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12/10/22

Annie Ernaux dopo il Nobel per la Letteratura compare in pubblico a New York: "Finché qualcosa non è stato scritto, non esiste davvero"

 


Da quando Annie Ernaux ha vinto il premio Nobel per la letteratura la scorsa settimana, i libri dell'autrice francese hanno conquistato un numero tale di ammiratori che molti titoli sono esauriti su Amazon.com e nelle librerie, alcuni non disponibili per un mese o più. 

Ma all'Albertine Books, nell'Upper East Side di Manhattan, la sua apparizione lunedì sera è sembrata meno una presentazione che una riunione di vecchi amici, francesi e americani. 

L'evento, raggiungibile al secondo piano attraverso una scala a chiocciola all'interno dei Servizi Culturali dell'Ambasciata di Francia, aveva registrato il tutto esaurito ben prima dell'annuncio del Nobel.

Lunedì, una prima fila di partecipanti si è estesa dietro l'angolo e alla fine centinaia di persone si sono ammassate all'interno, compresa una folla in esubero che l'ha osservata attraverso un video trasmesso dal piano inferiore. 

Accolta da un'ovazione da parte di un pubblico di sole persone in piedi, tra cui i colleghi Garth Greenwell e Rachel Kushner, l'ottantaduenne Ernaux ha parlato a lungo e con ritmo energico, attraverso la sua traduttrice, della sua carriera e del processo di scrittura. 


Le sue risposte ampie contrastavano con lo stile economico dei suoi libri autobiografici, notoriamente brevi, tra cui "Passione semplice", di 64 pagine, e "Happening", di 96 pagine, il suo candido ricordo di un aborto illegale nel 1963, che l'anno scorso è stato adattato in un film omonimo in lingua francese. 

 La serata era intitolata "L'arte di catturare la vita con la scrittura". La Ernaux, intervistata dall'autrice Kate Zambreno, ha paragonato il suo lavoro a un'esplorazione a lungo termine della sua mente, facendo eco a un sentimento comune tra gli autori: Scrivono per scoprire ciò che pensano. 

"La letteratura mi è apparsa come l'unico mezzo per raggiungere quella che io chiamo verità o realtà", ha detto. "È un modo per rendere chiare le cose, non in modo semplice, anzi, scrivere le cose le rende più complesse. È anche un modo per dire che finché qualcosa non è stato scritto non esiste davvero". 

Cresciuta nella Normandia rurale, la Ernaux è stata elogiata dai giudici del Nobel per aver mostrato "grande coraggio e acutezza clinica" nel rivelare "l'agonia dell'esperienza di classe, descrivendo la vergogna, l'umiliazione, la gelosia o l'incapacità di vedere chi si è". 

La Ernaux ha detto lunedì sera che il suo obiettivo non è mai stato quello di scrivere un "bel libro" o di far parte del mondo letterario che ora la celebra, ma di articolare i suoi pensieri e le sue esperienze e renderli riconoscibili agli altri. 

Zambreno ha ricordato un momento di "Happening" in cui Ernaux va in biblioteca per fare una ricerca sull'aborto, ma non trova nessun libro che ne parli. La Ernaux ha spiegato che i libri l'hanno "nutrita e nutrita" fin dall'infanzia e che era sensibile sia a ciò che non includevano sia a ciò che includevano. "Happening" era di per sé una sorta di correttivo, e confidava che avrebbe avuto una certa risonanza, soprattutto dopo che la Corte Suprema degli Stati Uniti ha rovesciato la sentenza Roe v. Wade l'estate scorsa. 

La Ernaux ha ricordato la sua difesa del diritto all'aborto, legalizzato dalla Francia nel 1975, e la sua gratitudine per la "sorellanza" di coetanei con cui ha potuto condividere la sua storia. 

Ma nemmeno le discussioni più intime hanno avuto il potere duraturo di inserire le parole in un testo rilegato. Anni dopo, dopo aver abortito, negli anni Duemila, quando ho scelto di scrivere di quello che chiamavo un "evento" o un "fatto", la gente mi chiedeva "perché sei tornata su questo argomento?"", ha detto. "E questo perché avevo la sensazione che ci fosse qualcosa che aveva bisogno di essere annullato, di essere guardato, di essere esplorato. Ed era solo attraverso la narrazione che quell'"accadimento" poteva essere guardato in quel modo"

Fonte: AP 

10/10/22

Carrère: "Limonov sarebbe potuto diventare anche lui come Putin"

 

Eduard Limonov a Parigi nel 1987


Credo che in ore come queste, in cui sempre di più ci si interroga sullo spirito dell'anima russa, sulle contraddizioni e lacerazioni di quel popolo, sulla sua storia monumentale e incomprensibile, sulle ragioni del suo popolo, sui regimi che negli ultimi secoli si sono alternati al potere assoluto di quella sterminata nazione, dagli Zar a Putin, sia quanto mai utile ritornare al grande libro di Emmanuel Carrère, che sotto le sembianze della biografia di un personaggio perennemente sopra le righe come Eduard Limonov, costruisce un saggio aggiornato, significativo, penetrante, sullo spirito russo, arrivando - nella narrazione, fino al 2010, ad "era Putin" inoltrata. 

Ed è forse particolarmente utile rileggere una delle ultimissime pagine, nelle quali Carrère traccia un bilancio della vita di questo uomo senza pace, poeta, dissidente, politico, soldato, intellettuale, bohèmien, donnaiolo, dissoluto, continuamente mosso da un bisogno di notorietà, da un bisogno di differenziarsi dalla massa dei "normali", invidioso dei potenti e dei famosi, solidale con i reietti e i perdenti, del tutto incoerente nella sua estrema coerenza. 

