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30/09/13

Dieci grandi anime - 1. Dag Hammarskjold (5./)



Dieci grandi anime. 1. Dag Hammarskjold (5)


Le ultime pagine del 1961, prima della morte, sono straordinarie.
      Il giorno del giovedì santo (30 marzo), Hammarskjold davvero profeticamente, scrive:
    
     La morte si avvicina
     Tutta la volontà di un uomo Quantum Satis ?
     Egli è Deus Caritatis.
 
     Ragionavo per intendere questo,
     ma era troppo complicato per me:
    finché non sono entrato nel santuario di Dio. (14)

     Le prime tre righe di questo scritto sono tratte dal dramma di Ibsen, Brand.  E davvero l’invocazione del  pastore ibseniano che grida a Dio, devono apparire ad Hammarskjold, in quei giorni di terribile solitudine, un pre-sentimento fortissimo.   Poche settimane dopo, il 21 maggio, il giorno di Pentecoste, scrive quel brano di diario destinato a diventare un piccolo classico della spiritualità, brano nel quale, in poche righe, in scarne parole, è contenuto il significato di una vita intera e di una ricerca. Una traccia di cammino,  testamento esemplare da consegnare ai posteri:
   
      Io non so chi - o che cosa - abbia posto la domanda. Non so quando essa sia stata posta. Non so neppure se le ho dato una risposta. Ma una volta ho risposto sì a qualcuno - o a qualcosa. Da quel momento è nata la certezza che l'esistenza ha un senso e che perciò, sottomettendosi, la mia vita ha uno scopo. Da quel momento ho saputo cosa significhi non guardare dietro a sé, non preoccuparsi del giorno seguente. Guidato attraverso il labirinto della vita dal filo d'Arianna della risposta, ho raggiunto un tempo e un luogo, in cui venni a sapere che il cammino porta a un trionfo, e che il crollo a cui esso conduce è il trionfo; venni a sapere che il premio per l'impegno nella vita è l'oltraggio, e che l'umiliazione più profonda costituisce l'esaltazione massima che all'uomo sia possibile. Da allora la parola coraggio ha perduto il suo senso, in quanto nulla poteva venirmi tolto. Proseguendo il cammino imparai, passo dopo passo, parola per parola, che dietro a ogni detto dell’eroe dei Vangeli, vi è un essere umano e l’esperienza di un uomo.  Anche dietro la preghiera che il calice gli fosse allontanato e dietro la promessa di vuotarlo.  Anche dietro ogni parola sulla croce.  (15)

      La consapevolezza che nulla può essere tolto.  Una pienezza nuova e sconosciuta e finalmente raggiunta. Nella umanità divina, nella sottomissione del Figlio, nel compimento di un , egli trova la risposta tanto agognata.  La domanda è stata posta nel modo giusto, la risposta è arrivata prima di comprendere pienamente la domanda, sulla base di una fiducia totale, di una sottomissione senza pretese, nella certezza di essere nel giusto.  Il 2 agosto del 1961, 40 giorni prima dell’incidente scrive:

Onnipotente…
Perdona
il mio dubbio,
la mia ira,
il mio orgoglio.
Piegami
con la tua grazia.
Innalzami
con il tuo rigore.

