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13/07/21

Incredibile scoperta in Sudan: Tombe islamiche distribuite come galassie nel cosmo


Le tombe islamiche costruite nei millenni nella regione sudanese del Kessala sono distribuite secondo uno schema simile a quello delle galassie: grazie a un modello statistico usato in astrofisica si e' infatti scoperto che le sepolture sono raggruppate a centinaia intorno a nuclei dove si trovano probabilmente quelle piu' antiche e importanti

Lo dimostra lo studio pubblicato sulla rivista Plos One dai ricercatori dell'Universita' di Napoli 'L'Orientale', della Statale di Milano e dell'Universita' di Newcastle, nell'ambito di una cooperazione internazionale che fa riferimento alla National Corporation for Antiquities and Museum del Sudan. 

Il lavoro, condotto in collaborazione con l'archeologa sudanese Habab Idriss Ahmed, ha preso in esame oltre 10.000 monumenti funerari identificati in un'area di oltre 4.000 chilometri quadrati grazie alle immagini satellitari e alle ricerche sul campo

"Disponevamo di scarsissime fonti scritte e orali circa l'origine delle tombe, che sono migliaia, tutte uguali e non sono mai state scavate", dice all'ANSA il primo autore dello studio, Stefano Costanzo dell'Universita' di Napoli L'Orientale. 

Grazie al modello statistico NCSP (Neyman-Scott cluster process), originariamente sviluppato per studiare la distribuzione di stelle e galassie, e' emerso "che effettivamente le grandi necropoli di 3-4000 tombe celano una struttura a sottocluster che non e' immediatamente identificabile a occhio nudo, ma che con buona probabilita' - afferma Costanzo - si e' formata secondo dinamiche sociali proprie dei gruppi umani del territorio". 

14/12/15

Il "Viaggio in India" di Guido Gozzano, ristampato in Italia.


Guido Gozzano e il suo 'Viaggio in India' è un volume, edito da Graphofeel, che prende come riferimento la raccolta di articoli scritti dal poeta, massimo esponente del 'crepuscolarismo', per vari giornali italiani, intitolata 'Verso la cuna del mondo, lettere dall'India', nell'edizione di Alida D'Aquino Creazzo del 1984. 

Esiste, però, anche una raccolta dell'editore Treves di Milano, datata, invece, 1917. 

Questa nuova versione ha rispettato le scelte di Gozzano a livello ortografico: le lettere, infatti, riportano diverse incoerenze che non sono state corrette. 

In esse, il poeta ci porta a esplorare con attenzione l'India: le sue strade, la sua gente, i monumenti, i tanti simboli. 

E lì, per i disturbi provocati dalla tisi, sono i medici e alcuni cari amici a convincerlo a partire. 

Il clima, umido e afoso, si rivela non proprio idoneo alla sua cagionevole salute, ma il fatto di cambiare aria e poter riposare sembrano le condizioni ideali per recuperare. 

Affascinato dall'India, che conosce attraverso i libri, dagli ornamenti dei palazzi e dalle parole, il poeta passa da una città all'altra con la curiosità di un bambino e scrive, documentando ciò che vede, una sorta di diario, che traccia la sua permanenza in quei luoghi pieni di fascino, Storia e contraddizioni. 

Dal Colle del Malabar, raggiunge le Torri del Silenzio, dove attende il rito funerario che ha, in sé, un qualcosa di macabro e terribile, poiché i cadaveri dei Parsi, considerati benestanti, vengono lasciati appesi a delle gabbie e divorati dagli avvoltoi. 

Gozzano rimane colpito dal fatto che le torri siano rimaste intatte nei millenni: tutto è intatto nell'India britanna. 

E' naturale il suo continuo porre domande, quel chiedere con una certa frequenza.

Costante è l'alternarsi di momenti di stupore ad altri di sconforto e malinconia. A volte rimpiange l'Italia, come nel capitolo del Natale a Ceylon, in cui pensa alla neve della sua terra mentre lì si ritrova in una piena foresta tropicale, circondato dal coro dei pappagalli e delle scimmie: "Non è gaio il mio Natale, e la flora che mi circonda non è consolatrice, mi ricorda di continuo la spaventosa distanza dalla Patria..."

L'India conosciuta attraverso le letture spesso non possiede affatto le caratteristiche che il poeta incontra, osservando la realtà. 

Nessuno dei suoi amici vuole seguirlo a Goa, ma il poeta è spinto ad andarci da un sonetto di De Heredia, poeta francese di origine cubana.

