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10/02/19

Poesia della Domenica - "Stanze come questa" di Pasquale Panella.






Stanze come questa

Prendiamo una carrozza anacronistica, 
aggiornandola in quanto inesistente. 
Saliamo alla sua guida. 
Di redini, di lacci se ne trovano, 
di legami tra noi, di dolci bende. 
Bardiamo un animale a caso il cuore 
dai fianchi pretenziosi da roano. 
Ecco che trotta. Che ci prende la mano. 
Abbiamo visto le regge, dietro le inferriate, 
e le foreste nere e le campate
non so di quanti ponti. 
Ho visto la tua nuca ad Alessandria, 
e poi me lo racconti se ci sei mai stata, 
se ti senti, ti sentivi osservata. 
Il posto è qui. 
è qui quel lavorio 
dell'erba, simile al pensiero 
che contiene nel vello 
quell'orma del tuo corpo 
ed uno stelo sconvolto 
dal tuo gomito che avrebbe 
dimenticato d'essere carnale, 
per non dimenticarlo in generale. 
Qui si incavano, 
senza corpi a pesare, 
le nostre impronte a muoversi, a sedere. 
Vedi là, vedi là 
e gli occhi saltano 
come chiaro e pupilla capinere. 
Ci sono posti al mondo
dai quali non c'è fuga. 
Stanze come questa, nelle quali 
restano le nostre rappresentanze, 
i nostri uffici doganali. 
Dove noi veramente 
ci impieghiamo, 
avviluppati in teneri sofismi, 
cavilli di permessi, 
arzigogoli, tropismi 
nella nostra direzione. 
Una frontiera è fatta di due righe. 
E bastavano le dita di una sola mano 
mandata avanti 
in viaggio, e l'altra le 
farà da testimone 
si può vedere tutto; 
e fermamente, 
se di due righe è fatta, 
facciamo la frontiera 
dove passa fauna e flora straniera. 


Stanze come questa è stata musicata da Lucio Battisti nel periodo di collaborazione con il poeta durato 8 anni (dal 1986 al 1994) e 5 album (da Don Giovanni a Hegel). 
Pubblico qui di seguito il video con la canzone originale.


30/01/17

E' morto Gerardo Marotta - Una grande intervista a Hans Georg Gadamer.



Mercoledì 25 gennaio è scomparso a Napoli Gerardo Marotta, uomo di cultura e filosofo, fondatore nel 1975 dell'Istituto Italiano di Studi Filosofici, celebre istituzione di livello internazionale che ha ospitato conferenze di personalità come Eugenio Garin, Luigi Firpo, Hans-Georg Gadamer e Karl Popper, e premi Nobel, da Rita Levi Montalcini a Carlo Rubbia. 

A lui e all'Istituto si devono la riedizione delle grandi opere di filosofi napoletani come Giordano Bruno e l'attenzione storico-culturale sul grande momento della rivoluzione partenopea del 1799 e i suoi protagonisti. 

Per ricordarlo, Rai Cultura - sabato scorso su Rai Storia - ha riproposto l'intervista di Gerardo Marotta a Hans Georg Gadamer, filosofo tedesco, padre dell'ermeneutica

Hans Georg Gadamer

"Dalla cultura dipendono le sorti dell`umanità - dice Marotta in quella intervista - eppure gli uomini di cultura di oggi tendono a chiudersi nel loro particulare, nella loro accademia. La figura dell`intellettuale in Europa si è rimpicciolita rispetto agli aumentati bisogni del mondo, al bisogno di vera cultura che ha l'umanità per potersi salvare". 

Marotta e Gadamer concordano che va ristabilito questo ruolo, che la cultura debba imporsi sul predominio eccessivo della scienza e della tecnica che ha prodotto barbarie e guerre, il predominio di una piccola parte del mondo su altre e l'accaparramento delle risorse nelle mani di pochi, scienza e tecnica che hanno favorito lo spirito di rapina. 

L'intellettuale in Europa, erede della tradizione umanista, deve perciò far si che si trasformino le coscienze, che si esca dalla tradizione letteraria e libresca e si recuperi la dimensione del dialogo, dialogo inteso come nuova forma di consenso tra popoli e governanti, come nuovo accordo. Solo così, e qui è il grande compito anche dei mezzi di comunicazione e diffusione, si può recuperare la tradizione culturale europea.

L'intervista è stata realizzata nel 2000, due anni prima la scomparsa di Gadamer, e oggi rappresenta un attualissimo testamento spirituale dei due uomini di cultura. 

Al centro è il problema, caro a Marotta, della differenza tra l'"intellettuale di professione" e il "vero" uomo di cultura, cioè secondo l'accezione platonica, il filosofo: che ruolo, che missione deve avere quest'ultimo, che responsabilità? 

Dopo le grandi epoche delle rivoluzioni culturali che hanno influenzato la Storia, come la filosofia del 1500 (un nome tra tutti, Erasmo da Rotterdam)o l'Illuminismo (con Diderot, Montesquieu, Gaetano Filangieri), il ruolo del filosofo sembra essersi rimpicciolito, non ha più la capacità di intervenire, sembra non avere più la capacità di comprendere e interpretare il proprio tempo, di riuscire cioè ad assolvere quel compito di guida che Hegel aveva appunto assegnato ai filosofi.



