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10/11/18

Due sepolcri profanati a Roma: La storia di Maria e Termanzia e dei gioielli perduti delle Imperatrici Romane.


Come sanno bene gli studiosi dell’occultismo, la profanazione di tombe costituisce da sempre un modo – non sempre gradevole – di scatenare e liberare le forze negative di quelle presenze che la fantasia popolare ha battezzato con il nome di fantasmi. Esiste una lunga e consolidata tradizione in merito, che affonda le radici nella storia stessa dell’umanità, e basti qui ricordare le parole attribuite a Lord Carnarvon – colui che fu protagonista e finanziatore della impresa che portò alla scoperta della tomba di Tutankhamon – e che pronunciò sul letto di morte (nell’aprile del 1923, al Cairo, pochi mesi dopo la scoperta della celebre tomba): «Ho udito il richiamo di Tutankhamon, sto per seguirlo!» 

Qualcosa di simile, frutto di una semplice suggestione, o reale manifestazione ‘esoterica’ per coloro che credono, deve essere avvenuto spesso, nella millenaria storia di Roma, quando i cacciatori di tesori, allettati dalle meraviglie che spesso si narravano depositate all’interno di nobili sarcofaghi, non si facevano scrupoli a profanarli e a saccheggiarli. Qualche volta poi i saccheggiatori in questione non avevano le sembianze di avventurosi Indiana Jones ante-litteram, ma addirittura si rivestivano perfino dei paramenti più sacri, quelli dei Papi. 

Una vera profanazione fu quella compiuta da Paolo III, Alessandro Farnese, il quale prima di essere eletto al soglio pontificio, nel 1534 a sessantasei anni di età, era stato un grande viveur, uomo di mondo e padre di quattro figli, avuti da una nobildonna romana. Impegnato nelle gestione dell’interminabile Concilio di Trento (durato 18 anni) e nei consueti intrighi romani, Paolo III ebbe anche modo di occuparsi in prima persona dei grandiosi lavori di demolizione della vecchia Basilica di San Pietro e della edificazione della nuova cupola, i cui lavori affidò al genio di Michelangelo Buonarroti. 

Nel corso di questi lavori, ovviamente, il ventre della Basilica restituì una quantità immane di illustri sepolture, che mai erano state violate nel corso dei secoli. 

Una delle più famose era quella che riguardava il sepolcro di Maria e Termanzia, le due figlie del generale romano Stilicone (con ascendenze barbariche, il padre era un comandante dei Vandali) che andarono spose ad Onorio, l’imperatore romano d’Occidente, dal 384 fino all’anno della sua morte, nel 423. La prima ad andare in moglie ad Onorio – che era anche suo zio, per parte di madre – fu Maria, la primogenita di Stilicone, nel 398. 

Il matrimonio, fastoso e monumentale, durò soltanto dieci anni. Alla morte di Maria, che non aveva avuto figli, nel 408, Onorio ne sposò la sorella minore, Termanzia. Anche questo matrimonio, come il primo era stato fortemente voluto ed incoraggiato proprio da Stilicone, che attraverso di esso, mirava al consolidamento del proprio potere personale. La seconda volta, però, non fu ugualmente fortunata. Onorio, sentendosi prigioniero di un così ingombrante personaggio, pensò bene di disfarsene, ordinando l’uccisione di Stilicone. Poi, l’imperatore provvide ad allontanare anche Termanzia dalla corte di Ravenna, e la relegò in esilio a Roma, fino alla sua morte che avvenne nel 418. 

I tre protagonisti di questa vicenda, Onorio, Maria e Termanzia, si ritrovarono insieme soltanto dopo la morte dell’imperatore, quando si decise di seppellirli insieme nella stessa fastosa tomba nel vestibolo della vecchia Basilica di San Pietro. 

E la sepoltura rimase in quel luogo, intatta e inviolata per più di un millennio, fino a quando appunto nel febbraio del 1543 i picconatori di Paolo III ebbero l’ordine di compiere la profanazione. 

Quel che fu scoperto all’interno del preziosissimo sarcofago aveva dell’incredibile. Dalla descrizione che il più grande archeologo e studioso di Roma Antica, Rodolfo Lanciani, fece dello spettacolo di fronte al quale si trovarono gli operai assoldati dal papa, si scopre che la bellissima imperatrice giaceva in una bara di granito rosso, vestita regalmente con abiti i cui tessuti erano intrecciati a filamenti d’oro, e dello stesso materiale era anche il velo che le copriva il volto e il petto. 

