Visualizzazione post con etichetta fellini. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta fellini. Mostra tutti i post

08/05/23

"Il Sol dell'Avvenire" - RECENSIONE - Moretti vive, Nanni non tanto


"Il sol dell'Avvenire" è un ritorno, o meglio un tentativo di ritorno - dopo film piuttosto convenzionali culminati nel brutto "Tre piani" - al Nanni delle origini e della prima maturità (per intenderci, fino ad Aprile compreso).

Moretti celebra il Nanni che fu, con tutti i suoi topos - la coperta patchwork, la fissa sulle scarpe, Battiato, il giro in monopattino (al posto dello scooter), i calci al pallone - ma sarebbe meglio dire che ne celebra le rovine. Perché - come avviene a tutti - anche Moretti è invecchiato, e quel Nanni che fu, non può più essere lui, ma solo una nostalgia di quello.
Detto questo, il film è efficace e ben scritto, ma è opera sostanzialmente di un lavoro a tavolino, con ben tre sceneggiatrici che si sono affiancate a Moretti per scrivere il copione, fin troppo didascalico, dialogato (con dialoghi che appunto sembrano scritti e letti, parola per parola, non naturali), soppesato.
Ciò che manca qui, come mancava molto più drasticamente nei precedenti film a questo - quelli del dopo "Aprile" - è la vera ispirazione, cioè la poesia.
Moretti la tenta, ma non c'è più lo scatto folgorante di Nanni, l'invenzione folle, c'è solo la ripetizione dei già conosciuti cliché, che vanno bene per il suo pubblico, che lo ama da sempre, e che se ne sente consolato e rassicurato (e in fondo anche lui).
Ci sono le strizzate ai francesi, che lo adorano - dal personaggio di Pierre, alla comparsa di Renzo Piano, che ai cugini d'oltralpe ha regalato il Beaubourg. C'è il pieno omaggio a Fellini (vero riferimento di Nanni dai tempi di Ecce Bombo), con un circo dove però nulla è realmente felliniano, ma solo imitazione del felliniano, e con la citazione esplicita del finale di La Dolce Vita e il meraviglioso primo piano finale di Valeria Ciangottini, che è uno dei momenti più felici del Sol dell'Avvenire.
C'è un film nel film - anzi tre - sui fatti d'Ungheria visti dall'Italia, ci sono i soliti Silvio Orlando e Margherita Buy, bravi ma convenzionali (la migliore è di gran lunga Barbora Bobulova). Ci sono i soliti "giovani" che vanno per conto loro, con la figlia improbabilissima innamorata del grande Jerzy Stuhr che fa la parte dell'ambasciatore polacco. Ci sono troppe canzoni che strizzano l'occhio allo spettatore. C'è la sequenza imbarazzante del cast e Moretti che cominciano a roteare per un'ora come i dervisci tourner. C'è l'immancabile crisi matrimoniale di Moretti, uno psicologo da barzelletta, un finale nostalgico girato ai Fori Imperiali (il film non deve essere costato poco) con elefanti veri e corteo dove ricompaiono molte delle figure di attori dei film del vecchio Nanni.
Tutto fatto bene, tutto che scorre (anche se a tratti devo dire purtroppo di essermi anche annoiato), ma senza mai spiccare veramente il volo.
Ci sono almeno un paio di scene molto belle dove per qualche secondo si scorge dietro questo bel vestito compunto, il vero vecchio Nanni: la prima, il piano sequenza al termine della bellissima tirata di Moretti contro la violenza gratuita nei film, ormai dilagante. La macchina da presa lascia sullo sfondo l'orrenda esecuzione con la pistola e Nanni si allontana lentamente sulla musica di Franco Piersanti; la seconda è il monologo "suggerito" da Nanni dal finestrino della macchina a una bravissima giovane attrice - Blu Yoshimi che ho scoperto essere figlia d'arte e sembra un reale talento - che sta lasciando il suo fidanzato.
Insomma, Moretti vive (Nanni no, o poco). Il voto è 6.5. E tutto il bene per Nanni-Moretti resta immutato.

Fabrizio Falconi

10/08/22

L'incredibile storia del ristoratore romano che finì protagonista del Fellini's Satyricon


