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18/04/15

"Non aveva residenza fissa". - Rainer Maria Rilke.



Non aveva residenza fissa.  Così, parlando di se in terza persona, scrive Rainer Maria Rilke. Per il poeta praghese questa frase suona come una affermazione - manifesto, riassumendo una costante nella sua vita e nella sua poetica.

In cui la casa - come scrive Elisabetta Potthof nella prefazione alla edizione italiana del Testamento, - è continuamente ricercata come luogo protetto entro cui placare la propria interiorità.  D'altronde fissarsi definitivamente in una dimora è possibile solo quando si raggiunga un equilibrio interiore. 

Rilke non lo trovò mai, e forse ne aveva anche paura. 

Una vita dunque nomade, errabonda, alla continua ricerca di una specularità interno-esterno, di un esterno nel quale l'interno possa specchiarsi. 

Ecco un elenco (parziale) degli spostamenti e dei luoghi in cui ha vissuto Rilke nei suoi 50 anni quasi precisi di vita.

Praga (fino a 15 anni)
Linz
Schonfeld
Vienna
Monaco di Baviera
Venezia
Wolfratshausen
Firenze
Berlino
San Pietroburgo
Kiev
Poltava
Saratov
Samara
Brema
Parigi
Roma (9 mesi)
Borgeby Gard (Svezia)
Copenhagen
Furuborg
Oberneuland
Berlino
Worpswede
Berlino
Friedelhausen
Parigi
Dresda
Praga
Parigi
Furnes (Belgio)
Ypern
Bruges
Capri (6 mesi)
Napoli
Parigi
Praga
Breslavia
Vienna
Venezia
Capri
Napoli
Roma
Firenze
Parigi
Strasburgo
Colmar
Provenza
Lipsia
Jena
Berlino
Parigi
Oberneuland
Parigi
Algeri
Tunisi
Giza
Luxor
Karnak
Il Cairo
Napoli
Venezia
Parigi
Berlino
Monaco di Baviera
Avallon
Lione
Avignone
Savona
Sanremo
Piacenza
Bologna
Duino
Venezia
Toledo
Cordoba
Siviglia
Ronda
Madrid
Parigi
Foresta Nera
Lipsia
Berlino
Monaco
Parigi
Venezia
Vienna
Monaco
Berlino
Monaco
Zurigo
Nyon
Berna
Losanna
Ginevra
Brissago
Zurigo
Locarno
Schonenberg
Ginevra
Bern
Muzot
Montreux
Parigi
Baveno
Milano
Bad Ragaz
Muzot
Glion
Montreux

Ed ecco invece un elenco (parziale) delle personalità che Rilke ha conosciuto personalmente nella sua vita, e con cui ha avuto rapporti diretti:

Valerie von David-Rhonfeld
Emil Orlik
Hugo Steiner
Arthur Schnitzler
Karl Kraus
Lou-Andreas Salomé
Frieda von Bulow
Heinrich Vogeler
Paula Modersohn-Becker
Clara Westhoff
Gerhard Hauptmann
Stefan George
Oskar Kokoschka
C.J. Burckhardt
Lev Tolstoj
Leonid Pasternak
Paul Trubeckoj
Paula Becker
Auguste Rodin
Sidie Nàdherny
Maksim Gorkij
Rudolf Kassner
Jean Cocteau
Isadora Duncan
Marie von Thurn und Taxis
André Gide
Eleonora Duse
Sigmund Freud
Franz Werfel
Lulu Albert-Lazard
Stefan Zweig
Ferruccio Busoni
Jean Lurcat
Baladine Klassowska
Paul Valery

Fabrizio Falconi

19/09/11

Dieci luoghi dell'anima - Introduzione.



Chiunque di noi ha sperimentato, almeno una volta, giungendo in un luogo sconosciuto, di avvertire dentro il cuore, senza apparente motivo, una inspiegabile sensazione di familiarità, conoscenza, pace. Non ho usato questi termini casualmente: familiarità, conoscenza, pace.

