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29/03/22

Pochi lo sanno, ma sotto il Roseto comunale di Roma c'è il grande cimitero ebraico di Roma

 



Il Roseto comunale di Roma, noto per la bellezza e l’enorme varietà di specie che ospita – circa millecento tipi di rose diverse – sorge oggi sul declivio destro del Circo Massimo che sale verso l’Aventino, in un’area divisa in due da Via di Villa Murcia. E per una specie di scherzo del destino, in quest’area sorgeva nel III secolo avanti Cristo un tempio dedicato alla divinità di Flora, dea romana delle piante.

La collocazione attuale del Roseto però è piuttosto recente. Esattamente risale al 1950 quando il Comune di Roma decise di spostare in questo luogo il Roseto comunale che dal 1931 sorgeva invece poco lontano, sul Colle Oppio dove era stato realizzato su incarico del Governatore di Roma Francesco Boncompagni Ludovisi. 

La nuova sistemazione, nell’area attuale dell’Aventino ebbe una storia piuttosto travagliata a causa della particolarità di questa area. Chi oggi visita il Roseto comunale, infatti, non sa di trovarsi proprio sopra una enorme distesa (si calcola siano decine di migliaia) di antiche tombe.   Per l’esattezza tombe ebraiche. Le prime sepolture risalgono al 1645, quando venne istituito in quest’area un cimitero, il cosiddetto Ortaccio degli ebrei. Più anticamente, almeno dal Trecento, il cimitero ebraico di Roma si trovava all’interno della vecchia Porta Portese, nel rione Trastevere. Poi, quando furono costruite le nuove mura, nel 1587, il vecchio cimitero fu abbandonato e spostato proprio nell’area dell’Aventino.

Al primo terreno, concesso da papa Innocenzo X agli israeliti, presto seguirono, a causa del sovraffollamento, altri due lotti.  In questi tre spazi contigui, per circa 250 anni gli ebrei seppellirono i loro morti.

L’area dell’Aventino, però cominciò, in tempi più recenti a fare gola alle autorità comunali, per la sua vicinanza alla zona archeologica.  Falliti i primi tentativi di esproprio, per la opposizione della comunità israelitica, nel 1934, in pieno fascismo, tutta l’area fu definitivamente sottratta al cimitero, dopo un lungo e infruttuoso braccio di ferro da parte degli ebrei di Roma che cercarono protezione anche presso il rabbinato europeo.  Ma erano tempi molto difficili e anche da parte delle autorità religiose del continente arrivò il consiglio di cedere per evitare complicazioni ancor più pericolose.

Così il nuovo piano regolatore fascista ricoprì di terra una gran parte dell’antico cimitero per realizzarvi una nuova arteria di collegamento tra Via della Greca e Viale Aventino (l’attuale Via del Circo Massimo) per farvi sfilare gli atleti in ricordo della Marcia su Roma.

Del vecchio cimitero si salvarono circa ottomila sepolture che furono in gran fretta traslate al Verano.

I terreni dell’Aventino, quelli che non erano stato interessato dall’asfalto per la costruzione di Via del Circo Massimo divennero, durante i combattimenti della seconda guerra mondiale, orti di guerra.  E soltanto nel 1950 il comune decise di trasferirvi il Roseto comunale del Colle Oppio, che era stato distrutto dalle bombe.

La nuova sistemazione fu decisa con il consenso della Comunità ebraica ed il Comune, consapevole che il Roseto avrebbe fatto da copertura e da custodia a tombe e sepolture secolari, decise di rendere omaggio e ricordo della originaria funzione del luogo: così anche oggi si può osservare come i vialetti che dividono le aiuole nel settore delle collezioni delle specie pregiate, formino esattamente la trama visibile dall’alto, di una menorah, il celebre candelabro a sette braccio simbolo degli ebrei.

Ancora oggi, i kohanim, i sacerdoti ebrei, non possono calpestare quelle aiuole e quel giardino, per il divieto imposto dal capitolo XXI della Torah.

Tratto da: Fabrizio Falconi, Misteri e Segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma, Newton Compton, Roma, 2013


21/12/17

Dopo 14 anni di restauri, ritorna finalmente il Portico d'Ottavia !



