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08/05/23

"Il Sol dell'Avvenire" - RECENSIONE - Moretti vive, Nanni non tanto


"Il sol dell'Avvenire" è un ritorno, o meglio un tentativo di ritorno - dopo film piuttosto convenzionali culminati nel brutto "Tre piani" - al Nanni delle origini e della prima maturità (per intenderci, fino ad Aprile compreso).

Moretti celebra il Nanni che fu, con tutti i suoi topos - la coperta patchwork, la fissa sulle scarpe, Battiato, il giro in monopattino (al posto dello scooter), i calci al pallone - ma sarebbe meglio dire che ne celebra le rovine. Perché - come avviene a tutti - anche Moretti è invecchiato, e quel Nanni che fu, non può più essere lui, ma solo una nostalgia di quello.
Detto questo, il film è efficace e ben scritto, ma è opera sostanzialmente di un lavoro a tavolino, con ben tre sceneggiatrici che si sono affiancate a Moretti per scrivere il copione, fin troppo didascalico, dialogato (con dialoghi che appunto sembrano scritti e letti, parola per parola, non naturali), soppesato.
Ciò che manca qui, come mancava molto più drasticamente nei precedenti film a questo - quelli del dopo "Aprile" - è la vera ispirazione, cioè la poesia.
Moretti la tenta, ma non c'è più lo scatto folgorante di Nanni, l'invenzione folle, c'è solo la ripetizione dei già conosciuti cliché, che vanno bene per il suo pubblico, che lo ama da sempre, e che se ne sente consolato e rassicurato (e in fondo anche lui).
Ci sono le strizzate ai francesi, che lo adorano - dal personaggio di Pierre, alla comparsa di Renzo Piano, che ai cugini d'oltralpe ha regalato il Beaubourg. C'è il pieno omaggio a Fellini (vero riferimento di Nanni dai tempi di Ecce Bombo), con un circo dove però nulla è realmente felliniano, ma solo imitazione del felliniano, e con la citazione esplicita del finale di La Dolce Vita e il meraviglioso primo piano finale di Valeria Ciangottini, che è uno dei momenti più felici del Sol dell'Avvenire.
C'è un film nel film - anzi tre - sui fatti d'Ungheria visti dall'Italia, ci sono i soliti Silvio Orlando e Margherita Buy, bravi ma convenzionali (la migliore è di gran lunga Barbora Bobulova). Ci sono i soliti "giovani" che vanno per conto loro, con la figlia improbabilissima innamorata del grande Jerzy Stuhr che fa la parte dell'ambasciatore polacco. Ci sono troppe canzoni che strizzano l'occhio allo spettatore. C'è la sequenza imbarazzante del cast e Moretti che cominciano a roteare per un'ora come i dervisci tourner. C'è l'immancabile crisi matrimoniale di Moretti, uno psicologo da barzelletta, un finale nostalgico girato ai Fori Imperiali (il film non deve essere costato poco) con elefanti veri e corteo dove ricompaiono molte delle figure di attori dei film del vecchio Nanni.
Tutto fatto bene, tutto che scorre (anche se a tratti devo dire purtroppo di essermi anche annoiato), ma senza mai spiccare veramente il volo.
Ci sono almeno un paio di scene molto belle dove per qualche secondo si scorge dietro questo bel vestito compunto, il vero vecchio Nanni: la prima, il piano sequenza al termine della bellissima tirata di Moretti contro la violenza gratuita nei film, ormai dilagante. La macchina da presa lascia sullo sfondo l'orrenda esecuzione con la pistola e Nanni si allontana lentamente sulla musica di Franco Piersanti; la seconda è il monologo "suggerito" da Nanni dal finestrino della macchina a una bravissima giovane attrice - Blu Yoshimi che ho scoperto essere figlia d'arte e sembra un reale talento - che sta lasciando il suo fidanzato.
Insomma, Moretti vive (Nanni no, o poco). Il voto è 6.5. E tutto il bene per Nanni-Moretti resta immutato.

Fabrizio Falconi

02/11/22

2 Novembre: La Lettera d'Amore a Mastroianni sulla sua tomba al Verano a Roma

 

La Tomba di Mastroianni al Verano fotografata qualche giorno fa /foto Rashide Andrade

Oggi, il giorno dei morti, vorrei ricordare il grande Marcello Mastroianni (1924-1996) sepolto al Cimitero Monumentale di Roma al Verano. 

Proprio qualche giorno fa, abbiamo realizzato questa foto e quella che segue: ci sono infatti morti che continuano a parlare e a ricevere messaggi anche molto tempo dopo la loro morte, per quello che hanno lasciato artisticamente certo, ma anche per la persona che sono stati. E' così bellissimo questo bigliettino lasciato da una ammiratrice che si definisce "giovane" e che si firma Claudia. Un semplice bigliettino con l'inchiostro scolorito dalla pioggia. 

La lettera lasciata da una ammiratrice sulla Tomba di Mastroianni al Verano/foto di Rashide Andrade

Si scopre, avvicinandosi, che il biglietto contiene nient'altro che alcune delle frasi più famose nella storia del cinema: quelle pronunciate da Marcello Mastroianni (Guido Anselmi) nel suo monologo contenuto nel capolavoro di Fellini, 8 e Mezzo e che rappresenta pienamente lo spirito del film. 

Tu saresti capace di piantare tutto e ricominciare la vita da capo? Di scegliere una cosa, una cosa sola e di essere fedele a quella, riuscire a farla diventare la ragione della tua vita, una cosa che raccolga tutto, che diventi tutto proprio perché è la tua fedeltà che la fa diventare infinita, saresti capace? 

Qui sotto il video.

E un ricordo oggi, per tutti i nostri morti.

