Visualizzazione post con etichetta garzanti editore. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta garzanti editore. Mostra tutti i post

03/05/17

Ritorna in Libreria "Roma, la pioggia" di Robert P. Harrison.






Ritorna in libreria, dopo quasi un ventennio dalla prima edizione di Garzanti, il bellissimo libro di Robert P. Harrison dedicato a Roma. 

Un giovane studioso di letteratura e un enigmatico personaggio, entrambi stranieri, discorrono passeggiando per le strade e le piazze di Roma. Nella metropoli caotica e decadente – disorientato fantasma della città eterna – le loro cinque conversazioni si accendono a contatto con il quotidiano vuoto di senso e i suoi nevrotici surrogati. Risucchiate nelle spirali di questo romanzo-saggio, che si legge come un “dialogo” della tradizione classica, le odierne crociate antifumo, l’industria del restauro, le automobili, la visita al cimitero in un giorno di pioggia, si trasformano in altrettante occasioni per interrogarsi sulla letteratura, la vera strada che apre all’interpretazione del mondo.

ROBERT POGUE HARRISON (Smirne, 1954). Insegna Letteratura italiana alla Stanford University ed è membro dell’American Academy of Arts and Sciences dal 2007. Ha dedicato i suoi primi studi a Dante, poi ha approfondito i simboli delle immagini e della letteratura occidentali in diversi saggi, molti dei quali tradotti in italiano: Foreste (1995), Il dominio dei morti (2004), Giardini (2009) e L’era della giovinezza. Una storia culturale del nostro tempo (2016).

03/11/15

Citazioni da "Roma , la pioggia... (a che cosa serve la letteratura?)" di Robert Pogue Harrison




Citazioni tratte da Robert P. Harrison, Roma, la pioggia.... A che cosa serve la letteratura? Traduzione di Stefano Velotti,  Garzanti editore, Milano, 1995. 



Il nostro lavoro è fallito, ci rifiutiamo di porci le domande critiche, cospiriamo contro le condizioni dell'intuizione e della riflessione. 
(pag.110)

*
(i morti) hanno bisogno di mostrarsi periodicamente, di scivolare tra i nostri momenti vuoti, le nostre ore di noia e d'indolenza. Hanno bisogno di venirci a trovare di tanto in tanto, e di stendere un velo sul mondo, assentandoci dalle nostre immediatezza.
(p.109)

*
tu appartieni alla prima generazione di una storia millenaria per la quale l'incertezza è la regola, non l'eccezione.
(p.93)

*
So bene che c'è più di una natura nell'umano, ma quel che intendo dire, credo, è che ciascuno di noi possiede una disposizione propria , un peso - pondus amoris - che appartiene a uno dei quattro elementi: il mio, sembra, appartiene alla terra.
(p.92)

*
Quando le chiesi, tra lo scherzo e la fantasia, se voleva vivere con me, rispose: "voglio morire con te."
(p.91)

il linguaggio non è semplicemente uno strumento di comunicazione, un mezzo per esprimere o denotare, ma la nostra condizione. La letteratura in generale, e la poesia in particolare, ci ricordano che, chiunque noi siamo, siamo condannati all'alienazione della parola.
(p.80)

*
Il compito dello scrittore è trovare la voce, l'idioma, in cui sentiamo parlare in noi quell'altra dimensione.... Il valore di uno scrittore può essere misurato sulla capacità di attingere a questo straniamento. 
(p.74)

*
A che serve provare a giustificare il mondo, o credere che abbia bisogno del nostro consenso ?
(p.117)

*
L'arte di dimenticare. In questo siamo maestri.
(p.122)

*
E' così semplice. I nostri problemi non sono fuori della nostra portata. Dobbiamo farne l'inventario e agire - agire in nome di noi stessi, non in nome dell'idea che ci siamo fatti di ciò che crediamo di essere e di volere.  Agire come possiamo, ricordandoci che alcune cose sono in nostro potere, altre no. E' in nostro potere sapere cosa non è in nostro potere. 
(p.129)

*
La parte più difficile è sapere quello che vogliamo. Il resto è facile.







