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21/12/22

Krishnamurti: L'amore non è un contratto

 



Volete forse una prova dell'amore?

Quando amate qualcuno, cercate una prova? Se chiedete una prova d'amore, è amore quello ? Se amate vostra moglie, vostro figlio, e volete una prova, allora l'amore è senz'altro un contratto. 

Così, la vostra preghiera a Dio è un mero contrattare. Chi pone la domanda si accosta a ciò che egli chiama Dio mediante l'implorazione e la supplica.  Non potete trovare la realtà mediante il sacrificio, mediante il dovere, mediante la responsabilità, perché questi sono mezzi per raggiungere un fine, e il fine non è diverso dai mezzi. I mezzi sono il fine. 

.... 

Per comprendere la sofferenza occorre la cessazione di ogni fuga, perché solo allora sarete in grado di riconoscere voi stessi in atto; e nel comprendervi in atto - vale a dire in rapporto - troverete un modo per liberare del tutto il pensiero da ogni conflitto e per vivere in una condizione di felicità, di realtà. 


Tratto da: Krishnamurti - Verso la Liberazione Interiore, Guanda Editore, Milano, 1998 





07/12/22

Krishnamurti: "Come agire rettamente, senza conflitto?"

 



Quando capite che, per sua natura, la relazione può esistere solo quando non c'è attaccamento e non ci si creano immagini degli altri, allora esiste una comunione completa.

Agire rettamente implica una precisione e una cura che non si basano su alcun motivo; e significa agire senza imporre né una direzione né uno scopo. Capire che cosa significa agire rettamente e in che cosa consiste una vera relazione, porta con sé l'intelligenza. Non l'intelligenza che viene dall'intelletto, ma quella intelligenza che viene da profondità che non sono quelle vostre né mie.

Quella intelligenza stabilirà che cosa dovete fare per guadagnarvi da vivere; quando c'è quella intelligenza potrete fare il giardiniere, o il cuoco, non importa. Senza quell'intelligenza saranno le circostanze a disporre della vostra vita.

C'è un modo di vivere nel quale non esiste conflitto; proprio perché non ci sono conflitti, c'è l'intelligenza che mostra qual è il modo giusto di vivere. 


J. Krishnamurti, Domande e risposte, Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma, 1983, p.73




03/06/22

*Krishnamurti e Maharishi si sono mai incontrati? Sì, una volta, e non andò molto bene...*



 

Sono due personalità molto famose nella storia del pensiero orientale del Novecento, eppure non potrebbero essere più diversi. Jiddu Krishamurti, nato in India nel 1895, fu portato in Inghilterra da Charles Leadbeater. I membri della società teosofica inglese erano convinti che il ragazzo, allora 14enne, fosse nientemeno che la reincarnazione del Signore Maitreya, una delle più importanti divinità indu. Il giovane e illuminato Krishna tradì presto le loro aspettative, svincolandosi dai teosofi che lo adoravano e rifiutando perentoriamente il ruolo di guida spirituale e tantomeno di guru. Divenne uno dei più grandi pensatori del Novecento e morì a Ojai, in California (dove esiste ancora la sua bellissima casa/fondazione) nel 1986.
Maharishi Mahesh Yogi (il suo nome completo), indiano anche lui, divenne il più classico dei "guru", ottenendo tra gli anni '60 e gli anni '70 una enorme popolarità anche in occidente, fautore della Meditazione Trascendentale (che vanta ancora oggi milioni di persone seguaci di questo metodo nel mondo), e ancora di più dopo il famoso soggiorno indiano dei Beatles, nel 1967, nel suo madrash, che portò la notorietà di Maharishi ai massimi livelli.
C'è anche un celebre documentario, realizzato da un paio d'anni che racconta bene le settimane trascorse dai Beatles, e da altri famosi adepti, nella residenza di Maharishi.
I Quattro Beatles ebbero però, in merito a questa esperienza, e all'affidamento a una autorità spirituale, reazioni diverse:
I Beatles erano ancora scettici riguardo alle autorità. Se seguire la folla non è una buona idea, forse seguire i leader – esperti, guru, coloro che sono su un piano “più alto” – poteva essere un'idea.
L'idea dell'India e di Maharishi era stata di Harrison.
Ma Lennon divenne rapidamente disilluso e sospettava che il Maharishi fosse un imbroglione. Successivamente scrisse anche una canzone su di lui "Sadie sexy" su di lui, spiegando: "Mi sono sbarazzato di lui, anche se non avrei scritto 'Maharishi, cosa hai fatto, hai preso in giro tutti'".
A questo periodo risale anche l'aneddoto che riguarda l'unico incontro di cui si abbia traccia tra Krishnamurti e Maharishi.
Incontro che avvenne per puro caso: viaggiando a Delhi in aereo nel 1974, Krishnamurti si accorse che nella sala d'aspetto c'era il Maharishi. Questi, si precipitò a salutare Krishnamurti, stringendo un fiore e suggerendo una cooperazione tra i due.
Ma Krishnamurti si scusò rapidamente e se ne andò da solo, mentre la folla si radunava attorno al Maharishi.
L'aneddoto dice qualcosa di importante su Krishnamurti, che credo sia l'esempio più chiaro di maestro illuminato del nostro tempo e che insegna in modo puramente filosofico e rifuggiva come la peste l'idea di un guru e di poter essere lui stesso un guru.
L'atteggiamento scettico di Lennon è rivelato nel suo resoconto della partenza dei Beatles dall'ashram di Maharishi. Quando il Maharishi chiese ai Beatles perché se ne stessero andando, Lennon rispose con il suo eterno tono provocatorio: "'Beh, se sei così cosmico, saprai perché. Mi rivolse uno sguardo truce, e ho capito quando mi ha guardato, che era perché avevo capito bluff".
Probabilmente Lennon non avrebbe pensato la stessa cosa di Krishanmurti, che cercava semplicemente di rendere comune la sua "Sorgente" e il cui obiettivo era quello di evitare completamente il guru-centrismo.
Chiunque abbia lavorato con l'insegnamento di Krishnamurti può riconoscerlo. E in relazione alla filosofia, anche questo è interessante poiché l'insegnamento di Krishnamurti in questo modo segue la virtù centrale della filosofia che è questa: "pensa da solo!"
Infatti, il suo insegnamento è caratterizzato dall'uso della filosofia, invece della predicazione religiosa o della psicoterapia. Dunque, anche uno come Lennon, che aveva più di un problema con le autorità, qualunque esse fossero (in primis religiose), avrebbe potuto apprezzare, e trarre giovamento.