Fabrizio Falconi - 2022


Fabrizio Falconi


02/09/22

Alejandro Inarritu, uno dei più grandi registi contemporanei, a Venezia: "Nessun regista può prescindere da Fellini"

 


Alejandro Gonzalez Inarritu non conosce l'italiano, ma apprezzerebbe il termine "spatriato", perche' rappresenta la sua condizione, sulla cui elaborazione ha costruito il nuovo film, il primo a sette anni da Revenant che nel 2015 valse l'Oscar a Leonardo DiCaprio. 

S'intitola non a caso Bardo, che sta piu' o meno per limbo, per condizione di mezzo tra mondo dei vivi e quello dei morti. 

"Io sono nel mezzo, sono messicano per gli Stati Uniti, americano in Messico", ha detto il regista di Amores Perros, 21 grammi, Biutiful, Birdman, che in concorso a Venezia 79 ha portato un film epico, monumentale, tre ore della vita di Silverio Gama, "emigrato di prima classe", giornalista, documentarista, scrittore di successo alle prese con un bilancio di vita

Non casuale: "Sono alla vigilia dei miei 60 anni, sono portato a riflettere, è un momento chiave della mia vita, sono pronto a capire, dal 2012 poi con un monaco vietnamita faccio meditazione, la trovo liberatoria, mi aiuta a vedere con distacco le cose, senza temere il giustizio degli altri, ad accettarmi insomma", ha raccontato. "Il successo ha un sapore un po' amaro, e' una posizione privilegiata, ma tante sono le attese, gli obblighi, nulla e' mai abbastanza, il successo porta a sacrifici, ad esempio per la tua famiglia", ha rivelato.

Il film è autocritico, sulla scelta di migrare ("migliaia di persone lo fanno non avendo altre opportunita'"), sulla condizione di chi va via dal paese. "Proprio oggi 1 settembre e' un anniversario importante: il 1 settembre 2001 con la mia famiglia abbiamo lasciato il Messico e siamo andati a vivere a Los Angeles, pensavamo per un anno, invece non siamo piu' andati via, ma questa assenza mi rincorre ogni giorno, il Messico diventa uno stato mentale e le storie che racconto in Bardo interpretano questa assenza"

Al suo personaggio (interpretato da Daniel Gime'nez Cacho) fa fare un viaggio emozionale, in cui la biografia vera del regista ha un confine incerto con la finzione, "e' auto-finzione" ma comunque gli fa dire di essere "al servizio dei gringos", ossia degli americani, di far parte del loro sistema. 

'Bardo - La cronaca falsa di alcune verita'' (al cinema e poi dal 16 dicembre su Netflix che lo ha prodotto) racconta un viaggio sospeso tra memorie e vissuto di Gama che sta per ricevere, primo messicano e latino americano, un prestigioso premio in America e per questo viene festeggiato anche in patria dove fa ritorno dopo anni. 

Nel coma che lo coglie dopo un infarto c'e' il sogno di questo viaggio tra Los Angeles e il Messico e ritorno e la storia di se stesso e della sua famiglia, ma c'e' anche la storia del Paese sotto scacco americano (Amazon si compra la Bassa California, "del resto oggi le corporazioni sono piu' ricche di tanti paesi, Walmart ha 3 milioni di dipendenti, c'e' un ritorno al feudalesimo delle corporazioni", ha detto), la tragedia dei migranti che provano a passare il confine (come aveva fatto nel commovente esperimento immersivo Carne Y Arena), la vita dei messicani poveri in California.

Tutto come un sogno, "perche' la realta' non esiste, piuttosto e' il senso che dai ad eventi che vivi, e' tutto finzione"

Inarritu paga il suo personale tributo al cinema del maestro di Rimini e con sincerita' lo ammette: "Fellini e' un santo protettore, come Bunuel, Roy Anderson, Jodorowsky. Non c'e' un cineasta che non sia stato infettato da Fellini cosi' come nessun musicista puo' prescindere da Mozart o da Bach. Il suo cinema e' il mezzo piu' simile ai sogni. E spero che santo Fellini mi abbia protetto anche questa volta".

Fonte: Alessandra Magliaro per ANSA

10/08/22

L'incredibile storia del ristoratore romano che finì protagonista del Fellini's Satyricon


Nel Satyricon, realizzato nel 1969 da Federico Fellini, film oggi assai ostico, colmo di visioni apparentemente scollegate, privo di una vera e propria trama, cupo e volutamente respingente, è centrale il personaggio di Trimalcione, che Fellini riprende fedelmente dal testo di Petronio.
Anzi, il peso della cena da Trimalcione (liberto arricchito che sfoggia un lusso volgare) risulta inferiore nella pellicola. Diciannove minuti e cinquanta secondi, il sedici per cento del totale del film. Mentre nel “romanzo” l’episodio occupa più di un terzo di spazio, il trentasei per cento per la precisione.
Altra differenza fondamentale è che nel libro il poeta Eumolpo, interpretato dal grande Salvo Randone non è presente nella cena, e nel film sì.
La cosa geniale è che Fellini scelse per il ruolo di Trimalcione, così importante, il "Moro", all'anagrafe Mario Romagnoli, oste capitolino, titolare del ristorante “Al moro” e come tale (“il Moro”) accreditato nei titoli di coda.
Il ristorante, piccolo, intimo, era uno di quelli preferiti da Fellini, a due passi da Fontana di Trevi.
Fellini fu colpito dallo sguardo “sabbioso” dell’uomo, dalla sua faccia di “Onassis tetro”, immobile, quasi una mummia.
Una faccia più "romana" di questa, in effetti, sembra impossibile che potesse essere trovata.
"Il Moro" si era portato sul set la moglie e la figlia che, nei primi giorni, avevano tentato invano di fargli ripassare le battute.
Nonostante tutta la sua buona volontà da alunno delle scuole elementari se ne stava li col faccione buio e greve.
La lentezza, la concentrazione per cercare di ricordare una parola erano tali per cui l'impresa risultava patetica e impossibile.
Racconta Fellini: "Allora per sbloccarlo gli dissi: senti Moro, prova a dire i numeri, unoduetrè, quattrocinque... Senonché il ritmo della mia voce che gli dava le battute a questa nuova emozione di dover dire dei numeri non combinava nulla di buono. Come fare? Alla fine fu lui, geniale, a suggerire una soluzione. "Potrei dire dei menù. Perché lì io vado come un treno". E così Trimalcione raccontava al poeta Eumolpo, un artista cialtrone, miserabile e scroccone, come aveva fatto le sue ricchezze dicendo "Oggi ciavemo du' cotolette a scottadito che ve magnate pure le dita, poi n' insalata con la rughetta, ' na goccia d' olio, tutto limone e niente aceto che l' aceto sulla rughetta non ci sta bene..."
Geniale.

