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18/05/20

Libro del Giorno: "Anima" di Natsume Sōseki



Poco conosciuto e poco ristampato in Italia, Natsume Sōseki (pseudonimo di Kinnosuke Natsume) è un autore interessantissimo e moderno, sia per stile che per filosofia e contenuti. 

Il cuore delle cose, talvolta tradotto (e in Italia tradotto magnificamente da SE) come Anima  è uno dei suoi romanzi più famosi, pubblicato per la prima volta in Giappone nel 1914.

Sōseki è interessante anche per la sua vicenda umana: nato a Edo nel 1867 studiò all'Università Imperiale di Tokyo, diventa insegnante, poi vince una borsa di studio e si trasferisce a Londra nel 1900.  L'esperienza a Londra, che gli permette di avvicinarsi a concetti propri della cultura occidentale e a comprendere diversi aspetti di quella inglese, coincide con uno dei periodi più difficili della sua vita: a causa della solitudine, soffrirà di esaurimento nervoso e problemi psicofisici

Torna il Giappone nel 1903, e scrive la sua prima opera di narrativa, Io sono un gatto, che ha un successo immediato. Seguiranno altre fortunate opere, il cui successo non risolve i problemi nervosi dello scrittore: di crisi in crisi muore nel 1916 a soli 49 anni. 

Anima è per certi versi la sua opera capitale e la più autobiografica: il romanzo è diviso in tre sezioni dal titolo "Il maestro e io", "I miei genitori e io" e "Il maestro e il suo testamento morale".

Le prime due sezioni sono narrate in prima persona dall'allievo (del quale, analogamente al maestro, non si conosce il nome), mentre l'ultima sezione è narrata in prima persona dal maestro, in quanto è costituita dal suo testamento morale.

Il romanzo narra del rapporto tra un giovane studente e un maestro, conosciuto fortuitamente a Kamakura, il quale vive in una condizione di totale isolamento dal mondo nella sua residenza a Tōkyō. 

Nonostante l'iniziale distacco del maestro, lo studente piano piano riesce ad avvicinarsi a questa figura enigmatica, che non ama parlare molto di sé e che nelle frequenti discussioni con il ragazzo lascia intendere di aver trascorso un passato drammatico, senza però approfondirne i particolari.

Il maestro vive a Tōkyō in condizioni modeste, in compagnia della moglie e di una domestica.

Durante le sue visite, il ragazzo ha modo di conoscere anche la moglie del maestro, molto devota al marito, la quale però non crede di suscitare in lui un analogo sentimento, per il pessimismo del maestro nei confronti del genere umano.

Sono numerose questioni che rimangono aperte (tra cui di chi sia la tomba che il maestro va spesso a visitare e cosa sia successo in passato per giustificare un atteggiamento simile) quando il giovane studente deve ritornare al paese natale perché il padre è in gravi condizioni di salute.

Quando si trova lì riceve una lettera dal maestro che l'allievo legge in treno, precipitandosi a tornare dal maestro che forse è in pericolo: il lungo testamento morale che il maestro ha scritto infatti, contiene il racconto del suo passato, dando risposta ai molti dubbi seminati nella prima parte.

Di sorpresa in sorpresa si giunge senza poter interrompere la lettura, alla fine del racconto.

Stilisticamente impeccabile, decisivo nei temi che affronta. Quello che oggi si definirebbe un "romanzo psicologico", che svela gli intralci dell'anima, la battaglia contro le proprie scelte morali, le tentazioni, le debolezze, le fragilità, il confronto con il mistero della morte.

Natsume Soseki 
Anima 
Traduzione di N. Spadavecchia 
Editore: SE Collana: Testi e documenti 
Anno edizione: 2015 
Pagine: 224 
EAN: 9788867231775

03/03/20

Libro del Giorno: "Onori" di Rachel Cusk




L'Editore Einaudi manda in libreria l'ultimo episodio della trilogia, con la quale la scrittrice Rachel Cusk, 53 anni, nata in Canada, ma inglese di adozione, ha compiuto una piccola grande rivoluzione nei canoni classici della narrativa e del romanzo. 

Cusk infatti, dopo una serie di romanzi e saggi pubblicati con alterne fortune, si è presa una pausa, ripensando completamente il suo modo di scrivere e inaugurando nel 2015 una trilogia di romanzi brevi iniziata con Resoconto (in orginale Outline), cui ha fatto seguito Transiti (Transit), nel 2017 e ora l'ultimo, Onori (Kudos), pubblicato in Inghilterra nel 2019. 

In cosa consiste la novità di Cusk?

Innanzitutto nel suo stile, di alta, o altissima qualità. Nessuna frase di quelle scritte da Cusk è mai banale. Ogni frase anzi, dei suoi densi racconti, rivela una sorpresa, terminando quasi sempre nel modo opposto - o diverso - a quello che si aspetterebbe il lettore. 

