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31/05/21

Nelle popolazioni indigene dell'Amazzonia l'invecchiamento del cervello è del 70% più lento del nostro





Forse è un dato che potrà stupire qualcuno, eppure a pensarci bene non è affatto sorprendente:

Non hanno accesso a cure mediche, ma la salute cerebrale degli indigeni Tsimane, dell'Amazzonia boliviana, e' decisamente migliore di quella di americani ed europei: la perdita di volume nel loro cervello - segno di demenza - e' del 70% piu' lenta che nelle popolazioni occidentali

Lo indica lo studio pubblicato dalla USC Leonard Davis School of Gerontology sul Journal of Gerontology, Series A: Biological Sciences and Medical Sciences

Il merito e' di una vita fisicamente molto attiva e una dieta ricca di fibre, fatta di verdure, pesce e carne magra, a differenza delle nazioni industrializzate, dove si conduce una vita sedentaria e si mangiano molti cibi con grassi saturi. "Gli Tsimane sono un esperimento naturale sui potenziali effetti negativi degli stili di vita moderni sulla nostra salute - commenta Andrei Irimia, uno dei ricercatori - Questi risultati indicano che l'atrofia cerebrale puo' essere rallentata con gli stessi fattori dello stile di vita che riducono il rischio di malattie cardiache".

I ricercatori hanno coinvolto 746 Tsimane adulti tra i 40 e 94 anni, e li hanno portati nella citta' di Trinidad per fargli una tac al cervello, per calcolare il volume del cervello. 

Poi hanno confrontato i risultati ottenuti con quelli di tre popolazioni industrializzate di Usa ed Europa. 

Oltre alla differenza nel volume cerebrale, i ricercatori hanno anche notato che gli Tsimane avevano alti livelli di infiammazione, di solito associati all'atrofia cerebrale nelle popolazioni occidentali, ma che su di loro non aveva particolari effetti sul cervello

L'ipotesi e' che il basso rischio cardiovascolare di questa popolazione indigena superi il rischio infiammatorio, ma pone delle domande sulle cause di demenza. 

Una possibile ragione potrebbe essere che, negli occidentali, l'infiammazione e' legata a obesita' e cause metaboliche mentre negli Tsimane a infezioni respiratorie, gastrointestinali e parassitarie. "Il nostro stile di vita sedentario e la dieta ricca di grassi e zuccheri - commenta Hillard Kaplan, autore dello studio - possono accelerare la perdita di tessuto cerebrale con l'eta' e renderci piu' vulnerabili a malattie come l'Alzheimer". 

10/05/10

Marco Guzzi: Un mondo decrepito da ringiovanire.


Carissime amiche e carissimi amici,

uno dei segni più evidenti della natura terminale della nostra società è il suo costante e ineluttabile invecchiamento.

Il 1° Rapporto realizzato dal Forum nazionale dei Giovani, in collaborazione col CNEL e con Unicredit, e presentato nel marzo del 2009, che si chiama non a caso “URG! Urge Ricambio Generazionale”, ci mostra un’Italia completamente governata da una inossidabile gerontocrazia, un paese che invecchia e che affida a classi dirigenti sempre più attempate il proprio destino. Un paese in cui i deputati sotto i 35 anni non raggiungono mai il 10%; in cui nelle Università su 61929 docenti e ricercatori solo un misero 7,6% è costituito da under35, e di questi un miserrimo 0,5% sono professori associati, e un ridicolo 0,03 sono ordinari; in cui il 56% dei medici è over50, l’11,5% over65, e solo il 12% è under35; in cui 1.900.000 giovani tra i 25 e i 35 anni non studia né lavora, paralizzando un patrimonio immenso di energie creative, e così via.

Tutto ciò è evidente e denota una caratteristica preminentemente italiana di una crisi generazionale, o direi meglio di Ri-Generazione, che riguarda però l’intera civiltà occidentale. L’Europa, in particolare, da cui è partito questo grande ciclo storico, sembra ogni giorno di più una specie di cronicario, abitato da vecchi, la cui unica preoccupazione è quella di procurarsi giovani badanti straniere e al contempo di tenere fuori dalle proprie città chiunque possa disturbare la quiete dell’ospizio.