10/08/20

Terence Stamp, Fellini, Krishnamurti: un incontro magico (e inedito)



Che cosa hanno a che vedere tutti e tre insieme, Terence Stamp, il grande attore inglese oggi 82enne,  Federico Fellini e Jiddu Krishamurti, il grande filosofo del Novecento, grande anima che ha illuminato menti e cuore a Oriente (dove nacque, in India, a Madanapalle, nel 1895) e a Occidente, dove visse a lungo (in Gran Bretagna e in California)??

C'è un sottile fil rouge che lega queste tre grandi personalità, riemerso qualche anno fa in una intervista passata inosservata. 

Si sa che i destini di Stamp e Fellini si incontrarono proprio all'alba del 1968, quando l'attore inglese fu scelto come protagonista dal grande maestro riminese per il suo Toby Dammit, terzo episodio del film Tre passi nel Delirio, girato a 6 mani (3 episodi diversi, tutti tratti da racconti di Edgar Allan Poe) dai registi Roger Vadim, Louis Malle e per l'appunto Fellini. 

Per interpretare il personaggio maledetto dell'attore che scommette la sua testa col diavolo (Toby Dammit), Fellini aveva pensato in un primo momento a Peter O' Toole, che da tempo aveva fatto sapere di voler lavorare con Fellini. Il regista volò a Londra e dopo l'incontro tra i due, la trattativa sembrava andare a buon fine. 

O' Toole però ci ripensò dopo aver letto la sceneggiatura, preoccupato dall'aura sinistra del personaggio che avrebbe dovuto interpretare. 

La relazione tra O' Toole e Fellini finì malissimo, con un litigio e un reciproco mandarsi a quel paese. A quel punto Fellini virò su un'altra scelta e tra 3 nuovi pretendenti scelse Terence Stamp per il suo volto bello e allucinato e per il fatto che era già reduce dal Teorema di Pier Paolo Pasolini.

Stamp venne a Roma nell'inverno del '67/'68 e prima della primavera, in soli 26 giorni di riprese fu girato l'episodio - solo trentotto minuti - una delle pagine forse più geniali in assoluto della filmografia di Fellini. 

Stamp era in un momento molto particolare della sua vita: conduceva una vita sregolata, era sotto l'effetto di varie dipendenze.  E poco dopo questo film è noto che l'attore fuggì in India dove rimase per qualche anno a meditare sul suo futuro e sulla sua vita.  