Nel Satyricon, realizzato nel 1969 da Federico Fellini, film oggi assai ostico, colmo di visioni apparentemente scollegate, privo di una vera e propria trama, cupo e volutamente respingente, è centrale il personaggio di Trimalcione, che Fellini riprende fedelmente dal testo di Petronio.
Anzi, il peso della cena da Trimalcione (liberto arricchito che sfoggia un lusso volgare) risulta inferiore nella pellicola. Diciannove minuti e cinquanta secondi, il sedici per cento del totale del film. Mentre nel “romanzo” l’episodio occupa più di un terzo di spazio, il trentasei per cento per la precisione.
Altra differenza fondamentale è che nel libro il poeta Eumolpo, interpretato dal grande Salvo Randone non è presente nella cena, e nel film sì.
La cosa geniale è che Fellini scelse per il ruolo di Trimalcione, così importante, il "Moro", all'anagrafe Mario Romagnoli, oste capitolino, titolare del ristorante “Al moro” e come tale (“il Moro”) accreditato nei titoli di coda.
Il ristorante, piccolo, intimo, era uno di quelli preferiti da Fellini, a due passi da Fontana di Trevi.
Fellini fu colpito dallo sguardo “sabbioso” dell’uomo, dalla sua faccia di “Onassis tetro”, immobile, quasi una mummia.
Una faccia più "romana" di questa, in effetti, sembra impossibile che potesse essere trovata.
"Il Moro" si era portato sul set la moglie e la figlia che, nei primi giorni, avevano tentato invano di fargli ripassare le battute.
Nonostante tutta la sua buona volontà da alunno delle scuole elementari se ne stava li col faccione buio e greve.
La lentezza, la concentrazione per cercare di ricordare una parola erano tali per cui l'impresa risultava patetica e impossibile.
Racconta Fellini: "Allora per sbloccarlo gli dissi: senti Moro, prova a dire i numeri, unoduetrè, quattrocinque... Senonché il ritmo della mia voce che gli dava le battute a questa nuova emozione di dover dire dei numeri non combinava nulla di buono. Come fare? Alla fine fu lui, geniale, a suggerire una soluzione. "Potrei dire dei menù. Perché lì io vado come un treno". E così Trimalcione raccontava al poeta Eumolpo, un artista cialtrone, miserabile e scroccone, come aveva fatto le sue ricchezze dicendo "Oggi ciavemo du' cotolette a scottadito che ve magnate pure le dita, poi n' insalata con la rughetta, ' na goccia d' olio, tutto limone e niente aceto che l' aceto sulla rughetta non ci sta bene..."
Geniale.

15/08/18

Lina Wertmuller compie 90 anni. E' stata la prima donna candidata all'Oscar per la Regia.



Ieri, 14 agosto, Lina Wertmuller ha spento 90 candeline.

Nata a Roma il 14 agosto del 1928 e' stata la prima donna candidata all'Oscar per la regia di "Pasqualino settebellezze" del 1977, (saranno quattro le candidature in totale).

La "donna con gli occhiali bianchi", autrice di alcuni dei piu' grandi successi della televisione italiana come "Gian Burrasca",  fa il suo esordio al cinema nel 1963 con "I basilischi".

A 17 anni, dopo essersi iscritta ad una scuola di teatro e aver fatto la burattinaia, grazie all'influenza di Flora Carabella (con cui nasce un'amicizia durata una vita) conosce Federico Fellini, con cui lavora come aiuto regista ne "La dolce vita".

Nel 1956 e' tra gli autori di "Canzonissima" mentre nel 1963 quando le viene affidata la versione televisiva di "Gian Burrasca" ha l'intuizione di affidare il ruolo principale a Rita Pavone.

Nel 1972 dirige Giancarlo Giannini e Mariangela Melato in "Mimi' metallurgico ferito nell'onore", successo ripetuto con la coppia di eccezionali attori in "Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'agosto" fino al successo mondiale di "Pasqualino Settebellezze". 

 Nel 1992 e' campione d'incassi con "Io speriamo che me la cavo", film con Paolo Villaggio. Grazie a Sophia Loren, con cui ha collaborato in film come "Sabato domenica e lunedi'" (da De Filippo) nel 1990 a "Peperoni ripieni e pesci in faccia" (2004), ha scoperto una sensibilita' napoletana che l'ha portata a ricevere la cittadinanza onoraria nel 2015.

fonte askanews

19/03/18

Ritrovata la Triumph di "Marcello" ne "La dolce vita": era a Rimini.


Chi non ricorda la meravigliosa Triumph nera guidata da Marcello, ne "La Dolce Vita", con la quale Mastroianni scarrozza di notte la meravigliosa Anita in giro per Roma ? 

Ebbene, è stata ritrovata da un appassionato di auto d'epoca, Filippo Berselli, avvocato ed ex parlamentare. 

L'auto - considerata al terzo posto in una classifica americana delle 10 più celebri della storia del cinema - è stata ritrovata per caso. Berselli era da tempo a caccia di una Triumph T3 - lo stesso modello di quella de La Dolce Vita e su internet si è imbattuto proprio nella vendita di un esemplare di questa auto, subito incuriosito dal fatto che fosse stata immatricolata sin dall'origine in Italia. 

Contattato il venditore e dopo una breve trattativa la acquista.  Salvo scoprire poco dopo, dall'esame cronologico del Pra che la targa di prima immatricolazione era stata Roma 324229 e risaliva al 15 luglio 1958.  

Da un esame più approfondito della carta di circolazione, Berselli scopriva poi che dopo un paio di passaggi proprietari, l'auto era stata rivenduta nel maggio 1959 alla società di produzione film Riama: proprio la società di Rizzoli e Amato che aveva prodotto La Dolce Vita. 

Ricostruendo la vicenda per intero, Berselli ha appurato che il primo proprietario fu Armando Berni, nipote del re delle fettuccine Alfredo dell'omonimo, celebre ristorante di Piazza Augusto Imperatore, che all'epoca era frequentato dal jet-set internazionale.  


