarla, come si fa a credere, sostanzialmente.

Martini, nel suo stile sobrio ed essenziale, dà alcuni pratici consigli, seguiti a illuminanti e brevi considerazioni. Alla fine, però scrive: " ho sperimentato in me stesso che le difficoltà contro la fede crescono a misura che si rimpicciolisce il quadro di riferimento. "

Ci ho riflettuto a lungo, e mi sono detto, alla fine: " come è vero. " E' proprio vero che l'agonia della fede, di questi tempi, della fede cristiana, ma anche delle altre fedi, è dovuta, principalmente proprio a questa 'ristrettezza di orizzonti.'

Ci ho pensato, ancor di più sulla scorta delle celebrazioni per il quarantennale dell'Uomo sulla Luna, in corso in tutto il mondo. Sono passati appena 40 anni, eppure quelli che hanno vissuto quell'epoca, ricordano che le prospettive umane, in quel periodo, si erano davvero ampliate: a l'uomo, forse anche sulla base di queste incredibili missioni spaziali, veniva naturale pensare, riflettere all'immensità del cosmo, all'immane mistero che circonda il nostro piccolissimo pianeta, della vita che su questo pianeta si è sviluppato, sul futuro insondabile che ci aspetta. Sembra passata un'eternità da allora.

In questi ultimi decenni sembra ci sia stato un ripiegamento sempre più feroce verso il minimo, il basso, a volte l'infimo. Archiviata la parentesi delle grandi conquiste spaziali, si è ri-cominciato a pensare in piccolo, sempre più piccolo. E sembra che a qualcuno che sta in alto questo faccia molto molto comodo.

Eppure soltanto se si sfoglia un libro di fisica divulgativa, oggi - ce ne sono tanti e di ottimi in commercio - si scopre che la nostra conoscenza di quel mistero prosegue, e ci svela panorami sempre più stupefacenti: il multiverso, la singolarità che ha generato il nostro universo, i buchi neri, l'antimateria, gli universi paralleli, i mattoni della materia, i quark, i bosoni, i barioni, la fisica delle particelle, la meccanica quantistica, la teoria delle stringhe: stiamo scoprendo una complessità in-immaginabile fino a qualche decennio fa.

Stiamo scoprendo un 'oltre', un 'tutto' che è ben oltre qualsiasi nostro canone pensabile.

Eppure... guardando le notizie sui giornali, guardando la tv - specie in questo paese - sembra che la realtà finisca alle miserabili beghe politiche, agli affanni della soubrette in vista per ottenere una copertina in più, al tornaconto dei pil e degli scudi fiscali.

Ma possibile ?

Un uomo ripiegato solo sui suoi bisogni, sul suo metro quadrato di pseudo-vita (spesso poi frenetica e in-sensata), come potrà mai e dove potrà mai trovare un posto NON per Dio, ma per la domanda che precede il trovare Dio ?
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16/02/09

Ancora su Eluana: " L'etica di fronte alla vita vegetale " di Vito Mancuso.


Cari amici, a ulteriore integrazione di commenti illuminati sulla vicenda Eluana - che, come da copione, nel panorama schizofrenico del mondo dei media italiano è già stata metabolizzata e cancellata nel grande inceneritore delle notizie - ecco quanto ha scritto Vito Mancuso, su La Repubblica del 13 febbraio scorso, in un articolo in prima pagina intitolato: "L'etica di fronte alla vita vegetale. "


Se le circostanze non fossero tragiche, si potrebbe dire alla Chiesa gerarchica dei nostri giorni, con una leggera ironia e una pacca sulla spalla: "Dio esiste ma non sei tu, rilassati". Il problema infatti è anzitutto nervoso. Riguarda il controllo dei sentimenti e delle passioni. Un controllo che la direzione spirituale sapeva insegnare agli uomini di Chiesa di un tempo, e che invece oggi sembra smarrito. Assistiamo allo spettacolo di una Chiesa isterica: che non è amareggiata ma arrabbiata, che non parla ma grida, anzi talora insulta, che non suggerisce ma ordina, che non critica ma impone alzando la voce, o facendo pressioni su chi tiene il bastone del comando.

