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18/04/23

Come nacque "Il Giorno più bello per Incontrarti"

 



Il giorno più bello per incontrarti (Fazi Editore, 2000), nacque molti anni prima di essere scritto - e pubblicato. La vicenda al centro del romanzo infatti, fu ispirata da un fatto vero, i cui particolari avevo appreso durante un lavoro d'inchiesta, per la RadioRai, nel maggio 1988. 

Da giovane giornalista, membro di una redazione formata da giovani talenti, ero sempre alla ricerca di nuovi fenomeni da indagare. Incappai così in uno studio realizzato dal Viminale che, all'epoca, forniva i dati riguardo al fenomeno degli scomparsi - quelle persone che si allontanano da casa senza apparente motivo e sembrano sparire nel nulla. 

Si trattava - e si tratta - di un fenomeno molto più esteso di quanto pensassi e di quanto pensassero gli autori del programma. Migliaia di persone, in un solo anno. La gran parte, allontanamenti volontari (specie di giovani) che si risolvevano presto in un ritorno a casa.

Una parte considerevole di questi scomparsi però, spesso non tornava. 

E a parte i casi celebri, sui quali costruimmo delle ricostruzioni ad hoc, come quello del Professor Federico Caffè o di Ettore Majorana, v'erano diversi casi di persone assolutamente comuni, scomparse da un giorno all'altro nel nulla, per la disperazione dei familiari e degli amici. Naturalmente eravamo partiti, su questo argomento, molto prima di Chi l'ha visto, o programmi simili che sono seguiti. 

A caccia di casi ignoti ai più, mi imbattei in quello di un ragazzo veneto, la cui storia mi colpì moltissimo. Si chiamava Tiziano Zennaro, e viveva con la famiglia, in condizioni economiche piuttosto disagiate, nell'isola di Pellestrina, all'interno della Laguna Veneta, di fronte a Chioggia. Un giorno Tiziano, giovane difficile, si era allontanato da casa senza fare ritorno. Non era la prima volta, ma stavolta i genitori capirono che era diverso. Iniziarono le ricerche, sull'isola e sulla terraferma, senza esito. 

Un mese dopo, si era d'inverno, le acque della Laguna restituirono il corpo di un ragazzo. I genitori di Tiziano furono subito chiamati. Il cadavere era in condizioni di avanzato deterioramento, ma in sede di rilievi autoptici, si evidenziò che alcuni dati, come ad esempio l'altezza, corrispondevano a quelli di Tiziano. Il riconoscimento fu fatto e il caso chiuso. Il presunto Tiziano fu seppellito a Pellestrina.

Ecco che però, qualche anno dopo, arriva una cartolina a casa Zennaro. Il padre non c'è più, la madre ancora piange il figlio. La cartolina è una sorta di resurrezione di Lazzaro: è infatti firmata proprio da Tiziano, il figlio creduto morto. Scrive da una struttura psichiatrica, a Padova, dove è ricoverato.  La madre, superato lo shock, va a riprendersi Tiziano: scopre che è ricoverato nella struttura dal giorno in cui è stato trovato, in strada, senza documenti e senza che il ragazzo sapesse dire come si chiamasse. Curato per lunghi mesi, finalmente Tiziano a un certo punto ha recuperato la memoria: ha ricordato il suo nome e il nome e l'indirizzo della madre. E ha scritto.

La madre si riporta a casa il figlio, ma comunque non va a finire bene. Tiziano sta male, è insofferente: si lascia praticamente morire d'inedia, nella casa sull'isola e medici e psichiatri non riescono a salvarlo. 

Quando trovai questa storia, così letteraria, che ricordava davvero il Mattia Pascal, presi il primo treno per Venezia, e andai su quei luoghi. L'isola di Pellestrina, anche a maggio, era un luogo desolato. La vecchia madre di Tiziano viveva ora a Venezia, all'Arsenale. La trovai in una piccolissima casa, con il caffé pronto in cucina. Mi raccontò tutta la storia con una sorta di benedetta rassegnazione: Tiziano era sempre stato "un'anima inquieta" e bisognava accettarlo. 

Su quella vicenda e prendendo qualcosa di Tiziano e di quello che avevo scoperto su di lui, costruii la storia e il personaggio di Giovanni, che scompare nell'autunno del 1977 e il cui corpo - presunto - viene ritrovato sulla spiaggia di Sitges, poco dopo la sua sparizione. 

E la vicenda, in questo caso, si fa misteriosa quando la vedova, ben quattordici anni dopo, riceve una enigmatica cartolina da Giovanni, che evidentemente è ancora vivo, da qualche parte. 

La storia di Tiziano Zennaro si è in qualche modo incarnata - mentre scrivevo - in quella di Giovanni e mi piace pensare che abbia fornito una nuova casa, una casa di carta, a lui che era così insofferente ad averne una. Forse tra le pagine di questo romanzo, anche l'anima di Tiziano ha trovato un posto dove stare.