Carrère disegna in questa pagina una bruciante somiglianza tra il suo eroe, "perdente" sempre e Vladimir Putin, mettendo in luce ciò che li accomuna. Rileggiamo:

A Putin penso parecchio, mentre si avvicina la fine di questo libro. E più ci penso, più ritengo che il dramma di Eduard (Limonov ndr),sia stato credere di essersi sbarazzato dei vari capitani Levitin che gli avevano avvelenato la giovinezza e vedersi invece parare davanti, tanti anni dopo e quando credeva di avere ormai la strana spianata, un super capitano Levitin: il tenente colonnello Vladimir Vladimirovic (Putin ndr.)

In occasione della campagna presidenziale del 2000 è stato pubblicato un libro di colloqui con Putin il cui titolo, in originale, è "In prima persona".  (...)

Dicono che Putin parli in politichese: non è vero. Putin fa quello che dice, dice quello che fa, e quando mente è così spudorato che non ci casca nessuno.  Se si esamina la sua vita, si ha l'inquietante sensazione di trovarsi di fronte a un doppio di Eduard.

Putin è nato in una famiglia dello stesso tipo di quella di Eduard, soltanto dieci anni dopo: padre sottoufficiale, madre donna delle pulizie, tutti accalcati dentro la stanza di una kommunalka. Ragazzino gracile e introverso, è cresciuto nel culto della patria, della grande guerra patriottica, del KGB, della fifa che esso incuteva a tutti quei senza palle di occidentali. 

Da adolescente è stato, per usare le sue stesse parole, un teppistello, e se non è diventato un delinquente, lo deve soltanto al judo, a cui si è dedicato con tanta intensità che i suoi compagni ricordano ancora le terribili urla provenienti dalla palestra dove si allenava, da solo, la domenica. 

E' entrato negli organi per romanticismo, perché essi annoveravano uomini eccezionali che difendevano la patria, e lui era orgoglioso di diventare uno di loro. 

Ha diffidato della perestrojka, non ha mai sopportato che masochisti o agenti della CIA facessero tante storie per i gulag e i crimini di Stalin, la fine dell'impero è stata per lui la più grande catastrofe del ventesimo secolo, e ancora adesso la pensa così. 

Nel caos dei primi anni '90 si è ritrovato dalla parte dei perdenti, dei beffati, ridotto a fare il tassista. Adesso che è al potere adora, come Eduard, farsi fotografare a petto nudo, i muscoli in evidenza, con addosso i pantaloni della tuta mimetica e un coltello da commando alla cintura.

Come Eduard è freddo e astuto, sa che l'uomo è un lupo per gli altri uomini, crede solo nel diritto del più forte, nell'assoluto relativismo dei valori e preferisce fare paura piuttosto che averla. 

Come Eduard disprezza i frignoni che considerano sacra la vita umana. L'equipaggio del Kursk può impiegare otto giorni a morire asfissiato sul fondo del mare di Barents, le forze speciali possono gasare centocinquanta ostaggi nel teatro della Dubrovka e trecentocinquanta bambini nella scuola di Beslan, ma Vladimir Vladimirovic dà al popolo notizie della sua cagnolina che ha partorito. La cucciolata sta bene: pappa di gusto, bisogna vedere le cose in maniera positiva. 

La differenza tra Putin e Eduard è che Putin ce l'ha fatta. Putin è il capo. 

(...)

Limonov, se si trovasse al posto di Putin, certamente direbbe e farebbe tutto quello che Putin dice e fa. Ma Limonov non è al posto di Putin, e non gli resta che occupare quello, così incongruo per lui, di oppositore virtuoso, difensore di valori in cui non crede (democrazia, diritti umani e stronzate del genere) al fianco di persone oneste che incarnano tutto quello che lui ha sempre disprezzato.  Non esattamente uno scacco matto, ma certo, in queste condizioni, non è semplice saper stare al proprio posto.


10 e lode. 



17/08/22

Proust e l'aforisma tradito!


Un giorno qualcuno dovrà pur scrivere la storia degli aforismi traditi, equivocati, sbagliati.

Uno degli esempi più eclatanti riguarda uno attribuito a Proust e quasi sempre del tutto travisato, distorto, male interpretato.

Lo si scopre a pag. 264 del Quinto Volume della Recherche - La Prigioniera - dove si trova il fin troppo celebre aforisma attribuito a Marcel Proust che la vulgata generale - e purtroppo ormai l'ignoranza on line, che lo riprende e lo rimanda all'infinita - vuole reciti: "Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi."

Il problema è che esso, scritto così, viene completamente frainteso da chi lo legge e anche da chi lo pubblica. La frase di Proust infatti non termina in quel punto.

Il pensiero è più esteso - l'aforisma estratto è una arbitraria sintesi - e recita: "L'unico vero viaggio, l'unico bagno di giovinezza, sarebbe non andare verso nuovi paesaggi, ma avere altri occhi, VEDERE L'UNIVERSO CON GLI OCCHI DI UN ALTRO, DI CENTO ALTRI, VEDERE I CENTO UNIVERSI CHE CIASCUNO VEDE, CHE CIASCUNO E'. LO POSSIAMO FARE CON UN ELSTIR (uno dei pittori della Recherche), CON UN VINTEUIL (uno dei musicisti della Recherche): CON I LORO SIMILI, VOLIAMO VERAMENTE DI ASTRO IN ASTRO.