Nei mesi successivi Berni  intestò poi l'automobile a Maurizio Conti che all'epoca era un attore alle prime armi, con qualche particina in pellicole del genere Peplum e anche nel Bell'Antonio a fianco di Mastroianni e anche ne La Dolce Vita.

Anche Conti frequentava il ristorante Alfredo ed era amico di Armando Berni. Rintracciato da Berselli, Maurizio Conti - ancora vivo e in forma, ha raccontato di non aver mai guidato la vettura, ma di aver fatto soltanto da prestanome al Berni, che forse aveva già troppe auto intestate. 

A un certo punto, Armando evidentemente decise di riappropriarsi della macchina: aveva avuto un'offerta da Fellini stesso, o dai produttori, che frequentavano il ristorante della Dolce Vita. E così la Triumph passò nelle mani della Riama cinematografica. 

Oggi l'auto, dopo essere stata esposta nel 2016 nella rassegna Effetto Notte - e dopo un accurato restauro in una carrozzeria di Rimini (per incredibile coincidenza era andata a finire proprio nella città del Regista....) - fa bella mostra di sé in importanti rassegne d'auto d'epoca internazionali.

Fabrizio Falconi

fonte: Emilia Costantini, Quella spider che segnò la Dolce Vita, il Corriere della Sera, 18 giugno 2016.



09/01/18

Riapre il mitico Cinema di Fellini, il "Fulgor" di Rimini.



Il Cinema Fulgor, la sala di Federico Fellini, riaprira' a Rimini il 20 gennaio, giorno del compleanno del 'Maestro' romagnolo che la ricostrui' negli studios di Roma per girare 'Amarcord'

Saranno 36 ore di festa per una "riapertura non convenzionale", ha detto il sindaco, Andrea Gnassi. 

Si parte alle 22 del 19 gennaio nella piazzetta San Martino con una festa organizzata dai locali del posto e poi un appuntamento speciale, alla mezzanotte quando ci sara' un ingresso, con ospiti d'eccezione, negli spazi del Fulgor che vanta una sala cinematografica ideata dallo scenografo da Oscar, Dante Ferretti

Il 20, nella mattinata inaugurale a festeggiare ci sara' anche il ministro dei Beni e delle attivita' culturali e del turismo, Dario Franceschini, oltre a personaggi del cinema e dello spettacolo mentre la sede sara' aperta al pubblico fino a notte. "Il senso della riapertura del Fulgor nel giorno del compleanno di Federico Fellini - commenta Gnassi - sta appunto nel concetto di festa, di contentezza, di gioia per un ritorno che va a beneficio di tutti. L'apertura del Fulgor sara' popolare, non elitaria". 

Fellini sul set di Amarcord con il "Fulgor" ricostruito a Cinecittà

Il Fulgor nasce nel 1914, ma e' solo nel 1920 che trova sede nell'attuale palazzo Valloni dopo una prima ristrutturazione ad opera dell'architetto Addo Cupi. Poco piu' di 97 anni dopo, il cinema, ristrutturato dall'architetto Anni Maria Matteini, riapre e nell'inusuale allestimento di Ferretti che con Fellini ha lavorato a 6 film, si rivivra' una vera e propria messa in scena cinematografica che esalta la magia "dell'andare al cinema" oltre che del "fare cinema"

Il primo film che Fellini vide al Fulgor fu 'Maciste all'Inferno' e nell'allestimento vi e' proprio un omaggio al cinema americano degli anni '30 e '40. La programmazione della sala sara' curata dalla societa' Khairos e l'ossatura della programmazione sara' costituita da film di qualita' e nuove uscite, mentre una parte importata sara' dedicata a Fellini. Tra gli obiettivi rendere il cinema un luogo aperto per incontri con corsi e mostre, approfondimenti e studi, anche la mattina. 

07/12/14

La (quasi) insostenibile perfezione della felicità - 'Stardust Memories'. (VIDEO)



In Stardust Memories (1980), di Woody Allen, c'è una delle più nitide elegie alla felicità umana, racchiusa in un paio di minuti di cinema.

Il regista Sandy Bates, che ripercorre in un esplicito omaggio a 8 e 1/2 di Fellini, la sua vita, i ricordi e il presente, tra il suo mestiere di cineasta e la sua vita privata, torna ad un certo punto del film a rivisitare il suo rapporto con Dorrie, una donna instabile e affascinante, con la quale ha troncato da poco. 

Nel ricordo di Sandy c'è in particolare, quello di un pomeriggio, a casa con Dorrie.  

Non era successo niente di particolare.  Un giorno di festa, una domenica come tante altre.  I due sono tornati da una passeggiata, non hanno niente di importante da fare.  Sandy mangia uno yogurt sul divano, Dorrie sfoglia una rivista, sdraiata sulla moquette.  In sottofondo c'è un vecchio standard di Louis Armstrong. 