Quello che non si sapeva finora era il motivo di questa improvvisa decisione.  E in questa intervista rilasciata a Maria Pia Fusco de La Repubblica nel 2013, Stamp racconta un interessantissimo retroscena, finora non conosciuto. Riporto per intero il passo:

Che ricordo ha di Teorema e di Fellini?
"Con Pasolini non è stata un'esperienza eccezionale: era un uomo riservato. Ma la verità è che sul set il mio interesse era tutto per Silvana Mangano: bellissima. Invece Fellini ha significato la svolta della mia vita. Lui aveva un rapporto amichevole con Peter O'-Toole, si vedevano quando veniva a Londra e Peter gli ripeteva "Voglio lavorare con te", finché capitò l'occasione diToby Dammit, uno degli episodi diTre passi nel delirio. Fellini mandò la sceneggiatura a Peter che, un mese prima delle riprese, una notte lo chiamò: "Quel Dammit è un vero bastardo, non voglio fare il tuo film. Goodbye". Fellini chiamòun agente a Londra, chiese di mandargli un attore decadente, stropicciato, bastardo. Io avevo appena fatto un western, avevo i capelli lunghi, scuri, ero sfatto, fumavo molto, di tutto allora. Fellini venne all'aeroporto, mi guardò, scoppiò a ridere, mi chiese di rimanere".


È vero che a Fellini deve anche la scelta dell'India?
"In una cena a casa di una contessa a Roma mi fece conoscere il maestro Krishnamurti, un piccolo indiano che diceva cose che non capivo. "Guarda quell'albero", lo guardavo, lui sorrideva. "Guarda quella nuvola". "Quando un'aquila vola non lascia tracce". Aveva uno sguardo magnetico, dolcissimo, mi sentivo inadeguato, troppo stupido per capire il senso delle sue parole e il desiderio di andare in India per avvicinarmi alla sua filosofia mi è rimasto dentro. Perciò dico che nella mia vita e nel mio lavoro c'è un prima e un dopo Fellini".


Insomma, che Stamp fosse diventato uno dei più famosi testimonals  della figura di Krishamurti era noto - riporto in calce a questo articolo uno dei molti interventi che l'attore ha fatto nelle diverse scuole e fondazioni intitolate a Krishnamurti nel mondo, che portano avanti i suoi insegnamenti - ma non era conosciuto che a presentare i due fosse stato proprio Fellini. 

Bisognerà approfondire. Sarebbe interessante conoscere l'opinione di Fellini a proposito di Krishnamurti e sarebbe anche interessante sapere chi era con esattezza quella contessa romana e quando si svolse esattamente la fatidica cena. 

Fabrizio Falconi -2020


05/05/19

Poesia della Domenica - "Non amare il florido ramo" di Jiddu Krishnamurti



Non amare il florido ramo

Non amare il florido ramo,
non mettere nel tuo cuore
la sua immagine sola;
essa avvizzisce.
Ama l'albero intero,
così amerai il florido ramo,
la foglia tenera e la foglia morta,
il timido bocciolo ed il fiore aperto,
il petalo caduto e la cima ondeggiante,
lo splendido riflesso dell'Amore pieno.
Ama la vita nella sua pienezza,
essa non conosce decadimento
.


26/04/16

Il Libro del Giorno: Jiddu Krishnamurti - "A se stesso (L'ultimo diario)".





L'ultimo diario dettato da Krishnamurti a Ojai, in California, dal 1983 al 1984 (due anni prima della morte). 

Confessioni illuminanti sui temi capitali dell'esistenza: conflitto, paura, morte.  Ogni "meditazione" è preceduta da considerazioni contemplative sulla bellezza della natura, di rara intensità e poesia. 

Ma quando Krishnamurti poi affonda il proprio pensiero sul senso dell'esistenza, il tratto è lucido e più duro che mai. Si potrebbe essere tentati da un rifiuto nichilistico.  Ma quanta vibrazione, quanto canto, quanta calma passione in queste pagine. 

Il difficile, semmai, è tradurre questo nella pratica della vita vissuta, ma anche qui K. sarebbe estremamente drastico: "non chiedere mai COME", dice. "Quando chiedi COME, in realtà diventi un essere umano di seconda mano."


Jiddu Krishnamurti
"A se stesso (L'ultimo diario)"
ediz. Ubaldini, 1990
Traduz. Sergio Trippodo


22/05/15

Cosa serve per essere maturi - Krishnamurti.






Per essere maturi, è assolutamente necessario che vi siano:

1. completa semplicità che si accompagni a umiltà, non nelle cose o per quel che riguarda il possesso, ma nella qualità dell'essere;

2. passione, con una intensità che non è puramente fisica;

3. bellezza; non solo sensibilità alla realtà esteriore, ma l'esser sensibili a quella bellezza che è al di là e al di sopra di pensiero e sentimento;

4. amore; la sua totalità, non quell'amore che conosce gelosia, attaccamento, dipendenza; non l'amore che viene diviso in carnale e divino. L'intera immensità dell'amore;

5. la mente capace di cercare, di penetrare senza motivo, senza scopo, nelle sue stesse sconfinate profondità; la mente che non ha barriere, ed è libera di vagare fuori del tempo-spazio.


14/11/14

Krishnamurti: La contentezza non è mai quando si possiede qualcosa.




