Visualizzazione post con etichetta mafia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta mafia. Mostra tutti i post

20/05/22

Giuseppe Costanza, unico superstite nell'auto di Falcone a Capaci. Come fece a salvarsi?

 

Giuseppe Costanza, l'autista di Falcone, a destra oggi, a sinistra visitato dal Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro nei giorni seguenti l'attentato

Mentre stanno per ricorrere i 30 anni esatti della strage di Capaci si torna a parlare di Giuseppe Costanza, l'autista giudiziario, che era nell'auto con Giovanni Falcone e la moglie, quel 23 maggio 1992, giorno dell'attentato mortale al magistrato e che si salvò, miracolosamente.

Ancora oggi, riguardando le terribili foto dell'attentato, si stenta a credere che qualcuno possa essere riuscito a sopravvivere all'inferno di quella macchina.

Come fu possibile, esattamente? 

Giuseppe Costanza, autista giudiziario, si trovava, in effetti, nella vettura con Falcone e la moglie. 

Sono ormai note, anche ai fini giudiziali, le circostanze precise dell'attentato. 

Quel giorno, il 23 maggio il mafioso che faceva da "palo", Domenico Ganci avvertì telefonicamente i suoi complici, Ferrante e La Barbera che le Fiat Croma erano partite ed avevano imboccato l'autostrada in direzione dell'aeroporto di Punta Raisi per andare a prendere Falcone. 

Ferrante e Biondo (che erano appostati in auto nei pressi dell'aeroporto) videro uscire il corteo delle blindate dall'aeroporto e avvertirono a loro volta La Barbera che il giudice Falcone era effettivamente arrivato. 

La Barbera allora si spostò con la sua auto in una strada parallela alla corsia dell'autostrada A29 e seguì il corteo blindato, restando in contatto telefonico per 3-4 minuti con un altro complice, Gioè, che era appostato con Giovanni Brusca su una collinetta sopra Capaci, dalla quale si vedeva bene il tratto autostradale interessato. 

Alla vista del corteo delle blindate, Gioè diede l'ok a Brusca, che però ebbe un attimo di esitazione, avendo notato le auto di scorta rallentare a vista d'occhio: era proprio Giuseppe Costanza, autista giudiziario che era nella vettura con Falcone e la moglie, gli stava ricordando che avrebbe dovuto restituirgli le chiavi di casa. Siccome le chiavi di casa erano insieme a quelle dell'auto, Falcone cercò di rimuoverle dal portachiavi comune, ma l'autista gli chiese di lasciar perdere per evitare il rischio di incidente

Dopo questo rallentamento, Brusca attivò il radiocomando che causò l'esplosione

La prima blindata del corteo, la Croma marrone, venne investita in pieno dall'esplosione e sbalzata dal manto stradale in un giardino di olivi ad alcune decine di metri di distanza, uccidendo sul colpo gli agenti Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo. 

La seconda auto, la Croma bianca guidata da Falcone, si schiantò contro il muro di asfalto e detriti improvvisamente innalzatisi per via dello scoppio, proiettando violentemente il giudice e la moglie, che non indossavano le cinture di sicurezza, contro il parabrezza

Gli agenti Paolo Capuzza, Gaspare Cervello e Angelo Corbo, che viaggiavano nella terza auto (la Croma azzurra) erano feriti ma vivi: dopo qualche momento di shock, riuscirono ad aprire le portiere dell'auto ed una volta usciti si schierarono a protezione della Croma bianca, temendo che i sicari sarebbero giunti sul posto per dare il "colpo di grazia". 

A giungere sul luogo furono invece vari abitanti delle zone limitrofe, intenzionati a prestare i primi soccorsi; tra questi vi fu anche il fotografo Antonio Vassallo, che però abbandonò il luogo dopo che l'agente Corbo lo scambiò erroneamente per uno dei sicari. 