Fabrizio Falconi . 2023



11/10/19

Lasciarsi. Da "Cieli come questo" di Fabrizio Falconi





Il venerdì seguente Giorgio partì per il congresso nazionale del sindacato, in programma per tre giorni a Torino.
Isabella si organizzò. Annunciò a Lorenzo che dovevano assolutamente vedersi, quella sera stessa.
“ Brutte notizie ? “
Lei non rispose. E non disse niente nemmeno quando lo passò  a prendere con la macchina in una piazza del centro dove si erano dati appuntamento.
Lorenzo salì con la sua aria sorridente, percependo l’atteggiamento ostile di lei. 
Arrivarono in un posto subito fuori dalla tangenziale, chiamato Monte Antenne. Al termine della breve salita alberata, Isabella parcheggiò nel grande spiazzo dove altre coppie si appartavano in macchina, coi vetri appannati.
Spense il motore.
“ Che c’è ? Che è successo ?" chiese il ragazzo, sforzandosi di continuare a sorridere.
“ Cosa viene in mente al tuo amico ? “ disse subito lei, aggressiva, “ chiamare mio marito... per cosa poi ? Per proporre un seminario di Sri Rajakrishna patrocinato dai... sindacalisti. Ma dico, ma come gli viene in mente una cosa del genere, è ammattito?”
“ Stai calma, io non ne sapevo niente. Me lo ha detto solo a cose fatte.  E’ stata una sua idea, ne avevamo già discusso e a me pareva una stronzata. Valdemar lo sai com’è fatto, che c’entro io?“
“ E’ semplice. E’ un tuo amico. Dovresti vigilare su di lui. “
“ Ma che dici ? Io non sono il suo tutore. Stai scherzando, spero... Vigilare, vigilare su cosa ?  E perché, poi ? Cosa è successo di tanto grave ? “
“ Certo, niente per te è grave, tu vivi così, tu sei... completamente fuori. Non sai nemmeno cos’è la vita… “
Lorenzo rise amaro:
“ Già, infatti. E tu invece. Tu per fortuna lo sai... “
“ Esistono delle responsabilità. “
Il ragazzo voltò la testa dall’altra parte.
“ Questa parola mi fa orrore, “ disse, “ anzi meglio, non mi fa orrore la parola, mi fa orrore il mondo in cui la pronunciate. E’ il paravento dietro il quale nascondete il vostro lato oscuro, le vostre debolezze. “
“ Perché parli al plurale ? A chi ti riferisci ? Faccio parte di una categoria ? “ Isabella cercava il suo sguardo.
“ Non ti ho mai messo in una categoria, se è questo che intendi. Forse l’hai fatto tu con me. “
Lei per un po’ non rispose. Disegnò un triangolo col dito sulla condensa formata all’interno del parabrezza.
“ Lorenzo, io non ti amo, “ disse alla fine, “ io amo un altro uomo. So perché succedono queste cose, e lo sai anche tu, succedono per mille motivi... Si scambia per amore, ... Si fraintende… Ogni tanto piace a tutti far finta che le cose stiano così. Ma è solo finzione. Io mi fermo qui. “
“ Cosa è l’amore per te ? “ chiese Lorenzo gelido.
“ Che vuol dire ? Io Giorgio lo amo da ventitré anni. So di amarlo. “
“ Lo sai ? Buon per te. Perché invece mi sembra così difficile dirlo. Io non lo dico mai. Ci puoi arrivare solo  per sottrazione.“
“ Cioè ? “
“ Quando sei sicuro di aver tolto ogni artificio, ogni resistenza, ogni negazione dentro di te. “
“ Lorenzo tu vivi in un mondo irreale, inventato. Non è la realtà. E poi non sei sincero, quel giorno, a Bagno Vignoni anche tu hai parlato di amore… Cosa volevi dire se non che mi amavi  ? ”
“ Io ti ho solo detto di essere innamorato. Era una constatazione. Amare non è quello che tu pensi: lo squalifichi al prezzo più triste. Congiunzione carnale, attrazione, convenzione, contratto. Niente di tutto questo. “
“ Straparli. Fai distinzioni di comodo. Io ti dico cose concrete e tu non ascolti neanche. Così diventa tutto difficile. “
Lorenzo guardava fuori dal finestrino. Fece un sospiro, poi disse, come se parlasse da solo:
“ Io so che tu mi ami. L’ho sempre saputo. “
Isabella aprì lo sportello della macchina e scese, incamminandosi per la discesa buia. Lorenzo, dopo qualche secondo, la seguì, le corse dietro, la afferrò per un braccio. Lei si voltò di scatto:
“ Non sai nulla. Non sai quello  che dici. “
“ Dimmi una parola sola. Dimmi quella parola che non riesci a dire. Ma dimmela ora. Solo ora puoi dirmela, “. Isabella non l’aveva mai visto così: sembrava un folle, un invasato, i fari di una macchina gli illuminarono gli occhi in un  lampo.
“ Vattene via. “
“ Quella parola vera. Solo quella mi serve. “
“ Sei solo un povero esaltato. “
Si liberò dalla morsa della sua mano, tornò indietro, salì in macchina e partì con una sgommata.
Lorenzo rimase lì, mentre la macchina gli sfrecciava davanti.
Si accovacciò per terra, poi dopo un po’ si incamminò su per la salita, lungo  il sentiero che conduceva in cima alla collina, dove c’erano i ripetitori. Mucchi di spazzatura, muriccioli sbrecciati, pieni di scritte, profilattici per terra.
Si affacciò dal parapetto, da cui si scorgeva la città illuminata. Pensò alla sua vita, e alle altre vite che scorrevano lì sotto, nel fiume della tangenziale.
Poi guardò in alto, e così, senza un motivo preciso, gli affiorarono sulle labbra alcune parole: “ Mi affido comunque. Mi affido alle tue mani generose. “



Tratto da Fabrizio Falconi, Cieli come questo, Fazi Editore, Roma, 2002 (in edizione Kindle 2014)

03/09/19

Il Libro del Giorno: "Due occhi azzurri" di Thomas Hardy



Ci sono romanzi considerati minori di grandi, assoluti scrittori che valgono assai di più di molti dei romanzi maggiori di una grande quantità di autori contemporanei. 

E' il caso di A Pair of Blue Eyes, scritto da Thomas Hardy nel 1872, e uscito a puntate tra quell'anno e il seguente, fino a luglio 1873. 

Si trattava del terzo romanzo pubblicato di Hardy e del primo non pubblicato in forma anonima alla sua prima pubblicazione. 

Il libro descrive il triangolo amoroso di una giovane donna, Elfride Swancourt, e dei suoi due pretendenti di origini molto diverse

Stephen Smith è un giovane socialmente inferiore ma ambizioso che la adora e con la quale condivide le stesse origini di campagna. 

Henry Knight è il rispettabile, affermato, uomo più anziano che rappresenta la società di Londra. 

Sebbene i due siano amici, Knight non è a conoscenza del precedente collegamento di Smith con Elfride

Elfride si ritrova coinvolta in una battaglia tra il suo cuore, la sua mente e le aspettative di coloro che la circondano: i suoi genitori e la società

Quando il padre di Elfride scopre che il suo ospite e candidato per la mano di sua figlia, l'assistente dell'architetto, Stephen Smith, è figlio di un muratore, gli ordina immediatamente di andarsene. 

Giunge dunque sulla scena Knight, che è un parente della matrigna di Elfride, il quale si innamora a tal punto, ignorando del tutto i precedenti trascorsi della ragazza, da proporre a Elfride di sposarla. 

