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16/01/19

Storia di una canzone - e di una meravigliosa cover: "Hallelujah" di Leonard Cohen.




Il destino delle grandi canzoni - di essere abusate fino allo stremo - è toccato anche a Hallelujah, scritta da Leonard Cohen per l'album Various Positions, pubblicato nel 1984. 

Anche a questa nobilissima canzone, dal testo enigmatico e colto, è toccato di diventare una specie di inno dell'ovvio, tappeto musicale usato ovunque e in ogni occasione, cantato nelle chiese e nei ricevimenti molto mondani, negli X-factor  e nelle innumerevoli e spesso sgangherate cover. 

Il paradosso è che, pubblicato come singolo, insieme al lato B The Law, inizialmente Hallelujah non ebbe alcun successo commerciale. 

Con il tempo però grazie anche alle successive reinterpretazioni di Hallelujah, ad opera sia dello stesso Cohen, che ne modificò ripetutamente il testo, sia di molti altri artisti, questa canzone diventò un must assoluto. 

Per me la migliore e insuperabile cover della canzone (forse superiore anche all'originale) è quella che risale al 1991 e che fu incisa dal grande  John Cale, soltanto con la sua voce accompagnata dal pianoforte. 

Versione che passò piuttosto inosservata, almeno in Italia, fino al 1998 quando fu usata come tema dell'epilogo del film "Basquiat", realizzato da Julian Schnabel sulla vita dell'artista Jean-Michel Basquiat, lanciato da Andy Warhol e morto prematuramente - a soli 28 anni - nel 1988. 

Vale la pena riascoltare questa versione. 

Cale genialmente ha accelerato i tempi della ballata, rendendola molto più incalzante (l'opposto delle versioni lamentose, da canto scoutistico che vengono fatte oggi), un vero e proprio inno disperato, una richiesta, un contraddittorio ingaggiato con Dio, con il senso vero del trascendente, che parte dalla più coerente tradizione biblica e diventa un trascinante appello moderno nel quale ciascun uomo dei nostri tempi può riconoscersi, con le aspirazioni, le domande irrisolte e l'abbandono e lo sconforto che caratterizzano ogni vita umana. 

Fabrizio Falconi.

28/12/13

La differenza tra un cuore inquieto e l'Hallelujah.




La differenza è tra le mille cose che spingono e quella - l'unica - che rimane. La differenza è nel conto delle cose e nella valutazione delle mancanze.

La differenza è nei gesti che contano e nelle parole che non si dicono. La differenza è nel punto del centro dove non arrivi.

La differenza è nelle questioni inadatte, nelle troppe informazioni e nella quiete ipnotica, abissale di un senso che nemmeno tu conosci.

La differenza è nelle notti che non dormi e nei giorni che non vivi.  La differenza è nella metà e nell'uno. La differenza è nel Re confuso che fu capace di comporre l'Hallelujah.







Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.