Venne subito estratto dall'auto Costanza, che si trovava sul sedile posteriore vivo in stato di incoscienza; anche il giudice Falcone e Francesca Morvillo erano ancora vivi e coscienti, ma versavano in gravi condizioni: grazie all'aiuto degli abitanti, si riuscì a tirare fuori la moglie del giudice dal finestrino. Per liberare Falcone dalle lamiere accartocciate fu invece necessario attendere l'arrivo dei Vigili del Fuoco.

Giovanni Falcone e Francesca Morvillo morirono in ospedale nella serata dello stesso giorno, per le gravi emorragie interne riportate, il primo alle 19.05 tra le braccia di Paolo Borsellino, la seconda poco dopo le 22 durante un'operazione chirurgica.

Costanza, che oggi ha 60 anni, porta in giro ovunque, in modo infaticabile la sua testimonianza di quel massacro e soprattutto degli anni passati a un uomo che è diventato, suo malgrado, il principale martire di mafia della storia italiana, insieme al suo amico fraterno, Paolo Borsellino, ucciso poco dopo in circostanze simili in Via D'Amelio in un'altra delle pagine più nere della storia repubblicana. 

(fonte Wikipedia italia) 


25/03/22

La famosissima (e commovente) foto di Falcone e Borsellino: chi l'ha scattata? E come nacque?

Falcone e Borsellino nella iconica foto scattata da Tony Gentile 

Anche se non ci vediamo più da qualche anno, conservo un ricordo di stima incondizionata per Tony Gentile, uno dei migliori fotoreporter italiani, in assoluto. 

Ho incrociato Tony per la prima volta molti anni fa nelle lunghe attese come cronista nelle aule dei processi più controversi che si sono tenuti in Italia. Ho apprezzato subito il suo sorriso, le sue parole parche, la pazienza, l'intelligenza che emanava e emana dal suo sguardo. Non eravamo propriamente amici, non avevamo questa confidenza, ma credo che ci stimassimo vicendevolmente e in quelle lunghe ore di attese, condividevamo opinioni, impressioni, idee. Mi sembrava che il suo cognome si adattasse magnificamente alla sua personalità. 

Tony, nato a Parlermo nel '64, ha un curriculum notevole: fotoreporter e giornalista iniziò a fotografare nel 1989 collaborando con l'Agenzia fotografica Sintesi grazie alla quale pubblicò i suoi reportage dalla Sicilia sui maggiori quotidiani e periodici italiani e stranieri. E in questi anni raccontò con le sue  immagini l'attacco stragista della mafia contro lo Stato, fotografando le stragi di Capaci e di via D'amelio.  Dal 2003 si trasferisce a Roma dove entra a far parte dell'Agenzia di stampa internazionale Reuters per la quale ha coperto, fino al 2019, storie di attualità, cronaca, costume e sport di interesse internazionale viaggiando tanto in giro per il mondo e fotografando alcuni degli eventi che sono rimasti nella memoria collettiva. 

Ma pochi sanno che Gentile è l'autore della fotografia dei magistrati Falcone e Borsellino che sorridono, diventata icona del riscatto di un popolo intero alla violenza della mafia. 

Qualche tempo fa, Gentile ha raccontato a Francesca Marani de Il Fotografo, quando e come nacque quella magica fotografia, che oggi è nel cuore di tutti gli italiani

«Il giorno in cui ho realizzato quello scatto» dice Tony Gentile, «non avrei certo potuto prevedere il percorso che l’immagine avrebbe fatto, la vita che avrebbe avuto, anche indipendentemente da me. Mi trovavo a un convegno al quale erano presenti i due giudici come relatori, dovevo coprire l’evento su commissione di un giornale locale. A un certo punto Falcone si avvicina a Borsellino, i due si dicono qualcosa e poi scoppiano in una risata fragorosa che richiama l’attenzione degli astanti. È una frazione di secondo, salto davanti a loro e colgo l’attimo. È solo dopo la strage di Capaci del 23 maggio che recupero lo scatto e lo invio a vari giornali che prontamente l’archiviano in un cassetto e dopo quella di via D’Amelio del 19 luglio, la foto è pubblicata sulle prime pagine di tanti quotidiani italiani. Da quel giorno, sarà stampata sulle magliette, appesa ai muri, conosciuta da tutti. E questo è senza dubbio il lato positivo: aver creato una fotografia che ha il tempo dell’eternità, un’immagine che i ragazzi possono osservare sui libri di storia, un simbolo positivo per le future generazioni» 

Tony all'epoca aveva solo 28 anni. 