Non discuto la buona intenzione di combattere per la giusta causa, mi permetto però di dubitare sullo stile e più ancora sull' efficacia evangelizzatrice di tale battaglia. L' unico "cardinale" che ha pronunciato parole sagge e coraggiose è stato Giulio Andreotti, quando ha giudicato il decreto governativo un' indebita invasione nella sfera privata delle persone. Andreotti è uno dei rari cattolici che ancora ricorda e pratica la capitale distinzione tra etica e diritto, che è, a mio avviso, il punto decisivo di tutta la questione. Personalmente ero contrario all' interruzione dell' idratazione di Eluana.

Se mi trovassi io a vivere una condizione del genere (o peggio ancora uno dei miei figli) vorrei che mi si lasciasse al mio posto di combattimento nel grande ventre della vita anche con la sola vita vegetale: nessun accanimento terapeutico, ma vivere fino in fondo la vita lasciandomi portare dall' immenso respiro dell' essere, secondo la tradizionale visione della morale della vita fisica non solo del cattolicesimo ma anche delle altre grandi tradizioni spirituali.

Chissà poi che cosa significa "vita vegetale": da precisi esperimenti è risaputo che anche le piante provano emozioni, e reagiscono con fastidio a un certo tipo di musica e con favore a un altro (dicono che la preferita sia la musica sacra indù della tradizione vedica). La vita vegetale è una cosa seria, ognuno di noi la sta vivendo in questo momento, basta considerare la circolazione del sangue, il metabolismo, il sistema linfatico. Il fatto, però, è che non si trattava di me, ma di Eluana, e che ciò che è un valore per me, non lo era per lei. Una diversa concezione della vita produce una diversa etica, e da una diversa etica discende una diversa modalità di percepire e di vivere le situazioni concrete, così che ciò che per uno può essere edificazione, per un altro si può trasformare in tortura. Si pensi alla castità, alla clausura, al martirio e ad altri valori religiosi, che per alcuni non sono per nulla valori ma un incubo spaventoso solo a pensarli.

Il padre di Eluana ha lottato per liberarla da ciò che per lei era una tortura, ed è probabile che la conoscesse un po' meglio del ministro Sacconi e del cardinal Barragan. Grazie allo stato di diritto, alla fine l' ha liberata. Io non sono d' accordo? È un problema mio, non si trattava di me, ma di lei. Tutto molto semplice, come sempre è semplice la verità. Ora aspettiamo una legge sul testamento biologico, e io penso che il compito dello Stato sia precisamente quello di produrre, a partire dalle diverse etiche dei cittadini, una legge ove tutti vedano riconosciuta la possibilità di vivere e di morire secondo la propria concezione del mondo.

Se lo Stato fa questo, realizza la giustizia, che, com' è noto, consiste nel dare a ciascuno il suo. La distinzione tra etica e diritto è decisiva. A questo punto però sento la voce di Benedetto XVI che rimprovera questa mia prospettiva di "relativismo" in quanto privilegia la libertà del singolo a scapito della verità oggettiva. È mio dovere cercare di rispondere e lo faccio ponendo una domanda: Dio ha voluto oppure no l' incidente stradale del 18 gennaio 1992 che ha coinvolto Eluana? A seconda della risposta discende una particolare teologia e una particolare etica. Io rispondo che Dio non ha voluto l' incidente. L' incidente, però, è avvenuto. In che modo allora il mio negare che Dio abbia voluto l' incidente non contraddice il principio dell' onnipotenza divina? Solo pensando che Dio voglia sopra ogni cosa la libertà del mondo, e precisamente questa è la mia profonda convinzione.

Il fine della creazione è la libertà, perché solo dalla libertà può nascere il frutto più alto dell' essere che è l' amore. Ne viene che la libertà è la logica della creazione e che la più alta dignità dell' uomo è l' esercizio della libertà consapevole deliberando anche su di sé e sul proprio corpo. È verissimo che la vita è un dono di Dio, ma è un dono totale, non un dono a metà, e Dio non è come quelli che ti regalano una cosa o ti fanno un favore per poi rinfacciartelo in ogni momento a mo' di sottile ricatto.

Vi sono uomini di Chiesa che negano al singolo il potere di autodeterminazione. Perché lo fanno? Perché ospitano nella mente una visione del mondo all' insegna non della libertà ma dell' obbedienza a Dio, e quindi sono necessariamente costretti se vogliono ragionare (cosa che non sempre avviene, però) a ricondurre alla volontà di Dio anche l' incidente stradale di Eluana. Delle due infatti l' una: o il principio di autodeterminazione è legittimo perché conforme alla logica del mondo che è la libertà (e quindi l' incidente di Eluana non è stato voluto da Dio); oppure il principio di autodeterminazione non è legittimo perché la logica del mondo è l' obbedienza a Dio (e quindi l' incidente è stato voluto da Dio). Tertium non datur.