La camera fissa, dopo l'introduzione della voce fuori campo di Bates, resta per più di un minuto sul volto di Dorrie-Charlotte Rampling, che si sente osservata, che intuisce, nel silenzio di quel lungo (eterno?) momento, la possibilità concreta della felicità umana, esistente su questa terra.  Condivisa. Insieme all'amato (e a chi a sua volta, ama). 

Le parole sono finite o non servono più.  Bisogna solo fermarsi, guardarsi, sorridere.  Socchiudere gli occhi forse, di fronte a tanta bellezza. Come un sogno, forse è già volata via. Come l'essenza, forse, è per sempre impressa in quel sentire eterno e non andrà mai più via.

Fabrizio Falconi 


06/10/14

Teatro dell'Opera e i licenziamenti-skock. La profezia di Fellini (e la memoria corta di Dante Ferretti).




Si fa un grande uso di questi tempi dell'aggettivo profetico.

Si fa presto a dire profetico.

Eppure, se questo aggettivo deve essere usato per una volta con cognizione, lo dovrebbe per Prova d'Orchestra, che Fellini realizzò nel 1979. 

Un filmetto realizzato per la RAI di allora, che se rivisto oggi, proprio oggi alla luce di quanto sta succedendo al Teatro dell'Opera di Roma, con i licenziamenti collettivi-shock decisi dalla giunta Marino, lascia di stucco.  

Sulla vicenda è intervenuto ieri anche lo scenografo Dante Ferretti, tre volte premio Oscar, che di quel film realizzò gli scenari, in una intervista al Corriere della Sera, nella quale - fra l'altro - ricorda di come fu proprio lui a suggerire a Fellini l'idea della grande sfera d'acciaio per le demolizioni che nel tragico finale del film demolisce le pareti del Teatro, all'interno del quale gli orchestrali hanno litigato ferocemente, si sono ribellati al direttore d'orchestra e hanno distrutto tutto. 

Leggendo l'intervista però, sono rimasto molto sorpreso dalla inesattezza - o dalla mancanza di memoria - di Dante Ferretti, peraltro non corretta dall'estensore della intervista, il bravo Paolo Conti. 

Arriva infatti, alla fine della intervista, dopo che si è parlato del significato del film, che era per Fellini una metafora dell'Italia (di allora e di oggi), ingovernabile e anarchica, dove vige solo interesse e tornaconto personale e dove alla fine ci va sempre di mezzo l'innocente (A Federico piacque moltissimo l'idea della palla per le demolizioni, racconta Ferretti, volle che ci fosse una vittima, l'arpista che muore sotto le maceri. Il personaggio più mite e dolce),  Paolo Conti domanda a Ferretti:

Cosa spera che accada ora al Teatro dell'Opera di Roma ? 

Risponde Ferretti:

"Mi auguro che si ripeta la scena finale del film. Lì la sfera abbatte la parete, costringe tutti al silenzio e si riprende il lavoro seguendo il direttore d'orchestra. Oggi spero che tutti a Roma decidano di rimboccarsi le maniche e di lavorare per il bene del Teatro. Non credo ci siano alternative."

Credo che davvero l'interpretazione dell'apologo in questo modo, non renda onore al genio di Fellini. 

Ferretti infatti dimentica che il finale del film è piuttosto agghiacciante: dopo la demolizione e dopo lo shock e la morte dell'innocente, è vero infatti che gli orchestrali riprendono il lavoro - tra le macerie - seguendo il direttore d'orchestra. 

Ma nel frattempo, il direttore d'orchestra è diventato un tiranno. 

Il film si conclude con un pugno allo stomaco: appena conclusa la prova, il direttore, che è un tedesco, comincia a gridare sempre più forte, in modo isterico, in tedesco, lo schermo va a nero, e resta solo la voce fuori campo del direttore, distorta dalla rabbia autoritaria, che è sinistramente sovrapponibile a uno dei discorsi tenuti alle folle da Adolf Hitler negli undici anni del suo potere folle e sanguinario. 

Non è affatto, perciò un lieto fine. Gli orchestrali sono tornati al lavoro solo perché una forza più grande li ha spaventati, li ha sottomessi.  In pochi istanti sono diventati agnellini e sono ora disposti ad assecondare il direttore che verrà (se sarà un direttore buono o uno terribile e criminale, sarà la stessa cosa). 

Davvero non c'è da augurarsi un finale così per la penosa vicenda del Teatro dell'Opera di Roma - e per l'Italia tutta.   

Ci sarebbe bisogno di un finale come quello auspicato da Dante Ferretti. Che non è però quello descritto da Fellini, che forse conosceva gli italiani meglio di tutti. 


Il finale di Prova d'Orchestra

Fabrizio Falconi - riproduzione riservata. 

22/06/13

"La grande bellezza" di Paolo Sorrentino, un film deludente e mortifero.




Il talento espressivo indiscutibile di Paolo Sorrentino si è avvitato in un film dalle grandi ambizioni, inutile.

Cosa ha da dirci La grande bellezza ? Cosa ha da dirci che non possiamo già sapere accendendo la TV o cliccando su Dagospia e su Cafonal ? 

Cosa ha da raccontarci di Roma, che si supporrebbe essere la protagonista del film, e soprattutto di noi ?

