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28/03/12

Ti ricordi quando sono nato ?




'Ti ricordi quando sono nato?'
'Sì' 
'Com'ero ?'
'Eri due occhi che mi guardavano. Nessuno mi aveva mai guardato così prima.'
'E così hai saputo chi eri ?'
'Sì, ho conosciuto il mio nome, prima di conoscere il tuo.'





20/04/11

La vita convulsa e il centro perduto.


Viviamo oramai tutti (o quasi) vite random: le cose non ci accadono perché le scegliamo, ma perché ci capitano addosso. Mentre facciamo una cosa, ce ne capita un’altra.

Sì, siamo impegnati a scrivere quella che sarebbe una calorosa mail a un nostro caro amico lontano, ma nel frattempo squilla il cellulare e c’è una telefonata che non possiamo mandare indietro; lampeggia un flash sul computer e il download della canzone che amiamo da I-Tunes è terminato, dobbiamo ricordarci di accendere la tv per sapere che tempo farà domani; ma nel frattempo un sms ci ricorda che non abbiamo rinnovato l’assicurazione e passiamo mezz’ora al call-center in cerca di un operatore che ci ascolti.

‘Troppe informazioni mi rendono pazzo’, cantava un celebre ritornello di Sting e soci.

Più che pazzi, poi – nel senso comunque di dissociati – sembrerebbe che la frammentazione inarrestabile delle vite porti ad un senso di infelicità latente. Se faccio mille cose, ma nessuna di queste mettendoci dentro TUTTO me stesso, come farò ad essere felice?

Non è che la ‘vita liquida’ scivola via dalle dita senza lasciarci nulla di solido in mano?

Eppure, quando ci succede qualcosa di inaspettato e brutale – un lutto, una perdita di lavoro, la fine di un rapporto – improvvisamente ci rendiamo conto che così non va, non può andare.

Ci ricordiamo che la nostra vita è (sarebbe) ancorata a un Centro. Il nostro Centro ha un suono solenne, come il sax di Jan Garbarek che svaria sulle voci del coro dell’Hilliard Ensemble. Il nostro Centro è come il galleggiante di una lenza. Le acque turbinose lo sbattono di qua e di là, ma non appena le onde si placano, il galleggiante si riposiziona nella sua posizione naturale. In quello che è e che dovrebbe essere il Centro. La vita random può anche andare bene. Ma sarà difficile, in una vita random, ascoltare un giorno il sussurro del Centro che palpita in ognuno di noi.

Fabrizio Falconi

25/02/09

PARCE MIHI DOMINE - Quando la preghiera si fa musica - Jan Garbarek

 

Capita a volte che la musica sia la porta più semplice per arrivare a Dio. E' questo il caso di un disco particolarissimo, che spesso metto sul mio stereo. Lo ha realizzato anni fa Jan Garbarek. Si intitola Officium. Sono elaborazioni moderne (Garbarek è un grande sassofonista) sulla base di canti gregoriani del XV. secolo . Vi riporto qua sotto la scheda tratta da http://ruckert.splinder.com/ ma poi vi invito a guardare semplicemente questo video (o ad ascoltare soltanto la musica) e ad abbandonarvi completamente. Islanda. Un oceano irregolare di lava raffreddata si distende fino all'orizzonte. Manfred Eicher il percorre con la sua auto la strada. Era, come sempre, pensieroso e pronto a far esplodere la sua mente in mille idee, spesso meravigliose quanto folli, ma capaci di rendere la sua casa discografica - ECM records - una delle più importanti al mondo per la diffusione della musica contemporanea.

In sottofondo, a far da contorno a quel'affascinante paesaggio lunare, la musica dell'Officium defunctorum di Morales (XVI° secolo). Passano i giorni nella fredda e desolata Islanda. Nella mente di Manfred le idee iniziano a raffreddarsi e stratificarsi lentamente. Nei suoi pensieri riecheggiano contemporaneamente ascolti recenti, musiche del passato e del presente, i canti polifonici medioevali ed il sassofono inconfondibile di Jan Garbarek, musica antica e jazz.

Poi tutto trova d'incanto la sintesi in un'idea assurda e coraggiosa: unire le improvvisazioni di Garbarek con le voci di un lontano passato del quartetto vocale inglese "The Hilliard Ensemble". Così nacque "Officium", uno dei lavori discografici più indescrivibili, affascinanti, coraggiosi, intriganti e profondi degli ultimi vent'anni.

Un incontro impossibile tra musiche di epoche diverse, un paradosso temporale cui è impossibile dare un nome e tantomeno un'etichetta. Un quartetto vocale esegue brani polifonici di musicisti vissuti fra il 1200 ed il 1500, mentre in sottofondo il "jazzista" Jan Garbarek improvvisa con il suo sassofono. Che fortuna può avere una follia del genere? Da come venne accolto il disco all'epoca della sua pubblicazione nel 1994, vien da pensare che avevano ben ragione i latini nel dire: "Audax fortuna iuvat". Il disco ebbe un grande successo, tenuto anche conto dell'ambito colto al quale si rivolgeva. Un successo non solo di vendite, ma anche di critica. Certo come sempre non mancarono alcune voci sfavorevoli, ma furono comunque minoritarie. I più furono affascinati dalle peripezie di Garbarek che con semplicità si univa alle voci del quartetto vocale inglese. Questo accostamento in apparenza innaturale e assurdo riesciva ad avere e dare un senso di estrema naturalezza, linearità e continuità. Un disco unico insomma. Questa musica regala pace ed oggi riavvicinandomi ad essa ho constatato che gli anni non hanno modificato la percezione ed il ricordo di questi suoni sereni, spirituali ed intensi. Immobile nel tempo, sospesa nello spazio questa musica non invecchia e vive autonomamente in un luogo che non esiste e non è mai esistito se non nella mente meravigliosamente folle di un produttore discografico. Chissà se Manfred quel giorno era consapevole della forza della sua idea.