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04/03/19

Il celebre monologo di Tiziano Terzani sulla felicità, che fa bene riascoltare.




In tempi così in-sensati come quelli che stiamo vivendo, nei quali tutti inseguono desideri e bisogni egoistici, a scapito della infelicità di altri, o - spesso - proprio basati sulla infelicità altrui, fa bene riascoltare queste parole del grande Tiziano Terzani, una grande anima che oggi (ci) manca molto.

17/12/18

Vittorino Andreoli: "L'infelicità è la piaga della contemporaneità. Facebook andrebbe chiuso."



Vittorino Andreoli, psichiatra, scrittore, già Direttore del Dipartimento di Psichiatria di Verona – Soave e membro della New York Academy of Sciences ha raccontato di sé, del suo mestiere e della società in una lunga intervista che si può leggere anche sulla pagina di Huffington Post. 

Andreoli racconta la scelta della trama distopica, della solitudine di cui l'uomo avrebbe bisogno.

Siamo intossicati da rumori, parole, messaggi e tutto ciò che occupa la nostra mente nella fase percettiva. Il bisogno di solitudine è una condizione in cui poter pensare ancora. Oggi sono morte le ideologie, è morta la fantasia. Siamo solamente dei recettori. Ho proiettato il libro nel 2028, un giochetto per poter esagerare certe condizioni. Io immagino che ci sia un acuirsi della condizione di oggi per cui noi siamo solo in balia di un empirismo pauroso, dove facciamo le cose subito, senza pensarci. 

Lo psichiatra prosegue e punta il dito contro i social network (e, in generale, contro i simulacri del virtuale), vero e proprio male del nostro tempo. 

Facebook andrebbe chiuso. Lì abbiamo perso l'individualità, crediamo di avere un potere che è inesistente. L'individuo non sta nelle cose che mostra ma in ciò che non dice. Invece i social ci spingono a dire tutto, ci banalizzano. I social sono un bisogno di esistere perché siamo morti. Creano una condizione di compenso per le persone frustrate [...] Quando non si sa più distinguere tra virtuale e reale è pericoloso. Si estende l'apprendimento virtuale nella propria casa, nella propria vita.

I social network sono un pericolo anzitutto per i giovanissimi, i cosiddetti "millennials", per cui Andreoli esprime timore. 

Io sono molto preoccupato. Non siamo più capaci di aiutarli [...] Mancano gli esempi dei padri che, a loro volta, hanno bisogno di non essere frustrati. Il male non è mai singolo. C'è qualcosa che non funziona a livello sociale. 

Si dice spesso che il male più diffuso dei nostri tempi sia la depressione, ma il noto psichiatra contraddice e corregge l'affermazione. Per Andreoli, la piaga della contemporaneità è l'infelicità [...] 

Come si fa a essere felici? Noi viviamo nella frustrazione, che si accumula e genera rabbia e questa genera violenza. L'infelicità genera violenza che, a sua volta, può essere carica distruttiva. La distruttività è la voglia di rovinare e non riguarda solo l'altro ma anche se stessi. 

Tra le "patologie" che affliggono l'uomo, Andreoli annovera anche la smania di potere. 

Diciamo che se incontrassi Trump mi porterei dietro il camice. Il potere è una malattia sociale.

Durante la sua carriera, Vittorio Andreoli ha analizzato i profili dei peggiori criminali: Unabomber, Pietro Maso, Donato Bilancia, ecc. Ma in ognuno è sempre riuscito a trovare un lato umano. Confessa che l'eccezione fu incontrare gli imputati di Piazza della Loggia. 

La violenza organizzata è drammatica, è un unico corpo malato. Quando non c'è più il criminale isolato ma c'è il sistema, non puoi più valutare una testa. Il delitto non è legato a un uomo solo, quando vedevo gli imputati da soli erano del tutto diversi. Lì non ce l'ho fatta, non ho capito

E sui concetti di normalità e follia, Andreoli non ragiona per compartimenti stagni. 

