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13/03/12

"Quel primato degli umili che rovesciò il mondo. Perché la predicazione di Gesù si distingue da tutte le altre" di Pietro Citati.



Un bellissimo articolo oggi, di Pietro Citati, sul Corriere della Sera. Eccolo: 


In quel tempo Gesù rispondendo disse: «Io ti glorifico, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così piacque al tuo cospetto. Ogni cosa mi è stata rivelata dal Padre mio. E nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio, e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete affaticati e gravati, e io vi ristorerò. Prendete su voi il mio giogo, e imparate da me, poiché io sono mite e umile di cuore. E troverete ristoro per le vostre anime. Poiché il mio giogo è soave e il mio peso è leggero.
(Vangelo di Matteo 11,25-30; i primi versetti sono, quasi nella stessa forma, nel Vangelo di Luca, 10, 21-22) 

Il frammento del Vangelo di Matteo, che vorrei commentare, comincia con una nota solenne. «Io ti glorifico, Padre, Signore del cielo e della terra»: vale a dire, io confesso il mio peccato, e insieme ti lodo, ti ringrazio, ti esalto, invoco il tuo nome, professo la mia fede in te, ti prometto solennemente come tu mi prometti. In queste parole risuona l'eco di un passo di Enoc: «In quel giorno, tutti ad una voce cominceremo a lodare, esaltare, glorificare, magnificare nello spirito della fede, della sapienza, della misericordia, della giustizia, della pace e della bontà, e tutti quanti diranno con una sola voce: "Lodatelo, e il nome del Signore degli spiriti sia glorificato per ogni eternità"». 

Questa solenne glorificazione promette, a tutti quanti confessano che Gesù è il Signore, la salvezza alla fine dei tempi. Perché il lettore di Matteo glorifica Dio con queste parole solenni? La spiegazione potrebbe essere molto semplice: egli glorifica Dio perché ha creato l'universo, o perché è buono, o perché ci soccorre, o perché ci ama. In realtà, il testo dice tutt'altro: Dio ha nascosto qualcosa (che per ora resta indeterminato) agli uni e lo ha rivelato agli altri. Se ci chiediamo chi sono gli uni, penetriamo di colpo nel cuore del paradosso cristiano. Gli uni, ai quali la rivelazione viene nascosta, sono i sapienti e gli intelligenti, cioè i maestri professionali di sapienza e di cultura, che specialmente l'ebraismo ha tanto esaltato, e tutti i sapienti e gli intelligenti che nei secoli cristiani educheranno i popoli e i re, e pretenderanno di conoscere, essi soli, il vero segreto della realtà e della verità. San Paolo insiste con grandioso estremismo: «Disperderò la sapienza dei sapienti e renderò vana l'intelligenza degli intelligenti», sviluppando un passo di Isaia. 

Con queste parole, la storia del mondo è rovesciata: la luce non illumina più chi dovrebbe ricevere e diffondere la luce in tutto il mondo. Né sapienti né intelligenti: il cristianesimo ha sempre avuto scarsa tenerezza per loro, se non ricevono dal cielo un altro dono. A chi va dunque la rivelazione? Con immenso scandalo del mondo greco-latino, Gesù risponde: ai népioi. Nel greco classico népioi significa: i bambini, i figli, i figli degli animali, gli indifesi, gli stolti, gli inesperti, coloro che mancano di discernimento e non comprendono né la realtà né la volontà degli dei né i segni del destino. 

11/03/10

L'amore di una madre. Massimo Gramellini.


Cosa esiste di più grande di un amore tra madre e figlio ? Ogni volta che rileggo le parole di Isaia (49,15) mi prendono il cuore: 'Sion ha detto: il Signore mi ha abbandonato. Può una madre dimenticare il proprio bambino e non avere compassione del figlio delle sue viscere ?'

Mi ha sempre molto colpito che qui Isaia paragona il Signore a una donna, cioè a una Madre. L'amore del Signore cioè non è tanto quanto quello di un padre, quanto quello di una Madre, anzi ancora più forte come si evince dal verso seguente. L'amore di una madre. Siamo nati tutti, indistintamente da una madre che ci ha generato. E in questo amore materno c'è così tanto di alto, così tanto di altro... La riflessione di questa mattina di Massimo Gramellini nel Buongiorno de La Stampa merita di essere letta e meditata.

