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27/01/15

Giornata della memoria 2015. Hermann Goering a Norimberga.






Era seduto tra due estranei.  Fermi per convenzione, per obbligo, per divisa.  E forse pensava a qualcosa di inutile, a quel che aveva mangiato a colazione, forse a sua moglie o forse non pensava a niente. 

Come una furiosa cavalcata ebbra l'aveva portato fin lì. Con quegli uomini che - in una lingua straniera - gli chiedevano conto: lui un prigioniero, lui trattato come un miserabile, lui che in fondo non aveva fatto altro che il proprio dovere, lui che poi aveva anche capito prima di altri la follia del capo e aveva cercato anche di succedergli. 

Lui che messo ai margini dal capo - anche a causa della sua figura imbarazzante e del suo grasso superfluo (140 chili era arrivato a pesare) - s'era perfino preso la briga di compatire quei milioni che morivano nelle fosse e nei forni di Auschwitz.

Lui che ora era perfino magro, un altro uomo: con uno sguardo serio, fisso davanti a sé, appena un po' compiaciuto. 

Che domande gli sarebbero arrivate ora. Che altro gli avrebbero chiesto. Di cosa lo avrebbero accusato. Di essere un soldato, in fondo. Di aver fatto quello che bisognava

Forse sarà morto sognando la luna. Forse non avrà sognato nulla. Perché i vermi si erano impadroniti ormai anche dei suoi sogni. 

Fabrizio Falconi

Nella foto Hermann Goering al Processo di Norimberga nel 1946.  Processato dagli alleati, venne riconosciuto colpevole di «aver pianificato, iniziato e intrapreso guerre d'aggressione» e di aver commesso «crimini di guerra» e «crimini contro l'umanità». Udita la sentenza di morte per impiccagione, Göring chiese di essere fucilato; il tribunale respinse la richiesta. Poche ore prima che iniziassero le esecuzioni - attorno alla mezzanotte del 15 ottobre 1946 - si tolse la vita, inghiottendo una capsula di cianuro introdotta di nascosto nella sua cella, forse da un tenente dell'Esercito Americano, Jack "Tex" Wheelis, con il quale Goering intratteneva rapporti amichevoli.