E' durata 14 anni 'l'operazione di salvataggio" dei resti visibili del complesso del Portico d'Ottavia, luogo simbolo del Ghetto, il quartiere ebraico della Capitale

E per 14 anni ponteggi e impalcature hanno nascosto la bellezza del portico ricostruito da Augusto, al posto di quello piu' antico di Metello, tra il 27 ed il 23 a.C. e dedicato alla sorella Ottavia. 

Nel 203 fu restaurato e parzialmente ricostruito da Settimio Severo dopo un incendio del 191 e proprio a questo periodo appartengono la maggior parte dei resti attualmente visibili

Il quadriportico includeva i templi di Giunone Regina e Giove Statore, due biblioteche, greca e latina, e un grande ambiente per pubbliche riunioni, la Curia Octaviae. 

Il suo interno si configurava come una sorta di museo all'aperto poiche' ospitava una grande quantita' di opere d'arte. 

Alla cerimonia di 'restituzione' alla citta' del Portico d'Ottavia restaurato stamani c'erano la sindaca Virginia Raggi, il sovrintendente ai beni culturali di Roma Claudio Parisi Presicce, il vicesindaco Luca Bergamo e la presidente della Comunita' Ebraica Ruth Dureghello. 

L'operazione del restauro, divisa in tre fasi, e' stata "complessa", come e' stato spiegato, ed e' stata condotta attraverso un team di archeologi architetti e ingegneri con l'ausilio di alte tecnologie che ha permesso e permettera' anche in futuro un monitoraggio attento dei resti del complesso che nei secoli e' stato piu' volte danneggiato e rimaneggiato. 

In particolare durante i lavori e' stata rilevata la necessita' di un intervento di restauro specialistico della colonna poiche' in corso d'opera e' stata riscontrata una maggiore frantumazione interna, rispetto al previsto, del fusto, gia' apparentemente soggetto a diffuse micro-fessurazioni in tutta la sua lunghezza. 

E' stato, inoltre, necessario, un intervento sulla superficie a cortina in laterizio del tratto basamentale e del pilastro con pulitura e rimozione dei residui di cemento dei pregressi consolidamenti statici degli anni '60. 

L'opera di monitoraggio della colonna continuera' per altri due anni, a partire da ora, con attrezzature di alta qualita', basata sull'esecuzione di misure microsismiche ad alta frequenza, per controllare la sicurezza del manufatto, considerando anche i frequenti eventi di natura sismica. 

Per il 2018 e' prevista la quarte fase dei lavori di restauro che dureranno alcuni mesi e riguarderanno i muri interni.

Fonte: Emanuela De Crescenzo per ANSA

26/11/17

I Fantasmi di Roma: Storia infelice di Berenice, l'amante dell'imperatore Tito.



Storia infelice di Berenice, l’amante dell’imperatore Tito, e del suo fantasma

      Un fantasma romano molto popolare è quello di Berenice.
      E il suo luogo di elezione sembra essere il Portico d’Ottavia, a Roma, in quello stretto dedalo di vicoli e strade che si snodano tra il quartiere del vecchio Ghetto ebraico – il più antico d’Europa – e la Via del Teatro Marcello, alle spalle.  In particolare, il fantasma di Berenice pare scelga di manifestarsi proprio tra i ruderi romani sparsi in terra nello spazio antistante il teatro che fu dedicato nell’anno 13 a.C.  al generale Marco Claudio Marcello, nipote di Augusto (era infatti il figlio della sorella, Ottavia).

      Ma chi era Berenice ?
   
     La fortuna letteraria di questo personaggio è legata soprattutto, ovviamente, alla storia del teatro, e in specie al testo che a lei dedicò, nel 1670, Jean Racine, uno dei più grandi drammaturghi di tutti i tempi.
      Di Berenice, della vera Berenice, sappiamo che nacque nel 28 d.C. in Asia Minore,  e che era la figlia di Erode Agrippa, detto il Grande, che fu quel membro della dinastia dei re di Giudea che più ebbe contatti con il mondo romano, visto che fin da giovanissimo fu inviato nella capitale dell’Impero e divenne intimo dello stesso imperatore (Tiberio). 
      