Non si finirà mai di meravigliarsi del dono di saggezza e di spirito contenuti nell’avventura umana di Jiddu Krishnamurti, una delle grandi anime che hanno attraversato il Novecento.

Il pensiero di Krishnamurti è sempre una risorsa, specialmente in questi tempi di grande confusione, di spaesamento totale, di perdita di riferimenti. Krishnamurti insisteva molto su questo, nei suoi scritti, nei celebri incontri con le moltitudini che venivano a trovarlo, nelle sue scuole, in Svizzera, in Inghilterra, a Brockwood Park, a Ojai, in California.

Ecco che cosa disse una volta:

La contentezza non è mai il risultato della soddisfazione, del conseguimento, o del possesso delle cose. 

Il movimento creativo del reale è nient’altro che l’amore. La compassione. Nulla di più lontano dal significato banale che attribuiamo solitamente a questi due termini.

La contentezza giunge con la pienezza di “ciò che è”, non nel mutamento di questo. Ciò che è pieno,non ha bisogno di mutamento, di cambiamento.

E’ l’incompleto in cerca di farsi completo che prova l’agitazione della scontentezza e del cambiamento.

La mente è come una macchina che lavora giorno e notte, facendo baccano, eternamente attiva, addormentata o sveglia che sia. E’ veloce e incessante come il mare.

Un’altra parte di questo e intricato meccanismo cerca di controllare l’intero movimento e, in tal modo, comincia il conflitto tra desideri, stimoli contrapposti.

Ma: c’è attenzione, quando la mente è occupata ?

E’ solo la mente non occupata che può fare attenzione. E’ solo quando colui che sperimenta si è acquietato che la mente è calma. E allora c’è il movimento creativo del reale. 

Amore, compassione è quando la mente smette di turbinare, di essere in tempesta. E osservatore e osservato sono una distinzione che non esiste più. E l’essere umano si avvicina e raggiunge finalmente il suo centro, dentro il quale esistono immense grandezze.





20/01/14

Dieci grandi anime. 5. Jiddu Krishnamurti (4-fine)




Dieci grandi anime. 5. Jiddu  Krishnamurti (4 - fine)

Lo ammise esplicitamente in un lungo colloquio con Mary Lutiens e Mary Zimbalist, avvenuto nel 1974 a Brockwood Park, in cui parlò retrospettivamente di sé - in terza persona -  e di quello che era accaduto a quel semplice ragazzo indiano, cui era toccato un destino così particolare:
      Il ragazzo fu trovato, il condizionamento non fece presa – né la Teosofia, né l’adulazione, né il Maestro del Mondo, le proprietà, le enormi somme di denaro – niente di questo lo toccò. Perché ? Chi lo ha protetto ?
     Tutto questo è sacro. E’ veramente straordinario il perché questo ragazzo  non sia stato corrotto.   Hanno fatto di tutto per soggiogarmi.  Stiamo provando a toccare un mistero ? Nel momento in cui lo comprendi non è più un mistero. Ma la sacralità non è un mistero. Noi stiamo cercando di rimuovere il mistero che conduce alla fonte.  (8)
     E’ una delle rare volte nelle quali, sentendosi forse alla fine della vita, Krishamurti ammise di considerarsi una sorta di eletto. Qualcuno che era stato scelto per una missione, quella che lui avrebbe considerato una via di perfezionamento.
     Negli ultimi anni prese a definire con questo termine – l’Altro – l’entità da cui si sentiva abitato. Abitato fino alla fine. Al punto che cominciò, quando entrò nella fase finale della malattia che lo avrebbe portato alla morte, che quell’Altro volesse abitare un corpo malato, perché non lo lasciava andare, lui che aveva sempre pensato di potere un giorno ‘scivolare’ nella morte molto più facilmente che nella vita.
     Della personificazione di questo Altro – cioè di quella stessa energia che causava il dolore del processo - parlò chiaramente quando nell’ottobre del 1985, quattro mesi prima di morire, così rispose a Mary Zimbalist, che gli chiedeva se si sarebbero rivisti ancora: “ Non morirò all’improvviso, “ rispose Krishnamurti, “ è tutto deciso da qualcun altro (non qualcos’altro NdA). Non posso parlarne. Non mi è consentito, capisci ? E’ molto più serio.  Ci sono cose che tu non sai. Enormi, e io non posso dirtele.”  (9)
     E’ impossibile rendere conto qui della complessità dell’opera di Krishnamurti, del suo lascito filosofico e spirituale, che ancora oggi,  25 anni dopo la sua morte, appare vivo nel mondo. Insieme al mistero riguardante l’origine di questa conoscenza così profonda, e al mistero più generale della figura di Krishamurti, della sua esistenza, e della reale portata delle sue esperienze.
     Una idea di questa complessità si può ricavare dalla lettura del Taccuino,   che Krishnamurti cominciò a scrivere nel giugno del 1961  - per sette mesi -  come diario quotidiano delle sue percezioni e dei suoi stati di coscienza. Si tratta di un manoscritto straordinario, anche dal punto di vista della modo in cui fu redatto: 323 pagine scritte a matita, senza una sola cancellatura. (10)
      Il diario che inizia e finisce senza una motivazione o una data precisa, è un testo poco legato alle questioni quotidiano, e denso di riferimenti – apparentemente puramente descrittivi – al mondo della natura, e al mondo interiore, che per Krishnamurti sono entrambi veri mondi spirituali.
     Nel Taccuino, il 29 luglio del 1961, Krishnamurti scrisse un piccolo decalogo che forse rappresenta pienamente la summa del suo pensiero di conoscenza interiore, oltre che una guida pratica, e non puramente utopistica ( non lontana, per altro,  dagli insegnamenti evangelici), per avvicinarsi alla pienezza di quella immensità che egli sentì prossima durante tutta la vita, e obiettivo di crescita per ogni essere umano.
      Per essere maturi, scriveva Krishnamurti, è assolutamente necessario che vi siano:
1.   completa semplicità che si accompagni a umiltà, non nelle cose o per quel che riguarda il suo possesso, ma nella qualità dell’essere;
2.      passione, con una intensità che non è puramente fisica;
3.      bellezza, non solo sensibilità alla realtà esteriore, ma l’esser sensibili a quella bellezza che è aldilà  al di sopra di pensiero e sentimento;
4. amore; la sua totalità, non quell’amore che conosce gelosia, attaccamento, dipendenza; non l’amore che viene diviso in carnale e divino. L’intera immensità dell’amore.
5.   e la mente capace di cercare, di penetrare senza motivo, senza scopo, nelle sue stesse sconfinate profondità; la mente che non ha barriere, ed è libera di vagare fuori del tempo-spazio.    (11)

