Visualizzazione post con etichetta il codice dell'anima. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta il codice dell'anima. Mostra tutti i post

03/09/15

SaggiaMente. La sofferenza dell'anima.




La mente non è (solo) il cervello.  Gli occidentali ci hanno messo parecchio a giungere a questa conclusione che nel pensiero orientale era già assodata migliaia di anni orsono. 

Non è solo il cervello - l'organo biologicamente preposto al pensare - l'autore dei nostri stati d'animo, delle nostre ansie, delle nostre intuizioni, dei nostri dolori.   La mente si muove oltre i confini strettamente biologici, oltre le semplici connessioni neuronali (cellule neuronali fra l'altro non esistono solo nel cervello, ma anche in altri organi del corpo): si pensa anche quindi con il cuore, si pensa con lo stomaco, si pensa con gli organi genitali, si pensa con l'intestino. 

Si è felici o tristi anche con il cuore, con lo stomaco, con gli organi genitali, con la pelle, con l'intestino. 

Ma c'è qualcosa che trascende ancora il pensiero, la mente, biologicamente intesa come cervello o in modo più esteso come prosecuzione del/nel corpo. 

Questo qualcosa è stato variamente denominato nel corso dei millenni della storia dell'uomo.  Ad esso, a questo quid, ci si è riferito e ci si riferisce, non sapendo cosa sia, nei più diversi modi.  James Hillman, ne Il codice dell'anima, ha meticolosamente e dettagliatamente elencato questi nomi, che seppure con sfumature diverse, indicano questo quid, che non è, è non sembra essere soltanto mente: carattere;  predisposizione; anima; Sè; destino; istinto; talento.

Si tratta di quel nucleo originario della nostra personalità, della nostra individualità.  

Anche nella consapevolezza e nella accettazione e ricerca di questo quid, il pensiero orientale ha trovato strade di comprensione molto tempo prima, anche se dal pensiero greco platonico in poi, anche la tradizione occidentale ha preso le misure di una componente così essenziale della natura umana. 

Per verificare la potenza di questo quid - e anche la sua reale sussistenza - ci sono diverse strade e diversi cammini personali.   La strada più evidente è quella della sofferenza.   Cioran scrive che è proprio la sofferenza che plasma e crea la coscienza.  

Ma un certo tipo di sofferenza, rende evidente la potenza del quid, cioè dell'anima. 

Sono quelle sofferenze che non appartengono a stati mentali o a patologie o processi meramente cerebrali/neuronali.  Quasi tutti hanno sperimentato quel particolare malessere dell'individuo che non dipende da una malattia biologica - si è perfettamente sani nella mente e nel corpo - ma che sembra insinuarsi direttamente nella nostra radice più profonda dell'essere. 

Si può essere molto felici, esteriormente - avere tutto ciò che apparente-mente serve per essere felici, ogni condizione di bisogno appagata - ed essere al contempo interiormente enormemente infelici. 

Nel recinto di esistenze normali, si dibattono inquietudini interiori, vere crisi, mancanze di senso, infelicità diffuse che dipendono da ciò che il nostro quid silenziosamente o rumorosamente richiede, e che se non ascoltato procura danni enormi. 

La sofferenza dell'anima può infatti generare vere malattie della mente e del corpo. O del corpo e della mente, che appaiono così inestricabilmente legati. 

Ma la sofferenza dell'anima è anche un meraviglioso segnale, di cui disponiamo - se riusciamo a dare ascolto ad esso, e spazio, spazio, spazio - per capire cosa la vita ci chiede e cosa noi possiamo dare alla vita.


Fabrizio Falconi - 2015 


23/10/14

I numeri come archetipi e l'Anima. 2. I "numeri amici" (Conferenza Riva del Garda, L'arte di Essere, 19 ottobre 2014)