Ci occupiamo ormai ossessivamente soltanto del tempo del nostro pensionamento, o di come porremo fine alla nostra vita, mentre i filosofi, gli scrittori, e i registi di questa terra desolata cantano la nenia straziante del puro non senso, vanno da Fazio a raccontare lo squallore irrimediabile delle nostre società, ed edificano le loro carriere sulle macerie di ciò che fu la cultura occidentale. Talmente decrepiti ormai, e anche spudorati, da non accorgersi più del ruolo ridicolo al quale si sono ridotti: numeri da circo nell’osceno varietà dell’intrattenimento universale, come aveva visto con chiarezza Pasolini già alla fine degli anni ’60: “L’intellettuale è dove l’industria culturale lo colloca: perché e come il mercato lo vuole. In altre parole, l’intellettuale non è più guida spirituale di popolo o borghesia in lotta, ma per dirla tutta, è il buffone di un popolo e di una borghesia in pace con la propria coscienza e quindi in cerca di evasioni piacevoli”.

E non facciamoci illusioni: non basta cambiare generazione nei ruoli direttivi per collaborare attivamente alla Ri-Generazione in atto.

I giovani sono spesso più vecchi e più mummificati dei loro padri!

Il kamikaze 18enne che si fa esplodere nella piazza del mercato di Kabul nell’illusione di combattere la sua guerra santa è vecchio decrepito come il giovanissimo fondamentalista cattolico o pentecostale, arroccato nelle sue rigidissime certezze di cartapesta. Il ragazzino no-global che crede ancora di cambiare il mondo fracassando l’ennesima vetrina di una banca o incendiando l’ennesimo cassonetto della spazzatura è vecchio come il cucco, appartiene ad un’epoca finita, a quella sinistra novecentesca, pacifista a senso unico e profondamente violenta e guerrafondaia, sbriciolata insieme al muro di Berlino vent’anni fa. Il 30enne che sniffa cocaina per reggere i ritmi della sua carriera suicida a New York, a Tokio, o a Milano è un matusalemme, appartiene ancora a quell’era produttivistica e schizoide, che sta mostrando la propria insostenibilità nei tracolli climatici come nei collassi psichici, nelle depressioni di borsa come in quelle che dilagano da un polo all’altro della terra, tanto che l’OMS ha previsto che per il 2020 una persona su 4 o al massimo su 5 sull’intero pianeta sarà affetta da gravi problemi psichiatrici.

Ma allora chi è per davvero giovane oggi?

Io direi così:

giovane è chi sa che stiamo vertiginando sul crinale di un rivolgimento antropologico, e che è venuto il tempo di decidere da che parte stare, dalla parte del Morente o da quella del Nascente, perché i tempi dei compromessi e delle mezze misure stanno scadendo;

giovane è chi sta incominciando a comprendere che ogni modalità bellica di incarnare la propria identità, contra-ponendosi rispetto all’altro da sé, risulta ormai improduttiva e alla fine letale;

giovane è chi è consapevole che la nuova forma di identità umana, che sta emergendo, è relazionale, e questo significa che io sono tanto più me stesso (maschio, italiano, cristiano, etc.) quanto più entro in relazione con l’altro da me (dentro e fuori di me), accogliendo il travaglio trans-formativo permanente che questa apertura relazionale comporta;

giovane è chi sa che questo rivolgimento possiede per davvero una portata antropologica, in quanto tutte le civiltà e tutte le religioni fino ad ora si sono consolidate proprio per mezzo della contrapposizione polemica e la guerra;

giovane è chi perciò è consapevole che il passaggio non è affatto facile né di breve durata, e implica contestualmente una riforma costante della propria interiorità (propensa per natura al conflitto e alla guerra), per dar vita ad inedite forme di cultura, di convivenza, e quindi alla fine anche di politica;

giovane è quindi chi è consapevole che oggi più che mai la vera ricchezza non consiste nell’accumulo di denaro o di potere, ma nella disponibilità del proprio tempo da dedicare appunto ai processi della propria liberazione, all’approfondimento delle proprie relazioni, a partire da quella coniugale, e quindi al vero godimento della vita, che è innanzitutto relazione, gratuità, creazione, prima di essere scambio economico.

E questa giovinezza in verità non dipende affatto dall’età anagrafica delle persone, ma dalla loro qualità spirituale intrinseca.

E’ di questa giovinezza che abbiamo urgente bisogno, di questo fuoco che tutto rinnova, di questa mente poetica, più libera e più felice, che sta cantando anche adesso nel frastuono di tutti questi crolli, come in questi versi di Adrienne Rich: “Io sono io/ io sono la mente viva/ che nessuna lingua morta/ è capace di descrivere/ il nome perduto/ il verbo che sopravvive solo all’infinito/ le lettere del mio nome/ sono iscritte sotto le palpebre/ del bambino appena nato”.

Marco Guzzi