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30/04/14

L'amore è addomesticamento (De Rougemont e la nostra smania di avere tutto).




 Edward John Poynter: Orfeo e Euridice 

Come ci ha insegnato Denis De Rougemont,  per qualche migliaio d'anni  in Occidente e anche per i padri greci e romani, la questione era molto chiara: da una parte c'era la lussuria (il soddisfacimento degli istinti) dall'altra c'era il vincolo matrimoniale (dello hieros-gamos,  ιερογαμία) necessario per l'allevamento della prole.

Poi, a partire dal XII provvidero i menestrelli provenzali con le loro Chansons e la loro invenzione dell'amore romantico, assoluto, passionale, che vince perfino la morte, a rendere le cose molto più complicate. 

Oggi l'arcano della nostra incompletezza, della nostra perenne insoddisfazione, poggia sulla pretesa ideale e idealizzata (ormai assorbita dal nostro modello antropologico interiore, occidentale) di voler tenere e avere tutto insieme (e ci manca sempre un pezzo): lussuria, vincolo, passione, romanticismo, sicurezza, contratto, tutto nello stesso tempo, nella stessa persona. Qui e ora, e per sempre (come recitano le catenine d'oro o le incisioni sugli anelli che si scambiano gli innamorati, come simboleggiano i lucchetti che riempiono le ringhiere dei ponti sui fiumi occidentali).

Ma questo complesso di cose che chiamiamo amore e che naturalmente comporta anche cose non del tutto piacevoli come esclusione, esclusività, possessività, possesso, gelosia, fatica a concretizzarsi, nella vita concreta.

Perché l'amore in fondo è qualcosa di molto più delicato e impalpabile, e assomiglia molto all'addomesticamento.

Cresciamo talmente convinti che essere non amati sia la norma (i genitori sono sempre più distratti, gli altri hanno sempre meno tempo per occuparsi di noi), che sin dalla tenerissima età sviluppiamo, come i nostri simili selvatici, molte efficaci strategie di difesa: fuga, aggressione, lotta, graffi, morsi, veleno, mimetismo, girare alla larga, fingersi morti.

Poi quando arriva qualcuno che ci ama davvero - ci vuole accogliere gratuitamente, vuole farsi carico di noi, della nostra persona e della nostra estraneità al mondo, un vero miracolo che succede soltanto una volta nella vita, in genere  - la cosa più difficile (in tanti non ci riescono mai) è convincere noi stessi che nessuno ci farà più male, nessuno ci farà soffrire.

E che possiamo non mostrare più i denti, avvicinarci e lasciarsi avvicinare.

Questo siamo, e questo dovremmo ricordarci di essere. Un animale selvatico può essere addomesticato - se lo sceglie, se lo sente, se lo vuole - ma non accetterà mai di diventare una cosa nostra.  La sua essenza selvatica, in definitiva, resterà sempre soltanto sua, e diversa da noi.

Per fortuna.

Ma la gioia sarà quella di incontrarsi ogni volta nella libera fiducia riconfermata, vera, concreta, che non è la pretesa assoluta di un idea.

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.