Sorrentino mette in scena un disfacimento esteriore - quello di una città e più in generale di un paese - al quale corrisponde un disfacimento interiore, di Gep, del protagonista e di tutto il coro: una specie di entusiastica dissoluzione, di una compiaciuta perdizione. 

Nulla ha più senso ci dice Gep-Sorrentino e l'unica nostra possibilità è quella di organizzarci una serata. 

Possibilmente rimbambirci con qualche deterrente artificiale, con l'eros, con un drink, con una sniffata, con un discorso inconcludente, con una passeggiata all'alba mentre tutti dormono. 

I corpi sono deformi o in putrefazione. Come le coscienze. 

La tirata di Gep contro la moralista di sinistra e contro l'episcopo e la sua presunta fede, sono il manifesto di un nichilismo consapevole e compiaciuto che non vede altro orizzonte se non quello della propria di-sperazione e altro sogno se non quello della propria sparizione. 

Ma in tutto questo si intravvede qualcosa di nuovo ? Qualcosa che già non sappiamo ? Questo è il panorama  che tutti i giorni abbiamo di fronte, lo sappiamo tutti.  

Ma un artista, un autore, forse dovrebbe essere capace di andare oltre.

Oltre il proprio compiacimento. Ne La grande bellezza c'è un grande, barocco, eccessivo compiacimento: che bello (ma a che serve, a che fine artistico serve?) che il direttore di Gep sia una nana! Che bello che la vecchia santa sia un cadavere ambulante, una sorta di Tutankhamen che spaventa i bambini.  Che bello che le performances artistiche cui Gep assiste siano una tedesca che prende a capocciate a sangue i monumenti di Roma o una ragazzina che sembra uscita dall'Esorcista che schizza colori su una parete.

Che bello che le vecchie matrone abbiano il corpo sfatto e devastato di Serena Grandi...  Che le feste con i trenini ci portino tutti gli orrori della volgarità umana. 

Ma dopo ? Ma poi ?   

Sorrentino ha in mente Fellini, è fin troppo esplicito. 

Ma Fellini aveva già fatto TUTTO quanto ha fatto Sorrentino - la Saraghina ha 50 anni più di Serena Grandi, è venuta 50 anni prima - con la semplice differenza che il genio di Fellini era capace di trasformare anche l'orrore, la volgarità e la miseria umana in poesia. 

La poesia è anche e soprattutto vita. 

Negli anfratti de La Dolce Vita la gioia pullulava sotto la disperazione di Marcello. La vita premeva. 

La Grande Bellezza è invece solo un compiaciuto paradigma di morte.  

La poesia, che dovrebbe essere relegata alle scene sontuose di Roma, è avvilita e povera, non spicca mai il volo. Tra l'altro, Sorrentino ci ripropone anche un catalogo delle bellezze di Roma molto scontato,  molto visto (il Marforio, l'occhio dell'Aventino, la prospettiva di Palazzo Spada,  la Fornarina), sembra Roma vista dall'occhio di un provinciale: quale è in fondo Gep, un campano trapiantato a Roma come Sorrentino. 

Anche Fellini era un parvenu, un provinciale. Ma la differenza è proprio questa: Fellini aveva contribuito a creare con il suo genio, con la sua arte, la Roma di quegli anni che ha deciso di raccontare nei suoi film. Sorrentino invece non crea nulla. E' un visitatore di passaggio, come ne ha avuti Roma  a centinaia di migliaia nella sua lunga vita: un cronista, per lo più enormemente affascinato a raccontare soltanto il trivio e il mortifero, come piace fare del resto, ai cronisti. 

Fabrizio Falconi.

08/10/12

Fellini e la Saraghina - un inedito.





Questa è la Saraghina. L'ho conosciuta davvero: un donnone monumentale che abitava in una strana tana, un fortino semidistrutto che risaliva all'altra guerra, sulla costa adriatica.   

Dalle mie parti le "saraghine" sono i pesci che mangiano i poveri, quello che resta in fondo ai cesti delle paranze e che si dà via per niente. 

Quel donnone, i pescatori lo pagavano così.

Avrò avuto nove anni, un giorno rimediai qualche soldo e con degli altri ragazzotti andai a trovare la Saraghina. Mi ricordo che a un certo momento si mise a ballare muovendo il gran pancione con sussulti da terremoto che ci turbavano e ci spaventavano. 

Ora nell'harem ho messo anche lei.  E' difficile da credere, con quel trucco in faccia, ma l'interpreta una soave signora che nella vita fa la professoressa di tedesco, a Milano.  

Detto questo, però non vorrei far pensare che il film è la storia segreta di un erotomane. Assolutamente no. Ma allora, che cosa è, questo 8 e 1/2 ?


Federico Fellini descrive così - su invito del settimanale - le immagini di Tazio Secchiaroli sul set di Otto e mezzo, pubblicate in anteprima assoluta da L'Europeo del 6 gennaio 1963, pag.36.


 

24/09/12

Krishamurti in Italia (la testimonianza di Vanda Scaravelli).