20/06/22

Italo Calvino e l'allergia di Fellini per gli intellettuali



Italo Calvino fu incredibilmente lucido nel descrivere l'allergia che Fellini nutriva per l'intellettualismo e gli intellettuali.

Scrive Calvino: "Del resto il suo (di Fellini ndr) anti-intellettualismo programmatico non è mai venuto meno: l'intellettuale è per Fellini sempre un disperato, che nel migliore dei casi si impicca come in 8 e 1/2 e quando gli scappa la mano come nella Dolce Vita si spara dopo aver massacrato i figlioletti.
(La stessa scelta in Roma viene compiuta in epoca di stoicismo classico).
Nelle intenzioni dichiarate di Fellini, all'arida lucidità intellettuale raziocinante si contrappone una conoscenza spirituale, magica, di religiosa partecipazione al mistero dell'universo: ma sul piano dei risultati, né l'uno né l'altro termine mi pare abbiano un risalto cinematografico abbastanza forte.
Resta invece come costante difesa dall'intellettualismo la natura sanguigna del suo istinto spettacolare, la truculenza elementare da carnevale e da fine del mondo che la sua Roma dell'antichità o dei nostri giorni immancabilmente evoca."
Leggendo queste parole, Calvino sembra quasi sentirsi un po' parte in causa, in prima fila nella schiera dei blasonatissimi (e a ragione) intellettuali. La distanza di Fellini dagli intellettuali italiani fu pagata dal regista riminese in termini di incomprensioni e qualche volta di aperta ostilità.
Quello che è difficile condividere è però il fatto che entrambi quei "termini", come scrive Calvino, non abbiano avuto in Fellini "un risalto cinematografico abbastanza forte".
La più grande eredità linguistica lasciata dal cinema di Fellini è infatti, indubitabilmente, quella del mistero, della fantasia magica, dell'imprevedibile, dell'irrazionale e del grottesco. Che sono sempre state e restano la cifra stilistica inimitabile di Fellini. Talmente "forti" da essere oggi universalmente riconosciute e da aver fatto entrare il regista riminese in quell'Olimpo ristretto o ristrettissimo, dei maggiori e più influenti (e moderni) registi della intera storia del cinema.

06/06/22

L'equivoco di Casanova: "Io lo odio," diceva Fellini



Rivendo il Casanova di Fellini (1976), dopo parecchi anni, si scoprono nuove cose: è un film stupefacente, strano, cupo, mortuario, splendido. Esattamente nello stesso anno in cui Kubrick affrontava con Barry Lindon quello stesso secolo, il Settecento, disegnando geografie di spazi aperti, magnifiche quinte naturali, paesaggi che sembrano usciti dalla pittura fiamminga, Fellini si concentrava e si rinchiudeva nello spazio claustrale dello studio 5 di Cinecittà dove il film fu INTERAMENTE girato, ricostruendo lì Venezia, Parigi, Londra.

Si assiste inebetiti alla mostruosa capacità creativa dei tecnici e artigiani italiani di allora: Peppe Rotunno, Danilo Donati (premiato per questo film con l'Oscar), la sartoria Tirelli, i coreografi e ballerini che allestirono un poderoso mondo visionario, dove tutto è falso e tutto è più reale del reale.

Anche Donald Sutherland fu una scelta impeccabile, anche se Dino De Laurentiis che poi si ritirò dal produrre il costosissimo film, avrebbe voluto addirittura Robert Redford.

Ma Fellini non voleva un Casanova bello e lucido. Voleva un Casanova da incubo, marcio dentro e con gli occhi acquosi come Venezia, decadente, finito, o forse mai entrato nella vita per davvero.

E' un film che fa bene rivedere per capire cosa fosse il cinema italiano di quei tempi e che fa male per lo stesso motivo.

La causa del notevole insuccesso al botteghino fu certamente l'equivoco alla base del film, che Fellini aveva ben presente e che aveva accettato.

I produttori, prima De Laurentiis, poi Rizzoli (che rinunciarono) infine Alberto Grimaldi, erano ovviamente allettati all'idea di vendere all'estero il "Casanova", trionfo della figura del latin lover ante litteram italiano, del mattatore sessuale latino, realizzato nientemeno che da Fellini.

Una accoppiata che si sarebbe venduta da sola, senza nemmeno bisogno di pubblicizzarla e che loro credevano avrebbe esaltato "fellinianamente" le leggendarie doti amatorie/sessuali del maschio italico.

Non avevano però fatto i conti con Fellini, che dopo aver scelto di girare il film, decise di metterlo in scena boicottando completamente la figura dell'avventuriero veneziano, facendola a pezzi, massacrandola, realizzando il suo film più cupo, mortuario, decadente, completamente respingente.

La libertà dell'artista, a quei tempi, poteva prevalere e prevaleva, sugli interessi del botteghino.

Bernardino Zapponi, co-sceneggiatore del film, racconta il feroce corpo a corpo che sin dall'inizio Fellini ingaggiò con il suo personaggio. Racconta Zapponi:

"Fellini lo odiava: “è un cavallo. Come posso raccontare la vita di un cavallo”. Normalmente lo chiamava “lo stronzone”. Effettivamente non esisteva personaggio più antitetico di Fellini che il famoso libertino settecentesco."

