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29/03/16

"Scenari" - lo scritto di Pasqua di Fabrizio Centofanti



Si cominciava a parlare di scenari. Ormai era chiaro che le profezie non riguardavano solo il Vaticano, l'attacco tremendo alla Chiesa che l'avrebbe costretta a rinnovarsi, ma un'area molto più vasta, e forse il mondo intero

I cento anni di dominio di satana sarebbero finiti coi fuochi d'artificio di una guerra totale, che avrebbe seminato la morte e innescato un meccanismo di autodistruzione che solo il Pantokrator, il Signore che tiene i fili e le trame della storia, avrebbe frenato al tempo giusto. 

Già parlavamo di ritorno all'essenziale, di valori che sarebbero riemersi, dopo la grande parentesi di confusione e di non senso, in cui ogni capriccio era un diritto, ogni voglia dell'io una legge da imporre con la forza o con la persuasione occulta. 

Stavamo toccando il fondo del liberismo e del libertinismo, la democrazia era ormai diventata una facciata che nascondeva il governo assoluto di pochi potentati e lo sfruttamento di una massa inconscia di obbedienti manichini manovrati dall'alto. 

La cultura procedeva con parole d'ordine cui tutti dovevano piegarsi; lobby intoccabili proclamavano del tutto indisturbate il loro verbo lascivo, viscido, sfuggente, e nello stesso tempo categorico e rigido, intollerante riguardo al pur minimo accenno di dibattito

Un'idea valeva l'altra, perché tutte finivano nel grande calderone di una dittatura invisibile e implacabile, fondata sull'apparente libertà dei social network, degli squallidi spettacoli dei media, proni alla ferrea volontà delle multinazionali del pensiero unico

Persino la fede era gestita da un'industria sofisticata e aggiornata del politically correct, dell'adeguamento al mondo. 

Era sempre più chiaro che la corsa verso il nulla sarebbe sfociata in un esito al contempo sorprendente e prevedibile: si sarebbe compreso, finalmente, che il male è male, e fa male. 

Da questa coscienza elementare si sarebbe generata la nuova civiltà; una bella mattina, ci saremmo guardati negli occhi dal fondale di un mondo totalmente rinnovato.

Qui il suo blog La poesia e lo spirito. 

foto in testa di Fabrizio Falconi

23/05/12

'Grazie' - Una poesia di Fabrizio Centofanti.






Grazie

In un punto del tempo e dello spazio nacqui,
non sapendo che cosa mi aspettava,
cosa fosse la vita con gli agguati,
i tradimenti, gli amori mai compiuti, le mille
incertezze che sboccarono
nello schiaffo, nel bacio, nel sorriso,
l’illusione assurda della parola data,
il vomito, la febbre, la solitudine appesa
all’attaccapanni dei ricordi, e tu mi chiedi
quanti anni hai,
senza sapere che gli anni non si hanno,
semmai sollevano o pesano: ecco – posso dirlo? -
Mi commuove questa notte, se penso a coloro
per i quali sono qui, che si sono prodigati
perché non soccombessi
al dolore o alla fatica, m’inseguirono
nei momenti peggiori, vincendo il timore di essere respinti,
e quelli che invece in mille modi
hanno tentato di ferirmi, perché qualcuno deve pur pagare
il vuoto, la mancanza, l’assenza di bene,
il mondo è una bilancia da pareggiare sempre,
e per ogni successo è normale che cadano tre lacrime
o dieci, a seconda della stella, di quello che chiamano destino,
che io ringrazio, perché in un punto del tempo
e dello spazio rinasco ogni giorno come allora,
aprendo, incosciente come allora, l’utero del mondo
che ancora non comprendo,
che – ci crederai? – mi illude
e mi delude ancora, mi fa male, nonostante
cerchi di schivare il colpo successivo, ma – ora
voglio dirlo – mi sento felice di non riuscire
a proteggermi abbastanza, di essere qui
a soffrire come allora, di piangere come un bambino
disperato, felice di sentirmi vivo, di nascere
di nuovo, in questa notte ancora, in questa stanza.