Jiddu Krishnamurti transitò diverse volte nel nostro paese. 

Nel 1966, quando l’amica italiana Vanda Scaravelli - era figlia di Alberto Passigli, aristocratico proprietario terriero, e personaggio molto in vista nella società fiorentina e moglie del marchese Luigi Scaravelli, professore di filosofia all’Università di Roma – lo portò in Italia per la prima volta, registi cinematografici (Fellini, Pontecorvo), scrittori (Moravia, Carlo Levi), musicisti (Segovia, Casals) fecero a gara per incontrarlo. 

Ma Krishnamurti non si lasciò coinvolgere dai riti mondani e non cambiò il suo semplice sistema di vita, apparentemente completamente alieno dai bisogni e dai desideri umani.

Continuò a passare gran parte delle sue giornate in meditazione, o studiando o scrivendo, o incontrando persone che volevano conoscerlo. 

Continuò, allo stesso modo, anche quel doloroso processo, che a tratti si impadroniva di lui e lo portava in uno stato di estasi e di distacco dal mondo, del quale la stessa Scaravelli (1) fu più volte testimone, e che così descrive nei suoi appunti: 

Dopo colazione stavamo conversando. In casa non c’era nessuno. Tutt’a un tratto K. svenne. Ciò che accadde a questo punto non si può descrivere, poiché non ci sono parole per darne minimamente un’idea: ma è anche qualcosa di troppo serio, troppo straordinario, troppo importante per essere lasciato nel buio, sepolto nel silenzio o tralasciato. Nel viso di K. ci fu una trasformazione. I suoi occhi divennero più grandi, vasti e profondi, ed ebbero uno sguardo sovrumano, che andava al di là di ogni spazio possibile. Fu come se ci fosse una presenza, un potere appartenente ad un’altra dimensione. C’era una inspiegabile sensazione di vuoto e di pienezza al tempo stesso. (2) 

I contorni di questo dove, di questa altra dimensione furono lasciati dallo stesso Krishnamurti sempre incerti. Non accettò mai di rispondere in modo preciso a ciò che avveniva durante quegli stati di coscienza che duravano anche giorni interi. Ma sempre, nei suoi discorsi, emerse chiaramente che si sentiva abitato o protetto da una volontà e da un verità superiore. Anche se Dio è una parola che Krishnamurti usò con incredibile parsimonia, proprio perché considerava quello che gli uomini descrivono come Dio una ulteriore prigione mentale, un pre-giudizio, uno schema di cui liberarsi, se si vuole arrivare davvero al centro autentico della verità.

1. Vanda Scaravelli, scomparsa nel 1999 è stata a sua volta insegnante di Yoga e di meditazione profonda, fino all’età di 80 anni, con all’attivo numerosi saggi. 
2. citazione tratta da Mary Lutyens, La Vita e la Morte di Krishnamurti, Ubaldini, 1990, Roma, pag.128.



Vanda Scaravelli in esercizio yoga. 


Fabrizio Falconi (C) riproduzione riservata

22/03/12

Tonino Guerra, Andrej Tarkovskij e la Russia.



Nel giorno della scomparsa di Tonino Guerra, ricordiamo con questo articolo il suo forte legame con la cultura e con il popolo russo, che sfociò nella collaborazione con il grande Andrej Tarkovskij (insieme nella foto qui sopra).

''Per me venire a Mosca e' un po' come tornare a casa'': lo diceva spesso Tonino Guerra, che a volte si sentiva piu' amato e apprezzato nel Paese di Tolstoj che in patria, come conferma l'eccezionale risalto dato dai media locali alla notizia della sua scomparsa.

Meta' della sua anima era russa, grazie alla moglie Eleonora Iablockina, chiamata affettuosamente Nora, conosciuta nel 1975 in casa di amici durante il festival del cinema di Mosca. E' stata lei a fargli conoscere e ad amare il Paese, diventando anche traduttrice di molte sue opere in russo.

Ma Tonino Guerra ha lasciato qui un segno profondo diventando una delle icone piu' popolari della cultura italiana. A partire dal cinema, dove ha lavorato con l'''esule'' ed amico AndreiTarkovskji (che nel '77 gli fece da testimone di nozze insieme a Michelangelo Antonioni): prima per il documentario Rai 'Tempo di viaggio', poi per il film 'Nostalgia' (1983), entrambi girati in Italia. Ma lo sceneggiatore ha collaborato anche con altri registi russi, come Vladimir Naumov ('La festa bianca', 'Orologio senza frecce'), Andrei Khrzhanovski ('Il cane e il suo generale', 'Il Leone con la barba bianca', 'Lungo viaggio' e 'Ninna nanna per un grillo', questi ultimi con disegni di Fellini) e con il Leone d'oro Alexandr Sokurov per il suo documentario 'Elegia di Mosca' dedicato a Tarkovskji.