Quindi quello che dice qui Proust NON è che bisogna avere "nuovi (propri) occhi", cioè un diverso sguardo personale, cambiare cioè il modo di guardare (da soli). Quello che ci sta dicendo è che (solo) attraverso la creazione artistica, la mediazione delle grandi anime degli artisti, è possibile per noi guardare le cose diversamente, avere un punto di vista realmente diverso, molto diverso dal cambiare semplicemente lo scenario che abbiamo davanti agli occhi e che cambiamo di volta in volta per colmare la nostra irrequietezza.

Fabrizio Falconi - 2022

25/05/22

Nelle strade della città c'è il mio amore - Renè Char

 


Nelle strade della città c'è il mio amore. Poco importa dove va nel tempo della separazione. Non è più il mio amore, chiunque può parlargli. 

Non si ricorda più di chi nel modo giusto l'amò? 

Egli cerca un suo simile nella brama degli sguardi. Lo spazio che percorre è la mia fedeltà. Disegna la speranza e tenue la respinge. Io vivo in fondo a lui come un felice relitto. 

A sua insaputa, la mia solitudine è il suo tesoro. Nel gran meridiano ove s'inscrive il suo volo, la mia libertà lo disvela. 

Nelle strade della città c'è il mio amore. Poco importa dove va nel tempo della separazione. Non è più il mio amore, chiunque può parlargli. Non si ricorda più di chi nel modo giusto l'amò e da lontano lo illumina finché non cada ? 

 



18/09/21

Libro del Giorno: "Vite che non sono la mia" di Emmanuel Carrère

 


E' uno dei libri migliori che abbia letto negli ultimi anni. Un libro nel quale - come capita molto di rado - il forte impatto emotivo (che co-stringe il lettore a non rimanere impassibile, ma anzi ad essere profondamente turbato visto che in massima parte si tratta di fatti reali) si sposa alla maestria di uno stile letterario impeccabile, di livello molto alto. 

Vite che non sono mie è stato pubblicato da Emmanuel Carrère nel 2009 e subito tradotto in italiano da Einaudi, prima che l'editore Adelphi non acquisisse il catalogo completo delle opere di Carrère per il nostro paese. 

Scritto dopo La vita come un romanzo russo (scritto nel 2007), una storia sulla sua famiglia e quindi completamente autobiografica, Emmanuel Carrère decise di realizzare un libro in cui non fosse il primo protagonista, come già viene dichiarato dal titolo, ma dedicato invece alla vita delle persone che incontra, anche se lo scrittore resta fondamentalmente in scena per tutto il romanzo.

Che si tratti però della famiglia della bambina scomparsa durante il terrificante tsunami del 2004, di Patrice, Etienne e anche delle famiglie vittime del sovraindebitamento, Carrère concepisce la missione di descrivere ai lettori la loro sofferenza, la loro situazione, il loro carattere, in una parola il loro destino.

La storia inizia in Sri Lanka, dove Carrère trascorreva le vacanze con la sua compagna Hélène, suo figlio Jean-Baptiste e il figlio di Hélène, Rodrigue proprio all'epoca del grande tsunami che ha devastato lo Sri Lanka e l'indocina nel 2004. 

Carrère, scampato lui stesso insieme alla famiglia alla tragedia per mere circostanze fortuite, decide allora di raccontare la tragedia che ha subito una famiglia francese in vacanza: Juliette, la loro unica figlia morta durante lo tsunami, raccontando l'impatto devastante di questo lutto su di essa. Le due famiglie diventeranno presto amiche. 

Al suo ritorno a Parigi, l'autore deve poi affrontare un'altra tragedia: la morte della sorella di Hèléne,  Juliette, sposata e madre di tre giovani figlie. 

Racconterà la storia dell'agonia di questa donna per una malattia incurabile e il viaggio di accompagnamento di chi le sta intorno. 

Dopo la morte di Juliette, la famiglia è invitata a visitare un amico ed ex collega di Juliette, Étienne. 

Quest'ultimo spiega i legami che aveva con il defunto. Ed è proprio seguendo questa affascinante storia che Carrère avrà l'idea di realizzare questo libro. 

Incontrerà più volte quest'uomo che gli racconterà del suo lavoro come giudice, il suo cancro gli ha fatto perdere una gamba (come Juliette). Conosce Juliette perché insieme erano giudici del tribunale distrettuale di Vienne, dove si occupavano di colossali casi di sovraindebitamento che interessavano gente comune. 

Étienne racconta la loro lotta comune a favore delle famiglie povere e contro i grandi istituti di credito. 

Carrère conosce meglio  Patrice, il marito di Juliette. Quest'ultimo ripercorre la sua vita matrimoniale e gli ultimi giorni della moglie. 

Le vicende che interessano le due Juliette, dunque, la bambina morta per lo tsunami e la cognata giudice, apparentemente non collegate, finiscono invece per formare, nella narrazione di Carrère una unica, profonda, dolente, angosciosa, meditazione sulla sofferenza e sulla morte (il caso ha voluto infatti che Emmanuel Carrère fosse in vacanza nello Sri Lanka quando lo tsunami ha devastato le coste del Pacifico, e che si trovasse a sostenere una coppia di connazionali nelle strazianti incombenze burocratiche per rimpatriare il corpo della figlia di quattro anni; e che, solo pochi mesi dopo, gli accadesse di seguire un’altra vicenda dolorosa, quella che avrebbe portato alla morte per cancro la sorella della sua compagna, che era stata «un grande giudice», strenuamente impegnato al fianco delle vittime del sovraindebitamento). 