     Berenice doveva essere davvero bellissima se è vero che a vent’anni era già stata sposata due volte, e alla morte del secondo marito – che era nientemeno che lo zio paterno -  si trasferì in Grecia, alla corte del fratello Agrippa II.   Ma anche in questo nuovo ambiente, decisamente più sofisticato del precedente, Berenice trovò il modo di ritrovarsi al centro di un nuovo scandalo, e per mettere fine alle voci di un incesto con il fratello, accettò di sposare il Re di Cilicia Polemone, molto più anziano di lei,  che la riportò in Asia Minore. 
      Ma il temperamento irrequieto di Berenice la portò ben presto a stancarsi di Polemone e della sua noiosa corte: riuscì a fuggire, e tornò nuovamente dal fratello.
      
      Ed è a questo punto della storia che nel cuore di quella che già era definita una meretrice si fece largo addirittura il nuovo imperatore di Roma, Tito, salito al potere nel 79 d.C. alla morte del predecessore, il padre Vespasiano.

     In realtà la tresca amorosa tra Tito e Berenice era cominciata ben prima della morte di Vespasiano,  allorquando l’imperatore aveva mandato proprio il suo prediletto figlio, Tito, che era stato allevato ai più nobili principi ed era un esempio di moderazione, in Palestina, per sedare le rivolte che erano scoppiate. Tito diede alle fiamme Gerusalemme, dove si erano asserragliati gli ebrei, distruggendo completamente il Tempio, e ottenne una vittoria completa.
     
      Quando tornò in patria, trovò che suo padre gli aveva preparato un tributo eccezionale (con l’erezione del celebre Arco che ancora fa mostra di sé nel foro Romano), ma l’anziano genitore rimase interdetto quando si accorse che il valoroso figlio attraversava l’Arco, tra le grida osannanti del Popolo Romano, portando al braccio una preda bellica imprevista, e cioè proprio quella bellissima principessa ebrea – Berenice -  che già numerosi cuori aveva infranto dall’altro lato del Mediterraneo, ma che aveva ben ventuno anni più di suo figlio.
      
       
Uno scandalo in realtà non v’era, perché questa di presentare le proprie conquiste amorose – specie se di rango regale – non era inconsueto per un comandante militare.  Il problema sorse però quando Tito comunicò al padre che non intendeva semplicemente inserire la nuova fiamma nell’elenco delle concubine, ma voleva addirittura sposarla, cioè inserire un’estranea nella linea di successione imperiale.  La vicenda divenne esemplare quando Vespasiano – ripetendo un copione consueto dei padri – cercò in ogni modo di convincere il figlio, adducendo anche la propria esperienza personale: anche lui, rimasto vedovo, aveva ceduto alle grazie di una concubina, ma s’era ben guardato dall’idea di sposarla. In questo caso poi, si trattava di un ebrea e la faccenda era ancora più grave.
           
          I dubbi e le insinuazioni paterne si unirono alle malelingue di corte, alle calunnie interessate, ma per qualche tempo non ottennero risultati e Berenice rimase al suo posto.  Soltanto, però, fino alla morte dell’imperatore Vespasiano: forse in un rigurgito di riconoscenza filiale, Tito, divenuto imperatore, trovò la forza di sottrarsi alla schiavitù amorosa impostole dalla bella e appassionata Berenice, e la cacciò – in omaggio alla ragion di stato – da Roma.  L’infelice, a quanto pare, stremata dai suoi tiramolla per sposarla, aveva finito anch’essa per disamorarsi del suo compagno, e come sintetizza eloquentemente Svetonio, Berenice statim ab urbe dimisit, invitus, invitam, ovvero Tito una volta diventato imperatore, controvoglia allontanò da Roma Berenice che anch’essa non lo voleva.    
      
