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07/10/17

Che fine ha fatto l'innocenza ? Una riflessione.

foto di Loretta Lux - The Dove

Una delle parole d’ordine dei tempi sembra essere diventata questa: nessuno è innocente. Tutti sono colpevoli.
Se anzi, si presenta all’orizzonte qualcuno che possegga o che pretenda di avere le qualità dell’innocenza, la regola del cinismo imperante vuole che quell’uno venga immediatamente infangato.
La motivazione che spingerebbe tale forma mentis a rafforzare questo stato collettivo è chiara: se TUTTI sono colpevoli, NESSUNO è veramente colpevole.  E di conseguenza a me è consentito fare quello che voglio.
E’ indubbio però che questo non ha proprio nulla a che vedere con l’innocenza.
La parola innocenza – come spiega la stessa radice etimologica – significa: NON (in) NOCENTEM: cioè che non nuoce.
Ora: il pragmatismo moderno, cancellando questo concetto dall’orizzonte comune – “non esiste nessuno che non nuoce, nessuno che sia DAVVERO innocente” –  dimentica, cancella il fatto che l’Uomo, per sua stessa natura, NASCE innocente.
Un bimbo appena nato E’, per definizione, INNOCENTE: è cioè incapace di pensare e di realizzare il male. Non solo: sembra attitudinalmente capace soltanto di recepire il bene che riceve dalla propria madre sotto forma di attenzione, cibo, conforto, calore.
Ma, come sappiamo, qualcosa deve essere andato storto nella Creazione, perché a un certo punto TUTTI NOI CHE PURE SIAMO STATI INNOCENTIperdiamo questa dimensione di purezza, potremmo dire di neutralità, e con lo sviluppo della coscienza e della consapevolezza entriamo in quel girone dantesco che è la vita adulta, dove mantenersi innocenti è difficilissimo.
Eppure, questo abdicare alla propria estasi innocente ( l’enfant que abdique a son extase come scriveva Mallarmé) è la messa in scena di un eterno dramma, per ognuno di noi:  ciascuno di noi, nella vita, non sembra far altro che ricercare disperatamente quel primario stato di innocenza, sforzandosi di ritrovarne le tracce in qualche fenomeno (spesso del tutto contro figurato) che susciti l’illusione di poter rimettere piede, anche solo per pochi istanti, nel Paradiso Perduto.
Non sarebbe meglio, invece,  cercare di preservare quella nuce di quella benedetta innocenza primaria – che deve essere iscritta nell’animo di ognuno – nella vita di tutti i giorni ? Non sarebbe meglio, pur nella inevitabile contaminazione con un mondo di duri, dove solo “i duri ballano”, non abdicare mai del tutto, rivendicare quell’istinto iniziale, ricorrervi nei momenti di disperazione, riaccendere la meraviglia di fronte alla vita che pure tutti noi abbiamo provato nel momento di mettere piede in questo mondo ? Non si vivrebbe meglio tutti?
E’ forse superfluo ricordare che fu proprio Gesù, il Cristo, l’innocente “totale”: colui che pur incarnandosi, non perse mai nulla della propria innocenza. Al punto tale che, da innocente, sacrificò interamente se stesso sull’altare del cinismo degli uomini, per formulare una salvezza che ci riguarderebbe tutti.
Fabrizio Falconi

12/10/12

Tornare ad essere come i bambini: il motivo per cui si vive.




Il motivo per cui si vive non è una crescita uni-direzionale. 

La vita umana è un ciclo - come avevano capito tutti i grandi popoli del passato - somiglia certamente più ad un cerchio che a una linea retta: il ritorno delle stesse cose, trasformate, è lo scopo del vivere.

Se a un essere umano è dato di vivere a lungo, è certo che egli - sul finire dei suoi giorni - si sarà trasformato in una sorta di se stesso bambino:  riemergeranno le stesse caratteristiche di quando si è stati bambini. Si sarà deboli, dipendenti dagli altri, meno disposti ad affermare se stessi e più disposti ad ascoltare e - se si è vissuto pienamente, elaborando il conto dei propri giorni passati senza abbandonarsi al rancore, all'odio e a tutti gli altri sentimenti negativi - meno cinici, di nuovo ingenui (e innocenti) come lo sono i bambini.

Questo senso dell'esistenza è inscritto in molte tradizioni, in molta antropologia, e incardinata nelle stesse parole, più che eloquenti, pronunciate dal fondatore del Cristianesimo riportate nei Vangeli, il quale così formula l'unica ricetta per guadagnarsi il regno: In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli.

E' significativo che Cristo dica: non sarete come i bambini, ma diventerete come i bambini.

Bisogna dunque diventare come i bambini.  E' questo lo scopo della vita.

Non si tratta di essere bambini per tutta la vita, come invece oggi tutto sembra incline ad incoraggiare: una vita di solo divertimento, di sola de-responsabilità, di solo gioco.   No, non è questo.  Il puer aeternus a nulla serve, se non a se stesso.  E non sembra essere questo lo scopo per cui si è venuti al mondo.

Diventare come i bambini, tornare ad essere come eravamo è un compito, anche molto faticoso.   Riscoprire volta a volta lo stupore e lo sguardo nostro primigenio (e innato) sembra molto spesso un'opera impossibile. Innumerevoli sono gli ostacoli che ciascuno di noi incontra nel cammino. Amiamo ribadire, ridirci che tutto basta, che ogni risposta è alla portata del mio essere adulto, che il cammino scritto è una linea retta (che non si sa dove porta, probabilmente da nessuna parte).

E basta scorrere le notizie quotidiane per capire cosa abbiamo fatto e cosa stiamo facendo alla nostra parte bambina, ai nostri bambini che sembrano certe volte non avere più diritto di cittadinanza in questo mondo, soffocati dalle esigenze e dalle volontà di chi "ne sa più di loro".

Eppure ogni cosa su questa terra ci insegna che la fine torna all'inizio.

E che senza comporre questo cerchio perfetto, nessuna esistenza, nessuna vita trova o può trovare il suo significato. 

Fabrizio Falconi