Siamo tutti matti e tutti normali. Gli omicidi più efferati sono compatibili con la normalità. Significa che Bilancia avrebbe anche potuto non uccidere. E il signore per bene invece sì [...] Quando qualcuno non mi sta simpatico, dico: sa che lei è proprio normale? E lui si giustifica. Nessuno vuole essere normale. I normali sono noiosi. Normale vuole dire: equilibrio, coerenza, onestà, regole. Questi elementi sono visti male. 

Se la felicità è un obiettivo davvero arduo da raggiungere, Andreoli confessa di credere in un altro tipo di ricerca. 

Io ce l'ho con la felicità. Io sono un infelice gioioso. La felicità riguarda l'io, la percezione che un soggetto ha di fronte a qualcosa di positivo che lo riguarda. La gioia riguarda il noi, è corale [...] Collettivo, non egoista. Ecco, quello è possibile.

08/10/18

Quanto amore c'è in una passione ? Umberto Galimberti.




Il matrimonio è l'impresa più difficile che si possa intraprendere, perché in ciascuno di noi c'è un conflitto tra il nostro bisognodi "individuazione" e il nostro bisogno di "coesione", che sono tra loro in un rapporto inversamente proporzionale, perché a un aumento di individuazione corrisponde una diminuzione di coesione e viceversa. 

Se il bisogno di individuazione raggiunge una sua maturità e si emancipa dal tratto infantile di chi vuol essere semplicemente diverso dagli altri fino al punto di assumere un atteggiamento reattivo nei confronti degli altri, e se il bisogno di coesione compie lo stesso processo di maturazione, emancipandosi dal bisogno simbiotico con l'altro che ricalca il rapporto infantile che ciascuno di noi ha avuto con la madre, allora ci sono le condizioni per un felice matrimonio e una sua lunga durata, garantita dal fatto che ciascuno dei due ha bisogno dell'altro per lo sviluppo delle rispettive potenzialità. 

Tutti capiscono che una condizione del genere è un'opera d'arte.

E non tutti siamo artisti, anche se non sarebbe male che ciascuno, prima di unirsi in matrimonio, esaminasse con cura di che natura è il suo bisogno di individuazione e il suo bisogno di coesione. 

A differenza che in passato quando la famiglia, le condizioni di ceto o di classe, le condizioni economiche, le leggi dello Stato, le norme del diritto, i precetti della Chiesa avevano una notevole influenza sulla scelta matrimoniale, oggi questa scelta è del tutto individuale, come se l'amore, rispetto a tutte le leggi che governano la nostra quotidianità, reclamasse una sua assoluta autonomia e non riconoscesse altra autorità che non sia la propria decisione soggettiva. 

Ma se le cose stanno così, allora quell'esaminare se stessi prima di inaugurare una vita in comune con un'altra persona assume una rilevanza ancora maggiore. Soprattutto se questo essere padroni assoluti della propria scelta si vincola all'essere padroni assoluti della propria felicità. 

In questo caso se la felicità è misurata esclusivamente sull'intensità della passione (e questo non è difficile da riconoscere), allora è ovvio che il matrimonio, oltre a non prevederlo come una scelta irrevocabile, diventa come scriveva Tolstoj "un inferno". 

Ma la passione è l'unico modo in cui si può declinare l'amore?

La passione come diceva Stendhal "non è cieca, è visionaria". E di visione in visione si può arrivare anche all'allucinazione. E' vero che senza idealizzazione non nasce nessun amore, ma non dobbiamo dimenticare che la passione ci rende passivi, perché è lei a condurci in quella condizione caratterizzata dal "patire l'altro", mentre l'amore non si accontenta di "patire" perché vuole agire, e perciò col tempo rifiuta di declinarsi sul solo versante della passione, trascinato dalla discontinuità delle sue oscillazioni. 

E rifiutandosi di subire, l'amore crea, come un artista, la sua opera d'arte. 