(spoiler

Elfride, per disperazione, sposa un terzo uomo, Lord Luxellian. La conclusione trova entrambi i pretendenti che viaggiano insieme verso Elfride, entrambi intenti a reclamare la sua mano, e non sapendo né che è già sposata o che stanno accompagnando il suo cadavere e la sua bara mentre viaggiano.

Il romanzo è denso di riferimenti autobiografici relativi ad Hardy e la sua prima moglie Emma Gifford e, in pieno trionfante clima vittoriano, offre un esempio del pessimismo gotico dello scrittore, della fallibilità dei sentimenti umani, della illusorietà delle passioni e della incapacità di tutti, uomini e donne, di essere padroni del proprio destino.  E' estremamente moderna la confusione psicologica dei personaggi che si muovono sul teatro della lugubre campagna inglese, affacciata sulle estreme scogliere atlantiche. E' grandiosa la capacità di alternare la pura narrazione evolutiva - con colpi di scena che tengono sempre desta l'attenzione del lettore fino all'ultima pagina - alle profonde notazioni introspettive delle inconsistenti passioni dei personaggi, che si dimenano senza posa - e senza apparente scopo - come sotto la lente di ingrandimento di un entomologo. 

Fabrizio Falconi



07/09/18

La magia di Torcello e le luci di Venezia - Una pagina da "Cieli come questo" di Fabrizio Falconi.





Negli ultimi giorni non si era sentita bene. Era ancora piuttosto debole e continuava ad avere fitte all’addome. Giorgio la convinse a farsi controllare da uno specialista. Lei ci andò recalcitrante – perché si fidava ciecamente di Lidia  – e alla fine anche la nuova visita confermò che non c’erano problemi particolari,  il viaggio di lavoro a Venezia non era dunque sconsigliato.
Prima del convegno, i delegati vennero accompagnati per una prima visita alla Cattedrale di Santa Maria dell’Assunta, e alla chiesa di Santa Fosca, a Torcello.
Isabella, insieme a quattro hostess in divisa, li attendeva sul tappeto blu sul molo dell’isola, mentre cominciava a piovere.
Arrivavano alla spicciolata accademici e storici dell’arte infreddoliti, insieme a mogli e compagne, sotto l’ombrello. Isabella stringeva le mani, consegnava l’elegante cartellina di cuoio, contenente  tutte le informazioni e i gadgets preparati per il convegno.
Lavorò senza pause fino alle otto. Poi chiamò al telefono la figlia.
Diletta studiava per un esame, chiusa in casa.
“ Da quando sono ritornata, non hai avuto un attimo per parlare con me, “ disse alla madre, che la sentiva giù di tono, con la voce dimessa.
“ Lo so, “ rispose Isabella, “ ma lo sai, questo convegno è la cosa più importante della stagione, vedrai che quando torno sarò molto più libera. “
“ Voglio raccontarti delle cose. Anche per me non è facile, sai quanto ci metto ad... aprirmi. “
“ D’accordo, ma tu come ti senti, ora ? “
“ Non tanto bene... Questo viaggio mi ha cambiato, mi sento un’altra, ma anche più inquieta. Avrei bisogno di spiegarti tante cose, anche riguardo a Nicoletta e a quello che ha rappresentato questo incontro per me. A quello che ho scoperto dentro di me. Insomma mi sento un po’ sola adesso. Non sto al massimo, veramente“
“ Passerà, vedrai. “
“ E Venezia com’è ? “
“ Terribile. Piove e fa freddo. Lavorare così è duro. Noi l’avevamo detto che il periodo era sbagliato. Bisognava aspettare la primavera. Tuo padre ti ha chiamato ? Quando torna ?“
“ Non lo so. Oggi non l’ho nemmeno visto. “
“ Va bene, adesso devo salutarti .“
Un altro motoscafo si stava avvicinando al molo. Ne discese un uomo alto e stempiato, accompagnato da  una donna bionda, alta quasi quanto lui.
“ Michael  Husselbaink “, si  presentò.
Isabella sulle prime non lo aveva riconosciuto. Eppure sapeva benissimo chi era: un grande musicista, del quale aveva apprezzato soprattutto  la Suite per l’angelo -  Isabella adorava quel cd, l’aveva comperato appena uscito, ed era rimasto uno dei suoi preferiti. Due volte era anche andato a sentirlo suonare dal vivo, quando aveva fatto tappa a Roma insieme al suo ensemble.
“ Le presento mia moglie. Siamo arrivati in ritardo ? “
“ Sì, un po’. Credo che siate gli ultimi, ma la cattedrale dovrebbe essere ancora aperta. Venite, vi accompagno. “
Salirono a bordo di una vettura elettrica, che fungeva da navetta, mentre la pioggia continuava ad abbattersi sulla laguna senza sosta.
Isabella guidò i due ultimi ospiti dentro la Cattedrale. Husselbaink indugiava tra i banchi, fermandosi estasiato ad ammirare i mosaici, sembrava conoscere molto bene le immagini e tutte le interpretazioni cabalistiche. Indicava alla moglie le figure, traduceva per lei le indicazioni che Isabella forniva diligentemente.
Fermi di fronte al pronao, restarono a lungo ad osservare il grande mosaico raffigurante la Vergine.



“Cosa c’è scritto nella iscrizione, lì sopra ?" chiese Husselbaink, indicando la scritta in caratteri gotici che correva lungo la cornice dell’abside.
Isabella non era così preparata. Fece ricorso ad una ragazza, una guida del posto, che lesse ad alta voce senza indugi l’invocazione in versi latini:
              
                Sum deus atque caro, patris et sum matris imago,
                non piger ad lapsum set flentis proximus adsum

fornendo subito la traduzione della frase:

               Sono Dio e uomo, immagine del Padre e della Madre,
             dal colpevole non sono lontano, ma al pentito sono vicino.