Questo tono spiazzante, si riflette nella struttura stessa dei 3 romanzi, che sono singolari perché non ospitano affatto una vera trama, nel senso tradizionale del termine. 

Il centro della narrazione è infatti la scrittrice stessa, un alter ego della stessa, di cui conosciamo soltanto in nome Faye. 

Il punto di vista quindi è sempre quello soggettivo di Faye, ma la "trama" è intessuta, in Onori, come negli altri due romanzi, degli incontri, delle persone che incontrano la scrittrice, che interagiscono con lei, e che decidono di confessare le loro vite, o parti di esse, ad un ascoltatore ingiudicante; senza soluzione di qualità, una via l'altra. 

In Onori, una donna in viaggio in aereo, per raggiungere una località della vecchia Europa dove è previsto un convegno a cui dovrà partecipare, ascolta un estraneo di fianco a lei mentre parla del suo lavoro, della famiglia, e dell'angosciosa notte precedente alla partenza, trascorsa a seppellire il suo cane. 

Sbarcata e tra le strade in un caldo afoso, tra pause caffè e lunghe attese di navette che fanno la spola tra il ristorante alla sede dei meeting, incontra colleghi, giornalisti, organizzatori culturali, stewards. 

Da queste sue conversazioni - che sembrano e sono riempitivi, pause di tempi morti, dove sembra non succedere nulla esteriormente - emerge un quadro variegato, lieve e profondo, lacerante e confuso di una umanità scissa tra ciò che vorrebbe sembrare e ciò che si trova a dover essere.

Una bella sorpresa e di grande qualità, una scrittura limpida e neutra, ma non priva di compassione, che ricorda la lezione formale di J.M. Coetzee e che ha già ricevuto elogi e premi in tutto il mondo. 

05/02/20

Libro del Giorno: "Rimbaud" di Graham Robb



Una biografia magnifica, questa di Graham Robb, giustamente pluripremiata e diventata punto di riferimento per quanto riguarda la letteratura francese simbolista e in particolare per l'opera multiforme, misteriosa e magmatica del grande Arthur Rimbaud. 

Documentatissima, come è nello stile british, il libro di Robb scandaglia l'opera e la vita dell'uomo dalle suole di vento, che in soli 3 o 4 anni di precocissima e intensissima produzione poetica, sconvolse la letteratura non solo francese, aprendo le porte alla modernità, prima di eclissarsi in un cupio dissolvi leggendario, lontano dalla letteratura e da tutti, nel cuore dell'Africa inesplorata, alimentando miti e leggende. 

Il pregio più grande di questo avvincente libro è il suo stile - letterario appunto - che sembra prendere spunto dall'enigma di Rimbaud e delle sue poesie, per esporre le sue idee - e anche i fatti - sempre su un piano di ambiguità, che non pretende di mostrare, ma di suggerire. 

Si impara tantissimo.

E' appena il caso di dire che pur noto in vita solo ad una ristretta cerchia di adepti, Arthur Rimbaud è stata una delle figure che più hanno affascinato la cultura e l´immaginario del ventesimo secolo. 

La biografia di Graham Robb ricostruisce in modo appassionante, appassionato e dettagliato i mille volti di questo artista ribelle: l´enfant prodige e il poeta maledetto, il genio dissacrante e il visionario, l´omosessuale e l´avventuriero, il bohèmien e l´uomo d´affari. 

Seguiamo così le fasi burrascose dei soggiorni a Parigi e a Londra, la violenta storia d´amore con Paul Verlaine, la lotta solitaria contro la letteratura tradizionale e il tentativo di reinventare alla radice il linguaggio poetico. 

Sulla base di documenti finora inesplorati, infine, Robb getta nuova luce sugli anni oscuri trascorsi in Africa come viaggiatore, mercenario, mercante d´armi e di schiavi

Graham Robb è noto per le sue biografie di Balzac e Victor Hugo; quest'ultima premiata nel 1997 col Royal Society of Literature Heinemann Award e il Whitebread Biography Award.

Una lettura consigliabile, anzi raccomandabile, a tutti.

Rimbaud 
Graham Robb 
Carocci Editore
2004 
ISBN: 9788843028610

15/11/19

Libro del Giorno: "Bye Bye Blackbird" di Moniza Alvi

Questo nuovo volume della collana Interno Books (Interno Poesia) è doppiamente importante: primo per la meritoria valorizzazione di una poetessa poco conosciuta e ancora poco tradotta nel nostro paese; secondo perché il libro nasce da un esperimento assai interessante, un seminario di traduzione letteraria svolta nel Dipartimento di Lingue dell'Università di Torino per il corso magistrale di Letteratura Inglese (autunno, 2018); quindi questa traduzione di poesie è il frutto della collaborazione di un gruppo di studenti, coordinati da Pietro D'Andrea.