 Ecco il legame indissolubile con la poesia, che si trascina con forza nella scrittura di Gozzano: una contaminazione inevitabile, ben radicata. 

Tra le pagine, il poeta sceglie di riportare proprio i versi in lingua originale di De Heredia per la Patria lontana. E si arriva, infine, ad affrontare il tema delle caste. 

Il poeta si sofferma sugli atteggiamenti e sui comportamenti della gente, li scruta minuziosamente e coglie una suddivisione nel popolo che viene rispettata con rigore. 

Anche nel solo fatto di camminare, gli indiani fanno attenzione a rispettare la casta, devono mantenere le distanze prescritte dal diagramma: "Quattro passi tra un bramino e un soldato; due tra un soldato e un contadino; tre tra un contadino e un paria". 

E Gozzano precisa proprio questo: "Due cose sono care all'indiano: l'Inghilterra e la sua casta". Una riflessione sull'Islam del 1913 si manifesta con tutto il peso dell'attualità dei giorni nostri, catapultandoci in quella parte dell'India caratterizzata da scarsa vegetazione: 

"Si direbbe che l'Islam prediliga, in ogni parte del mondo, le terre desolate, i deserti e le steppe...". 

L'India raccontata nel libri, ancora una volta si presenta con un volto diverso, con un'ambientazione che il poeta non si aspettava. Ed è proprio viaggiando che egli tocca con mano la steppa senza fine, con i suoi avvoltoi. Allora la tristezza lo avvolge, con un rimpianto per l'Italia più forte che mai. 

Tutto appare senz'anima, fino a quando ritrova una meraviglia unica nel mondo, una bellezza che mozza il respiro e supera le descrizioni dei libri: il Tai-Mahal, mausoleo secolare eretto dall'imperatore Shah-Zehan per la morte inaspettata della sua sposa. 

Gozzano si lascia incantare da ciò che vede. E nelle sentenze del Corano che non comprende, percepisce parole dal valore universale, che le religioni di tutta la Terra possono armoniosamente condividere per l'amore che emanano. 

Gozzano vive tutto con una forte intensità, non tralascia nulla e, attraverso quello stile crepuscolare che gli appartiene in poesia, rievoca la sacralità delle cose, dagli animali ai luoghi. Vive le diversità di latitudine che influenzano anche le arti, ma non dimentica di far riferimento a ciò che già conosce attraverso i suoi libri. 

Quindi, gli appunti di viaggio non sempre sono precisi: scrive di ciò che ha letto e, talvolta, si sorprende della non corrispondenza della realtà con il testo. Costantemente in bilico tra una cauta partecipazione alle cose e un rifugiarsi in se stesso, Gozzano tende a proporre, ma nello stesso tempo vive, uno stato di smarrimento, in cui l'ambiguità si fa presenza insistente. Il sogno è parola dominante in tutta la sua produzione letteraria.

E 'Viaggio in India' è un cammino affascinante, ricco di contrasti, che conferma tutte le perplessità esistenziali che appartengono non solo al poeta



Guido Gozzano

28/01/13

Pietro Citati - Elogio delle Chiese silenziose e vuote.



La fede solitaria al posto di quella solenne, il vero cristianesimo Qualche tempo fa — il giorno di Santo Stefano — sono andato in una chiesa del mio quartiere. Tutte le porte erano chiuse a chiave o con robusti catenacci. La chiesa era impraticabile, come certe chiese protestanti olandesi, che aprono un'ora al giorno o meno, solo durante le striminzite funzioni che il pastore accorda ai suoi fedeli.

È così bello entrare nelle chiese vuote, dove non soffia nemmeno un respiro umano; e sedersi su un banco o una seggiola, pensando, ricordando, fantasticando, rimuginando. La mente sembra più libera, più vasta, più oggettiva, più sicura di sé; e vaga dovunque attraverso i cieli oppure si concentra in un punto fisso del cielo.

Vive di pura contemplazione, nello spazio pieno di silenzio e di echi. Essere soli nella chiesa vuota dà all'anima una quiete e una profondità, che altrimenti non conosce. La fede solitaria, da solo a solo con il Figlio o il Padre: non c'è nulla di così intimamente cristiano. Tutto il resto del mondo è dimenticato. Non ci sono più i sentimenti, le passioni, la coscienza dell'io, l'orgoglio, il desiderio di potere, il desiderio di scrivere.