C’è un solo modo per ricevere il dolore degli altri, ci dice Carrère: dargli voce, farlo diventare il proprio dolore. Ed è questo il compito che si è assunto come romanziere, riuscendo a scrivere – senza mai cadere nell’enfasi, ma mettendo a fuoco con la precisione ossessiva di un reporter ogni minimo particolare – il suo libro più lacerante e temerario.

«Da sei mesi a questa parte, ogni giorno, di mia spontanea volontà, passo alcune ore davanti al computer a scrivere di ciò che mi fa più paura al mondo: la morte di un figlio per i suoi genitori, quella di una giovane donna per i suoi figli e suo marito. La vita mi ha reso testimone di queste due sciagure, l’una dopo l’altra, e mi ha assegnato il compito, o almeno io ho capito così, di raccontarle»


Emmanuel Carrère 

07/08/21

Ritrovati in Francia gli archivi perduti di Céline


C'e' chi la ritiene tra le più grandi scoperte letterarie degli ultimi decenni. Sono stati rinvenuti in Francia gli archivi perduti di Louis-Ferdinand Celine, l'autore del 'Viaggio al termine della notte', nato a Courbevoie, vicino Parigi, il 27 maggio 1894 e morto a Meudon il primo di luglio del 1961. 

Una "scoperta straordinaria", fatta di lettere, manoscritti, foto inedite, scrive Le Monde, che oggi rivela la notizia in prima pagina.

Documenti che secondo gli esperti che gli hanno consultati "dovrebbero modificare in profondità la conoscenza dell'opera" del genio letterario francese la cui opera è segnata anche da odiosi scritti antisemiti. 

Si tratta, tra l'altro, di "migliaia di foglietti"; scomparsi nel 1944, precisa il giornale in un lungo articolo intitolato "I tesori ritrovati di Celine". 

La risurrezione degli archivi scomparsi e' "indubbiamente tra le piu' straordinarie scoperte letterarie di questi ultimi decenni", sottolinea Le Monde, precisando che lo 'scopritore' è stato il critico, Jean-Pierre Thibaudat, che ha passato lunghi anni ad identificare e trascrivere queste migliaia di pagine manoscritte che l'autore soleva tenere unite con mollette da bucato. 

Scoperta inverosimile, dunque, almeno quanto le mille peripezie che si celano dietro all'incredibile ritrovamento. Fino all'ultimo giorno della sua vita, Celine, non ha smesso di ripeterlo. 

Nel 1944, mentre aveva preso la fuga insieme agli ultimi collaborazionisti verso la Germania nazista, dei saccheggiatori forzarono la porta del suo appartamento in Rue Girardon, a Montmartre, sottraendo voluminosi manoscritti, in gran parte inediti. 

Tra questi, ha ripetuto piu' volte l'autore, 'Casse-Pipe', un romanzo rimasto incompiuto ed in gran parte autobiografico, che avrebbe dovuto formare una trilogia assieme a 'Viaggio al Termine della Notte' (1932) e 'Morte a credito' (1936). Solo alcune pagine del romanzo sono giunte sino a noi. 

"Non mi hanno lasciato nulla, non un fazzoletto, non una sedia, non un manoscritto...", scrisse Ce'line in 'Da un castello all'altro' (1957). 

Nel 1950, in una lettera all'amico, Pierre Monnier, affermo': "Bisogna dire ovunque che se 'Casse-Pipe' e' incompleto e' perche' gli epuratori hanno buttato tutto (---) 600 pagine di manoscritto, nelle immondizie dell'avenue Junot". 

"Sciacalli", li definiva il medico scrittore, aggiungendo che gli avevano anche sottratto uno importante manoscritto intitolato 'La Volonte' du roi Krogold'. 

Pochi giorni prima della morte, il romanziere scriveva ancora: 'Mi hanno abbastanza preso, svaligiato, mi hanno sottrattutto tutto. Vorrei che mi venisse restituito!". 

Niente da fare, almeno fino ad oggi. Per oltre mezzo secolo, si e' andata cosi' alimentando la leggenda dei manoscritti perduti di Ce'line. La svolta arriva nel novembre 2019, con la morte, a 107 anni, della moglie ed ex ballerina Lucette Destouches. 

Qualche mese dopo, un uomo contatta l'avvocato parigino Emmanuel Pierrat, specializzato nel mondo dell'editoria. Si chiama, Jean-Pierre Thibaudat. 

Critico, autore di numerosi libri di teatro, Thibaudat lavoro' lungamente a Liberation prima di lasciare il giornale nel 2006. Quello che racconta a Le Monde e' stupefacente: 

"Tanti anni fa, un lettore di Liberation mi chiamo' dicendomi che voleva consegnarmi dei documenti. Il giorno dell'appuntamento e' arrivato con enormi sacchi contenenti dei fogli manoscritti. Erano scritti di pugno dal medico scrittore. 

Me li ha consegnati ponendo una sola condizione: non renderli pubblici prima della morte di Lucette Destoutches in quanto, essendo lui di sinistra, non voleva 'arricchire' la vedova dello scrittore". 

Alla domanda su chi fosse il misterioso donatore, lui risponde sorridendo: "Segretezza delle fonti". 