Più tardi, in uno special televisivo, intervistato da Gianfranco Angelucci e Liliana Betti, Fellini ci va giù ancora più duro, e impietosamente dice:

"Gli italiani che si sentono tutti 'in pectore' grandi seduttori, hanno anch'essi creato il proprio precursore in Casanova... Nella terribile frustrazione sessuale in cui gli italiani si dibattono, era quasi fatale che si generasse il mito di un campione che riscattasse tutti. In anni, in secoli di educazione misogina e sessuofobica, amministrata dalla Chiesa cattolica, il maschio latino ha accumulato nei confronti della donna una tale paralizzante bramosia che lo ha fatto restare un adolescente, un individuo cui è stata impedita la crescita... Conclusione? Casanova, io lo odio."

E nonostante questa lucidità totale, e l'evidenza del film - di cui basterebbe guardare un solo minuto - ancora c'è qualcuno che lega lo stesso Fellini al mito del Casanova e del seduttore seriale latino-italiano, un equivoco che perdura e forse ancora strappa, ovunque lui si trovi, un sorriso di scherno al genio riminese, che sempre ci manca.

Fabrizio Falconi - 2022

31/03/22

La grande amicizia e stima tra Kundera e Fellini: due geni che (però) non si incontrarono mai

 

      

Un lungo viaggio alla scoperta di Milan Kundera, il geniale, timido e riservatissimo scrittore, poeta e drammaturgo ceco. A regalarci un ritratto inedito dell'autore de 'L'insostenibile leggerezza dell'essere' attraverso un'amicizia nata sotto il segno di Federico Fellini e' Stefano Godano in 'Kundera e Fellini. L'arte di non incontrarsi' che è in libreria per Rizzoli, con la prefazione di Vincenzo Mollica. 

Kundera considerava Fellini la vetta dell'arte della seconda meta' del Novecento e Fellini ricambiava definendolo il piu' grande scrittore contemporaneo: si scrivevano e si stimavano ma non si sono mai incontrati, racconta nel libro Godano, giornalista, per molti anni confidente e amico fedele di Fellini, studioso appassionato dei rapporti tra letteratura e cinema. 

Qualche anno dopo la morte di Fellini nel 1993, Godano e la moglie Daniela Barbiani, nipote e assistente del regista, incontrano Milan e Vera Kundera. E' il 2001 e nasce una straordinaria amicizia, fatta di incontri, lettere e lunghe telefonate, di ore e ore a chiacchierare a casa Kundera e nei ristoranti di Saint-Germain, a Parigi. 

Lo scrittore piu' inaccessibile e irraggiungibile si confida con l'autore sull'onda di una forte amicizia esaltata dalla passione per Federico Fellini e dalla ricerca dei punti di contatto creativi e immaginifici con il lavoro del grande regista. 

I romanzi di Kundera, la fuga dalla Cecoslovacchia, l'amore per la Francia e l'insofferenza per la gauche caviar, la passione per Venezia, Capri e Roma e i giudizi su alcuni grandi scrittori contemporanei vengono ripercorsi in un ritratto fedele dello scrittore, arricchito dai suoi disegni e da quelli di Fellini. 

Godano ha lavorato con Daniela Barbiani anche alla realizzazione del 'Dizionario intimo di Federico Fellini' (Piemme 2019), per il quale ha raccolto il testo inedito di Milan Kundera posto all'inizio del libro. 


11/08/21

Cinema: Apre a Rimini il "Fellini Museum", il polo museale più grande al mondo, dedicato a Fellini

 


Apre a Rimini il Fellini Museum, polo museale diffuso di nuovissima concezione e il piu' grande progetto museale dedicato a Federico Fellini

Le sue porte si apriranno per un lungo weekend di inaugurazione giovedi' 19 agosto, momento inaugurale e spettacolo a partire dalle 20.30, e il 20, 21 e 22 agosto visite guidate gratuite dalle 10 a mezzanotte

Il pubblico, munito di Green Pass, potra' prenotare la visita tramite il sito del museo (fellinimuseum.it). 

Inserito dal Ministero della Cultura tra i grandi progetti nazionali dei beni culturali, il Fellini Museum e' uno spazio in cui innovazione, ricerca e sperimentazione si misurano con la classicita' dell'arte. 

Il Museo verra' presentato dal ministro della Cultura Dario Franceschini in occasione della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia martedi' 31 agosto

Considerata la complessita' della sua articolazione su tre siti, con tempi diversi di conclusione - Castel Sismondo, Piazza Malatesta e Palazzo del Fulgor - l'inaugurazione del Museo non si concentra in un unico evento, ma si distribuisce secondo un programma d'iniziative (mostre, concerti, rassegne, convegni, spettacoli) che proseguira' per tutto il 2021

 Il Fellini Museum - spiegano i promotori - non intende interpretare il cinema del regista riminese come opera in se' conclusa, come sacrario o omaggio alla memoria, ma esaltare l'eredita' culturale di uno dei piu' illustri registi della storia del cinema, nato a Rimini nel 1920, e riunisce piu' luoghi del cuore cittadino, "dando vita a un percorso composito di narrazioni che rendono il visitatore protagonista di una esperienza immersiva, in un 'dialogo' tra spazi interni ed esterni in cui la creativita' e l'immaginazione possano contaminare positivamente Rimini e il suo cammino nel presente e nel futuro, come chiave di accesso al mondo del 'tutto si immagina'".

05/08/21

A Los Angeles una estate in compagnia di Alberto Sordi con l'Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles - 4 film streaming gratis



L'Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles
propone "Un'estate con Alberto Sordi", la proiezione di quattro film del grande attore romano, la cui carriera ha attraversato sette decenni e lo ha fatto affermare come un'icona del cinema italiano nel mondo, sia nella commedia che nel dramma leggero.

Tutti i film saranno proiettati per tre giorni consecutivi. 