Questa maturità, ricercata e descritta in modo così semplice ed eloquente da Krishnamurti è quella che consente di percepire a partire dalla contemplazione di un semplice fiore (un fiore sul lato della strada, una cosa chiara, luminosa, aperta al cielo: il sole, la pioggia, il buio della notte, i venti, il tuono, la terra hanno preso parte alla creazione di quel fiore. Ma il fiore non è nessuna di queste cose. E’ l’essenza di tutti i fiori)  (12)  l’essenza di tutta la vita, fuori dal tempo e dallo spazio. 

      Allora anche nella misura di un fiore c’è stata la benedizione, scrive Krishnamurti, insieme a una grande pace.  

(4. - fine) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.

       
8.     M. Lutyens, La vita e la morte, op. cit. pag. 174.
9.     M. Lutyens, La vita e la morte, op. cit. pag. 219.
10.     Il Taccuino di Krishnamurti è pubblicato, come le altre opere da Ubaldini Editore, Roma, 1980.
11.       J. Krishnamurti, Taccuino, op. cit. pag. 31.
12.      J. Krishnamurti, Taccuino, op. cit. pag. 54.

19/01/14

Dieci grandi anime. 5. Jiddu Krishnamurti (3./)




Dieci grandi anime. 5. Jiddu  Krishnamurti (3./)