Se poi l'opera d'arte non riesce e la relazione si chiude, ascoltiamo i consigli di James Hillman che ci invita ad evitare la vendetta che è una risposta emotiva che non emancipa la coscienza, a non cadere nel cinismo che nega il valore dell'altro che un tempo avevamo sopravvalutato, e ci induce a concludere che i grandi amori sono per gli ingenui.  Non ridicolizziamo i sentimenti più profondi per evitare di vergognarci di averli un giorno provati.  Ed evitiamo infine di diventare paranoici pretendendo da un nuovo amore che dovesse sorgere, prove di devozione, giuramenti di mantenere la promessa, dichiarazioni di fedeltà eterna. 

La fedeltà in sé non è un valore.

Un valore è l'amore, perché quando si è innamorati non c'è bisogno di imporsi alcuna forma di fedeltà.

Umberto Galimberti, da Lettere a Galimberti, D di La Repubblica 29 settembre 2018, p. 126

01/10/16

L'unica felicità possibile è nel presente - La Musica Brasiliana (Roberta Sà, Chico Buarque e il Samba).



L'unica felicità possibile è nel presente. 

Espressione di saggezza. Come sostiene Pierre Hadot, se si rincorre il passato, se si pensa di trovare la felicità nel passato, si è destinati all'infelicità; allo stesso modo se si insegue il sogno di una felicità futura, significa che si è infelici e quel sogno e quella possibilità sono continuamente spostati oltre, in un'altra dimensione. 

Non esiste al mondo musica più adatta ad esprime questo concetto che quella tradizionale brasiliana.

Quando ho visitato quel paese, in un lungo viaggio, ho capito come nella storia di quel paese - per molti motivi antropologici e perfino climatici - si è inscritto nei geni l'amore per la vita com'è

L'amore cioè per il tempo presente, per la vita che si vive momento per momento, per la meraviglia continua di essere partecipi di questo miracolo che scorre. 

Il Brasile di oggi certo è un paese ormai  civilizzato e globalizzato con mille problemi. E la vita delle persone è durissima come altrove.  Ma questo senso ancestrale è rimasto nella tradizione musicale. 

Lo si percepisce nei due minuti di video in testa un duetto tra Roberta Sà, una delle più dotate cantanti-autrici della nuova generazione e il maestro Chico Buarque de Hollande.

Un duetto vissuto soprattutto nella complicità degli sguardi (cui partecipa anche il chitarrista accompagnatore): sguardi pieni di gioia, luminosità, gioco seduttivo. 

Il Samba è la più completa espressione di questa joie de vivre: l'eterno Samba, che è lo spirito autentico della musica brasiliana.  Al Samba qualche tempo fa David Byrne ha dedicato una collezione di brani tradizionali al Samba degli anni '60 '70 e '80. 

Ripropongo qui una di queste meravigliose, semplici canzoni. Ascoltatela. C'è dentro tutta la felicità del presente, l'unica possibile in questa vita.

Fabrizio Falconi








01/03/16

Finalmente si parla di Felicità - Jane Goodall in Italia. (Pescara- OPB Forum)




Segnalo questa iniziativa, il prossimo 8 marzo a Pescara. Finalmente si parla di... felicità. 


La rivoluzione della felicità Progettare futuro: il nuovo patto etico tra cittadino e istituzione

8 Marzo 2016 ore 15.00, Pescara Aurum Fabbrica delle idee

La felicità come valore collettivo, sostenuto dal paradigma dominante della condivisione, ispira sempre più possibili visioni di futuro, nuovi modelli economici e innovative politiche sociali. 

Alla base, l’idea di un nuovo patto etico tra cittadino e istituzioni, volto a garantire il benessere morale della collettività attraverso i valori della costruzione, dell'accoglienza, dell'integrazione e dell’evoluzione virtuosa delle modalità di convivenza umana.

 OPB Forum promuove l’incontro di uomini e donne impegnati a diffondere nel mondo i principi etici e la valorizzazione del merito come fattori primari di sviluppo della società con l’obiettivo di interpretare gli scenari del cambiamento e rintracciare le radici ed i tessuti connettivi per un nuovo sviluppo consapevole e umano.