La poesia di Moniza Alvi è altamente lirica e allo stesso tempo occupata dal quotidiano, soprattutto intrisa del tema della trasmigrazione, del migrare - un tema quindi che coinvolge e ha coinvolto Moniza e la sua famiglia, trasferitasi dal Pakistan in Inghilterra e continuamente sospesa tra questi due mondi e continenti lontani - metaforizzato dall'osservazione degli uccelli, che sono i protagonisti assoluti della raccolta, di ogni poesia. 

Ricorrono così i ruoli e le figure del padre e della madre, dei ruoli famigliari e delle mancanze, dei silenzi, delle cadute e dei tentativi di staccarsi e vivere su livelli di consapevolezza più alti.  Fino all'ultima lirica (Meno, molto meno), un addio straziante al padre con la descrizione dei suoi ultimi giorni e momenti, fino al titolo della raccolta Bye Bye Blackbird (Bye Bye sono per l'appunto le ultime parole pronunciate dal padre) che rimandano al celebre evergreen di Miles Davis e di tanti altri. 

Moniza Alvi, nata in Pakistan è cresciuta in Inghilterra. Dopo gli studi a New York e Londra ha insegnato per anni nella scuola secondaria, vincendo numerosi premi in patria e all'estero tra cui il Cholmondeley Award.  Speriamo che questa raccolta sia il preludio favorevole di altre traduzioni in italiano.


Fabrizio Falconi

09/08/19

Libro del Giorno: "Amore" di Inoue Yasushi



Tre racconti, tre perle.

L'arte di raccontare usando parole distillate, essenziali, come insegna la grande tradizione della letteratura giapponese. 

Non si finisce di meravigliarsi, leggendo queste poche pagine pubblicate da Adelphi, dell'arte di Yasushi (1907-1991), uno dei massimi scrittori giapponesi che i lettori italiani hanno già conosciuto per lo splendido romanzo breve Il fucile da caccia, pubblicato sempre da Adelphi  nel 2004.

Amore riunisce tre racconti collegati dall'amore che da il titolo al volume, scritti tra il 1950 e il 1951 e poi raccolti e pubblicati nel 1959. 

I titoli dei tre racconti, sono già suggestivi: Giardino di rocce (Sekitei), Anniversario di matrimonio (Kekkon kinenbi), e il più lungo, La morte, l'amore, le onde (Shi to koi to nami to). 

Nel primo, Giardino di rocce,  Uomi Jirō, sposato con Mitsuko, decide di andare a Kyōto per il viaggio di nozze, poiché in quella località aveva trascorso molto tempo, negli anni degli studi. Giunti sul posto, i due decidono di andare a visitare il giardino delle rocce del Ryōanji, dove Uomi e Mitsuko affrontano le loro ombre individuali, fino a una inattesa separazione. 

In Anniversario di matrimonio Kanako e Shunkichi decidono di festeggiare la vincita alla lotteria di  diecimila yen e decidono di spendere la metà della somma di denaro per una notte in un lussuoso albergo a Hakone. 
L'idea del costoso soggiorno abortisce nel corso di una tortuosa passeggiata e i due decidono di tornare a casa, di comune accordo, tutto sommato felici di essere a casa, andando a letto come in una normale giornata. 

La morte, l'amore, le onde infine racconta la storia di Sugi Sennosuke che decide di pernottare in un hotel, che si affaccia su una ripida scogliera, con l'idea di suicidarsi al termine del soggiorno.
Durante la permanenza però fa conoscenza dell'unico altro soggiornante dell'albergo, una ragazza,  Nami, e al termine di una cena con lei, apprende che anche Nami è lì per lo stesso motivo. 
Misteriosamente i destini dei due si intrecciano, fino alla notte fatale. 

Sono tre piccole grandi lezioni di scrittura, ma anche tre storie universali che molto raccontano di noi, delle nostre paure, delle nostre ansie più sottili, della nostra incapacità di essere realmente padroni delle nostre vite.

Fabrizio Falconi


Yasushi Inoue
Amore
Traduzione di Giorgio Amitrano 
Adelphi, Milano
2006 
Pagine: 117 Euro 8.50

02/01/19

Libro del Giorno: "Tutto quel che è la vita" di James Salter.




Raramente - quasi mai - capita di trovare un romanzo così perfetto come questo di James Salter (1925-2015), per me la più bella sorpresa dell'anno appena trascorso. 

Considerato il suo capolavoro, il capolavoro di uno scrittore che dopo la morte sta conquistando un sempre maggiore interesse (e successo) in America e in Europa, Tutto quel che è la vita racconta l'esistenza di Philip Bowman, un ordinary man (come cantavano i Pink Floyd di Us and Them), un uomo che attraversa la vita e la storia con passo discreto, con gli sbagli e la poesia quotidiana, gli amori, le passioni, i piccoli e grandi naufragi. 

Proprio da un naufragio, quello di una nave da guerra sulla quale il ventenne Bowman sta combattendo il suo conflitto, nell'estate del '44, prende il via il romanzo con un primo capitolo di eccezionale nitore che subito conquista la piena fiducia del lettore. 

