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08/02/14

La lentezza, secondo Peter Handke.





Più di dieci anni fa presi un volo notturno da Anchorage, in Alaska, per New York.

Fu un volo molto lungo, con decollo, un pezzo dopo mezzanotte, dalla città sul Cook Inlet - nel quale, quando si alza la marea, i blocchi di ghiaccio, drizzandosi tutti, penetrano al galoppo, per rifluirne poi, quando la marea si abbassa, nel vasto oceano, ormai grigiastri e neri - , uno scalo intermedio ad Edmonton/Canada, mentre spuntava l'alba e c'era nevischio, un altro scalo, girando nel circuito di attesa, e poi in coda giù sulla pista, nell'abbagliante sole mattutino di Chicago, e atterraggio nel soffocante pomeriggio molto fuori New York.

Finalmente in albergo, volevo mettermi subito a dormire, come malato - tagliato fuori dal mondo - dopo la notte senza sonno, aria e movimento.

Ma poi vidi in basso le strade lungo il Central Park dilatate dal sole del primo autunno, nelle quali - così mi pareva - la gente passeggiava come i giorni di festa, e all'idea che ora lì nella stanza mi sarei perso qualcosa, mi sentii attratto fuori verso di esse.

Mi sedetti al sole sulla terrazza di un caffé, vicino al fracasso e ai fumi di benzina, ancora stordito, anzi dentro di me indotto a un temibile tentennamento dalla nottata insonne.

Ma poi, non so più come, a poco a poco ?, o di nuovo passo per passo ? la trasformazione.

Una volta ho letto che i depressi potevano superare le loro crisi, se per notti e notti venivano impediti di dormire; in tal modo il "ponte sospeso dell'Io", pericolosamente vacillante, si sarebbe ristabilizzato.

Quella immagine l'avevo presente, mentre ora in me l'angoscia lasciava il posto alla stanchezza. Questa stanchezza aveva qualcosa di un risanamento.  Non si diceva "lottare contro la stanchezza"? - Questo duello era finito.

Adesso la stanchezza mi era amica.

Ero di nuovo qui, nel mondo, e addirittura - non perché fosse Manhattan - al centro di esso. Ma a questo si aggiungevano altre cose, molte, e ciascuna una delizia più grande dell'altra. 

Fino a sera inoltrata non feci più altro, se non stare seduto a guardare; era come se intanto non avessi più bisogno nemmeno di respirare.

Niente vistosi e esibiti esercizi di respirazione o tecniche yoga: siedi e respiri alla luce della stanchezza ora, quasi per caso, bene. 

Passavano in continuazione molte donne, all'improvviso indicibilmente belle - una bellezza che lì per lì mi inumidiva gli occhi -, e tutte nel passare prendevano nota di me: mettevo conto.(Strano che soprattutto le donne belle notassero questo sguardo di stanchezza, come anche molti uomini anziani e i bambini).  

Ma non ci pensavo proprio che noi, una di loro e io, al di là di questo cominciassimo qualcosa insieme; da loro non volevo niente, mi bastava poterle finalmente guardare in quel modo.  

... E in quelle ore c'era pace anche al Central Park. E la cosa sorprendente è che la mia stanchezza là pareva collaborare al momento di pace - acquietando ? attenuando ? - disarmando ogni volta già sul nascere con lo sguardo i gesti di violenza, di rissa o anche soltanto di scortesia, in virtù di una compassione del tutto diversa da quella a volte sprezzante della stanchezza da lavoro creativo: in virtù della commiserazione come comprensione. 

.. Grazie alla mia stanchezza il mondo si sbarazzava dei suoi nomi e diventava grande.


Peter Handke, tratto da Saggio sulla stanchezza, Traduzione di Emilio Picco, Postfazione di Rolando Zorzi, Garzanti (Coriandoli), 1991.