Sono i paradigmi che ciascuno non si stanca di ricercare nel cammino della propria vita. E sperimentabili tutti e tre insieme soltanto per brevi illuminazioni, istanti di pienezza che si cerca di afferrare e tenere stretti, prima che, sfumando, si allontanino. Quando analizziamo i motivi dell’incantesimo che un luogo ci ha suscitato accogliendoci, tiriamo in ballo i ricordi dell’infanzia, le similitudini, le aspettative, le caratteristiche tipiche, le proporzioni, le forme, i colori.

Ma non è soltanto questo, io credo, che ci ha portato a sentire quella conoscenza, quella familiarità, quella pace. Andrej Tarkovskij, il grande regista russo, avvertiva, nei suoi diari: L’unica funzione della nostra coscienza è quella di creare finzioni, mentre la conoscenza è data dal cuore, dall’anima. La coscienza, sottende Tarkovskij, ci costringe sempre al distinguo, alla differenziazione, al ragionamento, all’opportunità, al calcolo.

Tutti aspetti che difficilmente si coniugano con la familiarità, con la pace e con quella conoscenza vera, intima che - sembra dirci uno dei registi del Novecento considerato più vicini allo spirituale, al sacro - si manifesta, accade, soltanto quando si spengono o si attenuano i gangli della nostra onnipresente coscienza, e lasciamo parlare il nostro cuore, la nostra anima. Per Tarkovskij, i due termini sembrano sinonimi: ma sappiamo che sulla distinzione tra ‘cuore’ e ‘anima’ si è discettato da sempre, in filosofia, in teologia, in mistica. E così (pensiamo a Santa Caterina da Siena), il cuore è stato identificato come la parte più autentica della personalità umana, quella parte che corrisponde al ‘sentimento’, quella “da cui sorgono le lacrime”, ed ogni esperienza emotiva.

Nella definizione di ‘anima’ per come è stata approfondita in psicologia, dagli studi a partire da Jung, c’è qualcosa di più: James Hillman, ricostruendo la storia di questo concetto, che parte dal genius dei latini, per attraversare il daimon dei greci e l’angelo custode dei cristiani, approda ad una definizione ‘larga’ di anima che contiene quel che di ineffabile è contenuto in ogni individuo umano. Quel che non si spiega con il materiale biologico ereditato, geni e cromosoma. 

Quella parte di noi, che noi – non sapendo definire meglio – chiamiamo con i più diversi nomi: ‘carattere’, ‘destino’, ‘predisposizione’, ‘vocazione’, e tanti altri. Quel ‘quid’ che fa di noi un essere unico e irripetibile. Io e voi,- scrive Hillman ne Il Codice dell’Anima - e chiunque altro siamo venuti al mondo con una immagine che ci definisce. Una immagine che ci definisce. E che dunque, è già definita. E se la nostra immagine, cioè la nostra anima, ha un ‘codice’ già pre-costituito, questo ‘codice’ non fa che interpretare – durante tutta la vita fisica su questa terra - i segnali dell’esistenza: incontri, persone, emozioni, esperienze personali, tutto viene filtrato dal linguaggio della nostra anima, sempre alla ricerca di qualcosa che possa essere ‘riconosciuto’ e ‘ricollegato’ ad una essenza che sembra precedere ogni altra acquisizione cognitiva. Questa parte del nostro essere - l’anima - rappresenta anche in termini cristiani, quel ‘ponte’ con lo spirito, quella parte che attraverso un ‘riconoscimento’ che non è dei sensi, ci mette in contatto con lo spirito universale della creazione.