Bowman - come fu lo stesso Salter - è un giovane ufficiale arruolato in Marina. Tornato a casa riesce a farsi mandare ad Harvard a studiare (performance notevole per uno come lui che viene da una normale famiglia di provincia) e in seguito viene assunto come editor di una piccola casa editrice che però diventa con gli anni importante. 

Gli anni del dopoguerra, i colleghi di lavoro, la frequentazione con gli scrittori, un matrimonio sbagliato, i viaggi in Europa, gli amori, le famiglie che si sfasciano, i genitori che muoiono: tutto quello che  - banalmente -  è la vita, appunto. 

Ma, proprio come avveniva in Stoner di John E. Williams, la forza di questo libro è nel far diventare la quotidianità, la banalità, epopea. 

Avviene per merito di una scrittura incredibilmente esatta, dove mai un aggettivo o una parola sono fuori posto, dove ogni compiacimento letterario, ogni abuso è bandito (che differenza con la quasi totalità della narrativa contemporanea!): e non è nemmeno un puro lavoro di sottrazione. Salter non si riserva il ruolo di autore della sordina. Le pagine sono piene di forza e di vita (raramente si sono letti brani erotici scritti con mano così felice, dove le cose sono chiamate con i loro nomi e per quello che sono), senza scivolare mai nel tono minore dell'umore dolente, vittimista o facilmente nichilista. 

Tutto quel che è la vita riluce così di un significato autentico, la letteratura si fa vita e viceversa. Senza orpelli e senza teorizzazioni o manipolazioni del lettore.  

Bowman non è Stoner. Il suo grado di innocenza è probabilmente minore rispetto a quello dell'eroe di Williams.  I suoi sbagli sono più evidenti e meno in buona fede (come esplicita tutta la parte della relazione con Anet, la giovane figlia di Christine, la donna con cui Bowman vive una relazione finita per il tradimento di lei). Ciò nonostante Bowman ha il passo del giusto e stoicamente sopravvive, affrontandoli, gli incerti della vita e soprattutto la sua solitudine. 

Sullo sfondo del romanzo, l'epoca felice in cui gli scrittori non erano macchine per far soldi o per vendere oggetti, e gli editors vivevano la suggestione dei luoghi e delle storie per rendere il loro lavoro pieno di senso. 

Un libro davvero bellissimo, che non si dimentica.

Fabrizio Falconi - 2019.





02/10/18

Libro del Giorno: "L'anulare" di Yoko Ogawa.




La fama di Yoko Ogawa, nata a Okoyama nel 1962, si è rapidamente diffusa in occidente, dopo che in patria ha vinto tutti i principali premi letterari con brevi e intensi romanzi come Una perfetta stanza d'ospedale (2009) o questo L'anulare, pubblicato nel 1994 e tradotto in Italia da Adelphi nel 2007. 

La scrittura della Ogawa, perfetta e levigata e piena d'ombra, come le stanze delle antiche case giapponesi (si ricordi Elogio dell'Ombra di Tanizaki), in sole 100 pagine allestisce la quinta metafisica di un misterioso laboratorio immerso nel verde al limite della città, ex educandato, dove sono rimaste a vivere solo due ormai vecchie ex alunne.   In questo luogo sospeso nel tempo e nello spazio, la Ogawa fa muovere due personaggi, una giovane protagonista e il signor Dashimaru, che è il direttore del laboratorio e che la assume come assistente, segretaria. 

Solo il signor Dashimaru ha accesso al laboratorio sotterraneo dove vengono confezionati gli esemplari: si tratta di oggetti dal particolare valore affettivo che diverse persone si presentano per far conservare.  Così la ragazza scopre lentamente che le teche delle stanze del laboratorio sono colme degli oggetti più disparati: tre piccoli funghi, gusci di tartarughe, ombrelli, ossa di uccelli, perfino parti perdute del proprio corpo. 

Anche la giovane apprendista, neoassunta, nel suo lavoro precedente ha perso qualcosa: un pezzetto di carne a forma di conchiglia della punta dell'anulare sinistro - staccatosi in un incidente durante il turno di lavoro. 

Lentamente - tra silenzi, frasi e lenti movimenti nello spettrale laboratorio - la ragazza viene irretita dal signor Dashimaru, che prima le regala un paio di scarpe nere, poi inizia ad avere con lei rapporti sessuali - quasi pietrificati - nel grande bagno dell'ex educandato. 

E' un universo straniato e straniante, ossessivo e feticista quello nel quale si muove la giovane donna, che proprio come gli esemplari collezionati minuziosamente nel laboratorio, finisce lentamente per diventare un esemplare. Ritornano gli echi della antica sottomissione femminile, dei riti silenziosi dell'antico Giappone, modulati sul registro della contemporaneità assente e fragile delle nuove generazioni.   

