Visualizzazione post con etichetta marco cicala. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta marco cicala. Mostra tutti i post

10/10/13

Simone Weil - Le illuminazioni. (10 citazioni da meditare)




Non si finisce mai di esplorare l'universo di Simone Weil, il suo grande lascito spirituale e umano. Marco Cicala, in questo articolo pubblicato sul Venerdì di Repubblica ha ricostruito la sua vicenda alla luce delle memorie pubblicate dalla nipote, Sylvie Weil, la figlia del fratello André (1906-1998).  E' un pezzo molto interessante, che ci offre anche l'occasione di proporre dieci piccole perle dai diari di Simone, utili per la riflessione, da lasciar decantare e parlare, come avviene per ogni passo della sua grande opera. 



La compassione senza umiltà non è mai pura.
*
Il lavoro è per noi l'unica via che porta dal sogno alla realtà.
*
La collettività è più forte dell'individuo in tutto, tranne che per un aspetto: il pensiero.
*
Bisogna fermarsi e bussare, bussare, bussare, instancabilmente, in uno spirito di attesa insistente e umile. L'umiltà è la virtù più essenziale nella ricerca della verità.
*
L'eternità si trova al termine di un tempo infinito. Il dolore, la fatica, la fame danno al tempo il colore dell'infinito. 
*
La forza del tempo strappa l'anima; e attraverso lo stretto; e attraverso lo strappo entra in essa l'eternità.
*
Ogni essere è un grido silenzioso che chiede di essere letto in maniera diversa. 
*
Accettare di essere anonimi, di essere materia umana. Rinunciare al prestigio, alla considerazione.
*
La creazione è un movimento che va dall'alto verso il basso. In questo senso il lavoro è una imitazione della creazione (come dell'incarnazione e dell'eucaristia).
*
Io desidero, io supplico che la mia imperfezione si manifesti ai miei occhi, interamente, totalmente, per quanto ne è capace lo sguardo del pensiero umano. Non perché esso guarisca, ma perché, anche se non dovesse guarire, io sia nella verità.


Citazioni tratte da S.Weil, L'avventura di uno sguardo puro, Città Nuova 2001. 


06/09/13

Una bellissima intervista a Enrique Irazoqui, il "Gesù" di Pasolini - di Marco Cicala.





Sull'ultimo numero del Venerdì di Repubblica, Marco Cicala ha pubblicato questa bellissima intervista a Enrique Irazoqui, il Gesù di Pasolini (nel Vangelo Secondo Matteo).  La riporto qui integralmente perché oltre ad essere scritta benissimo è piena di aneddoti e di ricordi di un personaggio singolare, quale è appunto Irazoqui, praticamente scomparso dalle scene dopo quel clamoroso esordio.  La vicenda appare realmente una sorta di film nel film. Buona lettura. 

Cadaqués. 

Gesù non beve. Fu­mava, ma ha smesso. Era marxista. Ha smesso. Da giovane, l'ha stracciato a scacchi il princi­pe del dadaismo; ha rubato la scena al pa­dre della beat generation; ha mangiato i tortellini in trattoria con Elsa Morante. Eandava da Rosati assieme a quelli che an­davano da Rosati: Guttuso, Moravia, Maraini: «Ma se c'era Elsa, Dacia non veniva». 

Vabbè però adesso basta col giochetto: Gesù si chiama Enrique Irazoqui e nella sua vita avanti Cristo era uno studente di econo­mia all'università di Barcellona. Militava pure nel sindacato giovanile. Comunista. Clandestino. Perché al volante della Spagna c'era Francisco Franco. Per via della madre (nata, quasi un presagio, a Salò) Enrique sela sbrogliava bene con l'italiano, e così il Par­tito lo spedì a Firenze e Roma in missione speciale. Si trattava di cercare appoggi tra i big della politica e della cultura. Sostegno pecuniario, ma non solo: «Volevamo invitar­li in Spagna a tenere conferenze contro ladittatura. Se li lasciavano parlare, bene. Se li arrestavano, pure meglio. Lo scandalo ci avrebbe fatto ancora più gioco». 

Era il feb­braio 1964. Irazoqui aveva 19 anni e un bel volto angoloso da antico eresiarca. In Italia venne preso in consegna da un gentil accompagnateur del Pci. Gli fecero vedere La Pira, Pratolini, Nenni, Bassani... Per ultimo lo por­tarono all'Eur, da Pasolini. Avvertendolo: «Guarda che è poeta. E omosessuale». Enrique Irazoqui sedeva a casa di PPP e quello lo ascoltava in piedi, girandogli intor­no senza spiccicare parola. Alla fine disse: «D'accordo, verrò in Spagna. Ma prima tu devi farmi un favore». Quale? «Interpretare Gesù nel mio prossimo film». Pardon? «Sarà un racconto epico-lirico, in chiave nazional-popolare, sai Gramsci? Dobbiamo restituireCristo al popolo. Perché gli è stato rubato dalla classe dominante». Irazoqui era allibito. «Risposi di no. Per me la religione significava il cattofascismo franchista. Ero un ateo militante. Fedele al motto di Kropottón secondo cui L'unica chie­sa che illumina è quella che brucia». Parole sante, «ma non ti hanno mandato in Italia anche a raccogliere soldi?» gli bisbigliò, luciferino, l'emissario del Pci. «Guarda che se accetti sono m-i-l-i-o-n-i». Eh già. Allora affa­re fatto. Prodigi del materialismo dialettico. Tempo pochi giorni, Enrique, ancora mino­renne, ottiene il nihil obstat dei genitori. Sarà sua madre a negoziare il contratto col pro­duttore Alfredo Bini. 

Le riprese del Vangelo secondo Matteo lo porteranno a Barletta, Crotone, Matera... Un Meridione dove «i vol­ti degli uomini parevano scavati nel diaman­te e nel carbone». Un sud «molto, ma moolto più sud di quello spagnolo». Nelle pause di lavorazione, donne di nero vestite gli chie­devano miracoli. Così, a la carte. Ma poi sor­prendendolo con la cicca in bocca, si ritira­vano sdegnate. Perché Cristo non fuma. Temendo che a quasi mezzo secolo dal film non lo riconoscessi, Irazoqui mi è venuto incontro benedicendo. Porta un panama si­gnorile e scarpe minorchine. 

Da anni vive qui a Cadaqués, che fu la Saint-Tropez catalana e il Vittoriale mediterraneo, ora casa museo, di Salvador Dalí. «Quel fascistone» dice En­rique accenando alla (brutta) statua del Divi­no, che domina la baia e lo ritrae molto più ricciuto del vero: diresti Sor Pampurio. Sediamo nel bar accanto a quello dove Irazoqui, giocatore precocissimo e temibile, batteva a scacchi Duchamp: «Era stato un asso, ma ormai aveva i suoi anni. Alla fine, la moglie Teeny mi pregò: Evita le partite con Marcel, che poi la notte sta lì a rimuginare e non mi dorme». C'era anche John Cage: «Simpa­ticissimo. Mai visto scacchista peggiore» sogghigna Gesù. E punzecchia: «Vediamo se anche lei mi farà la domanda che tutti mi ri­volgono nelle interviste. Quale? Glielo dirò alla fine». 

intervista pubblicata dal Venerdì di Repubblica e ripresa da Pasolini.net