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15/03/23

Leggere "Con gli occhi chiusi" di Federigo Tozzi - Un gioiello della nostra letteratura


Ho riletto Con gli occhi chiusi di Tozzi, che avevo letto molti anni fa.
Federigo Tozzi è morto nell'età aurea dei 37 anni, come Mozart e tanti altri, e la terribile Spagnola, il 21 marzo 1920, se lo portò via prima che gli toccasse di vedere l'avvento del Ventennio Fascista e i disastri della Seconda Guerra.
Nato a Siena e cresciuto tra Siena e Firenze, è a Roma - dove visse nella casa di Via del Gesù - che Tozzi, grazie a Pirandello e a Borgese ricevette considerazione, lavorando al Messaggero della Domenica, e riuscendo a pubblicare due romanzi, Con gli occhi chiusi e Tre croci, nel 1919, l'anno prima di morire (altri 3 romanzi vennero pubblicati postumi).
La morte prematura e la scarsa produzione (anche se i racconti sono più di 120), gli procurarono una notevole sottovalutazione da parte della critica letteraria. Fu scambiato per un semplice realista-verista e solo negli anni '60 si capì la sua grandezza.
Con gli occhi chiusi è un piccolo grande capolavoro, e leggendolo si avverte quanto, rispetto alla maggioranza dei suoi contemporanei, Tozzi fosse avanti:
nella semplice storia dell'amore di Pietro, figlio di un benestante ristoratore senese (proprietario di terreni in campagna) per la contadina Ghìsola, venuta a lavorare per il padre di Pietro, bella, analfabeta, ma desiderosa di emancipazione, Tozzi costruisce una trama puramente psicologica, colma di riferimenti simbolici, disseminati in luoghi densi di storia millenaria: Siena, Piazza del Campo, Firenze, le colline senesi, quelle toscane del Chianti.
Un universo apparentemente quieto, felice, disseminato di ombre. La tara familiare, l'incapacità di Pietro di riconoscere e vivere i suoi sentimenti, il sotterfugio di Ghìsola, la feroce disillusione cui va incontro Pietro, il finale aperto.

Tutto, lungo le centosessanta pagine, ha il tocco felice dell'autenticità, dei dolori della vita interiore, della mancanza e della frustrazione: la natura sontuosa accoglie le inquiete vicende umane, fa da teatro, insieme ai panorami cittadini, delle antiche città, descritte come fossero anch'esse forme viventi, allucinazioni pulsanti, proiezioni di un disagio che non si sa esprimere, e che porta Pietro alla crescita definitiva, alla maturità ormai priva di incantamento. 

Fabrizio Falconi - 2023

18/05/18

Libro del Giorno: "Moccoletti Romani" di Mario Verdone.




Mario Verdone non era romano.  Era nato infatti ad Alessandria il 27 luglio del 1917 e nonostante i modesti mezzi familiari, riuscì a completare gli studi laureandosi a Siena in Giurisprudenza con Norberto Bobbio e una tesi in Filosofia del diritto.

Ma fu il 1941 l'anno della svolta della sua vita, quando si trasferì a Roma, città in cui negli anni della guerra cominciò a collaborare con le principali testate cinematografiche dell'epoca (da Cinema a Bianco e Nero) diventando poi docente di Storia e Critica del Cinema con corsi liberi di filmologia in diverse Università, fino alla collaborazione col Centro Sperimentale di Cinematografia. 

Divenuto quindi figura centrale in Italia degli studi sul Cinema, Verdone fu così assorbito dalla città, da divenire più che un romano di adozione. 

Questa riedizione dei suoi Moccoletti romani - voluta dai figli Silvia, Luca e Carlo, in occasione del centenario della nascita dello studioso, testimonia infatti di una passione totale per la storia e le tradizioni cittadine in tutte le sue forme. 

Verdone, in questi scritti sparsi che vanno dal 1948 fino agli anni ottanta e oltre, ripropone gli studi sugli spettacoli e le feste romane, su scrittori e pittori, sui viaggiatori, sulla gente di teatro e di cinema di ieri e di oggi, sui futuristi, insomma su tutto il mondo popolare e popolaresco, e artistico o erudito che ha fatto da sfondo alla vita della Capitale nel trascorrere di secoli e decenni, con una parte sostanziosa, evidentemente, dedicata al cinema, con pagine dedicate alla gloriosa storia degli stabilimenti Cines, al Neorealismo, a Cinecittà, a Orson Welles e alla sua ossessione per Piranesi.

Naturalmente si parla molto anche del Belli, di Trilussa, del Carnevale Romano, di cui i Moccoletti del Martedì Grasso (che danno il titolo al volume) erano un grande e scenografico epilogo. 

Verdone, che probabilmente ha trasmesso questa sua inclinazione al figlio Carlo - celebrato regista e attore -  ha coltivato sempre nella ricerca storica, il gusto per il particolare e l'inconsueto, ispirandosi al detto di Prosper Merimée: "nella storia io amo soprattutto l'aneddoto". 

C'è infatti in queste pagine una cura del dettaglio, una ricerca quasi maniacale dell'aspetto dimenticato, oscurato dagli anni, come nelle bellissime pagine dedicate a Federigo Tozzi, visto che a Verdone, poco dopo il suo arrivo a Roma, nel 1945, capitò di andare a vivere proprio nello stesso palazzo - in Via del Gesù, 62 - dove aveva abitato lo scrittore senese; o come nelle pagine che descrivono il difficile e idiosincratico rapporto di James Joyce con la Città Eterna. 

Un libro godevole, pieno di prezioso materiale per gli appassionati di cinema, di letteratura e naturalmente.. di Roma. 


Carlo e Mario Verdone