Se l'esemplare creato ogni volta dal signor Dashimaru è una sorta di - perfino macabra - cerimonia di distacco da ciò che si è perduto, la figura della giovane assistente incarna la volontà inconscia e ineludibile, di distaccarsi dalle illusioni del futuro con un ripiegamento all'indietro, ad una storia che non ha catarsi e non ha forse nemmeno soluzione. 


Yoko Ogawa
L’anulare 
Traduzione di Cristiana Ceci
Piccola Biblioteca Adelphi 2007,
4ª ediz., pp. 103
Euro 10,00

14/09/18

Libro del Giorno: "Il Falco" di Hernan Diaz.




Hernan Diaz, l'autore di Borges, Between History and Eternity (Bloomsbury, 2012), direttore associato dell'Istituto spagnolo presso la Columbia University, ma americano di nascita, ha giocato una bella battaglia con questo romanzo, Il falco (In the distance il titolo originale), uscito l'anno scorso, ma non l'ha vinta. 

L'idea era molto interessante: rivalutare il genere western, da troppo tempo abbandonato dalla grande narrativa americana, rivitalizzandolo da una prospettiva nuova, immaginandone protagonista nientemeno che un gigante svedese, Hakan, sfuggito nel mezzo dell'Ottocento dalla miseria della sua terra e della sua famiglia e imbarcatosi su una nave diretta verso il Nuovo Mondo. 

Il romanzo, che pure ha avuto successo in patria, giungendo finalista al Pulitzer e al Pen/Faulkner Award, non convince, nonostante - o forse proprio per questo - il talento narrativo di Diaz. 

La vicenda di Hakan coinvolge subito dalle prime pagine: in un immediato e lunghissimo flashback - che dura per tutto il libro - scopriamo l'incubo del viaggio di Hakan: partito per l'Inghilterra insieme al fratello per imbarcarsi da Portsmouth per l'America, Hakan perde Linus. I due si mischiano alla folla, e Hakan, sicuro che il fratello sia salito a bordo della stessa nave, si imbarca per scoprire che invece il fratello non c'è.  E probabilmente ha preso una differente nave diretta a New York. 

Lungo il percorso Hakan scopre anche - complici le difficoltà della lingua (parla solo lo svedese e non capisce una parola di inglese) che la sua nave non è diretta a New York, ma a San Francisco, doppiando il capo Horn e la Terra del Fuoco.

Da qui ha inizio il lunghissimo e allucinante viaggio - a cavallo, a piedi, sull'asino - del povero Hakan verso oriente, nel tentativo di raggiungere New York e ricongiungersi con Linus. 

Il motore del romanzo dunque, è quello giusto (quello che Hitchcock chiamava il Mc Muffin), ma l'attenzione del lettore è tradita dall'estenuante sviluppo della vicenda che si snoda in bizzarri incontri, stermini altrettanto casuali, sezionamenti di cadaveri, sete, fame, caccia all'uomo attraverso il deserto, una fuga interminabile in cui al centro c'è soltanto il paesaggio.  

Una specie di Into the wild  tradotto sulla pagina (e riecheggiato anche nel titolo originale), che però scolorisce e non avvince, pagina dopo pagina; verso un malinconico finale che non termina nulla e tradisce ogni aspettativa del lettore. 

Insomma, una occasione mancata.  Forse, per poter diventare un grande romanzo, a questo Falco (il titolo italiano si riferisce al soprannome dato a Hakan dagli americani che non sanno pronunciare il suo nome svedese lo arrangiano in Hawk, cioè Falco), mancava poco. 

Forse un po' più di coraggio all'autore, troppo occupato ad esibire la sua bravura. 

P.S. l'edizione italiana del libro è macchiata da un clamoroso errore tipografico, laddove a pag. 236 viene ripetuto per intero un lungo brano contenuto in un paio di pagine precedenti del romanzo. Una gaffe non degna di un editore come Neri Pozza. 

Fabrizio Falconi



29/08/18

Libro del Giorno: "L'uomo che non doveva vivere", di Geoffrey Household.



Nato a Bristol nel 1900 e laureatosi ad Oxford, Geoffrey Household racchiude nella sua lunga biografia (è morto nel 1988), tutti gli elementi del vero outsider della letteratura. 

Lasciata l'Inghilterra nel 1922 lavorò all'estero, prima in Romania come impiegato di banca, poi in Spagna nel commercio delle banane, e infine negli Stati Uniti dove - durante la crisi del '29 - si mantenne scrivendo piccole commedie per bambini e voci commissionate per l'Enciclopedia. 

Tornato in patria nel 1933, si impiegò in una fabbrica per inchiostri che lo mandò in giro per il mondo, fino al Medio Oriente e in Sudamerica.  In questo periodo cominciò a dedicarsi regolarmente alla scrittura, e con la pubblicazione del suo terzo romanzo, L'uomo che non doveva vivere, conobbe un enorme successo internazionale che continuò nella seconda parte del Novecento, dopo la riduzione cinematografica che ne fece ad Hollywood Fritz Lang (nel 1941) e televisiva con Peter O' Toole nei panni del protagonista nel 1976. 