15/12/15

Società schiumosa, "siamo sfere che esplodono e implodono". Intervista a Peter Sloterdijk di Donatella di Cesare.






Vorrei iniziare il nostro dialogo dal tema del terrore. Ho letto in questo periodo commenti che mi sono parsi dettati da una forte reazione emotiva. Come se il clima bellico influisse anche sui media. In diverse circostanze lei ha detto che il terrore moderno ha una lunga storia e risale almeno alla rivoluzione francese e all’uso della ghigliottina. Il terrore è inscritto nella democrazia? 

PETER SLOTERDIJK — Certamente. Democrazia vuol dire non avere più bisogno del terrore. Qui parla l’hegeliano che è in me: il terrore è uno stadio inaggirabile nel cammino verso lo Stato moderno. Bisogna avere attraversato il terrore per aprirsi alla democrazia. Ma proprio per questo il terrore resta un aspetto della politica nella modernità. 

DONATELLA DI CESARE — Ritengo però che il terrorismo attuale sia un fenomeno postmoderno. Sbaglia chi usa con una certa facilità l’etichetta «barbarie», perché questo impedisce di considerarne la complessità. E credo che sia anche una grossolana semplificazione interpretare quel che avviene come il conflitto tra la religione (o le religioni) da un canto e la democrazia illuminata dall’altro. 

PETER SLOTERDIJK — Non vorrei fare dell’islamismo una ideologia. Pur essendo un critico della religione, vedo qui un abuso della religione che, ridotta a un legame costrittivo, viene piegata a fini politici, primo fra tutti quello di costituire una comunità. 

DONATELLA DI CESARE — A questo proposito credo che il presunto «Stato islamico» sia anche una disposizione d’animo molto diffusa non solo in Medio Oriente, ma nelle periferie delle metropoli occidentali. 

PETER SLOTERDIJK — I terroristi sono per me attivisti del «terzo sogno», del sogno islamico che si oppone a quello americano. Ecco perché sono postmoderni: da un canto abitano nella realtà virtuale del XXI secolo, dall’altro fuggono nel passato del VII secolo. Mentre usano internet, attraversano il deserto — la testa piena di miti e sogni. E a questa paranoia favolistica ed eroica convertono molti giovani

DONATELLA DI CESARE — Che cosa li spinge a farsi esplodere? Non mi convince l’idea che — come alcuni hanno insinuato — abbiano un concetto di vita diverso dal «nostro». Ho l’impressione che ci sia un tratto apocalittico nella loro decisione di dare e darsi la morte.

PETER SLOTERDIJK — Direi che sono acceleratori dell’incendio. Per capire l’esito nichilistico delle enormi frustrazioni accumulate da questi giovani, occorre rileggere le analisi di Nietzsche e di Schiller sul risentimento. Parlerei di una fenomenologia della umiliazione. È grazie a un contatto più o meno superficiale con l’ideologia jihadista che una enorme riserva di sentimenti negativi assume una direzione politica. La criminalità spicciola assurge ad azione bellica. Il piccolo delinquente — e nessuno di questi giovani vuole esserlo, sebbene molti di loro purtroppo lo siano — si muta allora in combattente. 

DONATELLA DI CESARE — Ecco allora il loro riscatto, la loro redenzione. 

PETER SLOTERDIJK — Sì, vengono riscattati dalla guerra. Qualcosa di analogo è accaduto d’altronde nell’agosto del 1914, quando in migliaia celebrarono l’inizio del conflitto mondiale, pervasi quasi da un’estasi, come se, diventando vittime sacrificali, venissero nobilitati. Questo per me vuol dire che occorre evitare di conferire alla lotta al terrorismo lo statuto di guerra. E vuol dire anche che questa ondata di terrorismo non durerà più di un paio di anni. Il rischio è invece che la democrazia regredisca a non-democrazia

DONATELLA DI CESARE — Non crede allora che ci troviamo all’inizio di una guerra globale dove non esistono più fronti? 

PETER SLOTERDIJK — Certamente. Ma già da decenni siamo in questa mobilitazione totale che volge verso l’incerto, dove tutti combattono contro tutti, e dove — come aveva già detto Karl Jaspers nella sua opera del 1930 La situazione spirituale del tempo — non ci sono più fronti. 

DONATELLA DI CESARE — Convivere con chi è estraneo è la sfida del nostro tempo. 

PETER SLOTERDIJK — Proprio così. Il fenomeno epocale del nostro secolo è l’enorme spostamento di masse che con un termine troppo riduttivo chiamiamo emigrazione. Questo fenomeno non finirà in tempi brevi. 

DONATELLA DI CESARE — Vede come causa di questo fenomeno motivi peculiari oltre, s’intende, le guerre locali, le dittature e la fame? 

PETER SLOTERDIJK — Non dobbiamo sottovalutare la portata enorme del cambiamento climatico. La spogliazione della terra ha assunto proporzioni inimmaginabili. Continuiamo a chiudere gli occhi. Anche i filosofi dovrebbero occuparsi molto di più della questione delle fonti di energia. È una filosofia sociale che non è stata ancora scritta. 


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