 Il Dio della Pace – scrive San Paolo - vi santifichi totalmente e tutto il vostro essere, spirito, anima e corpo, siano custoditi irreprensibili per la parusia del Signore nostro Gesù Cristo. (Tes, 5,23). Anima, quindi, come ‘ponte’ tra corpo – cioè vita fisica – e spirito – cioè vita eterna. Questi concetti apparentemente astratti ciascuno di noi li sperimenta quando, senza rendercene neanche conto, incontriamo qualcuno che – non sappiamo spiegare perché – colpisce la nostra vita in modo indelebile. 

 “L’ho vista, e appena l’ho vista ho capito che era la donna della mia vita.” “Appena l’ho conosciuto ho capito che era una persona speciale, e che mi potevo fidare del suo carisma.” Non sono i sensi a dirci queste cose. E’ la nostra anima, che ha ‘riconosciuto’ qualcosa. Le anime si riconoscono anche se non si parlano. E allo stesso modo, io credo, vi sono luoghi che possiedono capacità di parlare alle anime, proprio alla nostra anima e in quel momento, oltre l’evidente bellezza di un armonico paesaggio, o di una efficace gradazione di forme e colori. La capacità di questi luoghi di parlare alla nostra anima non dipende solo da caratteristiche esteriori; c’è anzi il forte sospetto che i ‘luoghi dell’anima’ traggano la loro forza dal fatto di essere contenitori di voci e di storie, che continuano a vivere.

 In termini di fede, i primi cristiani sapevano a tal punto quanto fosse importante questa venerazione dei luoghi, da tenerli segreti – quelli riservati al culto o alla memoria di persone dalla storia e dall’anima straordinari – e riunirvisi in silenzio, in circostanze ‘misteriose’, fuori dalle convenzioni della vita mondana. Un luogo era importante e ‘sacro’ proprio perché – grazie alla presenza di queste voci ancora vive – riusciva a liberare le potenzialità delle anime dei vivi, a far lievitare quella possibilità di essere ponte tra corpo e spirito, tra fisicità e trascendenza. 

Anche oggi esistono molti luoghi con queste caratteristiche, nel mondo. Ed è un catalogo non compilabile, perché il codice dell’anima non vale per tutti allo stesso modo. Perché nessuna regola generale può valere per l’impalpabilità dell’anima e dei suoi molti linguaggi. Il tracciato che qui di seguito ho segnato è quindi soltanto personale. Luoghi scoperti casualmente, in occasione di viaggi, vacanze, o per motivi di interesse culturale, o a causa del mio lavoro di giornalista.

Qui ho dapprima ‘sentito’ e poi ‘conosciuto’ storie che ho provato a raccontare, in una geografia divenuta sempre più precisa, corrispondente ad un cammino interiore, rivolto al cuore del senso di una storia di uomo cresciuto dentro una tradizione occidentale e cristiana, lunga due millenni. E’ la stessa storia di molti che vivono in questa parte del mondo ormai spuria che chiamiamo Occidente. La storia dei nostri genitori, dei nostri nonni e delle intere generazioni che ci hanno preceduto. La loro voce, se la ascoltiamo, parla ancora chiaro, parlerebbe forse degli stessi luoghi e delle stesse cose che abbiamo sotto gli occhi adesso. Se soltanto fossimo capaci di fermarci, ed ascoltare.

La condivisione di queste scoperte e di queste storie nel corso degli anni, mi ha lentamente convinto che anche un tracciato così personale può diventare fecondo e condiviso. La silenziosa conversazione di anime avviene sempre, anche quando non facciamo nulla per volerlo coscientemente. E vale molto: realizza la nostra essenza su questa terra, senza la quale siamo semplicemente ‘anime sperse’, o ‘perse’, come si dice con efficace sintesi nel linguaggio comune. In ultima analisi, scrive Carl Gustav Jung, noi contiamo qualcosa solo in virtù dell’essenza che incarniamo, e se non la realizziamo, la vita è sprecata.

Fabrizio Falconi

Questa introduzione è tratta dal volume "Dieci Luoghi dell'anima,"  Cantagalli editore, 2009, Siena.