     Nel Getsemani personale di Hammarskjold l’ora è giunta.    E’ un nuovo paese,  scrive nell’ultima pagina del suo diario, il 24 agosto, in una realtà diversa da quella del giorno ? Oppure ho vissuto io lì, prima del giorno ? …. Eppure è lo stesso paese. E comincio a riconoscere la mappa e i punti cardinali. 
     I contorni del nuovo paese  sono forse quelli di una nuova Gerusalemme.  O almeno così piace immaginare, quando si giunge al termine della lettura delle fitte pagine di Markings, il Diario di Hammarskjold.   Il sacrificio, come tutto lasciava presagire, si compì.
     Riguardo la sua morte oggi sappiamo che si trattò, con ogni probabilità di un omicidio, voluto dalla compagnia franco-belga Unione Miniere,  una eliminazione motivata dall'opposizione dell'allora segretario generale dell'Onu alla secessione di una regione, goloso obiettivo di una delle società minerarie più potenti del pianeta. Scrive Luciano Canfora: “E ora, dopo quarant’anni, nelle pagine molto interne dei giornali, leggiamo quello che abbiamo sempre saputo: che l’Unione Miniere condannò a morte (per "incidente aereo") anche Hammarskjold, il segretario generale dellOnu, colpevole di opporsi alla secessione del Katanga, preda avita dellUnione Miniere”.  (16)
       Quel viaggio doveva servire al Segretario Generale per raggiungere il villaggio di Ndola, al confine tra Katanga e Rhodesia del Nord ed incontrare i secessionisti, convincerli a intavolare subito una trattativa di pace. 
       All’aeroporto di Leopoldville, prima di salire sulla scaletta dell’aereo, per l’ultimo volo fatale, Hammarskjold aveva confidato all’amico Sture Linner di aver appena intrapreso una propria personale traduzione dell’opera capitale di Martin Buber, l’Io e il Tu.
       Per l’uomo che aveva fatto della sua vita – al prezzo di una personale solitudine e di una devozione estrema - un inno alle possibilità della relazione, di ogni relazione, umana e divina, davvero non poteva esserci un testo programmaticamente più scelto di questo.

       “Lo scopo della relazione”  scrive Buber in una delle pagine più intense di quel libro, “è la sua stessa essenza, ovvero il contatto con il Tu; poiché attraverso il contatto ogni Tu coglie un  alito del Tu, cioè della vita eterna.” (17)     (5-FINE) 


Fabrizio Falconi © - proprietà riservata

14. Op. cit. pag. 224 
15. Op.cit. pag.225 
16. Luciano Canfora, “Critica della retorica democratica”, Laterza, 2002. 
17. Martin Buber, Io e Tu, in Principio Dialogico, Comunità Milano, 1958, pag. 57.

22/12/12

Martin Buber: Quando l'uomo ha trovato la pace in se stesso, può mettersi a cercarla nel mondo intero.




Bisogna che l'uomo si renda conto innanzitutto lui stesso che le situazioni conflittuali che l'oppongono agli altri sono solo conseguenze di situazioni conflittuali presenti nella sua anima, e che quindi deve sforzarsi di superare il proprio conflitto interiore per potersi così rivolgere ai suoi simili da uomo trasformato, pacificato, e allacciare con loro relazioni nuove, trasformate.

Indubbiamente, per sua natura, l'uomo cerca di eludere questa svolta decisiva che ferisce in profondità il suo rapporto abituale con il mondo: allora ribatte all'autore di questa ingiunzione - o alla propria anima, se è lei a intimargliela - che ogni conflitto implica due attori e che perciò, se si chiede a lui di risalire al proprio conflitto interiore, si deve pretendere altrettanto dal suo avversario. Ma proprio in questo modo di vedere - in base al quale l'essere umano si considera solo come un individuo di fronte al quale stanno altri individui, e non come una persona autentica la cui trasformazione contribuisce alla trasformazione del mondo - proprio qui risiede l'errore fondamentale [...].

Cominciare da se stessi: ecco l'unica cosa che conta. In questo preciso istante non mi devo occupare di altro al mondo che non sia questo inizio. Ogni altra presa di posizione mi distoglie da questo mio inizio, intacca la mia risolutezza nel metterlo in opera e finisce per far fallire completamente questa audace e vasta impresa. Il punto di Archimede a partire dal quale posso da parte mia sollevare il mondo è la trasformazione di me stesso. Se invece pongo due punti di appoggio, uno qui nella mia anima e l'altro là, nell'anima del mio simile in conflitto con me, quell'unico punto sul quale mi si era aperta una prospettiva, mi sfugge immediatamente.

[...] "Cerca la pace nel tuo luogo". Non si può cercare la pace in altro luogo che in se stessi finché qui non la si è trovata. E' detto nel salmo: "Non c'è pace nelle mie ossa a causa del mio peccato". Quando l'uomo ha trovato la pace in se stesso, può mettersi a cercarla nel mondo intero.

Martin Buber, Il cammino dell'uomo.