E’ lo stesso Lanciani ad informarci che la fusione di questi materiali produsse un considerevole ammontare di oro puro, pari a quasi quaranta libbre. Senza contare, ovviamente, il resto: ovvero un cesto di argento puro, ricolmo di ammennicoli scolpiti nel cristallo di rocca, e in ogni altra sorta di pietra preziosa. 

E ancora, una lampada d’oro e di cristallo, quattro vasi d’oro, dei quali uno tempestato di gemme, e un secondo recipiente di argento contenente centocinquanta oggetti, anelli, orecchini, collane, bottoni, spille, ciascuno di essi tempestato di gemme preziose. Le lettere e i nomi incisi su alcuni pezzi testimoniavano la provenienza dei preziosi doni, o la dedica del personaggio illustre a cui erano ispirati. 

Il pezzo più prezioso, la cosiddetta bulla – ovvero il ciondolo a imitazione di quello che portavano al collo i giovani dell’antica Roma fino al compimento della maggiore età - riportava le incisioni dei nomi di Onorio, Maria, Stilicone, Serena, Termanzia e Eucheio, posti a raggiera a formare una doppia croce con l'esclamazione « Vivatis! » tra loro. 

Bulla facente parte dei doni nuziali di Onorio a Maria, e ritrovato nella tomba di quest'ultima nell'antica basilica di San Pietro in Vaticano: il chi-rho è formato dall'intreccio dei nomi 'Onorio', 'Maria', 'Stilicone' e 'Serena', accompagnati dall'esclamazione 'Vivatis!'.

Tutta questa meraviglia, si dissolse rapidamente, come spiega Lanciani nel prosieguo del suo racconto: Con l'eccezione di questa bulla, [...] ciascun pezzo è scomparso. [...] Non si trattava del lavoro di orefici del quinto secolo, ma erano di origine classica; in fatti rappresentavano una porzione dei gioielli imperiali, che Onorio aveva ereditato dai suoi predecessori, e che aveva offerto a Maria in occasione del suo matrimonio. 

Claudiano, il poeta di corte, li descrisse espressivamente come quelli che avevano brillato sul petto e la testa delle imperatrici dei giorni andati. Tanto per chiarire, si sarebbe trattato – secondo alcuni – nientemeno che degli stessi monili, proprio gli stessi, che nel giorno delle nozze si tramandavano tutte le imperatrici romane, da Livia, moglie di Augusto, fino appunto all’epoca di Onorio. Un valore davvero incalcolabile. 

Eppure di questi splendori fu fatta man bassa, per la maggior parte finirono ad arredare paramenti e insegne papali, ben 50 libbre d’oro furono ricavate soltanto dalle vesti di cui le mummie erano ricoperte, per non parlare della incredibile quantità di gioielli – spille, collane, bracciali – e suppellettili – vasi, lucerne – a cui toccò la stessa sorte. Al giorno d’oggi resta ben poco di questo vero tesoro, ma per averne una idea basta ammirare la celebre ‘bulla’ della quale parla Lanciani, conservata al Museo del Louvre a Parigi. 

Quel che forse Paolo III e i suoi profanatori non avevano previsto era che gli spiriti illustri che abitavano quelle tombe non avrebbero accolto con favore la profanazione selvaggia dei propri beni così a lungo custoditi. Nacque così la voce di una feroce vendetta di Maria e Termanzia che per prima cosa si accanirono proprio contro i muratori e gli scalpellini che materialmente avevano operato la profanazione del sepolcro, presentandosi loro in spaventose visioni notturne, e conducendoli tutti a morte, uno per uno, dopo improvvise e inspiegabili malattie, e infine Paolo III, i cui ultimi anni di pontificato furono amarissimi, con il celebre furibondo litigio con il cardinal Farnese, suo nipote, che lo prostrò a tal punto da gettarlo in una lunga malattia che lo portò a morte. 
Il sepolcro di Papa Paolo III Farnese a San Pietro

I fantasmi di Maria e Termanzia, però, continuarono a perseguitare il papa profanatore – racconta la leggenda – anche dopo la sua sepoltura che avvenne in San Pietro, e per la quale fu disposto un grandioso monumento funebre affidato a Giacomo della Porta. 

I fantasmi velati delle due donne, secondo il racconto popolare, continuarono ad infestare a lungo, per vendetta, il luogo del sepolcro del papa Farnese, lasciandovi traccia perfino nella grande statua bronzea raffigurante il pontefice che sovrasta il monumento e che secondo queste voci, è diventata sempre più scura proprio a causa delle malevole carezze lasciate dal passaggio dei due fantasmi femminili.

19/02/18

L'immensità della Cupola di San Pietro - i suoi numeri impressionanti.