L'Islam conosce un'altra esperienza dello spazio religioso. Quando si entra in una moschea egiziana o persiana, centinaia di persone stanno sedute a terra, su un tappeto o con le spalle contro il muro.

Qualche volta parlano con Dio: più spesso parlano, chiacchierano, cinguettano tra loro. Tanti sono gli argomenti possibili: gli amori, gli odi, la politica, gli affari del giorno o della settimana. Si compra, si vende. 

Qualche ragazzo studia, a mezza voce, su un libro di testo gualcito. Un europeo ha l'impressione che nella moschea piena una sola figura manchi: quella di Dio.

Non è vero. Sotto la cupola della moschea, Dio esiste, ma confuso con tutti gli esseri umani, con tutta l'immensa e colorata realtà, della quale è Signore unico e nella quale sembra perdersi. Se le nostre chiese sono vuote, la ragione è semplice e tutti la conosciamo. Come deplora il Pontefice, il cristianesimo, almeno in apparenza, è stanco: i cristiani, che frequentano le chiese occidentali, diminuiscono ogni giorno. La nostra religione si sta dunque estinguendo?

Non lo credo affatto. In questi ultimi sessant'anni, il cristianesimo ha perduto i fedeli che veneravano il Cristo perché così volevano il potere e la società: dunque, mai o quasi mai per un impulso religioso. Ora, dopo tante perdite, sono rimasti i cristiani puri: quelli che siedono o pregano nelle chiese vuote, che leggono i Vangeli e le migliaia di libri, che la fede e la tradizione hanno ispirato durante quasi venti secoli.

Labbra silenziose discorrono con il loro nascosto ispiratore. C'è una prova. Oggi, quando il loro numero è diminuito, i cristiani dell'Occidente leggono molti più libri di ispirazione cristiana o religiosa, di quanti non ne leggevano sessant'anni prima.


Elogio delle chiese silenziose e vuote Fonte: PIETRO CITATI - Corriere della Sera Lunedì 28 Gennaio 

24/01/10

Tutti abbiamo nel cuore questo desiderio: che cresca il dialogo. Il Card. Carlo Maria Martini.


Può esserci pace laddove c'è paura ? Scopro, andando avanti con gli anni, che molti sapienti, di diversi credo e di diverse confessioni religiose, sono unanimi nel considerare la paura, la paura individuale e quella che si tramuta in paura sociale come il maggior ostacolo alla costruzione della pace, della convivenza felice e costruttiva tra gli uomini.


"Il dialogo in Italia è difficile, perché oggi la gente vive di paure".

Queste parole le ha pronunciate ieri il cardinale Carlo Maria Martini visitando a Milano la mostra Giusti dell'islam.

"Fate bene a impegnarvi con tenacia sulla via del dialogo, senza spaventarvi delle difficoltà. La gente oggi vive di paure, di episodi singoli amplificati dall'opinione pubblica; e invece bisogna portarli a conoscere le situazioni concrete, le persone di buona volontà", ha detto il cardinale a quanto riferito dal 'Sir', il Servizio informazione religiosa della Cei.

"Tutti abbiamo nel cuore questo desiderio che cresca il dialogo, la mutua comprensione", ha aggiunto il porporato che ha ricordato i suoi anni a Gerusalemme: "Là ho potuto vedere dal vivo le sofferenze, le difficoltà e anche alcune realizzazioni molto belle. Tra queste 'Parents circle', persone che hanno perduto un loro caro ucciso o per il terrorismo o per la guerra. Invece di pensare alla vendetta si cercano e dialogano sulla pace".

La mostra Giusti dell'islam, promossa dal centro Pime di Milano, in questi giorni, su iniziativa delle Acli di Varese e della locale comunità islamica, ha fatto tappa all'Aloisianum di Gallarate, la casa dei gesuiti dove l'arcivescovo emerito di Milano vive.

18/07/09

Religione, valori etici & mercato.

Davvero fornisce numerosi spunti di riflessione, credo, questo articolo pubblicato da Studi Cattolici, nel numero di maggio scorso. Credo davvero valga la pena di meditare su questa crisi economica Occidentale, in cui sentiamo da più parti fare riferimento sempre invariabilmente a 'non meglio identificati' valori etici. Buona lettura.
Finanza & Islam

L’attuale crisi finanziaria che attanaglia l’Occidente ha un colpevole unanimemente additato: la mancanza di etica. Ma l’etica attiene più al campo della filosofia che dell’economia, e la filosofia ha molto a che vedere con la religione. Morale: se l’idea di bene comune e non l’avidità egoistica avesse guidato gli speculatori, oggi non saremmo a questo punto. Ebbene, le cosiddette banche islamiche, gli affari delle quali sono ispirati non dal “mercato” ma dal Corano, avrebbero qualcosa da insegnare all’Occidente in ginocchio.




