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06/09/20

Poesia della Domenica: "Il Pellicano" di Alfred de Musset





Il Pellicano 



Quando il pellicano, stanco da un lungo viaggio,
Nelle nebbie della sera ritorna al suo canneto
I suoi piccoli, affamati, corrono sulla riva
Vedendolo  cadere sulle acque.
Già, credendo di catturare e condividere le loro prede,
Corrono al padre con grida di gioia
Scuotendo il loro becco sul loro gozzo orrido.
Lui, lentamente guadagnando un alto scoglio,
Mettendo al riparo dell’ala la sua covata,
Pescatore di malinconia, guardò il cielo.
Il sangue scorre a lunghi fiotti nel petto aperto
Invano ha cercato la profondità dei mari;
L’oceano era vuota e deserta spiaggia;
Per tutto nutrimento egli fornisce il suo cuore
Scuro e tranquillo, disteso sulla pietra
Partecipando ai suoi figli le sue interiora di padre,
Nel suo amore sublime egli culla il suo dolore,
E, guardando colare la sua insanguinata mammella;
Sul suo festino di morte, egli vacilla e crolla,
Ubriaco di voluttà, tenerezza e orrore.
Ma a volte nel bel mezzo del sacrificio divino
Stanco di morire in troppo  lungo supplizio,
Egli teme che i suoi figli non lo lascino in vita
Allora si alza e apre le sue ali al vento
E, strappandosi il suo cuore con un grido selvaggio,
Urla nella notte un così addio funebre,
Che gli  uccelli disertano la riva al mare
E il viaggiatore attardato sulla spiaggia
Sentendo passare la morte, si raccomanda a Dio.
Poeta, è così che fanno i grandi poeti.
Lasciano la gioia  a chi vivono un tempo;
Ma i festini umani che servono alle loro feste
Sono simili per la maggior parte a quelli dei pellicani
Quando parlano così di speranze ingannate,
Di tristezza e di oblio, di amore e di dolore,
Questo non è un concerto a dilatare il cuore.
Le loro declamazioni sono come spade
Essi disegnare un cerchio in aria abbagliante
Ma vi pende sempre qualche goccia di sangue.


Alfred de Musset (1810-1857)


Le Pélican


Lorsque le pélican, lassé d’un long voyage,
Dans les brouillards du soir retourne à ses roseaux, 
Ses petits affamés courent sur le rivage 
En le voyant au loin s’abattre sur les eaux. 
Déjà, croyant saisir et partager leur proie, 
Ils courent à leur père avec des cris de joie 
En secouant leurs becs sur leurs goitres hideux. 
Lui, gagnant à pas lents une roche élevée, 
De son aile pendante abritant sa couvée, 
Pêcheur mélancolique, il regarde les cieux. 
Le sang coule à longs flots de sa poitrine ouverte ; 
En vain il a des mers fouillé la profondeur ; 
L’Océan était vide et la plage déserte ; 
Pour toute nourriture il apporte son coeur. 
Sombre et silencieux, étendu sur la pierre 
Partageant à ses fils ses entrailles de père, 
Dans son amour sublime il berce sa douleur, 
Et, regardant couler sa sanglante mamelle, 
Sur son festin de mort il s’affaisse et chancelle, 
Ivre de volupté, de tendresse et d’horreur.
Mais parfois, au milieu du divin sacrifice, 
Fatigué de mourir dans un trop long supplice, 
Il craint que ses enfants ne le laissent vivant ; 
Alors il se soulève, ouvre son aile au vent, 
Et, se frappant le coeur avec un cri sauvage, 
Il pousse dans la nuit un si funèbre adieu, 
Que les oiseaux des mers désertent le rivage, 
Et que le voyageur attardé sur la plage, 
Sentant passer la mort, se recommande à Dieu. 
Poète, c’est ainsi que font les grands poètes. 
Ils laissent s’égayer ceux qui vivent un temps ; 
Mais les festins humains qu’ils servent à leurs fêtes 
Ressemblent la plupart à ceux des pélicans. 
Quand ils parlent ainsi d’espérances trompées, 
De tristesse et d’oubli, d’amour et de malheur, 
Ce n’est pas un concert à dilater le coeur. 
Leurs déclamations sont comme des épées :
Elles tracent dans l’air un cercle éblouissant, 
Mais il y pend toujours quelque goutte de sang.