Husselbaink sorrise soddisfatto, tradusse la frase in nederlandese per la moglie, trascrivendola poi in un quaderno di appunti.
Lasciarono la cattedrale quando era ormai vuota.
La ragazza spense le luci e si ritrovarono fuori nel buio quasi assoluto della piazza antistante la chiesa. Attesero il ritorno della vettura, sotto il porticato. Isabella e la ragazza da una parte, Husselbaink e la moglie dall’altra, addossati ad una delle colonne. Isabella percepiva le loro frasi sussurrate.
Finalmente la navetta tornò a prenderli. Durante il viaggio, il musicista raccontò di aver accettato l’invito di suonare nella serata di gala del convegno perché affascinato dai misteri di Venezia, e soprattutto dalle isole, da  Torcello e San Michele.
Il sovrintendente Loredan seduto a fianco di Husselbaink, intanto, elencava i nomi dei palazzi. Le hostess, infreddolite nei cappotti, fumavano negli ultimi sedili vicino ai finestrini. La moglie del musicista guardava fuori, con le labbra socchiuse, apparentemente distratta.  Il suo alito formava una leggera condensa sul vetro.
Husselbaink ascoltava la litania dei nomi elencati dal sovrintendente.  “Questi nomi sono come musica,” gli disse ad un certo punto, “ e io sono del tutto innamorato anche del suo cognome. Che fortuna sfacciata: portare lo stesso cognome del doge che è stato immortalato nel dipinto più bello del mondo! “
Giunsero all’albergo in leggero ritardo, ma in tempo per la cena, che era fissata alle dieci.
Isabella si accorse che alla lunga tavolata finemente imbandita le avevano riservato il posto libero tra Husselbaink e il sovrintendente.
La conversazione ristagnò a lungo, quando  verso la fine della cena, incoraggiati dall’ottimo vino, Loredan e Husselbaink cominciarono un prolungato scambio di opinioni sull’ispirazione artistica.
Isabella ascoltò a lungo, senza intervenire, poi in una pausa chiese ad Husselbaink:
“ Ho ascoltato spesso la sua musica, interrogandomi sull’origine della sua  ispirazione. Per esempio la Suite dell’angelo, che io trovo così ...bella, poetica.“
Husselbaink, che sembrava un po’ alticcio e divertito dall’attenzione generale,  si slacciò il colletto della camicia, e rispose  compiaciuto:
“ L’ho scritta in una settimana a Biarritz. Ma vede, signora, l’ispirazione non è come crede lei, e come crede forse anche il dottor Loredan. Ero ospite in una brutta villa e in quella settimana è piovuto tutti i giorni. Ero molto nervoso, e oltretutto schiavo di una colite atroce. “
Il sorriso del sovrintendente si pietrificò. Pensò ad una battuta,  ma Husselbaink andò avanti imperterrito:

“ La suite dell’angelo potrei dire di averla scritta seduto sulla tazza del gabinetto, e con mia enorme sorpresa alla fine tutti hanno detto che è una delle cose migliori che io abbia scritto..”  Rise di gusto, attirando lo sguardo di riprovazione di sua moglie,  “metà seduto sul gabinetto, e per l’altra metà seduto al pianoforte con la pancia gonfia come una cornamusa… “
Isabella cercò di non dare a vedere l’imbarazzo, e intanto Husselbaink proseguì imperterrito:
“ L’ispirazione, mia signora, non si accompagna per forza con il sublime," ma lei già non lo ascoltava più . Cambiò discorso, con i vicini di tavola e aspettò la prima occasione per alzarsi e raggiungere i divani nella hall.
Alla fine della cena, quando Husselbaink si ritirò con la moglie in camera, il sovrintendente manifestò il suo disappunto agli ospiti. Giurò che lo conosceva personalmente già da molto tempo, e non era mai stato così sgradevole.
Isabella commentò:  “Nessuna sorpresa. Solo, nessuno riesce a capire da dove traggano la loro arte certe persone. E’ come se  avessero due anime. Ma forse è meglio non conoscerli mai da vicino. Soltanto i veri grandi non deludono. “
Non si riferiva espressamente a Sri Rajakrishna. Non ci aveva pensato, ma più tardi, quando a letto, prima di addormentarsi lesse qualche riga del libro che le aveva regalato Lorenzo, gli capitò di ricordarsi di quello sguardo liquido,  degli occhi che era sempre come se guardassero oltre. L’ultimo capitolo del libro scritto dal misterioso Marchese de Saint-Germain, si intitolava:   L’unione.

                     Dimoro nel cuore
                     Nell’intimo più recondito
                     Di tutte le cose manifestate.
                    
                     Di coloro che discutono IO SONO l’argomento.

Chiuse il libro e spense la luce.
Dalla finestra riverberava la luce di fanali sulla Riva degli Schiavoni.
Si addormentò con il sottofondo del debole rumore dell’acqua.



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31/07/17

Torna in libreria "Giardini" di Robert Pogue Harrison. La prefazione.



Torna in libreria in queste settimane Giardini, il meraviglioso saggio di Robert Pogue Harrison, edito da Fazi nella collana Campo dei Fiori.  Questa la prefazione al libro. 

Gli esseri umani non sono fatti per guardare troppo a lungo la testa di Medusa sfoggiata dalla storia, la sua rabbia, la morte e la sofferenza infinita. Non è per un difetto nostro, al contrario, la riluttanza a farci pietrificare dalla realtà della storia è alla base di molte di quelle cose che rendono la vita umana tollerabile: l’impulso religioso, l’immaginazione poetica e utopica, gli ideali morali, le proiezioni metafisiche, l’arte narrativa, le trasfigurazioni estetiche del reale, la passione per il gioco, l’amore per la natura. 

Albert Camus una volta ha detto: «La miseria mi impedì di creder che tutto sia bene sotto il sole e nella storia; il sole mi insegnò che la storia non è tutto». Si potrebbe aggiungere che se la storia diventasse tutto sprofonderemmo nella pazzia. Per Camus era il sole, ma spesso nella cultura occidentale è stato il giardino, reale o immaginario, a costituire un rifugio dalla frenesia e dal tumulto della storia

Il lettore scoprirà in questo libro giardini remoti come il giardino degli dèi di Gilgamesh, le Isole dei Beati dei greci, il giardino dell’Eden di Dante in cima al monte del Purgatorio; oppure giardini ai margini della città terrena, come l’Accademia di Platone, il giardino di Epicuro e le ville del Decameron di Boccaccio; o ancora giardini che sbocciano nel bel mezzo della città come il Jardin du Luxembourg a Parigi, Villa Borghese a Roma e i giardini dei senzatetto di New York. 