La frequentazione dell'Urss da parte di Tonino Guerra e' comunque antica: fu lui a farla scoprire a Vittorio De Sica nel film 'I Girasoli' (1970), in parte ambientato a Mosca. Antica e' anche l'amicizia con Iuri Liubimov, 94 anni, patriarca del teatro sovietico e russo, fondatore del teatro d'avanguardia Taganka, dove i due si conobbero negli anni Settanta e dove sino allo scorso dicembre Liubimov ha continuato a mettere in scena il poema di Tonino Guerra 'Miod' (Miele).


(Andrej Tarkovskij, Michelangelo Antonioni, Tonino Guerra) 



''Un artista arrivato dall'epoca del Rinascimento, un uomo di talento poliedrico'', ha detto all'ANSA il regista, che ha proposto un minuto di silenzio durante una prova al teatro Vakhtankov dei 'Demoni' di Dostoievskij. ''Era un mago, trasformava qualsiasi cosa in una poesia, un racconto, una parabola'', ricorda parlando con l'ANSA il direttore del Museo del Cinema di Mosca Naum Kleiman, che lo conosceva dagli anni Sessanta.

''Portava la gioia dentro di se' e la regalava agli altri, quando stavi con lui ti sentivi felice, era un piccolo sole che emanava luce''. Luce propria, non solo quella riflessa che gli derivava dall'aver lavorato con alcuni tra i piu' grandi registi della storia, a partire da Fellini. La Russia ha reso omaggio al suo genio in tanti modi: con mostre, recital, traduzioni delle sue opere, premi, lauree honoris causa (anche al mitico Vgik, l'istituto superiore di cinematografia russa).

Nel 2000 l'allora presidente Putin, in occasione dei suoi 80 anni, gli conferi' l'Ordine dell'Amicizia, una delle piu' alte onorificenze russe, ''per il suo alto contributo al rafforzamento dell'amicizia e allo sviluppo dei rapporti culturali tra Italia e Russia''.

Tre anni dopo la citta' di San Pietroburgo, dove esiste una galleria dedicata a Tonino Guerra, lo nomino' suo ambasciatore culturale e per i suoi 90 anni organizzo' dieci giorni di festeggiamenti solenni. ''Tanto affetto e tanta attenzione mi commuovono. Non so se me lo merito e non so nemmeno fino a che punto la Russia e' degna dell'amore che ho per lei'', aveva umilmente osservato.


(Tarkovskij e Guerra sul set di Nostalghia) 

18/10/11

E' morto Andrea Zanzotto. Un grande, immenso poeta.




TREVISO - Il poeta Andrea Zanzotto è morto attorno alle 10 del mattino all'ospedale di Conegliano (Treviso) dove era stato ricoverato lunedì per complicazioni respiratorie. Il 10 ottobre aveva festeggiato il suo novantesimo compleanno. 

GLI ANNI DELLA FORMAZIONE - Andrea Zanzotto era nato il 10 ottobre 1921 a Pieve di Soligo città che amava e dove viveva. Dopo la maturità classica come privatista al liceo Canova di Treviso, si iscrisse all'università di Padova dove ebbe come insegnanti Diego Valeri e Concetto Marchesi. Si laureò nel 1942 con una tesi su Grazia Deledda. Due anni prima aveva ottenuto la prima supplenza nella scuola di Valdobbiadene (Treviso). Alla fine della seconda guerra mondiale partecipò alla Resistenza tra le file del movimento Giustizia e Libertà. 

GLI ESORDI LETTERARI - Negli anni Cinquanta pubblicò le prime poesie e partecipò ai primi concorsi. La prima raccolta datata 1951 è intitolata Dietro il paesaggio. Nel 1959 vinse il Cino Del Duca. Nello stesso anno sposò Marisa Michieli, nel 2009 avevano festeggiato le nozze d'oro. Nel 1962 Mondadori pubblicò il suo volume di versi IX Egloghe. Scrisse numerosi saggi critici su autori a lui contemporanei come Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale e Vittorio Sereni. Nel 1968 uscì il volume in versi La beltà presentato a Roma da Pier Paolo Pasolini mentre il primo giugno uscì sul Corriere della Sera la recensione scritta da Eugenio Montale. Nel 1975 e nel 1976 partecipò ai corsi estivi dell'Università di Urbino tenendo conferenze e seminari sulla letteratura contemporanea. 
I FILM CON FELLINI - Nel 1976 il poeta iniziò a collaborare al film Casanova di Federico Fellini. Nello stesso anno viene pubblicata l'opera Filò che comprende la lettera che Zanzotto scrive al regista. Nel 1980 scrisse alcuni dialoghi e stralci di sceneggiatura del film La città delle donne di Fellini, che incontrò più volte assieme alla moglie Giulietta Masina, che sarebbe divenuta la madrina del premio Comisso di Treviso. Nel 1983 scrisse i cori per il film E la nave va. Nello stesso anno viene pubblicato nella collana Lo Specchio, comprendente quasi tutta la sua opera fino a quel momento, Il Galateo in Bosco . Costituisce il primo volume di una trilogia che riceverà il premio Viareggio nel 1979. 