Si parte il 6 agosto con 'Un Americano a Roma' per la regia di Steno, la storia di un ragazzo che va pazzo per qualsiasi cosa arrivi dagli Usa. La sua vita e' una parodia del vero stile di vita americano che lui non puo' avere. Il sogno di Nando e' visitare gli Stati Uniti, cosi' sale in cima al Colosseo e minaccia di suicidarsi se l'Ambasciata americana non gli dara' il visto.

A seguire il programma prevede la proiezione il 13 agosto de "I vitelloni", storico film diretto da Federico Fellini che racconta un anno della vita di un gruppo di sfaccendati di un piccolo paese che faticano a trovare un significato alle loro vite. 

Il 20 agosto e' la volta de "Il Moralista" di Giorgio Bianchi, interpretato da Alberto Sordi e Vittorio de Sica, una dura satira contro i sostenitori della morale sessuale tradizionale e gli sfruttatori. 

Il 27 agosto si chiude con "ll Vigile" di Luigi Zampa. 

L'Istituto di cultura propone anche una introduzione online sulla carriera di Sordi curata da Alessandro Ago, Direttore programmazione e progetti speciali presso la USC School of Cinematic Art.



 (ANSA). AU 04-AGO-21 12:21 SXR

08/06/21

La storia degli incontri di Tarkovskij con Fellini nei diari del grande regista russo.

 


Rileggendo i fitti diari di Andrej Tarkovskij, si scoprono i diversi riferimenti a Federico Fellini.

La prima notazione è del 7 gennaio 1974. Tarkovskij scrive di qualcuno che gli ha raccontato di una intervista a Bergman nella quale il maestro svedese afferma di considerarlo il migliore regista contemporaneo, "persino migliore di Fellini". Tarkovskij se ne meraviglia al punto di scrivere una serie di !!?? tra parentesi dopo il nome di Fellini.

Fellini ritorna il 3 maggio dello stesso anno. Tarkovskij è in Italia per la seconda volta nella sua vita (dopo la prima, da giovanissimo, nel 1962 per ritirare il Leone d'Oro a Venezia per "L'infanzia di Ivan") per presentare "Solaris" e finalmente a Roma incontra Fellini. Lo scrive subito nel diario:

"Ho conosciuto Fellini. Ha una grandissima stima delle mie capacità artistiche. Ho visto il suo Amarcord. E' interessante. Ma è comunque un film per il pubblico. Fa il civettuolo e taglia corto: ha fretta di piacere. Ma lui è una persona meravigliosa e profonda."

La capacità di Tarkovskij di inquadrare con pochi tratti le persone che incontra ricorre in tutto il Martirologio: il ritratto di Fellini, in due righe, è mirabile. E raccoglie in due pennellate lo spirito del grande riminese.

Vien da pensare che, Tarkovskij non parlando una sola parola di inglese, né tanto meno di italiano, i due si siano espressi a gesti e/o con l'ausilio di un interprete. Forse dello stesso Tonino Guerra.

Inoltre la proiezione di "Amarcord" a cui Tarkovskij avrà assistito sarà stata sicuramente in italiano, al massimo sottotitolata in inglese, quindi il povero T. ne avrà capito ben poco. Non così poco da non poterlo apprezzare dal punto di vista cinematografico.

Ed è spettacolare come T. abbia anche descritto l'ambiguità del genio e del carattere felliniano nel semplice contrasto, così vero, della sua personalità: da una parte "civettuolo" e fatuo, o sbrigativo e certamente narciso. Dall'altra, meraviglioso e profondo.

Tutte le citazioni sono tratte dal Martirologio di Andrej Tarkovskij.

Fabrizio Falconi 

26/05/21

Bong John-ho: "Il cinema italiano è sorprendente" - L'amore per De Sica, Fellini e Visconti




"La storia del cinema italiano è davvero sorprendente. Quando ero piccolo, avevo circa nove o dieci anni, ricordo di aver visto alla tv il film di Vittorio De Sica 'Ladri di biciclette' che mi ha sorpreso molto. Ricordo che anch'io a quel tempo avevo chiesto a mio padre di comprarmi una bicicletta". 

Cosi' il regista Bong Joon-ho, premio Oscar e presidente della prossima Mostra del Cinema di Venezia, in un'intervista esclusiva realizzata per la 19/a edizione del Florence Korea Film Fest, a Firenze.

Dove è stato anche proiettato Barking Dogs Never Bite, il film esordio di Bong Joon-ho. 

"A causa dell'emergenza sanitaria - ha spiegato il direttore del festival Riccardo Gelli - non abbiamo potuto invitare i registi e gli attori e quindi abbiamo pensato di chiedergli di organizzare delle interviste da remoto cosi' da proiettarle al festival come se fossero con noi in sala". 

"Conosco anche diverse opere di Federico Fellini - aggiunge il regista nell'intervista - in particolare Amarcord e Le notti di Cabiria sono quelle che preferisco. Tempo fa ho visto di nuovo molti film di Luchino Visconti che sono stati rilasciati in Blu-ray, Il gattopardo, Le notti bianche e uno dei miei preferiti, Rocco e i suoi fratelli. Quel film, proprio come Parasite, racconta di una famiglia provata da problemi economici che si trasferisce dal sud nord Italia per iniziare una nuova vita. Alcuni registi italiani a cui mi sono interessato negli ultimi tempi e che ammiro molto sono Francesco Rosi, Ermanno Olmi e Marco Bellocchio. 

Recentemente - conclude - sono diventato fan della regista italiana Alice Rohrwacher e sono rimasto molto impressionato dal suo film d'esordio Corpo Celeste". 

Fonte ANSA

15/02/21

100 anni dalla nascita di Giulietta Masina: Un libro la ricorda

 



Giulietta Masina avrebbe compiuto 100 anni il 22 febbraio 2021. Per festeggiare il centenario dalla nascita della grande attrice, moglie di Federico Fellini, la casa editrice Edizioni Sabinae con il Centro Sperimentale di Cinematografia pubblica la biografia 'Giulietta Masina' di Gianfranco Angelucci, scrittore ed esegeta felliniano, che arriva in libreria il 20 febbraio.