Ma tutti questi giardini, in un modo o nell’altro, per come sono stati concepiti e per il fatto di essere ambienti creati dalla mano dell’uomo, sono una sorta di rifugio, se non addirittura di paradiso

Eppure, per quanto riparati, i giardini umani hanno sempre un posto nella storia, se non altro come forze che si contrappongono alle spinte deleterie della storia stessa. Nella celebre frase con cui si conclude il Candide di Voltaire, «Il faut cultiver notre jardin» (‘Dobbiamo coltivare il nostro giardino’), il giardino in questione deve essere interpretato sullo sfondo delle guerre, della pestilenza e delle catastrofi naturali raccontate nel romanzo. 

Questo porre l’accento sulla coltivazione è fondamentale: è proprio perché siamo gettati nella storia che dobbiamo coltivare il nostro giardino. In un Eden immortale non c’è bisogno di coltivare, poiché tutto è già dato spontaneamente. I giardini umani possono apparirci come piccole aperture sul paradiso nel cuore di un mondo caduto, ma il nostro dover creare, mantenere e prenderci cura dei giardini tradisce la loro origine postlapsaria. 

La storia senza i giardini è un deserto. 

Un giardino staccato dalla storia è superfluo. I giardini che abbelliscono questo nostro Eden mortale sono la prova inconfutabile della ragion d’essere dell’umanità sulla Terra. Quando la storia scatena le sue forze distruttrici e annichilenti, per non cedere alla pazzia e preservare la nostra umanità dobbiamo agire contro e nonostante quelle forze. Dobbiamo ricercare le forze curative e redentrici, lasciandole crescere dentro di noi. Ecco cosa significa prendersi cura del nostro giardino. L’aggettivo possessivo usato da Voltaire – “notre” – si riferisce al mondo che condividiamo. È il mondo della pluralità che pian piano prende forma grazie al potere dell’agire umano. “Notre jardin” non è mai un giardino di interessi esclusivamente individuali in cui rintanarsi per sfuggire al reale: è quel pezzo di terreno sulla Terra, dentro se stessi o all’interno della collettività, in cui vengono coltivate le virtù culturali, etiche e civili che salvano la realtà dai suoi istinti peggiori.

Quelle virtù sono sempre nostre. Aggirandosi per questo libro il lettore attraverserà diversi tipi di giardino – reali, mitici, storici, letterari –, tutti però facenti parte, chi più chi meno, della storia di questo “notre jardin”. Se la storia è in ultima analisi il conflitto terrificante, costante e infinito tra forze di distruzione e forze di coltivazione, allora il mio libro si schiera dalla parte di queste ultime. E cerca in tal modo di partecipare alla vocazione del giardiniere alla cura.


10/11/16

"Cieli come questo" di Fabrizio Falconi (romanzo).




Ho scelto una frase di Elias Canetti come epigrafe al mio romanzo - Ha condannato il proprio sogno prima che fossero cadute tutte le foglie  – perché rappresentava bene quello che succede spesso nelle nostre vite, e anche in Cieli come questo: due persone si incontrano, capiscono in modo quasi inconscio che c’è qualcosa che li lega, qualcosa di profondo – come se ci si conoscesse da sempre – ma non hanno il tempo e il modo (e il coraggio) di mettere in pratica questa conoscenza, di trasferirla dal piano dell’anima al piano della concretezza

La protagonista di questa storia è Isabella, una donna che ha superato da poco i quaranta, borghese, con un matrimonio felice, un marito dirigente di un grande sindacato nazionale e una figlia quasi ventenne già autonoma, a cui piace viaggiare in compagnia delle sue amiche. 

Il ‘lago tranquillo’ della vita di Isabella si increspa improvvisamente, nel giro di pochi giorni e di alcune circostanze concomitanti: una gravidanza non voluta e subito spontaneamente abortita, una disavventura capitata alla figlia, in vacanza in Marocco, coinvolta in uno strano incidente, e soprattutto l’incontro con un ragazzo, uno studente di filosofia, Lorenzo

Isabella si accorge, quasi per caso, di essere precipitata silenziosamente in una crisi intima, di valori, di riferimenti.

Quando incrocia Lorenzo durante alcuni seminari, capisce, sente, che quel ragazzo ha qualcosa di speciale, una purezza, perfino un anelito mistico simile al suo. Inizia una prudente frequentazione, nella quale però, nonostante una evidente attrazione, Isabella non sembra avere il coraggio di andare fino in fondo.

Ma il marito si assenta, per andare a riprendere la figlia, e durante questa assenza, Isabella si confronterà duramente, profondamente con la sua crisi, dovrà attraversarla, obtorto collo

Cieli come questo vuole essere insomma un romanzo di iniziazione, nel quale la protagonista – una come noi – deve mettere in discussione le sue certezze e affrontare la vita, fuori delle piccole sicurezze che molto spesso proteggono dagli scossoni, ma evitano quel coinvolgimento profondo, quello scambio di anime, che è il vero succo – e forse il vero senso – della vita. 


Fabrizio Falconi - Cieli come questo.

30/08/16

"Una storia comune" di Ivan Gončarov - (Recensione).



Pubblicato originariamente da Fazi nel 1999, torna in libreria ristampato, questo piccolo grande capolavoro di Gončarov, molto ammirato da Lev Tolstoj. 

Una storia comune racconta le vicende di un giovane romantico e sognatore, Aleksandr Aduev, figlio unico, che si trasferisce dalla provincia, dove la madre lo ha sempre adorato e vezzeggiato, a San Pietroburgo, ospite in casa dello zio Pjotr, un pragmatico capitalista sposato con Lizaveta Aleksandrovna, una bellissima donna molto più giovane. 

Aleksandr che crede convintamente nell’amore eterno, nell’amicizia indissolubile e soprattutto si reputa un grande poeta, si scontra immediatamente con la dura filosofia cinica dello zio, uno dei caratteri più indimenticabili della letteratura russa, che cerca di orientarlo verso una visione spietatamente realistica della vita

Il romanzo è dunque una vicenda travolgente, che provoca il lettore con toni apparentemente leggeri, su ciò che di più essenziale riguarda la vita: ovvero il senso stesso dell'esistenza, in un continuo confronto-scontro tra gli ideali primari di Aleksandr, nutriti da un cuore puro e quelli del navigato zio, che sembrano prevalere sempre e comunque:  la vita, sostiene, è sostanzialmente prosa e ha da essere vissuta prosaicamente. 