2. I NUMERI AMICI

Da sempre, uno degli argomenti a favore della tesi che i numeri siano stati scoperti e siano scoperti in continuazione è quando si scopre per l’appunto – e così è stato sin dalla notte dei secoli – una qualche proprietà che riguarda i numeri, che li lega in modi apparentemente misteriosi,  per noi umani abituati, per forma mentis a fare caso, a constatare a sottolineare, a farci interrogare da quelle che noi percepiamo come coincidenze.
Noi  tendiamo a pensare cioè  sempre che dietro ogni coincidenza, ci sia un segnale o un simbolo che ci interroga, da interpretare.
Cosa interroga questo mistero ? Interroga la nostra interiorità profonda,  quella che nel tempo abbiamo indifferente chiamato in diversi modi, come spiega James Hillman ne Il codice dell’anima: istinto, anima, carattere, predisposizione, destino.
Destino:  da sempre i numeri hanno parlato all’uomo anche dal punto di vista del destino. Sempre, in ogni civiltà, dai numeri sono state tratte conseguenze significative, per il mondo collettivo (pensiamo ai Maya) e per quello individuale.
Un esempio non molto conosciuto di questa interpretazione psicologica e simbolica dei numeri deriva dai cosiddetti numeri amici. I quali hanno proprietà molto particolari che inducono un certo stupore anche nel principiante.
Vediamo:
Due numeri sono definiti amici dalla matematica, se ciascuno è uguale alla somma dei divisori dell'altro. Sembra difficile, ma tutti possono comprenderlo subito. 


Tutto nasce da un aneddoto, che non si sa se sia vero:  Qualcuno chiese un giorno a Pitagora se avesse un amico. Lui rispose "Ne ho due".   E nominò i numeri amici 284 e 220. 
Questi due numeri sono infatti amici perché i numeri interi per cui 220 può essere diviso senza resto (1,2,4,5,10,11,20,22,44,55 e 110) danno la somma di 284; mentre i numeri interi per cui 284 può essere diviso senza resto (1,2,4,71 e 142) danno la somma di 220. 





E’ una proprietà molto singolare.
Può essere solo un caso. Ma può essere anche un indizio, come lo sono stati molti apparenti ‘casi’, nella storia della matematica.
I numeri amici, cioè, possono essere solo un altro appassionante paragrafo della matematica, o avere qualche impiego utile. Per ora, nessuno lo sa. 
"Non è affatto un'impresa facile trovare tutte le coppie possibili di numeri amici," scrisse Wolfgang Pauli (2), uno dei più grandi scienziati del XXo secolo che ritroveremo più avanti accompagnato da Carl Gustav Jung,  affascinato dall'enigma, negli anni '50.
Difatti solo poche centinaia di numeri amici furono note fino alla metà del Novecento. Con l'aiuto dei computer ad alta velocità siamo oggi arrivati alla decina di milioni di numeri amici conosciuti. 
Ed è comunque affascinante pensare a come si sia arrivati alla scoperta di questa coppia, da parte di un genio come Pitagora: bisogna figurarsi, come è stato in gran parte della storia della scienza, una grande quantità di duro lavoro, culminato in un'ultima, geniale intuizione.

Erma di Pitagora

La coppia di numeri amici 284 e 220 è comunque nota da molto tempo. E da sempre ha colpito l’immaginazione degli uomini. I quali sono stati portati ad immaginare straordinarie proprietà che dovevano essere per forza associate ad una proprietà così singolare.
Nel Libro della Genesi, Giacobbe dà 220 capre a Esaù perché il numero, in quanto preso da una coppia di numeri amici, testimonia l'affetto di Giacobbe per Esaù. (3)
Nel Medioevo talismani con incisi quei numeri erano portati dagli innamorati a significare il reciproco attaccamento.
Cultori arabi della numerologia citano l'usanza di scrivere 220 sulla buccia di un frutto e 284 su quella di un altro, poi cibarsi di uno dei due e offrire l'altro all'amante: una sorta di afrodisiaco matematico. 

7184 e 1210 sono altri due numeri amici

I numeri amici, in definitiva, con la loro perfezione simmetrica rappresentano un altro argomento a favore di chi ritiene che i numeri siano indubbiamente degli archetipi, qualcosa cioè che appartiene ad una realtà  simbolica profonda,  preesistente e prescindente dalla intelligenza individuale umana. 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata (2/ segue) 

note:  

2. Arthur J. Miller, L'equazione dell'Anima, Rizzoli, 2009.
3. Gen. 32: 13-16. 

19/02/13

Innamoramento come prova della trascendenza.