GLI ULTIMI ANNI - Nell'estate del 1988 si recò a Berlino per un incontro internazionale di poesia e nel 1990 uscì, tradotta in lingua tedesca. Nel 1999 esce il Meridiano Mondadori che raccoglie Le poesie e prose scelte a cura di Stefano Dal Bianco e Gian Mario Villalta. Nel 2005 vede le stampe un nuovo libro dello scrittore dal titolo Colloqui con Nino nel quale Zanzotto, con l'aiuto della moglie Marisa, ha messo insieme un magnifico florilegio che vuol essere esplorazione antropologica, ricerca sentimentale e viaggio nel passato. Nel 2009 esce In questo progresso scorsoio: una conversazione col giornalista del Corriere della Sera Marzio Breda, nella quale Zanzotto esprime l'angoscia delle riflessioni sul tempo presente e il suo lucido pensiero di ottantasettenne. Nello stesso anno, in occasione del suo ottantottesimo compleanno, il poeta pubblica Conglomerati, la nuova raccolta poetica di scritti composti tra 2000 e 2009, edita nella collana Lo Specchio della Mondadori; in questo libro Zanzotto si confronta ancora con una realtà in continuo mutamento culturale e antropologico, secondo la poetica dell'intervista con Breda.

11/09/09

Lo stato manicomiale del mondo.



La prerogativa dei geni è di capire le cose con anni, decenni - e qualche volta secoli - di anticipo, rispetto ai tempi che stanno vivendo. Federico Fellini, nel 1979, realizzò uno stranissimo piccolo film, prodotto dalla RAI (erano altri tempi...), che intitolò 'Prova d'Orchestra'.

In soli 70 minuti Fellini costruì un perfetto apologo sulla situazione della società italiana (e più in generale di quella occidentale), degli impulsi auto-distruttivi e distruttivi, del disordine progressivo, della teoria del caos che sembra spezzare ogni potenzialità positiva e costruttiva, del bisogno di ordine, dei pericoli dell'autoritarismo, del plebiscito e della paura come antidoto ai rischi e alle ansie del vivere comune.

Tutte cose che tristemente stiamo sperimentando in questi anni. In cui l'idea stessa di 'società' sembra come liquefarsi lentamente (non a caso Zygmut Baumann ha coniato la fortunata formula di società liquida), in cui il connotato stesso del vivere insieme, del procedere verso una idea di progresso sta cedendo il passo ad un confuso 'avanzamento a tentoni', un camminamento al buio (come è poi esplicitamente mostrato dallo stesso Fellini nel suo film) senza punti di orientamento, in cui sembra che l'unico vero progresso possibile, e l'unica vera conoscenza possibile, possano derivare da stati d'animo particolari, da vicende e punti di vista e interessi personali, a meno che... a meno che qualcuno con la voce grossa non ci dica cosa fare.

In effetti, se potessimo guardare il mondo dall'esterno, come attraverso una boccia di vetro, esso ci apparirebbe come un manicomio: una comunità di reclusi, in lotta uno contro l'altro, con stati e situazioni estreme - un quinto del pianeta ricco e nevroticamente arroccato nella sua disperata ricerca di un senso (in cui ognuno pretende di avere il suo, ma nessuno ne è certo) e i restanti quattro quinti del pianeta alle prese con situazioni di povertà, di sofferenza, di degrado, di abbandono, di bisogni primari spesso insoddisfatti.

Credo che ogni analisi di crescita personale non possa mai prescindere da questo quadro complessivo: nessuno di noi vive all'infuori del mondo, nessuno ne è indipendente, nessuno può tirarsene fuori.

E se non si capisce che ogni storia personale è anche la storia del mondo, nessuno riuscirà ad avvicinarsi ad un grammo di verità convincente.

Per questo è particolarmente importante comprendere che il senso del cristianesimo non si trova dentro un progetto di salvezza personale, ma di una salvezza complessiva, del mondo. E se il mondo non si salva, è difficile che potremo salvarci anche noi.

Scriveva il grande filosofo iniziatico bulgaro Omraam Mikhaël Aïvanhov (1900-1986): "La maggioranza delle religioni ha presentato il Signore come un essere implacabile, vendicativo, geloso, che vede tutto e punisce anche il più piccolo sbaglio. In realtà, il Signore non ci punisce, non vuole nemmeno vedere i nostri errori, non ha il tempo di occuparsi di questo. Egli è tutto amore, non vive che nello splendore, ma ha fondato il mondo su alcune leggi e se non le rispettiamo sono loro che ci puniranno. Supponiamo che abbiate fatto una sciocchezza per cui vi sentite agitati, e pregate: attraverso questa preghiera sentite che sfuggite ai vostri tormenti, vi elevate e arrivate fino al Trono di Dio. Persino se siete polverosi e laceri, Dio vi dice: ""Entrate, siete i benvenuti!"" e ordina che veniate lavati e ben vestiti, vi invita alla sua festa e voi siete felici e nella pace. Quando ridiscendete (perché certamente sarete obbligati a ridiscendere in quanto non è possibile mantenersi a lungo in alto), di nuovo i tormenti ricominciano... E continueranno finché non comprenderete come dovete correggere i vostri errori."

Fabrizio Falconi