Con spirito implacabile Gončarov sembra voler smontare pezzo a pezzo il convincimento secondo cui la vita deve continuare a nutrirci con qualcosa di intangibile e superiore. 

Vinto dalle amarissime disillusioni amorose e letterarie, ad Aleksandr non giova nemmeno il ritorno nella casa avita, nel cuore della natura che lo ha generato. 

Spinto dalla smania fa ritorno a San Pietroburgo e in un ultimo confronto con lo zio, tutto sembra nuovamente in bilico, perché anche a Pjotr la vita sembra aver presentato un conto definitivo, in forma di nemesi. 

Ma il finale del geniale romanzo è completamente aperto, e a Goncarov non interessano le facili consolazioni. 

Scritto in prosa e versi e pubblicato nel 1847, è il primo libro di una trilogia (a cui seguono il celebre Oblomov e Il burrone). Dimenticato per oltre un secolo a causa della sua mancanza di impegno politico e sociale, il libro viene oggi riscoperto come un grande capolavoro della letteratura russa dell’Ottocento, che conserva una brillante e amarissima modernità. 

Fabrizio Falconi



07/07/16

In memoria di Valentino Zeichen - "Piazza del Popolo" (domani i funerali).



Domani si terranno nella chiesa di Santa Maria a Piazza del Popolo i funerali di Valentino Zeichen. 

Saranno tanti i romani che verranno a rendere tributo a un poeta che nacque a Fiume, e che fu adottato da Roma a partire dagli anni '50, diventando - come spesso accade ai forestieri che trovano ospitalità nella città eterna - una delle voci più autentiche di Roma e del vivere (poeticamente) a Roma. 

A Roma Zeichen dedicò qualche anno fa un bellissimo libro, Ogni cosa a ogni cosa ha detto addio, pubblicato da Fazi nel 2000. 

Da questa silloge traggo proprio la poesia Piazza del Popolo , la piazza che lui amava e che domani ospiterà l'estremo addio a un poeta. 

Piazza del Popolo

Molte generazioni
hanno creduto che
Piazza del Popolo
fosse sinonimo di folla,
mentre il nome deriva
da populus: pioppo.
Lì dove era piantato
l'incerto toponimo si erge
l'obelisco granitico
del Faraone Ramses II,
l'architetto Valadier
come un cuoco estroso
l'ha guarnito ai lati
con quattro vaschette
sormontate da leoni
che invece di ruggire
spruzzano rinfrescanti
ventagli d'acque
che freddano doppiamente
secondo lo stile Neoclassico



26/05/16

Esce "Figlie Sagge" di Angela Carter, una delle più brillanti autrici del Novecento.


«A parità di eccellenze, esistono scrittrici inconsapevoli del loro valore e a distanza di sicurezza da ciò che fanno: altrimenti non potrebbero scrivere. Lucia Berlin, Anna Maria Ortese sono di questa natura qui. Ma poi esistono le scrittrici consapevoli, che dominano la pagina offrendola al lettore senza alcuna distanza, come se la concedessero, e sicure al cento per cento del loro indubbio talento. È il caso di Elsa Morante come di Alice Munro, come di Angela Carter. Grande letteratura», dalla postfazione di Valeria Parrella.

Il libro È il 23 aprile – data di nascita di Shakespeare – e le gemelle Dora e Nora, attrici e ballerine di seconda categoria, si apprestano a festeggiare i loro settantacinque anni. Suonano alla porta: su un cartoncino bianco arriva l’invito alla festa del padre, il celebre attore Melchior Hazard, che nello stesso giorno di anni ne compie cento, e che di riconoscerle non ne ha mai voluto sapere.

Così si apre Figlie sagge, la storia di due donne libere ed eternamente giovani che, nate nel lato sbagliato della città, quello più misero, sono sempre state attratte dal bagliore del mondo dello spettacolo. Dall’infanzia anticonvenzionale, alla strampalata carriera, fino ai vibranti settant’anni, la vita delle due gemelle è un susseguirsi di episodi grotteschi: fra identità scambiate, fidanzati presi in prestito, spettacoli improvvisati e feste che culminano in incendi, quello di Dora e Nora è un mondo dove le regole non sono ammesse e la spregiudicatezza regna sovrana. Un mondo popolato di personaggi improbabili, con l’ingombrante presenza di una bizzarra famiglia allargata: una compagine di teatranti dalle alterne fortune, in cui le coppie di gemelli si moltiplicano in maniera inestricabile e spesso promiscua.
Nonostante i tanti personaggi che animano Figlie sagge, la scrittrice ha la capacità unica di riuscire a descriverci le loro sfaccettate personalità in poche frasi, addirittura poche parole; e il lettore si ritrova così in un mondo prodigioso dove la finzione e la teatralità si fondono con la realtà e la tragedia. A volte si ha quasi l’impressione di essere all’interno di una commedia apocrifa di Shakespeare con caotiche scene di massa, scambi di persone, equivoci continui, attori, primedonne, travestimenti e scena madre finale: è il tributo della Carter al magico mondo dello spettacolo: «Le luci si spensero, da sotto il sipario brillò qualcosa. L’ho amato allora e lo avrei amato sempre più di tutti gli altri quel momento, quando le luci si spengono, il palcoscenico si accende e sai che sta per compiersi un prodigio. Non importa se poi quello che segue rovina tutto; l’anticipazione è sempre pura.».
Ricco di momenti toccanti e di roboanti scene pirotecniche piene di personaggi che citano Shakespeare, Figlie sagge è un meraviglioso dono di addio di una grandissima autrice.

«Un libro davvero divertente». Salman Rushdie
«Talentuosa e fantasiosa scrittrice. L’immaginazione di Angela Carter non ha confini. Ricorda Orlando di Virginia Woolf». Joyce Carol Oates
«Una scrittrice raffinata dallo stile bizzarro, originale, barocco». Margaret Atwood

Angela Carter (1940-1992) è nata a Eastbourne, in Inghilterra. Fra le sue opere più note figurano le raccolte di racconti Fuochi d’artificio (1974) e La camera di sangue (1979) e il romanzo Notti al circo, di prossima pubblicazione per Fazi. Figlie sagge è il suo ultimo libro, uscito un anno prima della morte.