Iniziò così quella seconda, lunga fase nella vita del maestro, che lo portò a viaggiare per il mondo fino all`età di novant`anni, e a diventare un punto di riferimento per scrittori come Aldous Huxley, scienziati come David Bohm, o migliaia di persone comuni appartenente a paesi e razze diverse, così attratti dalla figura e dalle parole di un pensatore davvero fuori dal comune e da ogni schema.
      Una seconda fase nella quale Krishnamurti portò avanti con coerenza, fino all’ultimo, ciò che pensava della vita: il rifiuto di ogni ideologia, di ogni autorità spirituale o psicologica – comprendendo anche se stesso  in questo contesto – la liberazione dalla paura – dalla paura della morte in primis -  dai condizionamenti del pensiero, dall’autorità, dalla sottomissione ai vincoli imposti.
     Il cammino spirituale di Krishnamurti è fatto, prima di tutto, di consapevolezza. E’ solo la consapevolezza che rende liberi nel cammino verso la Verità.  Ma nessuna consapevolezza è possibile dentro al frastuono del mondo, nessuna consapevolezza è possibile se non ci si libera dei legacci e delle false illusioni del pensiero.
      La comprensione, scrive nel suo primo libro, pubblicato nel 1953, Education and the Significance of Life,  viene solo attraverso l’autoconoscenza, che è la consapevolezza del proprio intero processo psicologico.  L’istruzione è nella comprensione di sé, poiché è in ciascuno di noi che è raccolta la totalità dell’esistenza.
      E nell’Uomo alla svolta, aggiunge: la libertà è essenziale per l’amore; non la libertà della rivolta, non la libertà di fare quel che ci pare e piace, neanche l’indugiare segretamente o apertamente nelle proprie bramosie, ma piuttosto la libertà derivante dalla comprensione dell’intera struttura della natura e del centro. Allora la libertà è amore. (5)
      E’ grazie ad affermazioni come queste, fatte nel corso di lunghe conferenze, fatte senza nessun foglio scritto, seduto su di una semplice sedia, con il suo tono di voce avvolgente, la pronuncia lenta, gli occhi spesso socchiusi, che Krishnamurti diventò, poco a poco, celebre.  Riconosciuto, ammirato, inseguito anche – inevitabilmente – dal mondo della celebrità e dello spettacolo. 
      Quando l’amica italiana Vanda Scaravelli -  era figlia di Alberto Passigli, aristocratico proprietario terriero, e personaggio molto in vista nella società fiorentina e moglie del marchese Luigi Scaravelli, professore di filosofia all’Università di Roma – lo portò in Italia, registi cinematografici (Fellini, Pontecorvo), scrittori (Moravia, Carlo Levi), musicisti (Segovia, Casals) fecero a gara per incontrarlo.  Ma Krishnamurti non cambiò mai il suo semplice sistema di vita, apparentemente completamente alieno dai bisogni e dai desideri umani.   Continuò a passare gran parte delle sue giornate in meditazione, o studiando o scrivendo, o incontrando persone che volevano conoscerlo.   Continuò, allo stesso modo, quel doloroso processo, che a tratti si impadroniva di lui e lo portava in uno stato di estasi e di distacco dal mondo, del  quale la stessa Scaravelli (6) fu più volte testimone, e che così descrive nei suoi appunti:
       Dopo colazione stavamo conversando. In casa non c’era nessuno. Tutt’a un tratto K. svenne. Ciò che accadde a questo punto non si può descrivere, poiché non ci sono parole per darne minimamente un’idea: ma è anche qualcosa di troppo serio, troppo straordinario, troppo importante per essere lasciato nel buio, sepolto nel silenzio o tralasciato. Nel viso di K. ci fu una trasformazione.  I suoi occhi divennero più grandi, vasti e profondi, ed ebbero uno sguardo sovrumano, che andava al di là di ogni spazio possibile. Fu come se ci fosse una presenza, un potere appartenente ad un’altra dimensione. C’era una inspiegabile sensazione di vuoto e di pienezza al tempo stesso. (7)

       I contorni di questo ‘dove’, di questa ‘altra dimensione’ furono lasciati dallo stesso Krishnamurti sempre incerti. Non accettò mai di rispondere in modo preciso a ciò che avveniva durante quegli stati di coscienza che duravano anche giorni interi.  Ma sempre, nei suoi discorsi, emerse chiaramente che si sentiva ‘abitato’ o ‘protetto’ da una volontà e da un verità superiore.   Anche se ‘Dio’ è una parola che Krishnamurti  usò con incredibile parsimonia, proprio perché considerava quello che gli uomini descrivono come ‘Dio’ una ulteriore prigione mentale, un pre-giudizio, uno schema di cui liberarsi, se si vuole arrivare davvero al centro autentico della verità. 

(3./segue) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.

      
5.     M. Lutyens, La vita e la morte… op. cit. pag. 144.
6.     Vanda Scaravelli, scomparsa nel 1999 è stata a sua volta insegnante di Yoga e di meditazione profonda, fino all’età di 80 anni, con all’attivo numerosi saggi.
7.     M. Lutyens, La vita e la morte… op. cit. 128.

17/01/14

Dieci grandi anime. 5. Jiddu Krishnamurti (1)





 Dieci grandi anime. 5. Jiddu  Krishnamurti (1./)
     