A sostenerlo, e con cognizione di causa, sono Loretta Napoleoni e Claudia Segre sul numero del gennaio 2009 di «Vita e Pensiero», la rivista dell’Università Cattolica. La Napoleoni è tra i massimi esperti di terrorismo ed economia internazionale, la Segre è una banchiera di alto livello. Il titolo del loro articolo è: «L’islam può aiutare la finanza dell’Occidente?». La risposta che danno alla domanda è sì; anzi, la finanza occidentale deve prendere esempio da quella islamica, dalla quale ha tutto da imparare. L’articolo, prima di addentrarsi nell’attualità e nelle prospettive future, premette una breve storia della finanza islamica.




Ne facciamo un piccolo riassunto. Innanzitutto l’islam proibisce la riba, il prestito a interesse, divieto che ha complicato non poco l’economia dei musulmani e, di fatto, ha impedito anche l’idea stessa di «banca». Insomma, l’intero capitalismo, che appunto sul prestito a interesse si basa, è stato reiteratamente colpito da fatwa, e quegli sceicchi che hanno voluto fare affari con l’Occidente hanno dovuto, diciamo così, tenere in due tasche distinte i soldi e il Corano. Ma per gli altri è sempre valsa la sha’ria, per la quale qualunque attività economica non può prescindere dalla zakat (l’elemosina obbligatoria, uno dei cinque pilastri dell’islam) e il prestito istituzionalizzato può, al massimo, riguardare un finanziamento per il pellegrinaggio alla Mecca (altro pilastro). Ma nel 1963 un egiziano che aveva studiato economia in Germania avviò un timido esperimento.




L’uomo si chiamava al-Najjar e, in Germania, era stato affascinato da quell’economia «sociale» dettata dai principi cristiani (a sua volta influenzata dall’enciclica Rerum novarum di Leone XIII e dalle soluzioni originali escogitate dai cattolici, tipo casse rurali e casse di risparmio). Infatti, al-Najjar fondò proprio una Cassa Rurale di Risparmio, la cui attività, però, era supervisionata da un comitato di ‘ulama, che vegliavano affinché tutto fosse halal, cioè in regola con le norme coraniche. Niente investimenti in armi, gioco d’azzardo, alcool, tabacco, pornografia (nel senso, larghissimo, del termine, che riguarda anche gli abiti succinti) e aggiramento dell’«usura» (prestito a interesse) tramite contratti partecipativi e diversificate forme di affitto. Questa banca, pur così sorvegliata, fu sempre guardata con sospetto nel mondo islamico e dopo soli cinque anni Nasser la chiuse.




Ma il successore, Sadat, ne riprese il modello (contabili e ‘ulama a contatto di gomito), nazionalizzandolo. La grande crisi petrolifera del 1973-74, quadruplicando il prezzo del greggio, inondò di denaro i Paesi arabi, i quali furono costretti a dotarsi di istituzioni finanziarie di maggior respiro. Ma sempre halal. Anzi, agli ‘ulama vennero affiancati i fuqahà, gli esperti di diritto islamico. Sorsero come funghi le banche islamiche, tanto che nel 1977 si dovette creare una International Association of Islamic Banks, il cui segretario fino al 1991 fu proprio il pioniere al-Najjar. La catastrofe delle Twin Towers cagionò un rientro precipitoso di petrodollari che, ancora una volta, fece schizzare al cielo le disponibilità finanziarie dei Paesi petroliferi. Nacquero allora le prime emissioni obbligazionarie halal (dette sukuk), rilanciate in terre non islamiche dalla Sassonia (nel 2004), cui seguì la nascita della Islamic Bank of Britain. Ormai l’Occidente aveva fiutato l’affare e l’offerta di «prodotti» commestibili per un miliardo e mezzo di musulmani dilagò.