      La vicenda di questo amore contrastato, che ripercorre l’antico tema del conflitto tra sentimento e doveri,  trovò come abbiamo detto in Racine un cantore memorabile, il quale rovesciò completamente gli stereotipi su Berenice, omettendo del tutto i suoi trascorsi scandalosi e incestuosi, trasformandola in un personaggio totalmente virtuoso, inventando un triangolo amoroso con il principe Antioco, re di Comagene (regione meridionale dell’Anatolia),  e facendone una vittima della bruta ragion di stato.   Nelle memorabili scene finali del dramma scritto da Racine, le reciproche minaccie di suicidio di Tito, di Antioco e di Berenice, finiscono in un nulla di fatto, e i tre decidono di accettare la volontà superiore e di separarsi, sacrificando totalmente l’amore, o quel che ne resta.
      
        È dunque senza alcun dubbio questo elemento romantico ante litteram, ad aver alimentato la leggenda dell’esistenza del fantasma di Berenice che ancora aleggerebbe sulla città di Roma: perché se quella dolorosa separazione fu accettata obtorto collo in vita,  essa brucerebbe ancora nell’intreccio delle anime.  E questo spiega perché la caratteristica attribuita al fantasma di Berenice sia proprio quella di manifestarsi nella zona del Portico d’Ottavia – non è un caso che la tradizione popolare abbia scelto questa zona, dunque,  ricordando le origini ebree della principessa -  per cercare di incontrare nuovamente il suo amante, l’imperatore Tito, e ottenere un tardivo risarcimento a quella inopinata cacciata.

       Il Portico d’Ottavia però, è legato strettamente anche al simbolo del potere esercitato da Tito, e quindi è davvero lo scenario perfetto per le ansie notturne del fantasma di Berenice:  è proprio in questo luogo infatti,  raccontano le cronache dell’epoca, che nel 71 d.C.  Tito e suo padre si presentarono dei tradizionali vestiti di seta color porpora, e con la corona d’alloro sul capo, circondati dai membri del senato e dai più alti magistrati, per ricevere l’omaggio delle truppe prima di iniziare il sacrificio  e la processione trionfale davanti a tutto il popolo di Roma festante.
      Per questo, sembra dire il fantasma di Berenice, per questo potere, oggi divenuto rovina,  tu mi hai sacrificato.











18/04/16

Cartier-Bresson e Roma - Storia di una foto 2.

Henri Cartier-Bresson, Roma 1953

Dopo la prima puntata (e la prima foto) siamo tornati sulle tracce di Cartier-Bresson e di quel suo leggendario viaggio nella Roma nel 1953, ci siamo messi a caccia di una nuova foto, quella che si vede qui sopra.  Stavolta abbiamo potuto appurare anche che la didascalia Trastevere, Roma è errata. La foto infatti non fu scattata a Trastevere, ma sul lato opposto del fiume, nel mezzo del Ghetto ebraico. 

Per arrivare alla soluzione del mistero, ci siamo avvalsi di un'altra foto realizzata nella stessa serie (e nello stesso giorno?) da Cartier-Bresson, con l'inquadratura più ampia, che permette di riconoscere un locale con l'insegna Fantino sulla sinistra. Eccola: 


Il particolare ci ha permesso di ricostruire con esattezza il luogo dove la fotografia è stata scattata: si tratta di Via Sant'Angelo in Pescheria (proprio alle spalle del Portico d'Ottavia), dove la piccola strada compie una curva verso sinistra. Ecco come si presenta oggi:


C'è ancora un ristorante al civico n.30 (ora si chiama Giggetto 2). La finestra di luce al centro del selciato, in cui gioca la bambina illuminata dalla luce, era creata dalla finestra nell'arco del Portico d'Ottavia, alle spalle di chi scatta la fotografia, oggi tappata dai ponteggi infiniti che ormai da 50 anni ingabbiano il meraviglioso Portico d'Ottavia: 



Ai lati dell'entrata del ristorante sono ancora visibili i due ganci per la tenda, utilizzati dal ristorante precedente Fantino



Seconda traccia svelata, dunque. Proseguiremo ancora il viaggio sulle orme del grande Cartier-Bresson. 


Fabrizio Falconi (C) - 2016 riproduzione riservata.