Si cercano tanto nella vita, si cercano sempre prove della trascendenza della natura umana, della sua non spiegabilità solo basata su fattori biologici.

Una di queste prove ce l'abbiamo sotto mano tutti i giorni, ed è la nostra capacità di innamorarci.

Come scrive James Hillman ne Il codice dell'Anima, la mappa amorosa può spiegare le cose visibili, come i fianchi morbidi, le automobili e i cammelli, ma l'amore si innamora anche di qualcos'altro che è invisibile. 

Diciamo: "Lui/lei ha un non so che"; "Il mondo intero cambia quando c'è lui/lei". Come pare abbia detto Flaubert: "Lei era il punto di luce sul quale convergeva la totalità delle cose."

Questo sulla mappa non c'è. Qui ci troviamo nel territorio della trascendenza, dove le realtà normali sono meno convincenti delle cose invisibili. Se mai volessimo la prova lampante dell'esistenza del daimon che chiama (cioè dell'anima), basta che ci innamoriamo una volta.

Nessun gene, nessun liquido organico riuscirà mai a spiegarci perché ci innamoriamo proprio di quella persona, e non di una delle altre migliaia che incontriamo durante la vita.

Il filosofo spagnolo Ortega y Gasset dice che gli innamoramenti sono rari, se pensiamo a come è lunga la vita. L'innamoramento è un evento raro e fortuito, che colpisce a profondità incredibile.

Quando accade, accade esclusivamente per la singolarità della persona: quella persona, e non un'altra.

L'occhio dell'innamorato è capace di vedere una realtà che vede soltanto lui, e che soltanto lui riconosce come qualità invisibile dell'oggetto amato.

Servono altre prove, altre parole per rendere evidente che nell'uomo agiscono forze a lui ignote, non spiegabili e non riducibili soltanto ai meccanismi della biologia e della materia ?

Eppure oggi ci diverte molto questo gioco macabro che vuole rendere l'uomo equivalente a un pezzo di legno, o a qualsiasi altra cosa del creato.


29/10/11

E' morto James Hillman .



E' morto ieri a Thompson, USA, il grande James Hillman.

Non esito a definirlo una delle 'grandi anime' che ha attraversato il Novecento (e questi primi anni del Duemila).  Sono sicuro che il suo pensiero rimarrà, e sarà anche fondamentale per com-prendere qualcosa in più di noi stessi, di quello che siamo, che siamo diventati, e in cui possiamo trasformarci.

Hillman si è battuto una vita intera - formandosi nell'alveo del pensiero junghiano - per mettere in luce come sia necessario, oggi più che mai indispensabile, liberare l'anima dalla prigione dei concetti che la opprimono, di tutti i pensieri, false culture, dogmi, che impediscono all'anima di ciascuno di noi di librarsi e di ottenere la pienezza invocata, che è lo scopo primario (anche se non riconosciuto e negato) di ogni esistenza.

Hillman insisteva sulla necessità di riprendere un linguaggio più arcaico e più ricco - il linguaggio dell'anima dell'uomo è sempre lo stesso, nei secoli - e di recuperare un contatto più autentico con quello che chiamava il linguaggio di Venere.  


Gran parte dei mali del nostro tempo, sosteneva Hillman, nascono proprio da questa incapacità di andare in fondo, di rompere la breccia di esistenze costituite su necessità inautentiche, di ritornare ad ascoltare la voce dell'anima, il codice di quella ghianda che è insita dentro di noi, che soffre per noi, che parla, che vuole farsi ascoltare e che noi spesso facciamo di tutto per NON ascoltare.

"Questa cultura" scriveva ne Il linguaggio della vita, intervistato da Laura Pozzo,  "ci vuole maniacali: iperattivi, spendaccioni, consumisti, spreconi, chiacchieroni, pieni di idee che ci saettano nella mente senza fermarsi perché per non riuscire noiosi non ne approfondiamo nessuna; così anche il senso della tristezza va perduto."

Ci mancherà Hillman, anche se riempiremo il vuoto con la profondità eloquente del suo capolavoro, Il codice dell'anima e degli altri capolavori che ci ha lasciato.

Qui il video-intervista IL SENSO DELLA VITA, realizzato da Silvia Ronchey qualche anno fa.