Nonostante i quaranta romanzi scritti in seguito, il successo di Household rimase legato a questo romanzo, che in molti considerano l'antesignano del genere thriller. 

Pubblicato in Italia da Polillo, L'uomo che non deve morire si legge ancora oggi tutto d'un fiato - d'altronde non ha scansioni in capitoli o parti - e si presenta come un incubo a occhi aperti.  Il protagonista senza nome di questa vicenda è un uomo in fuga, per motivi che non appaiono chiari: è infatti catturato mentre sta puntando il suo fucile a cannocchiale contro la casa-fortezza di un dittatore di una nazione straniera (la Polonia, si chiarirà in seguito). Non ha sparato e forse non meditava nemmeno un attentato, ma i suoi inseguitori ne sono convinti. Sopravvissuto miracolosamente alla eliminazione fisica, comincia la lunga fuga dell'uomo, che riesce a ritornare nel suo paese, soltanto per scoprire che sono probabilmente proprio i servizi segreti del suo paese a volerlo eliminare. 

Il racconto è la descrizione minuziosa di una fuga apparentemente senza meta, in cui l'uomo riesce ogni volta a far perdere le sue tracce per miracolo, fino a scomparire letteralmente dentro una fossa scavata in aperta campagna.  Anche nella sua tana sotterranea, però, viene trovato e dopo aver rischiato la fine da sepolto vivo, riesce ad evadere rocambolescamente anche da qui. 

Come chiarisce il titolo originale del romanzo, Rogue Male, ciò che interessa ad Household è questa condizione di braccato, questa emarginazione o autoemarginazione radicale del fuggitivo che cerca scampo da se stesso, dai potenziali amici e dai molti nemici senza volto che lo perseguitano come dentro un incubo senza fine. 

Ciò nonostante, l'uomo resta al centro del suo destino, l'uomo trova la sua riabilitazione, che comincia dalla terra, dal fango, dalla mutilazione, dalla perdita di tutto. 

Non è quindi tanto il nemico, che ha importanza, ma la forza della vita, la continuazione - forse - di una memoria, di un riscatto, che rappresenta l'unica - eroica, dolorosa, sacrificale - ragione per continuare a vivere. 

Fabrizio Falconi


10/08/18

Libro del Giorno: "La figlia del Capitano" di Aleksandr Puškin.


Ritorna in libreria nella versione ET - Einaudi Classici (impreziosita da una bellissima copertina che riporta la Ragazza Moscovita di A.P. Rjabuschkin, olio su cartone del 1903, conservata a San Pietroburgo al Museo di Stato Russo), il capolavoro di Aleksandr Puškin, pubblicato nel 1836, un anno prima della sua prematura morte avvenuta in duello. 

Come scrive Leone Ginzburg nella prefazione, La Figlia del Capitano è un romanzo completamente imperniato sul delicato problema del comportamento morale, pur assumendo - o forse proprio per questo - i toni di una fiaba russa. 

Petr Andreevic Grinev, il giovane alfiere protagonista, giudicato troppo ribelle dal severo padre, viene spedito a prestare il servizio militare all'avamposto di Belogorsk, nella sperduta steppa russa, rinunciando così al sogno di trasferirsi nella scintillante San Pietroburgo. 

Giunto qui insieme al fido tutore Savel'ic, attraverso un lungo viaggio in carrozza in mezzo alla tormenta di neve, il giovane viene accolto come in una famiglia, dal comandante della fortezza, il capitano Mironov, da sua moglie Vasilisa e dalla figlia Mar'ia Ivànovna, detta Masa.

Sono però gli anni della sanguinosa sollevazione antinobiliare - 1773-1774 - che sconvolse tutta la Russia Orientale, capeggiata dal cosacco analfabeta Pugacev, che un avamposto dietro l'altro, distrugge tutto quello che incontra, insieme al suo esercito (rimpinguato dalla popolazione locale che coglie l'occasione per sollevarsi contro i possidenti che vessavano i liberi coltivatori), fino a giungere proprio alla fortezza di Belogosrk, che viene conquistata dai cosacchi senza alcuna fatica. 

Il terribile Pugacev, visto da vicino, da Petr, rivela aspetti sorprendenti: non solo l'efferato brigante, capace di ogni malvagità, ma anche il furbo paesano, vanitoso e malinconico, perfino generoso, quando riconosce in Petr il ragazzo incontrato qualche tempo prima durante la tormenta di neve in una stazione di posta, che gli ha offerto il suo pellicciotto prezioso per coprirsi. 

Attraverso duelli, scontri e prigionie, si dipana la contrastata vicenda d'amore tra Petr e la dolce Masa, che per coronare il loro sogno dovranno superare innumerevoli traversie, compreso l'arresto del giovane ufficiale e la commissione di una dura condanna da scontare, proprio con l'accusa di essersi reso complice del brigante Pugacev, prima che le guardie dello zar riuscissero finalmente a neutralizzarlo. 