Per questo io ritengo che la deliberazione della libertà sulla propria vita non solo non sia relativismo, ma sia la condizione per essere conformi al volere di Dio. Il senso dell' esistenza umana è una continua ripetizione dell' esercizio della libertà, a partire da quando abbiamo mosso i primi passi, con nostra madre dietro, incerta se sorreggerci o lasciarci, e nostro padre davanti, pronto a prenderci tra le sue braccia. In questa prospettiva ricordo alcune parole del cardinal Martini: «È importante riconoscere che la prosecuzione della vita umana fisica non è di per sé il principio primo e assoluto. Sopra di esso sta quello della dignità umana, dignità che nella visione cristiana e di molte religioni comporta una apertura alla vita eterna che Dio promette all' uomo. Possiamo dire che sta qui la definitiva dignità della persona... La vita fisica va dunque rispettata e difesa, ma non è il valore supremo e assoluto».

Il valore assoluto è la dignità della vita umana che si compie come libertà. Sarebbe un immenso regalo a questa nazione lacerata se qualche esponente della gerarchia ecclesiastica seguisse l' esempio della saggia scuola democristiana di un tempo esortando gli smemorati politici cattolici dei nostri giorni al senso della laicità dello stato. Li aiuterebbe tra l' altro a essere davvero quanto dicono di essere, il partito "della libertà". Che lo siano davvero e la garantiscano a tutti, così che ognuno possa vivere la sua morte nel modo più conforme all' intera sua vita.

VITO MANCUSO

28/12/08

La meraviglia è la speranza cristiana.


In un suo volume di parecchi anni fa, Carlo Maria Martini scriveva: " Ciascuno di noi ha in sè un credente e un non credente che si parlano dentro, che si interrogano a vicenda, che rimandano continuamente domande pungenti e inquietanti l'uno all'altro. Il non credente che è in me inquieta il credente che è in me."

Io credo che guardando onestamente a quello che è la nostra vita, anche la nostra vita di credenti, questo dovrebbe essere il nostro atteggiamento, sempre. Quello di capire e comprendere e accettare che siamo sempre in una condizione in bilico.

Una condizione che è esattamente condensata da queste parole del teologo ebreo Stefano Levi della Torre ( in Essere fuori luogo): "Ciò che non mi piace di ogni religione è la pretesa di parlare soprattutto di cose che non si sanno, come se essa invece le sapesse (di quale sia, ad esempio, la volontà di Dio). Ciò che non mi piace della mentalità laicistica è la sua propensione a limitarsi alla cose che si sanno o che si possono sapere, come se queste fossero, in quanto "visibili", più rilevanti dell'invisibile. Eppure è il mistero a dar respiro alla conoscenza, a farla lievitare nelle più mirabili costruzioni della cultura. "

Ecco dunque: il mistero. E' questo, quel che ci resta. E non è poco. Non è poco per niente. Questo grande mistero, per esempio, lo riscopriamo ogni anno, in questo tempo di Natale, noi cristiani.

E dovrebbe essere, secondo me, proprio questa "meraviglia di fronte al Mistero" il dato connotante il nostro essere cristiani. La meraviglia è quel che ci fa vivere compiutamente da esseri umani, sempre.

"La fede-speranza ebraica cristiana" scriveva Filippo Gentiloni, " è non soltanto oscura e povera, ma anche aperta, ariosa. Ha gli occhi del bambino: conosce anche in vecchiaia, la meraviglia. Di fronte a un filo d'erba che cresce a primavera, come di fronte alla resurrezione. La meraviglia proprio come maniera di vivere contrapposta alla chiusura, all'arresto, all'egoismo. "

Di questa meraviglia dovremmo sempre essere pieni.


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04/10/08

Il Cardinal Martini: Sento la Morte come imminente.