23/11/11

Intervista a Robert Pogue Harrison - Il dominio dei morti.



Robert Pogue Harrison  è direttore del Dipartimento di Francese e Italiano presso l’Università californiana di Stanford, una delle più prestigiose d’america. Ma, da diversi anni è anche autore raffinato sulla scena internazionale, con saggi che attraversano materie differenti e contigue come la letteratura, la filosofia, l’antropologia. Un percorso originale che gli è valso l’attenzione  dei massimi critici, riconoscimenti, e traduzioni in tutto il mondo.
In Italia, il suo primo lavoro, Foreste,  L’ombra della civiltà ( Garzanti ) è apparso nel 1992, seguito da un curioso e affascinante piccolo libro dedicato alla sua “seconda città” ( Harrison ha vissuto per molti anni a Roma ), Roma, la pioggia. A cosa serve la letteratura ( I Coriandoli, Garzanti, 1995 ). Ancora inedito in Italia è il suo lavoro su Dante, The Body of Beatrice, mentre dalla Fazi è pubblicato Il Dominio dei morti  un saggio che è costato cinque anni di lavoro, e che sceglie come suggestivo campo di indagine il rapporto culturale e antropologico tra morti e vivi, attraverso l’opera di grandi scrittori, poeti e filosofi. Un’opera impegnativa, ma allo stesso tempo di grande leggibilità ed enormemente stimolante, che in America ha raccolto reazioni entusiastiche, ed è già stata con successo tradotta in Francia, Germania, e ora anche in Italia. 

D. : Dunque, Harrison, cominciamo dal titolo.  Perché:  ‘ il dominio dei morti ‘ ?  Viviamo in un mondo che sembra ignorare i morti. Un mondo dove la morte, i morti, sembrano completamente rimossi. Lei invece suggerisce addirittura un ‘dominio’.
R. :  Nel titolo, nel titolo di questo libro, ci sono almeno due allusioni. La prima ad un celebre verso di Dylan Thomas, and death shall have no dominion. La seconda, a San Paolo che nella Prima Lettera ai Corinzi, chiede: O morte, dov’è il tuo dominio (o la tua vittoria, a seconda delle traduzioni )?  E’ ovvio che in questo mio titolo è contenuta una sfumatura polemica. In effetti viviamo in un mondo dove sembra che la morte non esista, e dove facciamo di tutto per esorcizzarla, rimuoverla.  Ma, nonostante tutti i nostri sforzi, non possiamo fare a meno, noi viventi, di essere totalmente influenzati dai nostri predecessori, da coloro che sono morti. Le nostre religioni, i comandamenti, ma anche le istituzioni, il diritto, le costituzioni e soprattutto il linguaggio che noi viventi abitiamo, sono stati ‘pre-abitati’ da coloro che ci hanno preceduto. Noi parliamo una lingua creata da coloro che sono morti. Ogni parola che noi usiamo ci è stata tramandata. Le parole sono abitate dai morti, così come tutte le cose umane.
 Non solo i cimiteri, o i monumenti ci ricordano i morti, ma anche l’immagine ( alla quale ho dedicato l’ultimo capitolo ), possiede qualcosa di fortemente evocativo, e in certo senso mortuario. Come appare chiaro specialmente nel ritratto fotografico: grazie al ritratto, continuiamo a vedere persone che non ci sono più, che non abitano più tra noi. L’invenzione della tecnologia moderna ha fatto sì che siamo ormai circondati da immagini dei morti ( pensiamo solo ai vecchi film, continuamente trasmessi in televisione ). Da un lato quindi siamo privati di un rapporto proficuo, continuo con i nostri morti, e tendiamo a metterli a distanza, dall’altra siamo circondati e sovrappopolati dalle immagini dei morti.