Ha voluto soldi? "Nemmeno un centesimo". Da allora, Thibaudat ha lavorato duro, senza mai parlarne a nessuno, riordinando e trascrivendo quelle pagine, ora in attesa di essere pubblicate e restituite al mondo dopo mille peripezie accuratamente ricostruite da Le Monde. Oltre i tanti scritti, nell'archivio ritrovato di Celine, anche foto della figlia Colette, lettere di donne, la sua corrispondenza con lo scrittore di estrema destra Robert Brasillach nonche' la documentazione antisemita di cui certamente si servì per scrivere i suoi agghiaccianti Pamphlet contro gli ebrei, come un'ombra pesantissima sulla sua esistenza, ancora oggi oggetto di riserve sulla necessità di pubblicarli o meno. 

29/06/21

Alla Francia il record dei Premi Nobel per la Letteratura




C'è un campo in cui la Francia non teme eliminazioni, e in cui si conferma da molti anni leader assoluta: è quello dei Premi Nobel per la Letteratura. 

Prescindendo dai giganti dell'Ottocento, come Gustave Flaubert, Marcel Proust, Honoré de Balzac, Stendhal, Guy de Maupassant, Arthur Rimbaud, Paul Verlaine, Charles Baudelaire, anche nel Novecento la Francia si è confermata la culla della letteratura europea, confermata dal prestigioso (e virtualmente imparziale) istituto del Nobel per la Letteratura, vigente dal primo anno del secolo, il 1901.

Il primo premiato fu infatti proprio un francese, Sully Prudhomme (1901), cui hanno fatto seguito altri 14 premiati transalpini. Nell'ordine:  

Frédéric Mistral (1904)
Romain Rolland (1915)
Anatole France (1920) 
Henri Bergson (1927)
Ivan Alekseevic Bunin (1933)
Roger Martin Du Gard (1937)
André Gide (1947)
Francois Mauriac (1952)
Albert Camus (1957)
Saint-John Perse (1960)
Jean-Paul Sartre (1964)
Claude Simon (1985)
Jean Marie Gustave Le Clézio (2008)
Patrick Modiano (2014)

E altri che si candidano fortemente a vincerlo nei prossimi anni come Emmanuel Carrère o Michel Houellebecq. 

Per completezza, questa la classifica, a seguire, per nazioni in base a Premi Nobel per la letteratura vinti: 

12 Stati Uniti Stati Uniti, 11 Regno Unito, 8 Germania e Svezia , 6 Italia e Spagna , 5   Polonia, Russia, 4 Irlanda,  3 Danimarca e Norvegia,  2  Austria, Cile, Cina, Giappone, Grecia, Sudafrica, Svizzera. 

Fabrizio Falconi

10/11/20

Juliette Récamier, la donna più bella di Francia - 14 (fine)

 



Juliette Récamier, la donna più bella di Francia - 14 (fine)

Dopo la morte di Chateaubriand e la pubblicazione delle sue Memorie dell'Oltretomba, in cui grande spazio aveva la sua relazione con Juliette, lo scrittore fu apertamente accusato da Sainte-Beuve in primis, di aver cercato di "risistemare la storia dalla tranquillità del sepolcro."
Sainte-Beuve accusò Chateaubriand con toni drastici: "E' freddo, pensa solo a se stesso, è simile a un rettile. I suoi amori sono "ardenti capricci". Quello che vuole dalle donne non è il tenero affetto che così spesso riceve, piuttosto un'occasione di tumulto interiore, di fantasie sensuali, e la cosa peggiore è che cerca di nascondere questa sensibilità erotica facendo della virginale Juliette l'unico affetto realmente elevato."
La sensibilità di Chateaubriand, scrive ancora Sainte-Beuve è ipercerebrale e troppo nervosamente anticipatoria: le sue fantasie prosciugano in anticipo l'esperienza riducendola a una specie di "grisaille" (chiaroscuro).
Oggi occorre un'ora circa per leggere le due parti delle "Memorie" dedicate a Juliette.
E oggi sappiamo che il resoconto fatto da Chateaubriand di quell'unione ha troppi punti oscuri ed elisioni.
L'opzione ad esempio di raccontare la sua infedeltà a Juliette è per lui inconcepibile.
La realtà è che il rapporto tra Chateaubriand e Juliette fu quello tra l'incantatore e l'incantata o se vogliamo tra l'ingannatore e l'ingannata e proprio questo faceva della relazione una relazione (anche) erotica.
Sicuramente con il passare degli anni, il loro legame lentamente maturò e diventò quello che la coppia aveva sempre sostenuto che fosse: la solidarietà più affettuosa e più esemplare.
Molti mesi dopo la morte della moglie Céleste, nell'inverno del 1847, Chateaubriand chiese a Juliette di sposarlo. Ella fu sopraffatta dall'emozione, tuttavia rifiutò e nessuna supplica riuscì a farla recedere. "Un matrimonio - e perché? A quale fine?", gli rispose.
Comunque sia, l'anno dopo la morte di Chateaubriand, nel 1849 anche Juliette morì, di colera all'età di settantuno anni.
Il suo corpo fu sepolto nel cimitero di Montmartre.

fonte: Dan Hofstadter - La storia d'amore come opera d'arte

31/10/20

Libro del Giorno: "Pazza d'amore" di Adèle Hugo

 



L'amore non conosce misura.  Il dio dell'amore è anche un dèmone.

Ne erano perfettamente consapevoli i padri greci - che temevano la potenza di Eros - e quelli latini, i quali inventarono le categorie della temperanza e della giusta misura anche per mettere i freni a ciò che può sottomettere l'essere umano dal suo interno, trascinandolo in un gorgo senza uscita. 