Nata a San Giorgio di Piano, in provincia di Bologna il 22 febbraio 1921, Giulia Anna "Giulietta" Masina, morta il 23 marzo 1994 a Roma, ha conquistato le platee di tutto il mondo con personaggi indimenticabili come Gelsomina ne 'La strada' e Cabiria in 'Le notti di Cabiria' diretta da Fellini, che hanno vinto entrambi l'Oscar al miglior film straniero. 

Indelebile anche il personaggio di Fortunella nell'omonimo film del 1958 di Eduardo De Filippo. 

Oltre che dal marito, con cui ha formato una delle coppie piu' celebri del cinema italiano, e' stata diretta dai maggiori registi italiani e stranieri, da Roberto Rossellini in 'Paisa'' dove ha fatto la sua prima apparizione, ad Alberto Lattuada in 'Senza pieta'' e Luigi Comencini in 'Persiane chiuse'.

Durante la sua lunga carriera ha vinto numerosi premi tra cui un David di Donatello piu' due speciali, quattro Nastri d'Argento e un Globo d'oro. 

Una delle ragioni di questo libro e' che Giulietta "era davvero l'altra meta' del cielo di Federico Fellini, e se non si conosce lei, la sua vita, la sua vicenda, la sua arte, si rischia di non conoscere abbastanza da vicino neppure Federico" spiega la nota editoriale. 

"Questa creatura umana che Giulietta ha saputo incarnare e tratteggiare con tanta ammirevole precisione e trepidazione, e' semplicemente la donna portatrice di vita, senza la quale non esisterebbe nessuno di noi, ne' il popolo di questa terra, ne' il futuro che ci attende, ne' l'arte, ne' la creativita', ne' la memoria, ne' i viaggi interstellari che forse condurranno il genere umano a colonizzare nuovi mondi, chissa' in quali remote contrade del cosmo" dice Angelucci. 

Il volume contiene un ricco apparato fotografico che proviene dall'Archivio fotografico del Centro Sperimentale di Cinematografia - Cineteca Nazionale. 




GIANFRANCO ANGELUCCI 
GIULIETTA MASINA 
EDIZIONI SABINAE- CENTRO SPERIMENTALE DI CINEMATOGRAFIA 
PP 242, EURO 18,00

05/02/21

Una nuova mostra a Roma su Federico Fellini, nella sua Cinecittà


Federico Fellini fotografato da Elisabetta Catalano


A suggello delle celebrazioni per il suo Centenario, Federico Fellini ritorna nella 'sua' Cinecitta', con una grande mostra fotografica e multimediale, all'interno dello storico Teatro 1, che si inaugurerà il 10 febbraio e sarà visitabile fino al 21 marzo 2021. 

Un inedito percorso iconico che racconta il rapporto elettivo tra il geniale regista ed Elisabetta Catalano, regina del ritratto fotografico

Curata da Aldo E. Ponis con la direzione artistica di Emanuele Cappelli, testi, ricerca scientifica e iconografica a cura di Laura Cherubini e Raffaele Simongini, la mostra e' stata realizzata da Istituto Luce-Cinecitta' con il contributo della DG Cinema e Audiovisivo, e vive delle immagini dello straordinario Archivio Elisabetta Catalano. 

Fellini, che per le questioni dello sguardo aveva una precisione pressoché infallibile, amò farsi fotografare da Elisabetta Catalano lungo tutto un arco della sua vita, tra il 1963 e gli ultimi anni, stabilendo un'affinità elettiva fondata sui clic, sulla capacità comune di afferrare l'anima di un personaggio (di una persona) in un rapido movimento di camera

Un percorso di oltre 60 immagini, videoproiezioni, oggetti, spiegano gli organizzatori, che non vuole essere il semplice racconto di Fellini al lavoro sul set, ma fa vedere piuttosto il regista che diventa lui stesso soggetto dell'arte nelle mani di un'artista che lo capi' come solo un'immagine puo' fare. 

Ne emerge il ritratto di un Fellini inedito insieme a quello di una fotografa straordinaria, ritrattista di tutti i piu' grandi da Michelangelo Antonioni ad Anouk Aimee, da Susanna Agnelli ad Alighiero Boetti, da Bernardo e Attilio Bertolucci a Italo Calvino , da Claudia Cardinale a Gerard Depardieu Giangiacomo ed Inge Feltrinelli, Amintore Fanfani. Dustyn Hoffman, Audrey Hepburn fino ad Andy Warhol e Zaha Hadid, solo per citarne alcuni. 

Occhi unici, quelli di Elisabetta, ai quali Fellini più di altri amò far vedere il proprio sguardo. 

25/01/21

E' morto Alberto Grimaldi, uno dei più grandi produttori del Cinema Italiano

Alberto Grimaldi con Marlon Brando ai tempi di Queimada, 1969


All’età di 95 anni è morto il produttore Alberto Grimaldi. Ritiratosi a Miami, era nato a Napoli nel 1925.

Fondatore della PEA, Grimaldi si affermò negli anni Sessanta con gli Spaghetti Western, realizzando quelli che ormai sono classici del genere come Per qualche dollaro in più (1965) e Il buono, il brutto, il cattivo (1966) di Sergio Leone, La resa dei conti (1966) e Faccia a faccia (1967) di Sergio Sollima.

Dalla fine degli anni Sessanta Grimaldi divenne uno dei principali produttori del cinema d’autore. Dal 1968, a partire dall’episodio Toby Dammit di Tre passi nel delirio, iniziò a lavorare con Federico Fellini, un sodalizio che proseguì con Fellini Satyricon (1969), Il Casanova di Federico Fellini (1976) e Ginger e Fred (1986). Fondamentale la collaborazione con Pier Paolo Pasolini, di cui Grimaldi produsse tutti i film da Il Decameron (1970) all’ultimo Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975).