Tutto è grandioso nella Cupola di San Pietro, creata dal genio di Michelangelo che per essa si ispirò alla Cupola di Santa Maria del Fiore di Firenze, derivandone una struttura a doppio guscio. 

Come si sa, Michelangelo diresse la costruzione di tutta la parte inferiore della Cupola fino al tamburo, che era quasi terminato, al momento della sua morte (1564). La cupola, dopo la morte del maestro rivestita di lastre di piombo, con l'interno a nervature, fu eretta in 22 mesi da Giacomo della Porta assistito da Domenico Fontana.  In altri 7 mesi infine fu completata la lanterna cuspidata. 

Diamo qualche cifra per intendere la maestosità dell'opera: la penna che tiene in mano S. Marco, in uno dei tondi di mosaico nei pennacchi della Cupola, è lunga circa 1 metro e mezzo.  La lanterna è alta più di 17 metri. 

Il diametro dei tondi con i 4 evangelisti è di 8 metri l'uno. 

Un'iscrizione latina, in mosaico su fondo dorato,  si svolge nel fregio della imponente trabeazione che gira tutto intorno alla chiesa; nel fregio della trabeazione all'imposta della cupola sono scritte le parole con le quali Gesù istituì la chiesa: Tu es Petrus et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam et tibi dabo claves regni caelorum.   

Da questo livello si eleva il tamburo con 16 finestre fra coppie di lesene che sorreggono il cornicione terminale, sopra cui si incurva la calotta. 

Questa è divisa da 16 costoloni fra i quali la decorazione a mosaico si svolge su 6 ordini. 

In cima, sopra i papi santificati e i dottori della Chiesa, seguono le figure sedute del Redentore, della Vergine, di San Giuseppe, del Battista e degli Apostoli, e infine ancora più in alto una teoria di angeli con vari simboli e i tondi con serafini. Nella Lanterna, sigilla l'immane costruzione, l'Eterno Padre benedicente. 

Fabrizio Falconi
2018 - riproduzione riservata




05/02/17

Domenica a Roma : La Fontana delle Tartarughe - Fabrizio Falconi Racconta (Capitolium produzione - 1a puntata).





Comincia oggi, grazie a Capitolium, questa iniziativa - brevi video di 3 minuti in cui racconto luoghi di Roma  con bellissime immagini - che spero possa piacervi. 

Si comincia oggi con la celebre e amata Fontana delle Tartarughe in Piazza Mattei. 

Ogni settimana, ogni domenica seguirà un luogo del cuore di Roma.

Buona visione.

(trovate il video ANCHE sulla mia pagina Facebook, sulla pagina Facebook di Capitolium, Twitter e Google Plus. 


"Fabrizio Falconi racconta #Roma": Fontana delle Tartarughe in Piazza Mattei. 

Una produzione http://www.capitolivm.it 
Blog di Fabrizio Falconi: http://fabriziofalconi.blogspot.it/ 

Uno speciale ringraziamento a Trastevere App

Diritti riservati

27/10/16

Le leggende del Campidoglio e la Statua del Marco Aurelio, l'unico esemplare di questo tipo giunto fino a noi.




Il Campidoglio è da sempre il simbolo del potere cittadino, a Roma. Anticamente questo nome si riferiva soltanto all'altura più piccola dove sorgeva il Tempio di Giove Ottimo Massimo, il più importante tra gli dèi del Pantheon, la cui area era all'incirca quella occupata oggi da Palazzo Caffarelli. 

Più tardi, nel corso dei secoli, la dizione Campidoglio si estese all'intero colle. 

Ancora oggi il Campidoglio rappresenta una meraviglia delle meraviglie: esso ospita infatti reperti preziosissimi e unici al mondo, come i due leoni di basalto grigio ai piedi della scalinata, che provengono dall'Iseum et Serapeum del Campo Marzio, il Tempio che i romani avevano dedicato alle divinità egizie, e che raccoglieva moltissimi reperti importati da quelle terre. 


I due meravigliosi leoni egizi furono sistemati qui da Giacomo Della Porta, per fare da ali alla cordonata del Campidoglio.   Furono rimossi nel 1880 e sostituiti con delle copie, ma poi tornarono sul posto grazie all'illuminato prof. Pietrangeli, in tempi piuttosto recenti, nel 1956. 

Sembra che dalla bocca dei due leoni sgorgasse, in alcune particolari ed eccezionali circostanze, vino, (dalla bocca dell'uno, bianco, dall'altro rosso) anziché acqua. Come ad esempio nell'occasione della cerimonia di impossessamento della Basilica Lateranense da parte del Papa neo-eletto. 