31/08/15

"La donna in bianco" di Wilkie Collins, un autore da riscoprire.



Una intricata trama si sviluppa lungo le 688 pagine de La donna in bianco scritto da Wilkie Collins nel 1860 sulle pagine della rivista All The Year Round che era diretta da Charles Dickens, amico dello scrittore.

Collins, laureato in legge, divenuto avvocato, non praticò mai la professione: nato a Londra nel 1824 era attratto dal demone della narrativa, e ad essa si dedicò con una furia fuori dal comune, firmando 25 romanzi, più di 50 racconti e numerose opere teatrali.

Fu penalizzato dal confronto con l'amico e contemporaneo Dickens, ma oggi viene riscoperto. 

La donna in bianco è interessante perché si tratta di un mystery ante litteram, anzi forse dell'antesignano di tutti i mystery.

I protagonisti sono una sfortunata protagonista, Anne Catherick (la donna in bianco del titolo), Lady Glide, e la sua sorellastra Marian Halcombe, il perfido e intelligentissimo Conte Fosco, e l'aspirante artista Walter Hartright (insegnante di disegno di Mrs. Fairlie, futura Lady Glide, di cui s'innamora), oltre a Sir Percival Glyde, altro pessimo figuro. 

Rispetto a Dickens, la narrativa di Collins è meno profonda, meno incisiva, meno fulminante.  Ma la macchina narrativa di questo romanzo che fu pubblicato a puntate per un anno intero appassionando i lettori dell'Inghilterra vittoriana, funziona alla perfezione, con i dovuti colpi di scena. 

Wilkie Collins, La donna in bianco, introduzione di Paolo Ruffilli, traduzione di Stefano Tummolini, 1996, Fazi Editore, Roma.


Fabrizio Falconi

29/07/15

Il giorno più bello per incontrarti (di F.Falconi) - in versione ebook e Kindle.




La scena si apre su un funerale di provincia, in una giornata umida e afosa dell’autunno 1977. 

Giovanni, il giovane italiano dal passato tormentato, è annegato in Spagna, vicino a Barcellona, e in quella chiesetta, per l’estremo saluto, sono riuniti i suoi cari: la madre, il cui volto impietrito dal dolore ricorda le contadine dipinte da Grant Wood, la moglie americana, Vivienne, dallo sguardo dolce e assente, il suo migliore amico, Alessandro - voce narrante di questo romanzo davvero intrigante - e pochi altri.

La mesta cerimonia viene interrotta dalle urla di un uomo sulla sessantina, sdentato e infuriato, che pretende una non meglio chiarita “restituzione”, brandisce un coltello e ferisce Alessandro.

É stato coinvolto da Giovanni in una truffa, si scoprirà poco dopo, e a sua volta derubato. Brandelli di un’esistenza oscura, come tante tessere scompagnate di un puzzle che stenta a prendere forma, saltano fuori a poco a poco dalle indagini della polizia, dagli appunti dello psichiatra che aveva in cura il giovane e dai ricordi di chi lo aveva conosciuto e frequentato. 

Il quadro poi si complica ulteriormente quando Vivienne, quattordici anni dopo, riceve una strana cartolina anonima dall’Olanda, vergata con una calligrafia che sembra proprio quella di Giovanni. 

Ad essa fanno seguito altri messaggi, sempre anonimi, provenienti da varie parti d’Europa. É un’altra ritorsione, una messa in scena crudele, o davvero Giovanni è ancora vivo ?

Sarà Alessandro ad annodare i fili dell’enigma e a mettere il punto finale a questa storia dalla tensione sottile e vibrante.

Continua a leggere la recensione del Secolo XIX QUI.http://www.fazieditore.it/Recensioni.aspx?libro=53

28/07/15

Cieli come questo (di F.Falconi) - In formato Kindle.



Ha condannato il proprio sogno prima che fossero cadute tutte le foglie 

Ho scelto questa frase di Elias Canetti come epigrafe del mio romanzo -– perché rappresentava bene quello che succede spesso nelle nostre vite, e anche in Cieli come questo: due persone si incontrano, capiscono in modo spontaneo che c’è qualcosa che li lega, qualcosa di profondo – come se ci si conoscesse da sempre – ma non hanno il tempo e il modo ( e il coraggio ) di mettere in pratica questa conoscenza, di trasferirla dal piano dell’anima al piano della concretezza. 

La protagonista di questa storia è Isabella, una donna che ha superato da poco i quaranta, borghese, con un matrimonio felice, un marito dirigente di un grande sindacato nazionale e una figlia quasi ventenne già autonoma, a cui piace viaggiare in compagnia delle sue amiche.

Il lago tranquillo della vita di Isabella si increspa improvvisamente, nel giro di pochi giorni e di alcune circostanze concomitanti: una gravidanza non voluta e subito spontaneamente abortita, una disavventura capitata alla figlia, in vacanza in Marocco, coinvolta in uno strano incidente, e soprattutto l’incontro con un ragazzo, uno studente di filosofia, Lorenzo

Isabella si accorge, quasi per caso, di essere precipitata silenziosamente in una crisi intima, di valori e riferimenti. 

Quando incrocia Lorenzo durante alcuni seminari, capisce, sente nel ragazzo qualcosa di speciale, una purezza, uno slancio ideale simile al suo. Inizia una prudente frequentazione, durante la quale, nonostante l'indubbia attrazione, Isabella non sembra avere il coraggio di andare fino in fondo. 

Ma il marito si assenta, per andare a riprendere la figlia, e durante questa assenza, Isabella si confronterà duramente, profondamente con la sua crisi, dovrà attraversarla, obtorto collo e fino in fondo. 

Cieli come questo vuole essere insomma un romanzo di ‘iniziazione’, nel quale la protagonista – una come noi – deve mettere in discussione ogni certezza e affrontare la vita, fuori delle piccole sicurezze che molto spesso proteggono dagli scossoni, evitando quel coinvolgimento profondo, quello scambio di anime, che è il vero succo – e forse il vero senso – della vita. 