Un racconto meraviglioso, sempre sospeso tra incantamento e realismo, che può essere considerato il precursore del grande romanzo russo che troverà in Turgenev, Dostoevskij e Tolstoj i suoi massimi esponenti. 

Una lunga riflessione, dolente e pura, sul dovere, sull'onore, sulla dignità e sulla decenza. 

Che si legge come una vera e propria introduzione ai grandi temi della modernità. 



12/07/18

Libro del Giorno: "Una signora perduta" di Willa Cather.





Può essere perfetto un romanzo di sole 140 pagine che racconta una vita intera e di questa vita un carattere indimenticabile ? 


La risposta è sì. Se l'autrice è Willa Cather (1873-1947), scrittrice americana, in Italia ancora assai poco conosciuta e penalizzata come altre sue colleghe tra fine ottocento e primi del Novecento dal genere femminile a cui apparteneva. 

Proprio l'equivoco della letteratura di genere  ha contribuito ad oscurare Willa Cather e altre come lei, rispetto a più blasonati colleghi maschili. Ma il tempo sta restituendo loro il posto che meritano, come testimonia il fatto che la Cather sia amatissima di John Updike e da molti altri autori contemporanei. 

Nata in Virginia nel 1873, cresciuta in Nebraska, la Cather ha raccontato l'America della frontiera, quella dei primi migranti europei che cercavano fortuna nel libero e promettente Midwest cantandone la lenta e inesorabile decadenza suscitata dall'avanzare dallo strapotere delle metropoli dell'East e della West Coast. Proveniente dalla critica teatrale e dal giornalismo la Cather finì per dedicarsi completamente alla scrittura vincendo il Premio Pulitzer 1923 col romanzo Uno dei nostri (in Italia uscito da Elliot nel 2014) e pubblicando altri fortunati romanzi come La morte viene per l'Arcivescovo (Neri Pozza), considerato da molti il suo capolavoro o Una signora perduta pubblicato da Adelphi nel 1990 e continuamente ristampato.

Con la sua prosa asciutta ed elegantissima che rimanda gli echi di Flannery O'Connor e di Carson McCullers e ancora più indietro, di  Hawthorne e Melville, Willa Cather scrisse questo breve romanzo nel 1923, poco tempo prima della Grande Depressione che cambiò faccia al continente e all'Occidente intero. 

Sulla nuova strada ferrata costruita dalle ferrovie Burlington, lungo il tragitto tra Omaha e Denver, la Cather ambienta la sua storia in una piccola località sperduta nelle immense praterie dei territori, dal nome promettente: Sweet Water. 

Qui si è ritirato a vivere il Capitano Forrester, che della costruzione della ferrovia è stato l'eroe indiscusso cambiando per sempre la vita e la fortuna di tanti coloni arrivati a rendere patrimonio la nuova terra promessa.  

Sweet Water, un piccolo snodo di sosta, è per il Capitano un luogo del cuore.  Qui decide di fermarsi e vivere, in mezzo alla natura incontaminata, con una giovane sposa, una vedova conosciuta in California. 

Marian Forrester è dunque la vera protagonista di questa storia: bellissima, nobile, affascina ogni visitatore; è la regina della magione di Sweet Water, la casa dei Forrester. La conosciamo dagli occhi adoranti di un ragazzo, Niel, che insieme ai suoi compagni gioca e cresce nei terreni dei Forrester, ammaliato dalla eleganza della donna, dal suo sincero, limpido buonumore, dalla sua capacità di rendere meravigliosa la giornata di chiunque la incontri. 

Crescendo, Niel impara però che l'immagine radiosa della donna - e della sua dedizione al Capitano - nasconde qualcosa di sordido e di difficilmente confessabile che non ha a che fare soltanto con il passato della donna, ma anche col suo presente. Una sorta di desiderio di consunzione e di deriva. 

Limpido e controllatissimo, lucido fino alla fine, il racconto della Cather è il racconto minuzioso di un carattere, di un carattere che resta - per definizione - non del tutto conoscibile, ma che si esprime in una sottile e inquietante continua ambivalenza. 

La lunga malattia del Capitano rende sempre più difficile per Marion sostenere il ruolo che ha scelto di ricoprire, per una donna come lei che non è disposta, e non sarà mai disposta, a rinunciare alla vita. 

Epigono di altri modelli letterari femminili, Marion Forrester è un carattere che non si dimentica, perché lo si percepisce come vero, fino alla fine. 

La vera letteratura, del resto, per la Cather, nasceva dalla umiltà dello sguardo: "Lascia che le storie nascano dalla terra che calpesti", diceva.

La terra dei Forrester, la terra di Sweet Water, i grandi cieli notturni, il fango degli acquitrini e dei fossi, l'effimera bellezza delle rose coltivate dal Capitano, la grande meridiana in pietra arenaria rossa sono le immobili sentinelle di un racconto che si snoda perfetto fino a toccare ogni corda del versatile cuore umano. 