Ma il vero gioiello del Campidoglio è la monumentale statua equestre del Marco Aurelio, divenuta nei secoli emblema cittadino al pari del Colosseo, oggi sostituita sulla piazza da una scrupolosa copia e conservata invece nel nuovo cortile protetto dei Musei Capitolini. 

Si tratta, come non tutti sanno, dell'unico reperto di questo tipo esistente al mondo, , cioè dell'unica statua equestre in bronzo dorato, dell'epoca romana giunta fino a noi e per molti secoli, pur essendo diventata un nume cittadino intoccabile, fu persino confusa la sua attribuzione, ritenendola una statua dell'imperatore Costantino (Caballus Costantini). 

Fu scolpita nel 164-166 d.C.  e raffigura l'illuminato imperatore a cavallo, col braccio e la mano protesi, come per affrontare il nemico. 

Una icona così potente non poteva che diventare un simbolo cittadino di prima grandezza, ed è inevitabile che, trattandosi di Roma, intorno ad essa siano fiorite nel corso dei secoli, infinite leggende, come quella della famosa civetta , il ciuffo dei peli tra le orecchie del cavallo, al cui distacco della velatura bronzea fu legata alla fine del Mondo e alla sua distruzione. 

La statua fu posta al centro del Piazzale del Campidoglio nel 1538 da Papa Paolo III Farnese su suggerimento di Michelangelo, che si era occupato di progettare la nuova piazza, nelle attuali forme che sono ammirate in tutto il mondo.  Per essa fu studiato un apposito basamento, disegnato sempre da Michelangelo. 

Pochi sanno che in quella occasione fu anche istituita la carica onorifica di Custode del Cavallo, un titolo dignitario grandemente ambito tra i nobili romani e che veniva conferita per espressa decisione papale. 

Il prescelto veniva anche ricompensato simbolicamente, in natura con una prebenda minuziosamente prevista comprendente: dieci libbre di cera, tre di pepe, sei paia di guanti, alcune scatole di confetti e due fiaschi di vino. 

Fabrizio Falconi © - riproduzione riservata.







31/08/16

I misteri della Fontana delle Tartarughe, in Piazza Mattei a Roma.

La fontana delle tartarughe in Piazza Mattei (foto di Francesco Rosa)



I misteri della Fontana delle tartarughe di Piazza Mattei.

E’ un’opera d’arte giustamente ammirata in tutto il mondo, la Fontana delle Tartarughe, in Piazza Mattei, realizzata nel 1585 con molta probabilità da Giacomo Della Porta e da sempre molto amata dai romani

La Piazza non poteva che chiamarsi in questo modo, visto che su di essa si affacciano ben cinque edifici che la potente famiglia romana fece costruire nel corso dei secoli, al punto tale che la zona veniva indicata popolarmente come isola dei Mattei. 

Il fatto che questa meravigliosa opera non sia esplicitamente firmata e la rapidità con cui venne eseguita generarono diverse leggende popolari, che come sempre forse hanno la base un fondamento di verità. 

Secondo la più celebre di questa, il duca Muzio Mattei, rampollo della celebre famiglia, che aveva perduto una parte notevole della sua fortuna al gioco, decise di sorprendere il futuro suocero con un coup de theatre e convincerlo a dargli in moglie la figlia, dopo una lunga resistenza. 

Decise così, secondo le leggenda di far realizzare, nel tempo di una sola notte, la fontana proprio al centro dell’isolato dei palazzi che appartenevano alla famiglia Mattei

La mattina dopo, convocati padre e figlia nella residenza nobiliare, senza dir nulla, li fece affacciare alla finestra, da cui si poteva ammirare l’opera appena realizzata, esclamando: Ecco che cosa è capace di fare in poche ore uno squattrinato Mattei ! 

Naturalmente, secondo la leggenda, l’espediente ebbe successo, eccome, e la giovane andò in sposa al Duca, con perfino le scuse da parte del suocero diffidente e la finestra, che era stata testimone del fatto, fu murata per porre fine alle chiacchiere

La leggenda è però palesemente falsa, almeno per la tempistica delle date: la fontana fu realizzata infatti, come abbiamo detto, nel 1585 ed era quindi certamente preesistente al Palazzo Mattei antistante, che è del 1616.

C’è allora chi ha affermato che in quella fatidica notte non avvenne la vera e propria realizzazione della fontana (del resto del tutto inverosimile), ma il suo spostamento: l’opera cioè, era già stata realizzata, ma si trovava in un posto diverso e nascosto, nell’isola dei Mattei, e il Duca si limitò ad ordinare che fosse spostata nel centro della piazza, sotto le finestre del palazzo, per fare colpo sulla famiglia della sua amata. 