Cieli come questo  di Fabrizio Falconi si trova oggi in formato Kindle qui - Fazi Editore - Euro 4.99.

12/05/15

Montaigne appena pubblicato da Fazi: l'amore e l'eros.


Dopo il successo della prima raccolta Coltiva l'imperfezione, prosegue la pubblicazione di tutti i Saggi in sette agili volumi.  Divisi su base tematica e corredati di apparati critici, questi nuovi volumi ricostruiscono il disegno unitario dell’opera complessiva di Montaigne e legano l’autore agli aspetti più significativi dell’esistenza quotidiana. Questa volta, al centro delle inarrivabili riflessioni del grande filosofo c'è l'amore, l'eros, quell'«alleanza tra immaginazione e corpo» che – se applicata ai sentimenti degli uomini – li rende intensi quanto volubili.

Il libro Leggere Montaigne è come ritrovare un amico. Un amico saggio e stravagante, con una vasta esperienza del mondo e una curiosità intellettuale sempre viva, che ogni volta ascoltiamo con piacere. 
La distanza che sembra separarci da lui scompare quando ci lasciamo conquistare dall'atmosfera di intimità che si respira fin dalle prime pagine dei suoi Saggi.

La fame di Venere raccoglie alcuni tra i testi che il pensatore francese scrisse per ultimi, già in là con gli anni. Disinvolto e disincantato, Montaigne riguarda alla propria vita senza amarezza né sentimentalismi, e come sempre il tema di partenza va presto in frantumi, lasciando il posto a un caleidoscopio di riflessioni, aneddoti e digressioni: spregiudicato e moderno, Montaigne scarta da un pensiero all'altro, arrivando a toccare con straordinaria vicinanza gli aspetti più quotidiani della nostra vita, ed è proprio a partire da uno di questi – la fame di Venere, l'appetito sessuale – che qui ci regala una delle più interessanti testimonianze sul modo in cui la sessualità e il rapporto tra uomo e donna erano intesi nel Cinquecento. Parla dell'amore, del sesso e del matrimonio, ma non solo: si occupa di comportamenti assimilabili alla ninfomania e al priapismo, fornisce un piccolo manuale su come gestire i rapporti con le prostitute – il prezzo, dove incontrarsi, come trattarle e così via –, enuclea gli elementi indispensabili per un corteggiamento di successo e ci offre una pungente analisi della gelosia, che considera la peggior malattia del nostro spirito dopo l'invidia.

Tutto questo con la sincerità di chi non desidera altro che essere fedele a se stesso, senza nascondere nulla del proprio pensiero, perché la sua paura più grande è «essere scambiato per qualcun altro».

L'autore Michel Eyquem nacque nel 1533 a Bordeaux, da una ricca famiglia da poco insignita del titolo nobiliare di "signori di Montaigne". Educato, secondo l'uso dell'umanesimo, nel culto della classicità - e per indole incline allo stoicismo -, dopo gli studi, a ventiquattro anni, esercitò per i successivi tredici come consigliere presso il Parlamento di Bordeaux, città della quale più tardi venne eletto sindaco. Apprezzato e conosciuto diplomatico, spesso in missione per conto del re, visse nel sanguinoso periodo delle guerre di religione, uno dei più bui dell'intera storia francese, tanto che a trentasette anni, amareggiato, decise di abbandonare la vita mondana per ritirarsi nel suo castello - in particolare nella sua tour de librairie, la 'torre della biblioteca'-, dove rimase a meditare, studiare e scrivere. Morì nel 1592. I suoi Saggi, pubblicati per la prima volta nel 1580, sono unanimemente considerati una pietra miliare della letteratura occidentale e - avendo inspirato, tra le altre, personalità come Nietzsche ed Emerson, Rousseau e Proust - hanno avuto una profondissima influenza nella storia del pensiero europeo.

29/01/15

Eusebio, il calcio e 'Cieli come questo'.


Per chi ha amato Eusebio da Silva Ferreira, la Perla nera, splendido attaccante che il Portogallo scovò nella sua colonia di Mozambico, sapere il Benfica di nuovo in una finale di Coppe europee dopo 23 anni è una gioia. I portoghesi non ne vincono una dal ’62. Erano all’epoca una potenza del calcio internazionale, Eusebio una stella in ascesa. Quattro anni dopo il Portogallo avrebbe eliminato il Brasile ai Mondiali d’Inghilterra, a lui era già stato assegnato il Pallone d’oro. Oggi si fa fatica a crederlo, ma i giornali dell’epoca – non senza ragioni – si chiedevano chi fosse il più forte calciatore del mondo: Eusebio o Pelé.  Fabrizio Falconi, giornalista e scrittore, ne ha parlato nel suo romanzo del 2002 Cieli come questo. La pagina è questa. Per chi ha amato Eusebio, per chi vuole cominciare a farlo ora.

Come quella volta in cui, mentre guidavi, ho fatto caso a quel gagliardetto rosso che penzolava dallo specchietto retrovisore. Lo scudetto era quello di una squadra di calcio portoghese, il Benfica. Sfondo rosso, un aquilotto che stringe i suoi artigli su un cartiglio con la dicitura E Pluribus Unum, poi i rami di alloro che incorniciano un pallone con la sigla SLB, e un’altra scritta, questa in bianco: GLORIOSO, FUNDADO EM 1904

“Perché questo scudetto?”.
“E’ di Lisbona, il Benfica”.
“Lisbona. Ci sei stato?”.
“Sì, una sola volta, purtroppo”.
“E te ne sei innamorato?”.
“Sicuramente. Ci sono stato durante i lavori che fecero per l’Expo del 1998. Cantieri ovunque, strade dissestate, caos…”.
“Eppure…”.
“Eppure… Che città, e poi è la città del Benfica. L’arte del football”.
“Io non ci capisco niente di football”.
“Non conosci Eusebio?”.
“Eusebio chi?”.
“Il più grande calciatore del mondo”.
“Non ne so niente. Ma non era Pelé?”
“Pelé? No, Eusebio era un’altra cosa (…) Che ne so, la maglietta amaranto con le bande verdi, a me quelli del Portogallo mi sono sempre piaciuti, e il Benfica, poi, con tutto quel rosso”.

[Fabrizio Falconi, Cieli come questo, ed. Fazi 2002]