Oggi la cosiddetta finanza islamica coinvolge sui quattrocento operatori in oltre settanta Paesi, per un giro d’affari di due trilioni di dollari e un tasso di crescita annuo del 15%. Si stima che il vero e proprio boom avverrà nei prossimi cinque anni, arrivando a coprire l’8% dell’intera economia mondiale. Torniamo allora alla domanda iniziale: perché l’Occidente dovrebbe imparare la lezione islamica? In effetti, agli istituti di credito halal è vietata la speculazione, l’insider trading e la creazione artificiale di moneta, i cancri che hanno portato l’Occidente ai problemi attuali. Il denaro halal è un mezzo, non un fine; l’emissione di sukuk è legata a un investimento reale, come una costruzione o una strada, e non può finire, pur con giri contorti, in attività immorali. Poiché è assente nel mondo musulmano la mentalità individualista e tutti si sentono parti della umma, l’egoismo, radice dei mali occidentali, è atavicamente impensabile e il «sistema», strettamente controllato dal punto di vista morale, gode della piena fiducia. Ciò che oggi manca a quello occidentale.




La crisi di fiducia fa sì che nell’Occidente ci sia una liquidità stagnante che abbisogna di essere rimessa in movimento. Fin qui Napoleoni e Segre. Da qui, però, un’amara riflessione: è paradossale che l’Occidente debba imparare dall’islam parte di ciò che esso stesso ha inventato e di cui si è disfatto con l’avere estromesso la sua religione dall’ambito pubblico e sociale. Sono stati i teologi francescani del XII e XIII secolo a sciogliere il nodo teologico dell’«usura» e a permettere la nascita del capitalismo nell’Italia cattolica. Erano cattolici quei banchieri e mercanti medievali che, sviluppandosi nelle libertà politiche dei Comuni, inventarono tutti gli strumenti dell’economia, permettendosi di essere creditori di interi regni. Erano cattolici quegli operatori che mettevano la voce «messer Dio» a bilancio e finanziavano cattedrali e ospedali e scuole. E ciò senza che i preti sedessero nei consigli d’amministrazione a dettare le regole dell’etica. L’idillio finì con la spaccatura protestante e la predestinazione calvinista che vedeva negli economicamente svantaggiati dei reprobi. Un altro tipo di etica economica, spietata, si impose. Oggi, l’Occidente che ha rinnegato le proprie radici religiose deve mendicare «etica» da chi non ha conosciuto né Riforma protestante, né Illuminismo, né secolarizzazione. Chissà, forse c’è davvero la mano di Dio in tutto questo. Forse, davvero, chi rigetta il giogo «leggero e soave» di Cristo finisce fatalmente per accollarsene un altro ben diverso.

Fonte: Studi Cattolici n. 579, maggio 2009.
Su studi cattolici:

10/05/09

La Visita di Benedetto XVI - Le parole di Charles de Foucauld.


Nei giorni in cui Benedetto XVI visita la Terra Santa - oggi è ancora in Giordania, domani in territorio Israeliano - una visita molto delicata, sotto molti aspetti, voglio ricordare una figura di un mistico completamente legata a quei luoghi. Quando, diversi anni fa, sono andato a Nazareth vi trovai la testimonianza viva e feconda di Charles de Foucauld. Al ritorno da quel viaggio, ripresi in mano i suoi scritti. Che raccontano tanto, di quei luoghi, e della fede che lì trova un Senso ancor più profondo. Vi riporto qua di seguito un brano della stupenda lettera scritta da De Foucauld a Henri de Castries, nel 1901. Sulla quale si può a lungo meditare.


Caro amico, comincerò facendovi una confessione: la vostra fede aveva solo vacillato, la mia è rimasta completamente morta per molti anni. Per dodici anni ho vissuto senza alcuna fede: nulla mi sembrava abbastanza dimostrato. La stessa fede con cui si seguono religioni così diverse mi sembrava la condanna di tutte. Quella della mia infanzia mi sembrava la più inammissibile, con il suo 1=3 [il mistero della Trinità] che non potevo risolvermi a considerare plausibile:

l’islamismo mi piaceva molto, con la sua semplicità, semplicità di dogma, semplicità di gerarchia, semplicità di morale; ma vedevo chiaramente che era privo di un fondamento divino e che la verità non era lì. Sono rimasto per dodici anni senza negare e senza credere nulla, senza sperare nella verità, e senza nemmeno credere in Dio, visto che nessuna prova mi sembrava abbastanza evidente... Vivevo come si può vivere quando l’ultima scintilla di fede si è spenta... Con quale miracolo la misericordia infinita di Dio mi ha ricondotto da tanto lontano?

