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15/09/21

Due fratelli geni: Heinrich e Thomas Mann, la storia del loro lungo soggiorno a Palestrina, dove è ambientato il patto col diavolo del "Doktor Faustus"




Molto si è scritto sul genio, l'affetto e la rivalità tra i due fratelli Mann, nati e cresciuti nel pieno tormento che tra fine Ottocento e inizio Novecento, mandò in fiamme e in rovina l'intera Europa. Heinrich, il fratello maggiore, primo di cinque figli, nacque proprio nell'anno in cui  - 1871 - la Germania viene unificata a seguito della guerra franco-prussiana. E' l'inizio di una serie di accadimenti tragici e devastanti per le popolazioni europee.

Suo padre è un commerciante all'ingrosso a Lubecca. Heinrich capisce ben presto che la sua vocazione non è quella di proseguire l'attività di famiglia, ma di dedicarsi all'arte, frequentando il Katharineum, il liceo più prestigioso della città, dove dimostra la sua irrequietudine, interrompendo prematuramente gli studi. 

Inizia un apprendistato presso una libreria a Dresda, ma presto finisce per stancarsi anche di questo. 

Finalmente trasferitosi a Berlino, Heinrich assapora il mondo artistico della capitale, dedicandosi ad una assidua e dissoluta bohème, spendendo tutti i soldi del padre nei bordelli della città. 

La morte del padre lo richiama a casa, il testamento del padre prevede la vendita dell'attività commerciale e tutta la famiglia si trasferisce a Monaco di Baviera e a Heinrich viene garantita una piccola rendita mensile. 

Inizia così per Heinrich, nell'ultimo decennio del XIX secolo, una nuova vita con molti viaggi: Parigi, l'Austria, l'Alto Adige e il Trentino (dove tornerà spesso, soprattutto per curarsi nel sanatorio di Riva del Garda), Milano, Firenze, Roma, Venezia, Monaco, Berlino e le Alpi bavaresi. 

Questo suo peregrinare senza meta e senza pace avrà fine nel 1895, quando si ferma a Roma per circa due anni, dove assume la direzione di una rivista, Das Zwanzigste Jahrhundert ("Il XX secolo"), un periodo molto controverso della sua vita in cui Heinrich si cimenta anche in invettive di carattere antisemite, misogine e monarchiche. 

Un periodo che metterà in imbarazzo più avanti Heinrich, profondamente cambiato dalle scelte politiche ed esistenziali della sua vita futura (divenne ferocemente antinazista e fu il primo fra i due fratelli a trasferirsi negli Stati Uniti). 

Nel frattempo, nel 1894 pubblica il suo primo romanzo: In einer Familie.

Negli anni successivi, Heinrich stringe ancora di più i rapporti col fratello Thomas, il secondogenito della famiglia e dal 1895 al 1898, durante i mesi estivi, soggiornano a Palestrina presso la “Pensione per stranieri” di Anna Bernardini, nel Palazzo omonimo al Borgo. 

La scelta di questa cittadina, che sorge su una delle sommità dei monti Prenestini, fu probabilmente dettata dalla notorietà raggiunta negli ultimi decenni dell’Ottocento, a seguito degli importanti rinvenimenti archeologici e delle campagne di scavo che lì si effettuarono; non si esclude, tuttavia, che abbia influito sulla scelta anche la passione che Thomas Mann nutriva nei confronti di Pierluigi da Palestrina, il grande compositore rinascimentale che in questo luogo ebbe i natali

Le estati trascorse nella cittadina furono per i due scrittori molto proficue. Heinrich Mann si ispirò a Palestrina per il romanzo “La piccola città” (1909) e vi ambientò la novella “Storie di rocca dei fichi”, inserita nel volume “Il meraviglioso" (1897); Thomas Mann, non solo la evocò ne “La montagna incantata”, ma vi ambientò una parte del Doktor Faustus (1947)

La scena centrale di questo romanzo, ossia il patto tra il diavolo e Adrian, il protagonista, si svolge nel salotto della pensione in cui i fratelli Mann avevano alloggiato

