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17/10/13

Dieci grandi anime - 2. Andrej Tarkovskij (1./)




2. (Dieci grandi anime) - Andrej Tarkovskij (1) 

Per una di quelle circostanze che decidono i destini degli uomini – in questo caso l’essere nato in un periodo storico di feroci opposizioni e blocchi contrapposti – il corpo del grande Andrej Tarkovskij, uno dei più grandi autori della storia del cinema, riposa lontano dal suo paese, il paese dove è nato e dove hanno vissuto i suoi predecessori.  La tomba di Tarkovskij non è infatti a Zavraz’e, il piccolo villaggio sulle rive del Volga dove il regista nacque il 4 aprile del 1932  e nemmeno in nessun’altro cimitero della sconfinata Russia, ma al cimitero ortodosso di Saint-Géneviève-des-Bois, nei pressi di Parigi.

Se Tarkovskij fu seppellito in Francia e non nel suo paese, fu dovuto alla decisione della moglie Larisa, che rifiutò l’offerta da parte delle autorità sovietiche di far rimpatriare il corpo del grande regista perché fosse sepolto a Mosca.  La decisione era del tutto conseguente a una estenuante guerra, cominciata molti anni prima, con le autorità sovietiche che – da sempre, dall’inizio, da L’infanzia di Ivan, girato nel 1962 – avevano mal sopportato i contenuti dei film di Tarkovskij, l’ermetismo e il forte simbolismo delle immagini, e soprattutto i riconoscimenti tributati all’estero ad un autore considerato genialmente innovativo.   Il conflitto con le autorità di controllo dello spettacolo sale, pellicola dopo pellicola, fino alla decisione di Tarkovskij, inevitabile, di usufruire nel luglio del 1979 di un permesso di espatrio, per raggiungere l’Italia e lavorare finalmente liberamente ad un nuovo progetto.  Decisione, alla quale il regime sovietico darà una risposta durissima, impedendo alla moglie del regista Larisa, e al figlio Andrej – che all’epoca ha solo nove anni – di raggiungere Tarkovskij.  I tre – marito da una parte, moglie e figlio dall’altra – resteranno separati per sette lunghi anni,  fino a pochi mesi prima della morte del regista, avvenuta appunto nel dicembre del 1986 a Parigi.

Una testimonianza irripetibile di questi anni, ma anche di quello che accade prima, nella mente e nell’anima del regista, costretto a fare i conti con una realtà limitante – che diventerà poi soffocante – è contenuta nei diari che Tarkovskij inizia a scrivere il 30 aprile del 1970, a trentotto anni, quando è già un regista affermato che ha vinto il Leone d’Oro a Venezia con L’infanzia di Ivan nel 1963  e stupito il mondo con Andrei Rublev  terminato nel 1966 ma presentato al Festival di Cannes soltanto tre anni dopo nel 1969, e distribuito in patria addirittura cinque anni dopo, nel 1971.

Nel 1970, quando comincia a scrivere i suoi Diari, Tarkovskij è già un uomo disilluso.  Il potere sovietico lo boicotta. I suoi progetti vengono quasi sempre bocciati, osteggiati,  boicottati.   Il regista è isolato dall’invidia dei colleghi, dalla ottusità della burocrazia,  dall’arroganza dei dirigenti statali.  Rivive su di sé la stessa amara frustrazione del padre Arsenij, grande poeta insignito dell’Ordine della Stella Rossa, la più alta onorificenza sovietica, per il suo eroismo durante la guerra contro i nazisti, che si vede rifiutare la pubblicazione del primo volume, nel 1946, con la motivazione che i versi tanto più sono talentuosi, tanto più “sono nocivi e pericolosi.”

E’ forse anche per sublimare questa frustrazione, e non soccombervi, che Andrej comincia dunque a stilare questi diari, che copriranno un arco di vita di sedici anni.  Si tratta di sette quaderni autografi, scritti in lingua russa, rilegati dallo stesso autore, che contengono anche schizzi e disegni, ma che soprattutto rappresentano una importantissima testimonianza del processo creativo, dei tormenti, delle crisi e della vita spirituale del grande regista. (1) 

(segue -1./) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata

1.      I Diari di Andrej Tarkovskij sono stati pubblicati finalmente in forma completa nella accurata e meritevole edizione italiana con il titolo di Diari – Martirologio (1970-1986),  da Edizioni della Meridiana di Firenze,2002,  curati dal figlio del grande regista, Andrej A. Tarkovskij, tradotti da Norman Mozzato, sfruttando la imponente documentazione custodita dall’Istituto Internazionale Andrej Tarkovskij che ha sede a Firenze, e con la collaborazione della Sovrintendenza Archivistica per la Toscana e dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze.  Le citazioni contenute nel testo, tratte dai Diari di Tarkovskij, fanno riferimento a questa edizione.