A un anno e mezzo dalla morte del figlio Vito, ucciso dal crollo del soffitto del liceo Darwin di Rivoli, la signora Cinzia ha ingerito un tubetto di pillole nel tentativo di raggiungerlo. E’ stata salvata dalla lavanda gastrica, e dall’altra figlia che l’ha trovata riversa sul letto come se dormisse. Gli stoici dicevano che il dolore è un’inadeguatezza alla situazione ed effettivamente è così. Siamo inadeguati a reggere l’evento più innaturale che esista: la morte di un figlio, che è morire in due rimanendo vivi, e rimanendolo in mezzo ad altre persone che soffriranno con noi solo per un po’ - gli amici, il parentado - oppure per sempre, ma in modo diverso. Mi riferisco ai figli sopravvissuti, che si ritrovano senza un fratello e orfani di genitori che non saranno mai più quelli di prima.

Anche chi è assolutamente convinto che la vita abbia un senso ammutolisce di fronte al dolore di una madre o di un padre. E non può non interrogarsi sulla potenza selvaggia di quel legame di carne che ogni giorno, giustamente, viene messo in discussione dai conflitti generazionali. Tutti, almeno una volta, abbiamo pensato che i nostri genitori non ci amassero. Ma il gesto della signora Cinzia serve a ricordarci che il senso della vita è proprio lì, in quel legame fra chi crea e viene creato. In quell’amore assoluto che dà senza chiedere. Nel libro «Una madre lo sa» di Concita De Gregorio, un’ostetrica racconta che, appena nasce un bambino, le persone in attesa fuori dalla sala-parto le chiedono subito come sta il figlio. Solo una chiede prima come sta la mamma. Sua mamma.


16/09/09

La conversione del cuore, un cambiamento di prospettiva radicale.


Come è possibile invertire la tendenza ? Come è possibile sfuggire al giogo del non-senso, di questo apparente - ma schiacciante - caos del mondo, che ovunque sembra dettare il suo dominio ?

Come è possibile "sintonizzarsi" su una frequenza diversa ? Qualcosa che dia non 'un' senso, ma 'IL' senso ? Sono convinto che nessuna conversione (dal latino convertere, cioè volgere, trasformare, mutare) è possibile, nella nostra vita, se non mutando completamente la prospettiva della nostra individualità sorda, che alimenta lo stato manicomiale del mondo.

Qui non si parla di una conversione religiosa, tout court, ma di una conversione 'di pensiero'. Prtoviamo infatti a leggere queste frasi di Isaia, e di Gesù (sono tratte dalle Letture di Domenica scorsa), prescindendo da un contesto strettamente religioso.

Il Signore Dio mi ha aperto l'orecchio
e io non ho opposto resistenza,
non mi sono tirato indietro.
Ho presentato il mio dorso ai flagellatori,
le mie guance a coloro che mi strappavano la barba;
non ho sottratto la faccia
agli insulti e agli sputi.
Il Signore Dio mi assiste,
per questo non resto svergognato,
per questo rendo la mia faccia dura come pietra,
sapendo di non restare confuso.
È vicino chi mi rende giustizia:
chi oserà venire a contesa con me? Affrontiamoci.
Chi mi accusa? Si avvicini a me.
Ecco, il Signore Dio mi assiste:
chi mi dichiarerà colpevole?

Sostituiamo alla parola " Dio " la frase "il mio prossimo". Che vuol dire, il mio vicino, il mio amico, il mio fratello.
La sostanza non cambia: dobbiamo concedere fiducia a qualcuno che non siamo noi. La nostra prospettiva cambia immediatamente. Invece di "farci giustizia da soli". Invece di reagire, invece di creare altro caos nel mondo, seminiamo pace, seminiamo un nuovo ordine. Invertiamo l'ordine (apparente) del mondo.

Il Vangelo di Marco recita:
In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti».
Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.
E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli,
rimproverò Pietro e disse: «Va' dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».


"Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua."
Non è questa l'unica rivoluzione del mondo possibile ? Non è soltanto quando rinneghiamo noi stessi, nel senso che finalmente ci mettiamo FUORI dal centro del mondo, che riusciamo a scoprire qualcosa di nuovo, nelle nostre povere vite ?

"Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà".

E' un cambiamento di prospettive spaventoso. Per ora, fermiamoci qua. Pensiamo soltanto a questo. Pensiamo a come, volendo disperatamente salvare la propria vita, noi, noi tutti, spesso non facciamo altro che perderla. Perdere la vita, perdere noi stessi. Perdere il senso, l'orientamento, l'arrivo, la destinazione di tutto. Per il resto, per il salto della fede, c'è tempo. C'è tutto il tempo della vita, e del mondo.