Jiddu Krishnamurti, il maestro spirituale – oggi riconosciuto come uno dei più grandi del secolo scorso – non si stancò mai nelle migliaia di incontri e conferenze, tenute in giro per il mondo, e nelle scuole da lui fondate, in Svizzera, in Inghilterra – a Brockwood Park,dove oggi esiste la fondazione internazionale che porta il suo nome  (e una scuola internazionale per giovani dai 14 ai 24 anni)  – in California o in India, di ribadire che la religione, come è generalmente intesa – e quindi anche lo stesso pensiero della esistenza o non esistenza di Dio -  non è altro che una forma di costrizione, un inganno del pensiero, un limite della realtà che noi stessi accettiamo e che deforma ogni nostra percezione.
     Chi deve portare ordine nel mondo della realtà ? afferma Krishnamurti, in risposta a una delle persone che venivano quotidianamente ad interrogarlo (1),  L’uomo ha detto “Lo porterà Dio. Credi in Dio e avrai ordine. Ama Dio e avrai ordine. “ Ma quest’ordine diventa meccanico a causa del nostro desiderio di sicurezza, desiderio di sopravvivere, di trovare il modo più facile per vivere.  
     Come sa chi conosce la densa opera filosofica e spirituale di Krishnamurti, il senso del suo insegnamento fu proprio giocato sul rifiuto di quelle concezioni errate da parte degli uomini, frutto delle distorsioni causate dalla paura, dalla sofferenza, dalla paura della morte.    Il pensiero umano è come soggiogato da queste influenze negative che condizionano la conoscenza di se stessi.  Ed è, anzi, proprio il pensiero umano, il suo movimento incessante, frenetico, instancabile, il principale nemico di ogni vera conoscenza.
      Il pensiero è meccanico, e fa parte della realtà.  In campo psicologico il pensiero ha creato il ‘me’  e nell’elenco delle costrizioni, degli artifici del ‘me’, creati del pensiero, Krishnamurti inserisce anche Dio: me, mio, casa mia, la mia proprietà, mia moglie, mio marito, i miei bambini, il mio paese, il mio Dio.
      La sfida contenuta nel pensiero e nella vita stessa di Krishnamurti è invece in un totale rovesciamento di questa prospettiva. La verità è quando il pensiero si ferma. E’ quando non c’è più differenza tra osservante ed osservato.  Quando si capisce  che tutto il movimento della vita è uno, indiviso e quando si è consapevoli di questo. Soltanto allora, dice Krishamurti, la mente ringiovanisce e possiede una immensa energia. E  si può intravedere la bellezza e la verità.  
      Un pensiero di questo tipo, si obietterà, è lontano da un tradizionale senso religioso. Ma soltanto ad un esame molto superficiale la grande opera lasciata in eredità da Krishnamurti, composta da molti libri, meditazioni, taccuini e trascrizioni di un numero enorme di conferenze e incontri, potrà essere liquidata come lontana da una prospettiva religiosa.
      In effetti, se appena si è disposti ad addentrarsi nell’opera e nella vita del maestro indiano, ci si accorge che tutta la sua esistenza, in fin dei conti, non fu dedicata ad altro che a questo: alla conoscenza – non razionale, non positivista – della verità celata dietro l’apparenza e l’illusione della realtà, e in definitiva all’accostarsi al mistero unico del trascendente.  Trascendente a proposito del quale però Krishnamurti – con profonda coerenza –  continuò a rifiutare qualsiasi definizione.  Dio è qualcosa di cui non si può parlare, disse in un incontro a Ojai, in California,  che non può essere tradotto in parole, perché deve rimanere per sempre il non conosciuto.
      E questo, detto da un uomo a cui accadde nella vita di essere scambiato per un Dio – cosa che non capita certamente spesso – non è poco. 
      Sì, perché la vicenda umana di Krishnamurti è davvero singolare e molto interessante, al pari dell’opera che ci ha lasciato.  

      Nato l’11 maggio del 1895 a Madanapalle, un piccolo paese di collina tra Madras e Bangalore, ottavo di dieci figli, da un funzionario indiano dell’Erario sotto l’amministrazione britannica, e da sua moglie, Sanjeevamma. Una famiglia bramina, di lingua telegu, strettamente vegetariana. (2)  Suo padre, pur essendo un bramino ortodosso apparteneva alla Società Teosofica  -  fondata a New York da Helena Blavatsky sul presupposto che tutte le religioni abbiano un’unica origine – dal 1882,  e la madre era una devota di Sri Krishna. Per questo al piccolo Jiddu fu dato il nome di Krishna. 

(1./segue) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 


1.     La citazione qui riportata è tratta da J. Krishnamurti, Verità e realtà, Ubaldini Editore, Roma, 1977,  pag. 100.   Tutte le opere di Krishnamurti sono tradotte e pubblicate in Italia dall’editore Ubaldini.
2.     Tutte le notizie biografiche contenute in questo capitolo sono tratte da quella che è considerata la biografia più esauriente scritta su K. : Mary Lutyens, La Vita e la Morte di Krishnamurti, Ubaldini, 1990, Roma.  Mary Lutiens fu amica di Krishamurti sin dagli anni dell’adolescenza e fu scelta dallo stesso maestro come sua biografa.

06/12/13

Guardare come se fosse la prima volta. Krishnamurti.




Quindi, ci addentriamo ora nell’indagare che cosa significa osservare senza osservatore.

Perché l’osservatore è il passato, è il terreno del conosciuto, perché è il risultato della conoscenza e quindi dell’esperienza e così via. 

Esiste un’osservazione senza osservatore, che è il passato? 