Si inizia martedì 8 marzo alle 15 con una
LECTIO di Kristina Persson
Il primo Ministro del Futuro al mondo
Membro del Governo svedese, dove detiene le cariche di Ministro per le Strategie future e di Ministro per la Cooperazione nordica, in prima fila nella creazione della macroregione baltica. Ha fondato il think tank indipendente Global Challenge

Interventi
Un'ape si posa su un bottone di rosa: succhia e se ne va... Tutto sommato la felicità è una piccola cosa. TRILUSSA 
Jane Goodall La più celebre etologa vivente

Il dovere di un governo non è garantire la felicità ma ridurre al minimo l’infelicità. U. ECO
Spyros Galinos Sindaco dell’isola greca di Lesbo 

La creatività vuole coraggio. H. MATISSE
Alessandra Mammì L’Espresso - Giornalista e storica d’arte 

Desideriamo il desiderio più che la realizzazione di esso. Z. BAUMAN 
Antonio Boschini Primario di San Patrignano 

OPBF ETHIC AWARD Massimo Pomilio AD Pomilio Blumm POMILIO BLUMM PRIZE Consegna del Premio

DIALOGA E MODERA Luca De Biase Editor di “Nòva 24” Il Sole 24 Ore
QUI TUTTE LE INFO

25/02/15

Quel che resta del giorno.




Intervistato subito dopo aver ricevuto il Premio Oscar 2015 per la regia per il film Birdman, il regista Alejandro Gonzalez Inarritu alla domanda:  "Cosa rappresenta questo Oscar nella sua carriera? " ha risposto: Io non ho una carriera, ho una vita. E cerco di viverla pienamente, felicemente, intensamente.

E' una risposta esemplare, su cui bisognerebbe meditare. 

Uno dei più grandi titoli di romanzi degli ultimi anni è Quel che resta del giorno (è il noto libro dello scrittore giapponese naturalizzato inglese Kazuo Ishiguro, adattato a sua volta a film da James Ivory nel 1993).

Già: cosa resta del giorno, al termine delle nostre infaticabili giornate ?

La vita piena, felice o intensa, come quella che descrive Inarritu come orizzonte, non è data, non è il prodotto delle cose che si aggiungono alla propria vita (la carriera, in questo caso, i riconoscimenti, i premi, le incombenze, le attività, gli impegni). 

Non funziona così, anche se quasi sempre per combattere l'horror vacui ci illudiamo che sia così. 

E' in quel che resta del giorno (dopo tutto quello che nel giorno facciamo, occupiamo quasi militarmente) che è il senso. 

In quel vuoto che lasciamo, in quello spazio che facciamo, scorre la nostra vita interiore e ogni cosa importante. 

Una bottiglia piena non può contenere nulla. 

Solo un recipiente vuoto può ospitare.. quel che resta del giorno. 


Fabrizio Falconi -  (C) riproduzione riservata - 2015.


07/12/14

La (quasi) insostenibile perfezione della felicità - 'Stardust Memories'. (VIDEO)



In Stardust Memories (1980), di Woody Allen, c'è una delle più nitide elegie alla felicità umana, racchiusa in un paio di minuti di cinema.

Il regista Sandy Bates, che ripercorre in un esplicito omaggio a 8 e 1/2 di Fellini, la sua vita, i ricordi e il presente, tra il suo mestiere di cineasta e la sua vita privata, torna ad un certo punto del film a rivisitare il suo rapporto con Dorrie, una donna instabile e affascinante, con la quale ha troncato da poco. 

Nel ricordo di Sandy c'è in particolare, quello di un pomeriggio, a casa con Dorrie.  

Non era successo niente di particolare.  Un giorno di festa, una domenica come tante altre.  I due sono tornati da una passeggiata, non hanno niente di importante da fare.  Sandy mangia uno yogurt sul divano, Dorrie sfoglia una rivista, sdraiata sulla moquette.  In sottofondo c'è un vecchio standard di Louis Armstrong. 

La camera fissa, dopo l'introduzione della voce fuori campo di Bates, resta per più di un minuto sul volto di Dorrie-Charlotte Rampling, che si sente osservata, che intuisce, nel silenzio di quel lungo (eterno?) momento, la possibilità concreta della felicità umana, esistente su questa terra.  Condivisa. Insieme all'amato (e a chi a sua volta, ama). 