Questa è la stampa dei provini di quel preziosissimo rullino, con le foto scattate quel giorno:

Borsellino

Nella medesima intervista a Il Fotografo, Tony Gentile ricorda i suoi anni giovani, le manifestazioni che frequentava assiduamente, che erano seguite da grandi fotografi come Letizia Battaglia e Franco Zecchin. 

Racconta anche il suo veloce apprendistato, quando fin da subito si trovò calato all’interno di un universo di grandi conflitti e cambiamenti politici che investivano, in quegli anni la città di Palermo. 

"L’idea di un giovane fotoreporter," dice, "solitamente, è quella di andare per il mondo, partire alla volta di un Paese lontano, ma io non avevo bisogno di andare da nessuna parte. La guerra era lì, di fronte a me. In casa, nella mia città. Essere un fotografo di cronaca in quegli anni in Sicilia significava scontrarsi inevitabilmente con i morti ammazzati per strada e doversi misurare con la documentazione di un fatto mafioso. Attendevo con ansia il momento in cui avrei dovuto fotografare un morto ammazzato perché non sapevo quale sarebbe stata la mia reazione. La mia memoria visiva tuttavia era già costellata di immagini di morte, ero cresciuto con quelle fotografie stampate sui giornali. Quando poi è successo sul serio, quando sono stato chiamato a fotografare il mio primo omicidio, nel maggio del 1990, la macchina fotografica, come spesso accade, ha fatto da filtro e, nonostante l’impressione iniziale, sono riuscito a portare a termine il mio compito. In fondo, un po’ cinicamente, ti concentri solo sul lavoro: portare a casa una buona fotografia. Forse, è un bene perché così non hai il tempo per lasciarti coinvolgere emotivamente". 

Quel che è certo è che oggi, certamente non solo e non soltanto per la famosa foto a Falcone e Borsellino, Tony Gentile è uno dei migliori fotoreporter, uno di quelli che hanno fatto - consumando la suola delle scarpe e a prezzo delle cicatrici sul proprio cuore - la storia degli ultimi decenni in questo paese. 

Tony Gentile davanti a una foto di Giovanni Falcone

Fabrizio Falconi - 2022 

29/05/18

La Natività del Caravaggio rubata dalla Mafia nel 1969, non fu distrutta !


La celebre Nativita' di MichelangeloMerisi da Caravaggio rubata a Palermo nella notte tra il 17 e il 18 ottobre 1969 non e' andata distrutta. 

È questa la clamorosa novita' che emerge dalla relazione della presidente della Commissione parlamentare antimafia nella passata legislatura, Rosy Bindi sull'inchiesta svolta dalla Commissione e che sara' presentata a Palermo

Su proposta della presidente Bindi, la Commissione aveva riaperto il dossier e condotto una propria autonoma indagine sul furto del famoso dipinto, alla ricerca degli autori materiali, dei mandanti e soprattutto del destino dell'opera, tutt'oggi avvolto nel mistero. 

A quanto pare, secondo le dichiarazioni rese da pentiti di Mafia, l'opera fu smembrata in Italia in diverse parti e rivenduta a collezionisti stranieri in Svizzera. 

I risultati dell'inchiesta saranno illustrati a Palermo domani 30 maggio nel corso di un convegno promosso dal Comune di Palermo dal titolo 'Il Caravaggio rubato dalla mafia: una storia semplice - L'indagine della Commissione Antimafia'. 