Quel che è certo è che l’artefice della bellezza di questa fontana fu, oltre a Giacomo Della Porta, lo scultore Taddeo Landini, che realizzò le elegantissime figure dei quattro efebi di bronzo, i quali si ergono su conchiglie di marmo, poggiando il piede su altrettanti delfini, sempre di bronzo, i quali con la mano sollevata spingono nella vasca quattro tartarughe. 

 E’ noto che all’inizio, nel progetto originario, le tartarughe non dovevano esserci: a saltare nella conca della fontana dovevano essere invece quattro delfini, che non furono invece mai realizzati. 

Le tartarughe furono aggiunte nel corso di un restauro della fontana, avvenuto nel 1658 per volere di Papa Alessandro VII e sono opera di Andrea Sacchi o molto più probabilmente di Gian Lorenzo Bernini

 E forse per questo, per il loro valore o semplicemente per la loro fama di animali-talismano, le tartarughe furono più volte rubate: la prima volta all’inizio del secolo scorso, nel 1906

Per fortuna in questo, come negli altri casi, le tartarughe furono sempre ritrovate. 

L’ultimo furto avvenne in pieno conflitto mondiale, nel 1944 e in quella circostanza fu addirittura uno straccivendolo a farle ritrovare e a riconsegnarle integre alle autorità, le quali però dopo l’ennesima sparizione (con ritrovamento) nel 1979, si convinsero che fosse giunto il momento di salvaguardare le tartarughe anche per la relativa facilità con cui potevano essere asportate da malintenzionati dal monumento. I quattro pezzi originali del Bernini furono messi al sicuro nei Musei Capitolini e sulla fontana furono poste delle copie, quelle che ci sono ora, in tutto identiche all’originale.


Foto in testa di Francesco Rosa. 

06/04/12

Gli obelischi di Roma - 1 Obelisco Macuteo




Chi ama Roma e le sue meraviglie dimentica forse troppo spesso che i più antichi manufatti umani esistenti nella città Eterna, non appartengono all'epoca Romana, bensì precedono questa epoca di parecchi secoli, e in qualche caso anche di più di un millennio. 

Roma è infatti la città al mondo a possedere il maggior numero di Obelischi Egizi autentici, e cioè ben 13. 

La grandissima parte di questi obelischi furono trasportati dall'altra sponda del Mediterraneo - dove avevano già alle spalle una storia plurisecolare - dalle navi romane, al termine di incredibili viaggi che comportavano difficoltà tecniche impensabili, per noi moderni.

E' importante ricordare infatti che per i Romani gli Obelischi mantenevano intatto il loro valore simbolico soltanto se perfettamente integri (al punto che al primo accenno di crepatura, durante il trasporto, essi venivano immediatamente abbandonati).  

Dunque queste operazioni di trasporto si avvalevano di tecniche ingegneristiche assolutamente straordinarie. Per averne un'idea basta leggere le cronache del trasporto di un obelisco moderno - quello detto di Mussolini al Foro Italico, fatto discendere via fiume (Tevere) dalle cave di Carrara, durante il Ventennio - per rendersi conto di quali e quante difficoltà bisognava affrontare, anche in tempi tecnologicamente  molto più avanzati.

In questa rassegna per il nostro blog, elencheremo i 13 obelischi romani nell'ordine esatto in cui furono ri-eretti, dopo le devastazioni che seguirono alla caduta dell'Impero Romano in seguito alle quali tutti - con l'unica eccezione dell'Obelisco Vaticano - furono abbattuti.

Cominciamo col cosiddetto Obelisco Macuteo, quello che oggi si trova di fronte al Pantheon. 

1. Obelisco macuteo ( oggi in piazza della Rotonda al Pantheon ) 
rieretto nell'anno1404.
Dimensioni:  – altezza dal piedistallo m.6,34.

Fu originariamente eretto dal faraone Ramesses II (1290-1223 a.c. ) a Heliopolis, oggi periferia de Il Cairo.

Presenta estesi Geroglifici. 

Proveniente dalla zona del Collegio Romano, dove sorgeva il tempio Iseum et serapeum, dedicato alle divinità dell'Antico Egitto, e abbattuto in seguito all'invasione di Roma da parte dei Goti, fu ri-eretto a seguito dei moti del 1404 nell’odierna Piazza san Macuto come simbolo libertario ( Schola Bruti ). 

Spostato sotto Clemente XI in Piazza del Pantheon ad ornamento della fontana del Della Porta del 1575, nell'anno 1711.