E la figura di Adèle Hugo, la seconda figlia del grande Vate della letteratura francese, nata nel 1830 è da questo punto di vista, un caso di prammatica, o da antologia.  La sua figura ha da sempre attratto studiosi e artisti,  esercitando sui lettori della sua vicenda e delle sue poche lettere sopravvissute, una sorta di culto, in nome della sofferenza o del dolore d'amore - ancor più se senza criterio o smisurato - che forse tutti abbiamo provato almeno una volta nella vita, pur senza incorrere nell'itinerario autodistruttivo della povera Adèle. 

Per immaginarla, scrive Manuela Maddamma nel bellissimo libro che ha curato con competenza di traduttrice e curatrice, disegnando un percorso così affascinante che è praticamente quasi impossibile smettere di leggere prima di essere alla fine,  bisogna dimenticare il volto sublime di Isabelle Adjani, che nel 1975 il grande Francois Truffaut chiamò per vestire i panni della donna, nel suo bellissimo Adèle H. 

Adèle era infatti sì splendida, come la descrivono le cronache d'epoca, ma la sua bellezza sfiorì assai presto, e si trasformò nel suo contrario, mano a mano che lei stessa precipitava nel burrone della sua perdizione.

Sulla giovane ebbe certamente influsso nefasto la morte, per annegamento nelle acque della Senna, della sorella maggiore, Léopoldine, che aveva all'epoca solo diciannove anni insieme all'uomo che aveva appena sposato.

La tragedia colpì per primo il padre, Victor Hugo che decise di ritirarsi nella casa buia di Hauteville House, la villa fdi Guernsey, un'isola sperduta nel Canale della Manica, dove andò a vivere insieme alla famiglia, e dove organizzava sedute spiritiche, per cercare di mettersi in contatto con la figlia scomparsa. 

Fu proprio qui che il tenente inglese Albert Pinson, il quale prestava servizio sull'isola, precipitò nel destino di Adèle, seducendola su una terrazza a strapiombo sul mare.

Un amore fortissimo - da parte di Adèle - e quanto mai fuggevole, durato pochissimo, perché il giovane tenente quasi subito si dimostrò del tutto indifferente all'idea di sposare Adèle: non solo, le confessò tranquillamente di non amarla,  e che lei non sarebbe mai stata la donna della sua vita.

La tremenda dichiarazione e la conseguente separazione, non minarono affatto il desiderio di Adèle: lo rafforzarono anzi in senso parossistico. 

La ragazza ricorrerà ad ogni sotterfugio e menzogna per riconquistare il tenente, scapperà di casa, annuncerà ai suoi genitori per lettera un matrimonio inesistente, continuerà a inseguire la sua inutile e inutilizzabile fantasia addirittura dall'altra parte dell'oceano, ad Halifax, in Canada, dove Pinson è stato mandato col suo reggimento; starà via da casa per sette lunghi anni, illudendo continuamente la sua famiglia con propositi di ritorno mai messi in pratica; finirà per ammalarsi e ridursi a vivere come una mendicante, sempre nell'unica speranza di poter un giorno riconquistare il suo amore, che intanto continua ad umiliarla, facendosi vedere in giro con altre donne. 

Ormai prossima alla follia, Adèle fa finalmente ritorno a casa, senza riuscire a rivedere la madre, che muore probabilmente anche per il dolore causato dalle vicende delle sue due figlie,  per essere ricoverata e trascorrere i suoi giorni e anni (morirà soltanto nel 1915) in manicomio. 

Una vicenda tragica dunque, borderline, come si direbbe oggi, che suscita interrogativi e pietà, ma induce anche a chiedersi di più sulla natura dell'amore, su cosa esso contenga, su come scelga di dirigere le sue acuminate frecce e di cosa è diventato oggi. 

Manuela Maddamma orchestra il lucido piano autodistruttivo di Adèle ricostruendolo con l'ausilio di lettere inedite, di Adèle e del giro dei suoi familiari, in primis del padre-patriarca Victor Hugo, sempre in bilico tra l'infinita pietà per sua figlia e l'imbarazzo di ciò che lei e la sua vicenda comporta per la sua reputazione e per il suo ruolo pubblico. 

La cosa che colpisce maggiormente è infatti, forse, proprio quella paralisi, quella impotenza che prende padre, madre e fratelli (i due fratelli maschi di Adèle), i quali pur nutriti da ogni buon proposito non riescono a fare nulla di nulla per riportare la ragazza a casa e distoglierla dal suo amore "tossico" (come direbbero gli psicologi oggi).

Una lettura che non si dimentica


La vera Adèle Hugo



30/10/20

Juliette Récamier - La Donna più bella di Francia (10)

 


Juliette Récamier - La Donna più bella di Francia (10)

A 47 anni dunque, nel 1824, Juliette faceva ritorno a Roma, dove aveva molti amici.