L'incontro si svolgera' presso l'Oratorio di San Lorenzo, dove era collocato il capolavoro del Caravaggio e dove oggi e' ospitata una copia realizzata con innovative tecniche di riproduzione digitale

Interverranno, oltre alla Presidente della Commissione e al sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, l'arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice, il procuratore della Repubblica, Franco Lo Voi, il professore Claudio Strinati, il senatore Pietro Grasso e il presidente della commissione antimafia della Regione Siciliana, Claudio Fava.

L'evento e' previsto alle 16 e rientra nell'ambito delle manifestazioni su Palermo capitale italiana della cultura 2018. 

08/12/14

Una cagna in mezzo ai maiali - Roma 2014.

William Turner, The Colosseum, 1820


E poi c'è Roma che sembra una cagna in mezzo ai maiali..  Cantava qualche anno fa Francesco De Gregori (la canzone era Viaggi e Miraggi, 1992).

E mai come in questi giorni, la figura sembra calzare giustamente.

Del resto Roma una cagna in mezzo ai maiali è stata per lungo tempo e lunghi secoli durante la sua storia.

Lo è stata anche molto spesso in primis, da parte delle popolazioni che l'hanno, nelle diverse epoche, abitata. Poi per via delle diverse invasioni, dei diversi prìncipi o papi che ne hanno abusato, perpetrando rovina su rovina.

Quel che accade oggi, dunque, con gli scandali di Mafia (parola che in Italia ormai si adatta a qualunque tipo di realtà materiale), non è certamente inedito.

Quel che forse avvilisce ulteriormente quelli che amano questa città (non solo per le vestigia, ma per il presente) è il surplus di cialtroneria, di volgarità, che sembra - proprio come una frotta di maiali intorno ad una cagna - essere calato su questa (un tempo nobile) città.

Dovrei però abdicare ? Dichiararmi definitivamente schifato, apolide, senza patria, dovrei gongolare per l'imminente crollo del Colosseo ?

No.

Mi riservo di dire, con Flaiano:

Tuttavia Roma è la mia città. Talvolta posso odiarla, soprattutto da quando è diventata l'enorme garage del ceto medio d'Italia. Ma Roma è inconoscibile, si rivela col tempo e non del tutto. Ha un'estrema riserva di mistero e ancora qualche oasi. (1)


Fabrizio Falconi
1. Citato in La Fiera Letteraria p. 21, n. 5, 14 marzo 1971.

06/08/12

Paolo Borsellino - Un ricordo personale.




Nell'estate del 1988 - quattro anni prima della sua morte - intervistai Paolo Borsellino a casa sua, a Palermo. Un ricordo indelebile.

Avevo proposto al direttore Corrado Guerzoni - lavoravo all'epoca per Radiodue 3131 - di realizzare una inchiesta sul fenomeno degli scomparsi, quelle persone che si dissolvono nel nulla ogni anno (non esisteva allora nessuna Chi l'ha visto?). 

Tra le diverse idee per il programma, avevo in mente di ricostruire anche la vicenda del più famoso scomparso italiano. Ettore Majorana. Dissolto nel nulla il 27 marzo 1938.

La storia del fisico italiano aveva suscitato, come è noto, l'interesse di Leonardo Sciascia che gli aveva dedicato un celebre libro, La scomparsa di Ettore Majorana.

Sciascia avanzava lì l'ipotesi che il grande fisico si fosse ritirato - dopo una finta messinscena di suicidio - nel Convento di Serra San Bruno, in Calabria. 

Ma la curiosità di Sciascia, riguardo alla sorte di Majorana era sempre in allerta, pronta a valutare ogni altra ipotesi. Finì dunque per interessarsi alla stravagante ricostruzione di due fratelli di Mazara del Vallo - i Romeo, i quali si dicevano convinti di aver trovato il vero Majorana, nientemeno che sotto le mentite spoglie di un povero barbone, che i pescatori di Mazara chiamavano da sempre l'uomo cane, e che aveva l'abitudine di dormire all'aperto, sotto il monumento sulla piazza principale.