Ecco due brani da quel grande romanzo: l’arrivo a Palestrina di Serenus e l’apparizione di Mefistofele a Adrian, (nella traduzione di Luca Crescenzi): 

“Quando durante le ferie del 1912, partendo ancora da Kaisersaschern, feci visita in compagnia della mia giovane moglie a Adrian e a Schildknapp nel nido fra i monti sabini che avevano scelto come luogo di residenza, i miei amici vi stavano già trascorrendo la seconda estate: avevano passato l’inverno a Roma e a maggio, con l’aumentare del caldo, si erano recati nuovamente in montagna, nella stessa dimora ospitale in cui l’anno precedente, nel corso di un soggiorno durato tre mesi, avevavo imparato a sentirsi di casa. 

Il posto era Palestrina, paese natale del compositore, chiamata anticamente Praeneste, fortezza dei principi Colonna menzionata da Dante nel ventisettesimo canto dell’Inferno col nome di Penestrino, un paesino pittoristicamente adagiato lungo la montagna al quale conduceva, dal piazzale della chiesa sottostante, un vicolo a gradini non proprio pulito e protetto dall’ombra delle case. 

Vi si aggiravano dei maiali di una razza piccola e nera, e al passante disattento poteva capitare facilmente di essere schiacciato contro i muri delle case dal carico sporgente di uno degli asini dal largo basto che, pure, andavano e venivano. 

Superato il paese, la strada diventava un sentiero di montagna, passava oltre un convento di cappuccini e conduceva fino alla cima dell’altura e all’acropoli di cui restavano pochi ruderi accanto alle rovine di un teatro antico. Helene e io salimmo spesso, durante il nostro soggiorno, a quelle nobili vestigia, mentre Adrian che “non voleva veder nulla”, non oltrepassò, in tanti mesi, l’ombroso giardino dei cappuccini che era il suo rifugio preferito”. […] 

“Sedevo qui nella sala, lunga dinanzi a me, presso le finestre dalle imposte serrate e accosto al mio lume, leggendo le parole di Kierkegaard sul Don Juan di Mozart. Subito mi sentii pungere da un freddo tagliente, come quando d'inverno uno siede in una stanza calida e d'un tratto una finestra si spalanca al gelo. Il freddo, però, non mi veniva dalle spalle, ove son le finestre, bensì di fronte. Levo gli occhi dal libro e guardo nella sala, vedo che forse Schildknapp è già tornato perché non sono più solo: qualcuno siede nel buio sopra il divano di crine, con le gambe accavallate. È un uomo piuttosto allampanato, più piccolo di me, i capelli rossigni; ha le ciglia rossicce, gli occhi infiammati, il viso cereo, con la punta del naso un po’ curva in giù. Sopra una camicia a maglia a righe traversali porta una giacca a quadretti, con le maniche troppo corte, donde sporgono le mani dalle dita tozze. Ha i calzoni troppo stretti e le scarpe gialle trite, che non si possono più pulire. Un lenone, uno sfruttatore, con una voce articolata da attore di teatro.”

Qui sotto la targa che ricorda i soggiorni dei fratelli Mann a Palestrina:





23/03/18

E' morto un uomo buono. Padre Anavio Pendenza. Leonessa in lutto.


Chi lo ha conosciuto personalmente non lo dimenticherà.

Leonessa si stringe intorno alla comunità dei Frati Cappuccini per la perdita del confratello Padre Anavio Pendenza. 

L’ultimo saluto, questa mattina, nella chiesa di S. Francesco del paese. Ad aspettare il feretro, proveniente dall’Ospedale di Terni dove il padre cappuccino si è spento il 20 marzo a seguito di una grave malattia, c’erano centinaia di persone commosse e silenziose. 

Si è svolta una processione con i fedeli che hanno portato la bara a spalla per le vie principali del paese con una sosta davanti al Santuario S. Giuseppe

Il rito funebre è stato presenziato dal Vescovo Domenico Pompili, dal Padre Provinciale dell’Aquila assieme ai tanti confratelli provenienti soprattutto dall’Abruzzo. 