Adorava visitare le rovine e le pinacoteche e si entusiasmava nel seguire la messa in chiese che erano grandi opere d'arte. Non passò molto tempo che il suo morale si sollevò e decise di prolungare la permanenza per tutto l'inverno seguente.
Sotto il sole di Roma si potevano vedere le striature grigie nei suoi capelli, ma con il viso dolce e gentile e gli occhi espressivi era ancora deliziosa. Era in viaggio con la nipote Amélie che aveva sedici anni.
Erano due donne molto desiderabili e presto trovarono due gentiluomini che si misero al loro servizio. Non erano italiani, come si potrebbe pensare, ma francesi e anche interessanti.
Il più anziano, allora vicino ai cinquanta, era il pittore e scrittore Etienne Delécleuze. Il più giovane, venuto a Roma al seguito di Juliette, era Jean-Jacques Ampère, il figlio del grande fisico, da parte suo appassionato studente di materie umanistiche e ventiquattrenne.
Ci potremmo aspettare che l'età matura sia attratta dall'età matura e la giovinezza dalla giovinezza; ma come in una cinica opera buffa, fu Delécleuze a provare una passione per Amélie, mentre Ampère fu attratto - in modo violento, disperato e, man mano che il tempo passava, imbarazzante - dal dolce splendore materno di Juliette.
Imberbe e penosamente goffo, Ampère era anche versatile, spontaneo, emotivo. E Madame Récamier divenne la sua materia di studio, a giudicare dalla profusione di pagine che le dedicò.
Le faceva quotidianamente visita nelle sue stanze in Via del Babuino e scortava lei e Amélie a Villa Pamphilj e a Villa d'Este.
La maggior parte del tempo, sentendo di essere indifferente a Juliette, Ampère aggrottava la fronte, si passava le mani fra i capelli e camminava stizzosamente avanti e indietro.
10 - segue

Fonte: Dan Hofstadter, La storia d'amore come opera d'arte

26/10/20

Juliette Récamier, la Donna più bella di Francia (8)

 


Juliette Récamier, la Donna più bella di Francia (8)

Juliette ammise con un confidente che "era impossibile che qualcuno avesse la mente così completamente sconvolta come la mia lo era da Monsieur de Chateaubriand e io piangevo tutto il giorno."
Sicuramente Juliette lo ricevette spesso, anche se non sappiamo "quanto" spesso. E dopo un po', con i nervi logorati da emozioni contrastanti, trovò riparo a Dieppe e poi a Aix-la-Chapelle per fare la cura delle acque.
Quando fu terminata, non tornò ad Aulany, ma comprò una residenza più piccola a Rue d'Anjou, una strada alla moda nel Faubourg Saint-Honoré; e nel suo piccolo giardino lei e Chateaubriand celebrarono, nell'autunno del 1818 (Juliette aveva 41 anni), la prima pienezza del loro amore.
Dovevano formare una coppia curiosa, il dongiovanni dalle gambe arcuate e la vergine quarantunenne.
Lei scrive in un biglietto indirizzato a Chateaubriand:
"Amarvi di meno?" Voi non lo credete amico. Ci incontreremo questa sera alle otto. Non è più in mio potere né nel vostro né in quello di alcuno impedirmi di amarvi: il mio amore, la mia vita, il mio cuore - sono tutti vostri."
Nell'iniziare una relazione amorosa i due infrangevano i voti matrimoniali - lei per la prima volta, lui per l'ennesima.
Per tutto questo tempo le relazioni di Juliette con il marito erano rimaste serene ma distanti.
Jacques Récamier aveva ormai perso il tocco fortunato in Borsa e ora Juliette fece l'errore di affidargli la maggior parte della modesta fortuna che aveva ereditato dalla madre.
Récamier provvide quasi immediatamente a perdere tutto il denaro che gli aveva dato.
Juliette si ritirò allora in convento, all'Abbaye-aux-Boix, sentendosi autorizzata a vivere separata dal marito ridotto in povertà, ma assicurandogli che poteva contare su di lei per una piccola somma di denaro.
La sua maggior consolazione erano le gioie dell'amore con Chateaubriand, genuinamente commosso dalla sua devozione: "Voi sola riempite la mia vita, e quando entro nella vostra piccola stanza, dimentico tutto quello che ho sofferto."
Per due anni - successivamente Juliette avrebbe sostenuto che furono i soli felici della sua vita - fu totalmente monopolizzata da lui.
(8- segue)

Fonte: Dan Hofstadter, La storia d'amore come opera d'arte

22/10/20

Juliette Récamier, la Donna più bella di Francia (6)


 Juliette Récamier, la Donna più bella di Francia (6)

Il primo incontro tra René de Chateaubriand e Juliet Récamier avvenne durante il Direttorio, nel 1802: Chateaubriand si presentò all'improvviso nella favolosa casa di Juliette, rimanendo impietrito .
"Stavo ancora uscendo dalla cupa foresta della mia oscurità," scrisse nelle sue memorie, "e fui scontrosamente timido. Non osavo alzare gli occhi verso una donna circondata di adoratori e così lontana da me per fama e gloria."
Si rincontrarono qualche settimana più tardi in casa di M.me de Stael. Quando Juliette fece il suo ingresso nella stanza, Chateaubriand non udì più il suono della voce di Germaine (de Stael).
Neppure nei sogni più sfrenati avrebbe potuto immaginare una donna pura e tuttavia voluttuosa come Juliette e in quel momento sentì di non avere speranza di affascinarla. Dentro di sé maledì la propria piccola statura e l'espressione cupa da celtico. Qualche minuto dopo era uscita dalla sua vita.
Ben dodici anni dopo quell'incontro, nel 1814, Juliette decise di organizzare una lettura di brani tratti dall'opera di Chateaubriand.
Nel frattempo il marito di Juliette era caduto in disgrazia economica, e i due vivevano in una residenza molto meno lussuosa, anche se una folla illustre continuava ad affollare il salotto di Juliette.
Juliette, cattolica credente, si riavvicinò a Chateaubriand, perché in quegli anni aveva concepito una profonda ammirazione per le capacità letterarie di lui per l'impiego che ne faceva.
Juliette coltivava assiduamente la moglie di Chateaubriand ("il cui carattere è aspro e difficile") con l'unico scopo di conquistare l'amicizia e la fiducia dello scrittore.
L'amicizia interessava molto anche Chateaubriand, che era precipitato dal punto di vista della reputazione politica: Juliette divenne il suo "angelo custode", adoperando la sua influenza a corte, in favore dello scrittore.
Il rapporto tra i due si fece più intimo alla morte di M.me de Stael, nel luglio del 1817 (Juliette aveva ora 40 anni).