Sciascia, seppure recalcitrante aveva accettato di incontrare i Romeo, aveva ascoltato la loro versione dei fatti: che quell'uomo sapeva di matematica, che non era certamente del luogo, che lui stesso, prima di morire, aveva confidato di essere il grande fisico. 

Pur dubbioso, Sciascia per escludere ogni possibilità, aveva interessato del caso Paolo Borsellino, che era procuratore capo della Repubblica di Marsala e con il quale vi era stato qualche dissapore nel recente passato per via della nota polemica sui professionisti dell'antimafia, innescata dallo stesso Sciascia. 

Fu così che partii per la Sicilia, per ricostruire il caso dell'uomo cane: l'ultima ipotesi sulla scomparsa di Majorana. 

Dopo qualche giorno passato a Mazara - e dopo aver parlato con i Romeo, e con tutti quelli che potevano dare notizie del barbone - mi trasferii a Palermo per incontrare Borsellino. 

Mi ricevette nel suo appartamento, insieme alla moglie Agnese.  Un'ospitalità molto semplice. Seduti nel salotto buono, l'appartamento di un tranquillo borghese, dai modi cortesissimi. 

Restammo a parlare a lungo. Mi fece vedere le foto dell'uomo cane, mi spiegò come i dettagli delle foto, ma soprattutto le perizie calligrafiche (c'erano alcune firme lasciate dal barbone nel commissariato locale quando lo avevano fermato per controlli di rito) escludessero in modo categorico qualsiasi identificazione con il grande fisico siciliano. 


Ettore Majorana 

Realizzammo l'intervista.   Al termine, ci fu un episodio che non ho più potuto dimenticare.   Borsellino, con affabilità - aveva rispetto formale per l'interlocutore, insieme a curiosità vivissima - si interessò riguardo la prosecuzione del mio viaggio. Gli spiegai che stavo per partire per Catania, dove mi aspettavano altre 'verifiche' su Majorana.

"Ma è qui con la sua macchina?" mi chiese.  "Non è mia, ho una macchina a noleggio," risposi.  I suoi occhi si illuminarono. "Non mi dica che l'ha parcheggiata qui sotto."  

In effetti, arrivando, avevo constatato con meraviglia, nella giungla di parcheggi congestionati delle vie di Palermo, un grande spazio libero, sterrato, proprio di fronte al portone di casa del magistrato. 

"Sì," risposi.  Sorrise: "Allora gliel'hanno portata via."   Sbirciò fuori dalla finestra: in effetti della mia auto restavano solo le strisce degli pneumatici sulla sabbia dello sterrato.  

"Venga," mi disse infilando un gilet di cotone. L'ascensore ci portò nel sotterraneo del palazzo dove c'era la sua auto. Uno della scorta si offrì di salire al volante, lui gli fece cenno di no.  Mi aprì la portiera, salii a bordo: non avevo mai visto una macchina blindata, con le portiere e i vetri spessi come quelle di un mezzo militare. 

Mi accompagnò dunque, guidando, al garage poco distante dove avevano portato la mia auto, che in effetti era lì, con due o tre tizi che vi armeggiavano intorno.  

Borsellino rivolse loro un sorriso: "E' un giornalista". 

Lo ringraziai.  Mi strinse la mano, mi augurò buon viaggio e mi pregò di aggiornarlo se per caso fossero emerse novità importanti.

L'estate di quattro anni dopo, in quel 19 luglio del 1992, mi tornò - e non mi abbandonò più - il ricordo forte del chiaro sorriso e dello sguardo triste dell'uomo che aveva provato ad essere se stesso nella terra dove tanti - prima e dopo Majorana - si erano perduti per sempre. 

Fabrizio Falconi  

© riproduzione riservata.