Le parole sono finite o non servono più.  Bisogna solo fermarsi, guardarsi, sorridere.  Socchiudere gli occhi forse, di fronte a tanta bellezza. Come un sogno, forse è già volata via. Come l'essenza, forse, è per sempre impressa in quel sentire eterno e non andrà mai più via.

Fabrizio Falconi 


06/11/14

La legge della durezza e l'intelligenza romantica.




Dove sono la letizia e la pace, dovunque io volga gli occhi non scorgo che infelicità e durezza, e in mezzo a questo affannoso frastuono, vuoi che io trovi la calma necessaria per l'opera delle muse ?

Così scriveva Erasmo, nel 1493, all'età di 24 anni.

Sono parole moderne. Infelicità, durezza, frastuono. Durezza. Come può un cuore bianco, un cuore sensibile, un cuore attento mettere radici e crescere in mezzo ad un paesaggio così inospitale ?

Come può il nero o bianco - di cui è fatta sempre di più la nostra vita, a base di velleitarismi e pensiero razionale, di essere pura superficie, senza nessuna capacità di guardare dentro  - non soccombere di fronte alle pretese di quello che Pirsig chiamava il pensiero classico ?

All'intelligenza classica interessano i principi che determinano la separazione e l'interrelazione dei mucchi (di sabbia), i nessi, le cause gli effetti, i torti le ragioni, le conseguenze, gli errori, le responsabilità le mancanze gli arbitrii i bisogni, l'intelligenza romantica si rivolge alla manciata di sabbia ancora intatta (guarda cioè all'essenza, a quello che le cose sono). Sono entrambi modi validi di considerare il mondo, ma sono inconciliabili.

L'intelligenza romantica è destinata a soccombere, ad arrendersi, a ritrarsi da questo mondo (con il quale non ha (più) nulla a che fare). 

12/09/14

"Consumiamo Internet per coprire la nostra solitudine" - Intervista a Thich Nhat Hahn.


riporto l'intervista realizzata da Claudio Gallo de La Stampa a Thenac, in provincia di Bordeaux a Thich Nhat Hanh, uno dei grandi maestri spirituali contemporanei, e pubblicata il 9 settembre scorso.  

Scorre sul finestrino del treno la campagna francese tra Bordeaux e Bergerac, filare dopo filare tra boschi e prati verdissimi che riflettono un’idea di potente dolcezza. È la stessa forza gentile che sembra di ritrovare negli insegnamenti di Thich Nhat Hanh. Monaco buddhista vietnamita, vive insieme con la sua comunità monastica al Plum Village, sulle colline intorno al minuscolo paese di Thenac. Tutti lo chiamano Thay, maestro semplicemente. Ottantotto anni, il volto severo che all’improvviso fiorisce in un sorriso contagioso di fanciullo, fu esiliato dal Vietnam del Sud nel 1973. Scelse l’Occidente, dove era già apprezzato da Martin Luther King e Thomas Merton, conosciuti nei suoi tour americani in favore della pace. In oltre un centinaio di libri ha creato un insegnamento buddhista rivolto agli occidentali, basato sulla Mindfulness: consapevolezza, presenza mentale. Assieme al Dalai Lama è forse il buddhista più celebre nel mondo, ha centri in ogni continente e un seguito di centinaia di migliaia di persone. Non chiede ai suoi seguaci occidentali di abbandonare la propria religione. Tra i quasi settecento italiani presenti al ritiro di fine agosto, molti infatti erano cristiani. 