Fabrizio Falconi 

Willa Cather
Una signora perduta
Traduz. Eva Kampmann
Adelphi 1990

06/07/18

Libro del Giorno: "Il richiamo del merlo" di Enza Armiento.



Enza Armiento 
Il richiamo del merlo 

Le truppe piemontesi hanno ricevuto l’ordine di radere al suolo il paese. Concetta viene violentata dai militari sotto gli occhi del padre, è creduta morta. Quando rinviene tutto è morte e sangue e fuoco. Si rifugia in un bosco, viene accolta dai briganti. A distanza di anni, Michela, lontana parente di Concetta, vuole intraprendere la carriera militare. La scelta non viene accolta con favore dalla famiglia. Il romanzo segue la vita delle due ragazze: Concetta avviata al brigantaggio, Michela al riscatto dalla sua condizione sociale. Il presente avrà rimandi al passato, alle strategie di pace attuate con strumenti e modalità di guerra. Solo alla fine troveranno risposte le voci silenziose dei parenti di Michela, delle donne del Sud che portavano al collo catenine dorate con volti di morti. Sarà una lotta in nome e per conto degli innocenti. 

Enza Armiento

nata a Manfredonia (FG), è docente di lingua e letteratura inglese. È risultata vincitrice e finalista in diversi premi letterari. Alcune sue poesie sono pubblicate in raccolte e antologie letterarie. Nel 2013 cura, insieme a Antonella Taravella e Sebastiano Adernò, l’antologia a scopo benefico dal titolo No job. Visioni del Paese irreale. Nel 2017 partecipa con un suo racconto, tratto dal romanzo autobiografico La voce delle pietre, al concorso europeo Storie di Resilienza indetto dall’Agenzia Nazionale Erasmus+ Indire e viene premiata come role model: figura di riferimento positivo in campo educativo. Scrive per il Words Social Forum Centro Sociale dell’Arte.


03/07/18

Libro del Giorno: "Incidente di Notturno" di Patrick Modiano.



A Parigi, in una notte di parecchi anni fa, un ventenne viene investito da un'auto (una Fiat color verde acqua) in Place des Pyramides. Soccorso nella hall di un vicino hotel, il ragazzo si sveglia in compagnia della donna che era al volante e di un misterioso uomo bruno che si occupa di loro, accompagnandoli a bordo di un cellulare della polizia all'ospedale più vicino. 

Sedato per curare le sue ferite, il ragazzo trascorre alcuni giorni in stato di semi-incoscenza, poi quando viene dimesso riceve - senza altre spiegazioni - dal misterioso uomo una busta con molti soldi: una sorta di indennizzo per il suo silenzio. 

Comincia così Incidente notturno, il romanzo scritto nel 2003 da Patrick Modiano (che qualche anno più tardi - 2014 - ha ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura), tradotto nel 2016 da Emanuelle Caillat per Einaudi. 

Il lettore che non conosce ancora Modiano però, aspetterà invano di veder scorrere nel breve volgere di 115 pagine, l'intrico di un giallo. 

Come spesso avviene nei romanzi dello scrittore Boulogne-Billancourt, il pretesto del racconto, la chiave - pur efficace per tenere stretta l'attenzione sul racconta - funziona come messa in moto di un meccanismo narrativo introspettivo fondato sullo studio di una coscienza: quello del giovane protagonista, di cui non sappiamo nemmeno il nome, della sua vita randagia, dei rapporti con un padre misterioso che incontra soltanto nei bar in disparate zone della città, della sua infanzia, con un altro incidente subito all'età di sei anni nelle strade di un villaggio di provincia, della ricerca ossessiva della Fiat verde acqua e della sua proprietaria di cui sa soltanto il nome - Jacqueline Beausergent - e della quale conserva solo allucinati ricordi della notte dell'incidente. 

La lingua di Modiano - asciuttissima, lavorata fino a renderla quasi eterea come la trama del racconto - diventa materiale sensibile del viaggio allucinato e picaresco del giovane senza soldi e senza parte, che si muove, come all'interno di una segreta topografia già tracciata - da un quartiere all'altro di Parigi, da una sponda all'altra della Senna, da una strada all'altra, da una piazza a un vicolo. 

Come un delicato gioco di domino, la ricerca del giovane avrà fine. E noi avremo l'impressione di conoscerla retrospettivamente, anche se nulla di esplicito e garantito, nulla di effettivo e razionale verrà spiegato fino in fondo. 

Quello di Modiano è un mondo di sogni. Un mondo che rifiuta ogni tirannia del prosaico e rivolta ogni immagine come se fosse vista e percepita dal vetro di un bicchiere rovesciato. 

Il gioco potrà apparire a qualcuno stucchevole, ma non è mai stato facile e non lo è neanche ora, scrivere un romanzo come questo.



Fabrizio Falconi