Fabrizio Centofanti da Nomen Omen

24/04/12

La conseguenza del bene. E il male.




Qualche giorno fa, durante una bella conversazione, un caro amico (e poeta), Fabrizio Centofanti mi ha detto che un sacerdote - come è lui - "trascorre la metà del tempo della sua giornata a rispondere a domande (dei fedeli)  come queste: perché esiste il male nel mondo; perché c'è tanta gente che è dedita al male; e a cosa serve il male, e chi lo manda, se è Dio o cosa." 

Mi ha fatto pensare. 

Il nodo del male è quello intorno al quale ci interroghiamo sempre, senza venir mai a capo: mette a nudo ogni dubbio, ogni certezza. 

Quel che penso è che c'è una ragione abbastanza semplice per la quale per gli uomini sembra molto più semplice inclinar-si verso il male (nelle sue più diverse gradazioni, dai mali più veniali a quelli più violenti) anziché verso il bene. 

La ragione è nella conseguenza dei comportamenti. 

Dal male - da chi compie il male - non ci si aspetta infatti di essere conseguente:  chi commette il male, anzi, sa già in partenza che quel che ci si aspetta da lui sarà che egli smetta di compierlo. 

Il male ha come conseguenza che ci si attende un atteggiamento contrario: un ravvedimento, un pentimento, una riparazione.   E' un elemento archetipico delle comunità umane.   Che oggi raggiunge forme paradossali e tragico-surreali quando per esempio a qualcuno che ha appena compiuto un omicidio, o una malefatta qualsiasi arriva puntuale l'insulsa domanda di qualche interlocutore:  "è pentito?" "Si è pentito".  

E alla vittima: "lo perdonerà ?"  "Perdonerà?"

Quasi il pentimento e il perdono fossero procedimenti automatici come il gorgogliare delle fiches nella vaschetta di una slot machine dopo che si è azionata la leva. 

Chi fa il male dunque, sa che non deve promettere niente. 

Anzi, se smentirà quel che ha fatto, se contraddirà il male compiuto, riceverà probabilmente un coro di plauso e ognuno gli dirà bravo (ammesso che si sia capaci di perdonare veramente). 

Al bene invece, al contrario, si chiede, anzi si pretende, di essere conseguente. 

Avete mai provato ad osservare cosa accade quando ponete in essere nei confronti di qualcuno un atto realmente gratuito, buono, non dovuto ? 

La persona che riceve il vostro gesto da quel momento si attende qualcosa da voi: più esattamente si aspetta che i vostri comportamenti siano conseguenti (coerenti) con quel gesto.

E sarà, come è ovvio, anche molto lesta a giudicare nel caso che l'annunciato bene non sia conseguente con i vostri comportamenti futuri.

Al bene si chiede sempre di essere conseguente perché il bene comporta responsabilità - al contrario del male che non ne comporta alcuna perché "c'è sempre un alibi, c'è sempre una scusa, c'è sempre un motivo per cui si è fatto il male." 

Il bene invece, il bene vero, non ha motivo. E' - appunto - gratuito, è pura gratuità. 

Per questo è così difficile compiere il bene. Per questo gli uomini, se possono scegliere, inclinano se stessi verso il semplice (arendtianamente banale) male.  Perché il male è facile, e non comporta impegno, non comporta nessuna responsabilità - se non quella della legge penale degli uomini - nessuna irrevocabilità. 

C'è sempre un tempo per redimersi, un tempo per pentirsi, un tempo per perdonare.

Il bene invece, non ha tempo.  Il bene è una linea diretta e il cuore degli uomini ha paura di attraversarla, come un highliner sospeso ad alta quota sulla sua linea di nylon:  sempre con la paura di cadere, e di non essere all'altezza.

Fabrizio Falconi