Thay, che cos’ha da offrire il suo buddhismo alla generazione digitale, ai giovani che stanno tutto il giorno su Internet?  
«Oggi i giovani passano troppo tempo su Internet, questa è una malattia del nostro tempo. Quando passiamo tre ore davanti al computer ci dimentichiamo completamente di avere un corpo. Internet è uno strumento che può essere di grande beneficio o portarci molti problemi. Utilizzare Internet è un tipo di consumo. Consumiamo attraverso le idee, le immagini e i suoni con cui veniamo in contatto e questi possono essere elementi salutari o tossici. Le persone sono spesso sopraffatte dal numero di informazioni che ricevono su Internet. Molti di noi possono sviluppare una vera e propria dipendenza dall’essere online. Perdiamo noi stessi in questo mare di informazioni e quindi non siamo presenti per noi stessi, per i nostri cari e per la natura. Ci illudiamo pensando che rimanendo su Internet possiamo connetterci con gli altri, ma in realtà ci sentiamo sempre più soli. La consapevolezza ci aiuta prima di tutto a moderare il tempo che passiamo su Internet, e allo stesso momento ci aiuta a sapere se quello con cui entriamo in contatto è benefico o se ci fa sentire ancora più disperazione e solitudine. Consumiamo Internet per coprire la nostra solitudine, ma in realtà ci fa sentire sempre peggio. Molto spesso, quando consumiamo news, film, pornografia e pubblicità, stiamo consumando rabbia, violenza, paura e desiderio». 

Il buddhismo considera l’individuo un’illusione: c’è ancora posto in questa visione per la distinzione tra bene e male?  
«Nel XX secolo l’individualismo è stato messo in primo piano e questo ha creato molta sofferenza e difficoltà. Creiamo una separazione tra noi stessi e gli altri, tra padre e figlio, tra uomo e natura, tra una nazione e l’altra. Non siamo consapevoli dell’interconnessione tra noi stessi e tutto ciò che ci circonda. Quest’interconnessione è quello che nel buddhismo chiamiamo “interessere”. Il cammino etico che ci viene offerto dal buddhismo si basa sulla comprensione profonda dell’interessere. Quello che succede all’individuo influenza quello che accade in tutta la società e sull’intero pianeta. Su questo cammino la pratica della presenza mentale ci aiuta a fare una distinzione tra ciò che è bene e male, giusto e sbagliato. Quando siamo consapevoli possiamo vedere i danni che sono stati causati agli animali e al pianeta al fine di produrre carne per il nostro consumo. Con questa consapevolezza mangiare cibo vegetariano diventa un atto di amore verso noi stessi, verso il nostro ecosistema e il pianeta. Molti di noi rincorrono la fama, il potere, i soldi o il piacere dei sensi. Pensiamo che queste cose ci possano portare la felicità, ma al contrario ci possono portare a distruggere il nostro corpo e la nostra mente. Spesso i giovani confondono il sesso con il vero amore, ma in realtà una sessualità vuota può distruggere l’amore, e portare ancora più desiderio, solitudine e disperazione. La presenza mentale ci aiuta a sviluppare la nostra comprensione riguardo l’altra persona. Il vero amore non può esistere senza comprensione». 

È possibile superare la paura della morte?  
«La radice della paura è la nostra visione erronea per quanto riguarda la natura della morte. Abbiamo paura della morte perché pensiamo che una volta morti diventeremo il nulla. La scienza moderna ci insegna che nulla si crea, nulla si perde e che tutto si trasforma. Osservando una nuvola possiamo chiederci se possa morire. Può una nuvola da qualcosa diventare nulla? Osservando in profondità, possiamo vedere che la nuvola può solo diventare pioggia, neve, grandine e poi di nuovo vapore acqueo. Anche la nostra natura è come quella della nuvola. Proprio come la pioggia e la neve sono la continuazione della nuvola, le nostre azioni di corpo, parola e mente ci continuano sempre». 


intervista realizzata da Claudio Gallo de La Stampa a Thenac a Thich Nhat Hanh, pubblicata il 9 settembre scorso.

19/11/11

La bella terribilità della vita.



La vita è terribile, lo si pensa spesso - vivendo.
Sembra terribile vivere, affrontando ogni volta ostacoli che si frappongono alla nostra felicità, dolori, miserie umane, sofferenza. E la morte che pesa come un macigno su ogni destino, su ogni speranza, su ogni finitudine.

E' la morte a stabilire un confine e a porre un sigillo terribile ad ogni apparente ricerca di senso.

E' terribile, diciamo, la vita.