Posso guardarvi, guardare mia moglie, i miei amici, i miei vicini, senza le immagini che ho costruito nella relazione? 
Posso guardarti senza che tutto ciò si metta tra noi? E possibile? Mi hai ferito, hai detto delle cose molto spiacevoli sul mio conto, hai diffuso voci scandalose su di me. Posso guardarti senza trattenere tutto ciò nella memoria? 
Il che significa, posso guardarti senza che il pensiero intervenga a ricordarmi gli insulti, le ferite, oppure i complimenti? 
Posso guardare quell’albero senza la conoscenza dell’albero? 
Posso ascoltare il suono del fiume che scorre senza dargli un nome o riconoscerlo, ma semplicemente, ascoltare la bellezza del suono? 
Potete farlo? 
Forse potete ascoltare il fiume, riuscite a osservare le montagne senza alcuna premeditazione, ma riuscite a guardare voi stessi, con tutto il bagaglio conscio e inconscio, guardarvi con occhi che non sono mai stati toccati dal passato? 
Avete mai provato? 

Scusate, non avrei dovuto dire “provato”: provare è sbagliato. L’avete mai fatto? Avete mai guardato vostra moglie, la vostra fidanzata, il vostro fidanzato, o chiunque sia, senza un singolo ricordo del passato? Se lo farete, scoprirete che il pensiero è ripetitivo, meccanico, e le relazioni non lo sono, quindi scoprirete che l’amore non è il prodotto del pensiero. Per questo non esiste un amore divino o un amore umano, esiste solo l’amore.


Tratto da Sulla mente e il pensiero, di Jiddu Krishnamurti, Titolo originale dell’opera On mind and thought (Harper, San Francisco) Traduzione di Andrea Anastasio, Krishnamurti Foundation Trust Ltd. and Krishnamurti Foundation of America 2004, Astrolabio Ubaldini Editore, Roma

24/09/12

Krishamurti in Italia (la testimonianza di Vanda Scaravelli).




Jiddu Krishnamurti transitò diverse volte nel nostro paese. 

Nel 1966, quando l’amica italiana Vanda Scaravelli - era figlia di Alberto Passigli, aristocratico proprietario terriero, e personaggio molto in vista nella società fiorentina e moglie del marchese Luigi Scaravelli, professore di filosofia all’Università di Roma – lo portò in Italia per la prima volta, registi cinematografici (Fellini, Pontecorvo), scrittori (Moravia, Carlo Levi), musicisti (Segovia, Casals) fecero a gara per incontrarlo. 

Ma Krishnamurti non si lasciò coinvolgere dai riti mondani e non cambiò il suo semplice sistema di vita, apparentemente completamente alieno dai bisogni e dai desideri umani.

Continuò a passare gran parte delle sue giornate in meditazione, o studiando o scrivendo, o incontrando persone che volevano conoscerlo. 

Continuò, allo stesso modo, anche quel doloroso processo, che a tratti si impadroniva di lui e lo portava in uno stato di estasi e di distacco dal mondo, del quale la stessa Scaravelli (1) fu più volte testimone, e che così descrive nei suoi appunti: 

Dopo colazione stavamo conversando. In casa non c’era nessuno. Tutt’a un tratto K. svenne. Ciò che accadde a questo punto non si può descrivere, poiché non ci sono parole per darne minimamente un’idea: ma è anche qualcosa di troppo serio, troppo straordinario, troppo importante per essere lasciato nel buio, sepolto nel silenzio o tralasciato. Nel viso di K. ci fu una trasformazione. I suoi occhi divennero più grandi, vasti e profondi, ed ebbero uno sguardo sovrumano, che andava al di là di ogni spazio possibile. Fu come se ci fosse una presenza, un potere appartenente ad un’altra dimensione. C’era una inspiegabile sensazione di vuoto e di pienezza al tempo stesso. (2) 

I contorni di questo dove, di questa altra dimensione furono lasciati dallo stesso Krishnamurti sempre incerti. Non accettò mai di rispondere in modo preciso a ciò che avveniva durante quegli stati di coscienza che duravano anche giorni interi. Ma sempre, nei suoi discorsi, emerse chiaramente che si sentiva abitato o protetto da una volontà e da un verità superiore. Anche se Dio è una parola che Krishnamurti usò con incredibile parsimonia, proprio perché considerava quello che gli uomini descrivono come Dio una ulteriore prigione mentale, un pre-giudizio, uno schema di cui liberarsi, se si vuole arrivare davvero al centro autentico della verità.

1. Vanda Scaravelli, scomparsa nel 1999 è stata a sua volta insegnante di Yoga e di meditazione profonda, fino all’età di 80 anni, con all’attivo numerosi saggi. 
2. citazione tratta da Mary Lutyens, La Vita e la Morte di Krishnamurti, Ubaldini, 1990, Roma, pag.128.



Vanda Scaravelli in esercizio yoga. 


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