Un capitolo a parte merita l’avventura con Bernardo Bertolucci. Con la United Artists, Grimaldi realizzò Ultimo tango a Parigi (1972) e fu coinvolto, insieme a Bertolucci, nella lunga e tormentata vicenda legale, dal sequestro della pellicola alla condanna fino al rocambolesco salvataggio di una copia. Nonostante lo scandalo internazionale, il film riuscì a incassare 36 milioni sul mercato americano e oltre 90 in tutto il mondo, ottenendo due nomination all’Oscar. Nel 1976 fu la volta del kolossal Novecento.

Grimaldi produsse anche Un tranquillo posto di campagna di Elio Petri (1969), Storie scellerate di Sergio Citti (1973), Cadaveri eccellenti di Francesco Rosi (1976), Viaggio con Anita di Mario Monicelli (1979). L’ultimo suo grande progetto è Gangs of New York di Martin Scorsese (2002).

fonte: il cinematografo.it

Alberto Grimaldi con Federico Fellini 



03/08/20

Per i 100 anni di Federico Fellini, a Rimini si apre il "processo ai Vitelloni"



E' il Vitellone di felliniana memoria l' 'imputato' del tradizionale Processo del 10 agosto a San Mauro Pascoli (Forli'-Cesena) promosso da Sammauroindustria. 

Nomignolo nato dall'inventiva dello sceneggiatore Ennio Flaiano (spiego' la derivazione dall'abruzzese "vudellone", una budella da riempire), nel tempo ha assunto connotati controversi: positivi, del seduttore per eccellenza della Riviera romagnola; negativi, del maschilista tout court. 

A dibattere nel tribunale a Villa Torlonia, alle 21, saranno la giornalista de Il Manifesto Daniela Preziosi, che guidera' l'accusa, e Gianfranco Angelucci, stretto collaboratore del regista riminese, alla difesa. Presidente del Tribunale Miro Gori, fondatore del Processo; il verdetto sara' emesso dal pubblico munito di palette (400 i posti disponili causa restrizioni Covid). 

Il Processo e' un chiaro omaggio ai 100 anni di Federico Fellini. "Vitellone e' uno che non fa nulla e campa, anche in eta' da lavoro, sulle spalle della famiglia - spiega Gori -. Perfetta da questo punto di vista e' la rilettura felliniana di Amarcord dove in Lallo, zio del protagonista Titta, la figura del vitellone si fonde con quella del 'pataca'. Se questo e' un primo e assai grave capo d'imputazione in una Repubblica 'fondata sul lavoro', altri non mancano: dall'incapacita' di crescere, maturare, staccarsi dall'adolescenza, al maschilismo radicale che ha indotto nell'opinione comune l'analogia tra vitellone e seduttore da spiaggia, come racconta Sergio Zavoli, altro illustre riminese, nel documentario 'I vitellini'. 

Ma spettera' all'accusa definire con esattezza il capo dell'imputazione e alla difesa trovare attenuanti e reali motivi per l'assoluzione". 

Le prime schermaglie tra le due parti non mancano. Secondo l'accusatrice Daniela Preziosi "i Vitelloni restano un monumento alla peggio gioventu' maschile, regredita al comodo eterno stato infantile, mammoni e traditori, bandiere di un'inconcludenza che e' indifferenza. Bighellona, bovina, bulla, banale, irredimibile". 

Diverso il punto di vista del difensore Angelucci: "I luoghi comuni, le convenzioni, nascondono spesso pregiudizi che conducono verso una strada sbagliata. I Vitelloni sono ben altro da cio' che in molti pensano, e ci stupiremo insieme a scoprire quanto la loro natura, che ci appartiene cosi' da vicino, rappresenti forse la nostra parte piu' nobile". 

26/06/20

Quando Fellini ingaggiò la donna più alta del mondo per "Casanova" - L'incredibile storia di Sandy Allen

Sandy Allen con Federico Fellini nell'estate del 1975 a Cinecittà

Per il suo Casanova, che ebbe vicissitudini produttive infinite, girato interamente a Cinecittà, Federico Fellini ingaggiò anche la gigantessa americana Sandy Allen, che il Guinness dei Primati riconosceva come la donna più alta del pianeta, misurando in altezza 2.31 metri (qui sopra in una rarissima foto durante le riprese). 

Sandy Allen interpretò il ruolo appunto di Angelina, la Gigantessa che Casanova/Donald Sutherland incontra a Londra.

La Allen - nome completo Sandra Elaine Allen era nata il 18 giugno 1955 e la sua incredibile altezza era dovuta a un tumore nella sua ghiandola pituitaria che gli aveva causato il rilascio incontrollato dell'ormone della crescita . All'età di ventidue anni aveva subito un intervento chirurgico, senza il quale la donna avrebbe continuato a crescere e soffrire di ulteriori problemi medici associati al gigantismo. 

Scoperta durante uno dei suoi casting leggendari, Fellini chiese subito di poterla avere nel cast e nell'estate del 1975 (le riprese iniziarono il 21 luglio a Cinecittà) la Allen arrivò a Roma con un volo speciale fatto venire dagli USA. 

Sandy Allen con Federico Fellini sul set di Casanova (agosto 1975)

Appena dopo il ritorno della Allen in America, intorno a Ferragosto un'altra sciagura si abbatté sulla lavorazione del film: la gran parte dei negativi già girati infatti vennero rubati dagli stabilimenti Technicolor di Cinecittà, insieme a delle pizze di Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini e Un genio, due compari, un pollo di Damiano Damiani.

Fellini si disse "rovinato" dal furto anche per la ragione pratica che le scene già girate e trafugate comprendevano i negativi girati con la gigantessa americana, per la quale un ulteriore ritorno in Italia avrebbe causato non pochi problemi organizzativi, visto che già la prima volta si era resto necessario lo smontaggio e l'adattamento dei sedili dell'aereo di linea. 

Fellini decise di proseguire comunque con il resto del film, riservandosi eventualmente di tagliare - con grandissimo dispiacere - le scene che riguardavano Angelina/Sandy Allen. 