Mi sono profondamente commosso, leggendo le parole pronunciate ieri dal Cardinal Carlo Maria Martini, in una delle sue ormai rare apparizioni in pubblico, vista la malattia che purtroppo lo sta sempre più limitando. Parole che dimostrano, una volta di più, la grandezza di questo uomo. Ve le ripropongo:

«Io, vedete, mi trovo a riflettere nel contesto di una morte imminente. Ormai sono già arrivato nell'ultima sala d'aspetto, o la penultima...». Il cardinale Carlo Maria Martini parla con un filo di voce ma sorride, «è stato un atto di audacia e anche di temerarietà chiamare a parlare una persona anziana che non sa se potrà esprimere bene le cose o tenersi in piedi», nell'auditorium dei gesuiti di San Fedele non vola una mosca, la gente ha gli occhi lucidi e l'arcivescovo emerito di Milano prosegue sereno, è arrivato appoggiandosi a un bastone ma lo sguardo e il pensiero non vacillano.


La sala è piena, si presenta il libro Paolo VI «uomo spirituale» (ed. Istituto Paolo VI-Studium), una raccolta di scritti martiniani su Montini curata dal teologo Marco Vergottini. E tanti sono rimasti fuori, l'attesa è grande quanto la commozione per il «ritorno» del cardinale biblista a Milano, anche se da qualche mese «padre Carlo» è tornato da Gerusalemme e risiede nella casa dei gesuiti a Gallarate. «Con i vostri tanti gesti di bontà, di amore, di ascolto, mi avete costruito come persona e quindi, arrivando alla fine della mia vita, sento che a voi devo moltissimo», sorride ancora ai fedeli, quasi fosse un congedo. Gli ottantun anni, il Parkinson. E il tema della morte, quello che nel libro Martini chiama con espressione dantesca «il duro calle». Quando l'attore Ugo Pagliai legge il «pensiero alla morte » di Paolo VI, « ...mi piacerebbe, terminando, d'essere nella luce... », il cardinale ascolta col volto affondato nelle mani aperte. «Se dovessi non lo scriverei così. È troppo bello, è meraviglioso, lirico», spiega Martini. «Come ho osservato nel libro, ritengo che il testo di Montini sia stato scritto anni prima, quando sentiva la morte incombente ma non imminente».

Della sua morte, invece, il cardinale parla come «imminente». Ed è qui che ha accenti wittgensteiniani, il pensiero sul limite della vita diventa un'interrogazione sui limiti del linguaggio, «chi si trova in questa situazione, dovrebbe piuttosto sentirsi scarnificato nelle parole, e questo è per me un problema irrisolto: come descrivere una realtà tutta negativa con parole razionali che tuttavia, in quanto razionali, devono esprimere una esperienza positiva». «Dire» la morte. È una riflessione che nel cardinale si è fatta via via più urgente negli ultimi anni. L'anno scorso, nella basilica dei Getsemani a Gerusalemme, aveva salutato i pellegrini ambrosiani con una lectio vertiginosa sulla Passone e l'«angoscia » di Gesù, «il greco il termine è agonia e significa lotta, conflitto, tensione profonda». Martini non ama i discorsi facilmente consolatori, come sempre trova il modo di parlare «al credente e al non credente che è in ciascuno di noi» e guarda in faccia «il duro calle». Davanti all'«affidamento totale a Dio» di Montini, scrive nel libro, «mi sento assai carente. Io, per esempio, mi sono più volte lamentato col Signore perché morendo non ha tolto a noi la necessità di morire. Sarebbe stato così bello poter dire: Gesù ha affrontato la morte anche al nostro posto e morti potremmo andare in Paradiso per un sentiero fiorito».

E invece «Dio ha voluto che passassimo per questo duro calle che è la morte ed entrassimo nell'oscurità che fa sempre un po' paura». Ma qui sta l'essenziale: «Mi sono riappacificato col pensiero di dover morire quando ho compreso che senza la morte non arriveremmo mai a fare un atto di piena fiducia in Dio. Di fatto in ogni scelta impegnativa noi abbiamo sempre delle "uscite di sicurezza". Invece la morte ci obbliga a fidarci totalmente di Dio». È l'insegnamento di Montini, «per me fu un po' come un padre». Perché ciò che ci attende dopo la morte «è un mistero » che richiede «un affidamento totale»: «Desideriamo essere con Gesù e questo nostro desiderio lo esprimiamo ad occhi chiusi, alla cieca, mettendoci in tutto nelle sue mani».


Grazie, Padre, anche per queste parole che ci hai donato.