Eppure - vivendo, si scopre sempre un senso di bellezza in questa 'terribilità'. C'è una verità profonda nell'affermare - e prima ancora nel sentire - che la vita può essere, ed è, bellissima anche (inspiegabilmente) nell'essere terribile.

E' un mistero, ed è anche il segreto della vita umana, di ogni vita umana.



17/09/11

RI-COMINCIARE. Da dove ? (12 cose da cui ripartire): 10. TEMPITERNITA'




Non aspetterò che la felicità scenda di me come una epifania o come una grazia inaspettata.

Soprattutto non farò in modo di pensare che solo creando certe condizioni, la mia felicità potrà arrivare in questa vita.

 Non farò l’errore di pensare che soltanto trovando la persona giusta, il modo giusto, il denaro giusto, la casa giusta, il lavoro giusto, io potrò finalmente essere felice.

E’ un modo naturale di pensare, ma porta fuori strada.

E’ un modo di proiettare la felicità fuori di me. Di farla dipendere unicamente da cause oggettive, come un bimbo che vuole o pretende uno zuccherino. E' anche l'alibi mediante il quale io potrò continuare a lamentarmi sempre, nella mia vita: "non ho quel che voglio, non è quel che voglio".

La felicità non è questo. 

La felicità raggiunta in questo modo, evapora come la nebbia al sole appena raggiunta.

L’unica felicità che conti, dovrò ricordarlo, è quella che deriva dalla pienezza. Pienezza interiore, non esteriore. Noi non siamo otri che debbano essere riempiti. Siamo già riempiti, e lo siamo sin dall’inizio.

La felicità che deriva dalla consapevolezza di sé, e dalla pienezza, è reale e concreta, e finalizza il senso della vita, lo rende tangibile e prezioso oltre che durevole, ci avvicina a un tempo eterno.

Si tratta allora di scoprire la felicità che si nasconde – eternizzata – in un solo attimo.

Magari apparentemente insignificante della nostra vita.

Se sarò capace di riconoscere in quell’attimo, la sospensione esatta e in perfetto equilibrio tra ogni aspettativa futura e ogni rimpianto passato, io sarò realmente felice.

Come scrisse il grande Raimon Panikkar, La realtà non si esaurisce nella temporalità; non è ora temporale e dopo eterna, ma al contempo tempiterna. L’esperienza di tempiternità è vivere il presente come esperienza intensa dell’istante senza riferimento al passato che fu o al futuro che sarà. E’ il presente sempiterno nel quale si realizza un’azione veramente tale, ovvero autentica e, quindi, unica.

Fabrizio Falconi

28/07/11

RI-COMINCIARE . Da dove ? (12 cose da cui ripartire) – 6 - CONVERSAZIONE.


Siccome, come appare del tutto evidente e come aveva già intuito il saggio Epicuro 300 anni prima di Cristo, dalla pòlis (cioè da tutto ciò che è pubblico, istituzione pubblica, struttura pubblica) non potrò aspettarmi il perseguimento della causa della felicità umana, e quindi della mia personale felicità, so già che io dovrò assumermi in prima persona la responsabilità della mia felicità.

Per essere felice e offrire una vita degna alla mia anima, dovrò ricordarmi dell’importanza della conversazione.

Un uomo incapace di conversare con un amico difficilmente potrà essere felice.

La conversazione tra amici che sappiano ascoltarsi e trarre ispirazione, imparando gli uni dagli altri è ciò che di meglio la vita ha da offrirmi.

Per fare questo dovrò imparare ad ascoltare.

Le conversazioni migliori sono quelle in cui c’è uno scambio di idee e in cui si mette alla prova la verità.

Una conversazione intelligente e aperta nel cuore con una persona amica è l’antidoto contro qualsiasi dolore, l’incoraggiamento per qualsiasi impresa, la spinta a migliorarsi e a crescere, a comprendere qualcosa in più del grande mistero in cui sono calato.

Nella conversazione intelligente, proficua e piacevole tra amici ritroverò sempre il senso della mia natura veramente umana.

Come diceva Blaise Pascal sono solo le conversazioni che formano l’intelletto.