Sandy Allen accompagnata sul set vestita da "Angelina", nell'estate del 1975 a Cinecittà

Le riprese, che da contratto sarebbero dovute durare 26 settimane, si interruppero bruscamente il 16 dicembre 1975 quando la produzione sospese le riprese licenziando il 21 tutta la troupe. 

Per il produttore Grimaldi la decisione era motivata dal fatto che il film invece di essere già stato completato con una spesa di 4,2 miliardi di lire, era già costato 4,8 miliardi e completato solo al 60%.

A quel punto Grimaldi si disse disposto ad investire un ulteriore miliardo a patto di ridurre i costi.

Fellini dal canto suo si sentì diffamato dal produttore e sostenne che l'accordo era di terminare le riprese il 21 gennaio 1976, ricordando che quattro settimane di lavoro erano sfumate a causa di scioperi, di una malattia del protagonista e di deficienze attribuibili alla produzione.

Quanto ai costi dell'opera Fellini in qualità di autore, e non di produttore associato, si dichiarò estraneo.

La querelle investì i media, che ovviamente ci andarono a nozze, e trovò soluzione solo quando Fellini si decise a trascinare Grimaldi in tribunale. 

Il 28 gennaio 1976 fu trovato l'accordo: Grimaldi avrebbe investito ulteriori 1,2 miliardi di Lire e gli attori sarebbero stati riconvocati a fine febbraio per terminare la lavorazione del film entro otto/nove settimane.

Il film venne ripreso dunque il 23 marzo. Quando tutte le riprese si erano ormai concluse e Fellini si era ormai rassegnato a fare a meno della parte relativa ad Angelina la Gigantessa, nel maggio 1976,  tutto il materiale trafugato fu ritrovato a Cinecittà, misteriosamente. 

Fellini ovviamente accolse la cosa con gioia, recuperando le scene perdute e potendo così procedere al montaggio completo del film.

Casanova uscì nelle sale a dicembre di quello stesso anno.

Ma che ne fu di Sandy Allen?

Sandy Allen

Colpita da improvvisa e provvisoria notorietà dopo la parte in Casanova, la Allen comparve sporadicamente in alcuni documentari.

Non si sposò mai. Con il passare degli anni, anzi, le sue condizioni di salute peggiorarono, essendo costretta ad usare una sedia a rotelle perché le gambe e la schiena non potevano sostenere la sua alta statura in posizione eretta. Infine, relegata a letto a causa di una malattia, per l'atrofia completa dei muscoli. 

Trascorse i suoi ultimi anni a Shelbyville, nell'Indiana.

Morì il 13 agosto 2008 a cinquantatré anni e da allora una borsa di studio è stata dedicata a suo nome alla Shelbyville High School.

Fabrizio Falconi 
tutti i diritti riservati - 2020


22/06/20

100 film da salvare alla fine del mondo: 70. "8½" di Federico Fellini (Italia, 1963)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo". Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 70. "" di Federico Fellini (Italia, 1963)

E' ormai per la critica unanime uno dei film capitali nella storia del cinema. E talmente conosciuto e singolare - genialmente innovativo all'epoca - nella struttura e nello stesso sviluppo narrativo che non serve tornarvi. 

E' più interessante invece dare voce allo stesso Fellini, che così parlava del suo film - su invito del settimanale - a corredo delle immagini di Tazio Secchiaroli sul set di Otto e mezzo, pubblicate in anteprima assoluta da L'Europeo del 6 gennaio 1963:

Forse questa è solo la storia di un film che non ho fatto.  

Mi ricordo che all'inizio, parlo almeno di un anno e mezzo fa, volevo mettere insieme un ritratto a più dimensioni di un personaggio sui quarantacinque anni che, in un momento di sosta forzata (il fegato, una cura termale in un posto tipo Chianciano, la giornata scandita da orari nuovi e precisi, il riposo, il silenzio, e intorno una folla insolita e malata, sovrani nordici e contadine, vecchi cardinali e mantenute un po' acciaccate), sprofonda pigramente in una specie di verifica intima. 

Quasi inevitabilmente gli passano davanti fantasie e ricordi, sogni e presentimenti.  Non riuscivo, all'inizio, a dargli una carta d'identità, al protagonista.  Restava un personaggio generico, piombato in una certa situazione, e credevo che non fosse necessario definirlo meglio.  

Ma il film non riusciva a fare un passo avanti. Per quanto se ne discutesse con gli sceneggiatori, Flaiano, Pinelli e Rondi, non restava altro che l'idea del film.  Poi il personaggio è diventato finalmente un regista che tenta di riunire i brandelli della sua vita passata per ricavarne un senso e per tentare di capire. Anche lui ha un film da fare, che non riesce a fare.

A un certo punto lo troviamo perfino ai piedi di una gigantesca rampa per missili: da quella rampa, nel suo film, dovrebbe partire un'astronave, con il compito di portare in salvo, verso chissà quale altro pianeta, i resti dell'umanità distrutta dalla peste atomica.    Proprio lì, sotto il castello di tubi e di pedane, il mio protagonista dice a se stesso: 

"Mi sembrava di avere le idee chiare. Volevo fare un film onesto, senza bugie di nessun genere. Mi sembrava di avere qualcosa di molto semplice da dire: un film che servisse, un po' a tutti, a seppellire quello che di morto ci portiamo dentro. Invece sono io il primo a non avere il coraggio di seppellire proprio un bel niente.  E adesso mi trovo qui con questa torre tra i piedi e una gran confusione nella testa. Chissà a che punto avrò sbagliato strada.

Un capolavoro che non smette, dopo 60 anni, di ricevere applausi da ogni parte del mondo.

8 ½ 
Regia di Federico Fellini
Italia, 1963 
con Marcello Mastroianni, Claudia Cardinale, Anouk Aimée, Sandra Milo, Rossella Falk. 
durata 138 minuti