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16/09/11

Intervista a Suso Cecchi D'Amico - "Il perfetto incrocio tra letteratura e cinema" di F. Falconi





Suso Cecchi  D'amico, la sceneggiatrice che da "Senso" a "Oci Ciornie" ha scritto una porzione notevole del cinema italiano, compie 75 anni. E forse proprio in questa occasione e per rendere omaggio ad un'autrice che insieme a Visconti ha firmato pellicole memorabili, la Dedalo pubblica una biografia illustrata che ripercorre le tappe importanti della sua carriera di sceneggiatrice (Scrivere il cinema, a cura di Orio Caldiron e Matilde Hochkofler, pagg.160, 80 ill.)

Abbiamo chiesto a Suso Cecchi D'Amico di spiegarci quale è stato in questi anni il suo rapporto con il cinema.

"E' stato soprattutto un rapporto di lavoro, di duro lavoro.  Io non considero il cinema, come fatto in sè, mezzo espressivo e sublime. Sotto questo punto di vista sono convinta che la letteratura abbia un valore assoluto superiore.  La letteratura può essere arte allo stato puro.  Nel cinema, invece, il raggiungimento della poesia dipende da troppi fattori di natura tecnica, il cinema è un lavoro di équipe."

Quindi anche la sceneggiatura non può essere considerata un'opera autonoma ?
"Beh credo che in tutti questi anni di storia del cinema la sceneggiatura abbia acquistato una sua dignità di opera d'arte autonoma. E' chiaro che si tratta di una forma ibrida, che non è letteratura e nemmeno film, fino a che un regista non decida di realizzarla, di tradurla in immagini."

Eppure in alcuni casi, come in certi film di Visconti a cui lei ha collaborato, il cinema è indubitabilmente un'opera d'arte.
"Nel caso di Visconti certamente sì. Ma Luchino aveva un retroterra culturale spaventosamente ampio. La sua famiglia fu la prima a poter leggere Proust in Italia. Luchino lo lesse da giovanissimo, ne fu completamente 'imbevuto'. Al punto tale che solo lui avrebbe potuto realizzare il famoso film tratto dalla Recherche. Purtroppo, quando eravamo pronti ad imbarcarci nell'impresa che ci appariva difficilissima - ma intanto la sceneggiatura era già scritta - sorsero dei problemi con la produzione. Luchino disse che avrebbe fatto un altro film e subito dopo avrebbe iniziato Proust.  Invece, dopo le riprese di Ludwig, sopraggiunse la malattia e fu impossibile realizzare la Recherche.  I due film seguenti furono girati in condizioni di immobilità. A pensarci bene non so neanche io come riuscì a fare Gruppo di famiglia in un interno e L'innocente."

A suo giudizio quale rimane il film più felice, frutto della sua collaborazione con Visconti ?
"Sono ancora del parere che sia Il Gattopardo il modello, per la sua riuscita e per la fedeltà all'opera letteraria. Io sono convinta che per essere molto fedeli al testo letterario, bisogna in qualche modo trasgredirlo.  Ne è una riprova il fatto che quando facemmo Lo straniero da Camus, fu un totale fallimento. Camus era morto da poco e i francesi non avrebbero tollerato nessun cambiamento, così cercammo di riprodurre fedelmente il libro e il risultato fu molto modesto, anche per l'inadeguatezza di Mastroianni che non era molto credibile nella parte.  Nel Gattopardo, invece, aver fatto a meno della seconda parte del libro, quella dei 'vent'anni dopo', ha fatto sì che il film assumesse il ritmo lento, giusto, quello del romanzo. "

Quindi cosa significa "interpretare" un testo ?
"Significa lavorare sui toni, provare e provare fino ad arrivare alla uniformità assoluta del colore.  Co sono esempi di interpretazione perfetta del testo letterario. Per esempio uno che ho sempre ammirato è Pinter, che ne La donna del tenente francese ha raggiunto ottimi risultati. Non così invece con Proust che Pinter sceneggiò per Schlondorff. Ne venne fuori davvero un brutto film: d'altronde Pinter stesso aveva confessato di non aver mai letto Proust."

E oggi invece come le sembra la situazione dei nuovi sceneggiatori, dei nuovi autori del cinema italiano ?
" Devo dire di trovarmi un po' disorientata di fronte a certe tendenze: quando, per il fatto di essere in giuria al Premio Solinas, mi metto a leggere le sceneggiature dei nuovi autori scopro che c'è un totale disinteresse per i dialoghi.  Mentre invece ci sono grosse indicazioni, dettagliatissime, per esempio sulla scelta delle musiche, dei singoli pezzi musicali.  Ecco, francamente credo che  i dialoghi non vadano trascurati, specialmente quando si tratta di un film in costume.  D'altronde però noto che non è scomparso ancora il piacere di raccontare.  E questo secondo me è un bene: possiamo discutere all'infinito se un film sia o no opera d'arte, ma credo che alla fine questo non conti niente.  Io continuo a vedere film e siccome mi piace vederli, continuo a preferire che mi raccontino storie, delle vere storie."

Fabrizio Falconi, Il perfetto incrocio tra letteratura e cinema, intervista a Suso Cecchi D'Amico, Paese Sera, 11 marzo 1989.