Nella chiesa, gremita di fedeli, erano presenti anche le forze dell’ordine, il sindaco e neodeputato Paolo Trancassini e tutta la rappresentanza clericale della Diocesi Reatina e Abruzzese. 

 A far emozionare e commuovere la folla sono state soprattutto le parole di Padre Orazio nel leggere gli ultimi pensieri di Padre Anavio che ringraziava chi gli era stato vicino (P.Orazio, P.Carmine e la perpetua Simonetta) e che avrebbe tanto desiderato riposare accanto al suo confratello P.Mauro, compagno di una vita

Un lungo applauso ha concluso la cerimonia funebre accompagnata dalle voci della “corale S. Giuseppe” all’uscita dalla chiesa. Con lui, anche una parte della storia di Leonessa si è spenta. 

Appartenente all’ordine dei Frati Minori della provincia dell’Aquila, insieme a P. Mauro scomparso 15 anni or sono, P. Anavio era pietra miliare del Convento. Un uomo poliedrico, concreto e affabile, che ha dedicato alla Comunità leonessana quasi tutta la sua vita innanzitutto come religioso e divulgatore della figura di S. Giuseppe, poi come fotografo, escursionista, redattore, insegnante e scrittore

Nato a Tagliacozzo il 1 settembre 1942, è stato ordinato frate cappuccino dell’ordine minore nel ’68 ed è giunto a Leonessa nel 1970. 

Da allora è vissuto nel piccolo paese, svolgendo la funzione di parroco in alcune frazioni del comune e di abate nel convento. È proprio da qui che scriveva e redigeva le pagine della rivista bimestrale “Leonessa e il suo Santo” di cui ne era Direttore; nata nel 1964, nel corso degli anni ha raggiunto una tiratura di ben 6000 copie con il solo sostentamento delle offerte dei fedeli

Tra le tante rubriche, quella grafologica era una delle più seguite dai lettori. Padre Anavio aveva infatti ottenuto, oltre alla laurea in teologia, anche quella nel settore grafologico che gli era valsa una considerevole fama: le sue analisi di scrittura erano richieste anche oltreoceano. 

Appassionato com’era di fotografia, è stato anche l’autore del volume “La bellezza del creato”, 245 immagini contenenti una raccolta degli scatti fotografici più belli e suggestivi dell’altipiano leonessano di cui conosceva perfettamente tutti i sentieri percorsi con i suoi fedelissimi cani husky, inseparabili compagni di viaggio; varie volte ha allestito mostre fotografiche nel chiostro del Convento ottenendo grande successo. 

Di tanto in tanto si cimentava pure, a livello dilettantistico, nella produzione di profumi e liquori artigianali. 

Chi gli ha davvero voluto bene lo ricorda così, un uomo gioioso, buono e generoso, con il riflesso del sole montano negli occhi e con un gran sorriso, innamorato del sua paese adottivo al quale ha sempre voluto bene e continuerà a farlo dall’alto del cielo.

Insieme al suo carissimo confratello nonché amico Padre Mauro, Anavio Pendenza ha lasciato un segno indelebile nella storia di questo piccolo borgo montano chiamato Leonessa.

(testo di Lorenzo Santoprete). 




13/11/17

Scoperta nel Lazio una meravigliosa Meridiana di 2.000 anni fa.



Oltre duemila anni fa, un cittadino romano di nome Marcus Novius Tubula, fresco di vittoria politica, dedicò una meridiana solare di marmo alla sua piccola cittadina: Interamna Lirenas (l’attuale Pignataro Interamna, in provincia di Frosinone). 

Una sorta di monumento alla vittoria per la cui realizzazione pagò - secondo l’iscrizione incisa sul monumento - di tasca propria. 

Gli archeologi hanno scoperto questo antico “trofeo” elettorale negli scavi ancora in corso nel sito di Interamna Lirenas, situato a circa 80 chilometri a sud di Roma, nella Valle del Liri.
Sembra che Interamna Lirenas sia stata una piccola cittadina fondata nel IV secolo a. C. e abbandonata nel VI secolo d. C.