Juliette che si sentiva instabile per l'improvvisa assenza della cara amica, e per il vuoto che le si spalancava davanti, in quel momento cominciò a sentirsi particolarmente attratta dall'incantatore bretone.
6 - segue

Fonti: Dan Hofstaedter - La storia d'amore come opera d'arte

19/10/20

Juliette Récamier, la Donna più bella di Francia - 4


 Juliette Récamier, la Donna più bella di Francia  (4)


Juliette si innamorò disperatamente di August e scrisse una lettera al marito chiedendo il divorzio.

Da Parigi Récamier le mandò una addolorata risposta esprimendo la propria acquiescenza se avesse assolutamente insistito, ma anche il proprio rammarico - e questo dopo quindici anni di matrimonio non consumato! - per aver rispettato troppo le sue "virginali suscettibilità e ripugnanze".

Tali ripugnanze però non svanirono nemmeno in presenza del principe Augusto: "Benché i nostri rapporti fossero molto intimi", confidò ad una amica, "ci fu una cosa che non riuscì a ottenere."

E durante una delle lunghe assenze di lui in Germania, l'interesse di Juliette svanì.

Ormai la donna aveva acquisito la fama di frigida civetta, di una donna incapace di darsi.

Sainte-Beuve sostenne che Juliette fosse una "manipolatrice" e che la sua fosse una "manipolazione angelica": sembrava voler ferire gli uomini per curarli devotamente.

La maggior parte dei suoi amici di sesso maschile si innamorarono perdutamente di lei e tuttavia - questa fu la cosa stupefacente - Juliette "mantenne" quelle amicizie.

"Era una maga", scrisse Sainte-Beuve, "per quel modo di indurre l'amore a diventare amicizia lasciando intatto il suo rigoglio primaverile. Era come se desiderasse fermare la vita al suo aprile."

La nipote Amélie la ricorda ansiosa, non placata dal lusso che la circondava, ardentemente desiderosa di quegli affetti che formano "l'autentica felicità e la vera dignità della donna."

Né moglie, né madre in senso biologico, Juliette era avida di tenerezza e trovava nelle fuggevoli attenzioni degli uomini di mondo, solo un pallido surrogato.

Non era una avventuriera e non era neppure una donna avventurosa. Però era misteriosa e non accettava che nessuno chiarisse qualcosa che la riguardava e che lei non voleva fosse svelato.

Una persona che cercò di spiegarla, e di rompere il suo lungo digiuno carnale, fu Benjamin Constant.

(4- continua) 

nella foto: Francois Gérard, Bocca di Juliette Récamier, 1805

18/10/20

Juliette Récamier, la donna più bella di Francia (3)


 Juliette Récamier, la donna più bella di Francia - 3

Il primo ammiratore degno di nota di Juliette fu Jean-Francois de La Harpe, un ometto deforme, combattivo, non più giovane, che era stato uno dei protetti di Voltaire.
Juliette benché attratta dalla sua fama e intelligenza, non sapeva nulla del suo passato movimentato. In sua presenza La Harpe faceva lo stupido in modo spettacolare e Juliette rideva di lui allegramente e non certo beffardamente. Questo era uno dei suoi doni: prendere in giro le persone senza ferirle, farle sentire onorate di farla sorridere.
Il successivo uomo che si infatuò di lei fu il giovane Lucien Bonaparte, l'imbarazzante fratello minore di Napoleone che per un anno le scrisse lettere d'amore in stile affettato, copiato dallo stile dei romanzi di Madame de La Fayette.
Al suo corteggiamento Juliette rispose in un modo classico che non ammetteva repliche - mostrò le lettere al marito.
Poi Juliette incontrò Adrien de Montmorency che era alto, biondo affabile - il fiore di una antica e nobile famiglia dell'Ile de France.
Adrien sembrava abile, assolutamente equilibrato: era reticente, ma con grazia.; eloquente e tuttavia in modo salottiero e beneducato.
Presto si sentì attratto da Juliette e la sua conversazione cominciò a presupporre un'intimità.
La coppia era sospesa in quella che la donna percepiva come "una gradevole mezza-luce" e Juliette si aspettava di innamorarsi di lui. Il che non accadde.
"Mi sarebbe piaciuta più passione", ammise più tardi, "Qualche scaramuccia sarebbe stata utile."
Il corteggiamento scemò, ma i due sarebbero rimasti sempre buoni amici.
Solo una volta Juliette arrivò quasi a concedersi a un uomo: accadde a Coppet, nel 1807 (Juliette aveva 30 anni), quando fu presentata al Principe Augusto di Prussia, un focoso nipote di Federico il Grande che la portava in barca a remi per il lago di Ginevra e la corteggiava con tutta la turbolenza di cui Juliette aveva letto nei romanzi.
3. - segue

fonte: Dan Hofstadter - La storia d'amore come opera d'arte