Mentre ero a Parigi per far stampare il resoconto del mio viaggio in Marocco, mi sono trovato insieme a persone molto intelligenti, molto virtuose e molto cristiane e mi sono detto che forse questa religione non era assurda; al tempo stesso, una grazia interiore estremamente forte mi spingeva. Mi misi ad andare in chiesa, senza credere; solo lì mi trovavo bene, e passavo lunghe ore a ripetere questa strana preghiera: «Mio Dio, se esistete fate che Vi conosca!»..

Mi venne l'
idea che dovevo informarmi su questa religione, dove forse si trovava quella verità che disperavo di trovare; e mi dissi che la cosa migliore era quella di prendere lezioni di religione cattolica, così come avevo preso lezioni di arabo; come avevo cercato un buon thaleb che mi insegnasse l'arabo, così cercai un sacerdote istruito che mi desse informazioni sulla religione cattolica...

Mi parlarono di un sacerdote molto distinto, ex allievo dell’Ècole Normale; lo trovai nel suo confessionale e gli dissi che non ero lì per confessarmi, perché non avevo fede, ma che desideravo avere qualche informazione sulla religione cattolica...

Il buon Dio, che aveva cominciato in modo così potente l’opera della mia conversione, attraverso questa grazia interiore così forte che mi spingeva in chiesa quasi irresistibilmente, la portò a termine: il sacerdote divenne il mio confessore e, per i quindici anni trascorsi da allora, non ha smesso di essere il mio migliore amico. Non appena credetti che c'era un Dio, compresi che non potevo fare altro che vivere per Lui: la mia vocazione religiosa risale alla stessa ora della mia fede.Non appena seppi che c’era un Dio non ho potuto far altro che dargli fiducia...“.


Vita di Charles de Foucauld:



Notizie in tempo reale sulla Visita del Papa in Terra Santa:



Altri scritti di Charles de Foucauld:



Album fotografico di Charles de Foucauld:



29/04/08

La conversione di Magdi Allam.


Vorrei tornare per un attimo sulla questione della conversione di Magdi Allam, battezzato durante la veglia Pasquale da Papa Benedetto XVI, una notizia che come sappiamo ha fatto il giro del mondo, anche se il personaggio non è così universalmente conosciuto, ma proprio per il valore simbolico di tale gesto, come si legge in questo articolo del Corriere della Sera.


Bene, in un articolo apparso sul Sole 24 Ore Domenicale, Roberta De Monticelli analizza i contenuti e la motivazione di questa 'conversione' e la mette a confronto con quella di Angelus Silesius, (1642-1677) poeta e mistico, autore de Il Pellegrino Cherubico, uno dei testi di riflessione mistica più famoso di tutti i tempi.

Silesius si convertì dal Protestantesimo al Cattolicesimo. Ma le motivazioni, dice la De Monticelli, non furono dettate dall'attribuire - come nel caso di Allam - agli 'altri' (in quel caso protestanti, oggi mussulmani) - una più intrinseca predisposizione alla violenza e all'odio.

Da qui, la De Monticelli, parte per definire cosa è - o meglio, cosa dovrebbe essere - una reale 'conversione'.

" La conversione cristiana - scrive - in greco si chiama metanoia, cioè renovatio mentis, e va sempre insieme con una certa poenitentia: sarebbe cioè la nascita di un uomo nuovo e di una vita nuova, sulle ceneri di quella vecchia e dell'uomo vecchio, il quale - lui, e non gli altri - è fatto oggetto di riprovazione.

L'uomo nuovo - continua la De Monticelli - è capace anche di perdono, non solo rispetto alle pagliuzze ma perfino alle travi: perchè vede quello che l'uomo vecchio non vedeva, perchè l'orizzonte del valore si è allargato.

Se non è bastato il Cristo, con le sue parole e con la sua croce, a impedire gli incendi di biblioteche, le distruzioni di templi, le crociate, gli stermini, le conversioni forzate, i roghi di eretici e di streghe, un cristiano non ha forse in quanto tale il diritto di imputare ad altre religioni cose che forse non c'entrano con le fedi, ma solo con le istituzioni che le ospitano."

Penso che forse su queste parole varrebbe la pena di meditare parecchio, quando, con molta semplicità, che assomiglia a faciloneria, oggi sentiamo parlare spesso, a ogni piè sospinto, di 'conversioni' più o meno improvvise, ma non sulla via di Damasco.