27/06/17

Dal 29 giugno al 2 luglio a Leonessa, il tradizionale, antichissimo Palio del Velluto.




“Ora iniziava l’ascesa dell’alta catena di monti, che limita da un lato la valle reatina, e che è nota in tutta la Campagna di Roma col nome di Montagna di Lionessa, in quanto prende il suo nome dal territorio del piccolo centro.
Salendo lentamente a zig-zag sulla montagna, la magnificenza della vista cresce ad ogni passo: l’intera valle di Rieti, con gli innumerevoli laghi, la gola di Terni e, ancora più su, le colline di Spoleto e le pianure al di là di esse.
C’è una soddisfazione doppia nel percorrere una terra, che per tanto tempo hai visto solo da lontano (infatti io avevo disegnato spesso le montagne di Leonessa dalla Campagna Romana e da anni non vedevo l’ora di visitarle), e nello scoprire, passo dopo passo, le reali fattezze di una conoscenza tanto vecchia.”
Edward Lear,
in La Sabina Reatina di Edward Lear, Vincenzo Di Flavio.

Era il 1844 quando Edward Lear, il disegnatore grand turista inglese, arrivava a Leonessa. Come lui, dovremo ogni qual volta guardare in alto e dalla capitale scoprire che ci sono molti mondi che uno non immagina e che in qualche modo sono legati a Roma. 

Da Leonessa sono partiti molti dei pastori che poi si sono istallati a Roma e hanno aperto bottega nei quartieri storici di Pantheon, Piazza Navona o Campo de Fiori. 

La storia di questa cittadina, nascosta dietro al Monte Terminillo sull’omonimo altopiano, ha le sue radici nel 1278, quando Carlo d’Angiò stava operando una ristrutturazione del confine tra Regno di Napoli, Ducato di Spoleto e Stato della Chiesa

In quei anni si operava una autentica rivoluzione industriale. Fino ad allora, la pratica corrente era stata di “macchiare” le montagne, ovvero guadagnare spazi per l’agricoltura anche in terreni poco produttivi, ma rendendosi conto del fallimento di questa operazione, i grandi signori che possedevano i territori montani del Lazio, così come avvenne in tutta Europa, decisero di abbandonare le macchie (al punto che oggi macchia ha il significato opposto di quello che aveva allora) e di dedicare quelle aree all’allevamento pastorale. 

Così, oltre all’industria della carne e del latte, la salumeria e la produzione casearia, ci si trovò a poter gestire immense quantità di lana.

Leonessa, così come Firenze, Perugia, Mantova e come le grandi città delle Fiandre e della Champagne, diventò, seppur piccola, un centro di produzione di lana e stoffe. La pianta della città, con i suoi viali spaziosi, serviva proprio a facilitare la logistica di questa industria medievale. Con sbocchi naturali nei mercati di Ascoli, Farfa e Roma, questo fu un periodo di particolare prosperità per la città. 

E’ di questo periodo che data il Palio del Velluto,  allora chiamato “Palium Sancti Petri”, l’antica fiera franca in onore di San Pietro, istituita nel 1464 e abolita nel 1557 dal Governatore dell’Abruzzo don Alessandro Oliva in seguito alla morte di quattro abitanti durante gli scontri tra sesti. Il Palio, infatti, che durava una settimana e eccezionalmente permetteva ai mercanti di non pagare le tasse sulle merci che vendevano, vedeva i rappresentanti dei sei rioni di Leonessa, i “sesti”, competere in gare di vario genere. 

Oggi la manifestazione è stata collegata anche alla tradizione della tessitura locale (il velluto) e all’ingresso solenne in città di Margherita d’Austria, detta “Madama” (da lei prende nome anche Palazzo Madama a Roma), che fu figlia naturale dell’imperatore Carlo V e governatrice di Leonessa nel Cinquecento.

Se volete assistere oggi alla corsa all’anello e le altre gare d’epoca, al corteo dei sesti con le madonne, le dame e cavalier, i tamburini e gli sbandieratori, bisogna recarsi a Leonessa dal 29 giugno al 2 luglio. A voi il programma: