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12/03/18

Il trionfo degli incompetenti e il rischio per la democrazia: un importante studio di Tom Nichols, in un nuovo libro.


The Death of Expertise di Tom Nichols – tradotto in italiano da Chiara Veltri con il titolo La conoscenza e i suoi nemici  è uno di quei libri che bisognerebbe far leggere a tutti per la rilevanza dei temi che tratta e per la loro assoluta attualità. 

Come non è difficile comprendere dal titolo originale, il libro parla della crisi dell’expertise e del trionfo dell’incompetenza che la accompagna

È senza dubbio qualcosa cui assistiamo spesso di questi tempi, e –come sostiene con buona vigoria retorica l’autore- è qualcosa che dovrebbe preoccuparci se teniamo alla democrazia e ai suoi valori.   Sempre più di frequente il parere di esperti e professionisti viene messo alla berlina e non solo rifiutato ma guardato con rabbia inusitata. Non si tratta così di indifferenza ma di vera e propria ostilità rispetto a chiunque esibisca competenza.

Al pregiudizio in favore della propria opinione o bias di conferma, che ci fa preferire le tesi che la rinforzano indipendentemente dalle prove che si hanno a sostegno, si aggiunge sovente un bias egualitario che forse è il più pericoloso di tutti. Questa forma di pregiudizio basato sull’eguaglianza ci sussurra all’orecchio «io valgo quanto te!». 

Ma se è vero che, in democrazia, siamo eguali nei diritti fondamentali, non è affatto vero che siamo eguali al cospetto di opinioni che richiedono un expertise. Per metterla giù chiaramente, se parliamo di relatività generale la mia opinione non è eguale a quella di un fisico teorico e se parliamo di vaccini o di ogm l’opinione di un ignorante in materia non vale tanto quanto quella di uno specialista.

Ora, come l’autore sottolinea correttamente, non è che gli esperti non sbaglino mai. Tutt’altro. Ma bisogna riconoscere che sul tema di cui sono esperti è probabile che sbaglino meno degli altri. Come mai allora una verità tanto evidente non è colta da tutti? In parte lo si deve alle nuove tecnologie a cominciare da Internet. Il web moltiplica a tal punto la quantità di informazione che diventa difficile un controllo serio, e i social media non fanno altro che peggiorare il caos.

I rimedi dovrebbero essere costituiti da giornalismo e sistema dell’istruzione, ma le cose si complicano quando l’informazione si confonde sempre più con l’intrattenimento e quando scuole e università trattano gli studenti come «clienti». 

Il tutto è assai rischioso per la democrazia, come ci disse tra i primi Platone, perché le decisioni pubbliche sono troppo spesso dettate da ignoranza e disinformazione. 

D’altra parte ciò è stato evidente a tutti nella campagna di che preceduto Brexit e in quella che ha visto l’elezione di Trump.

La campagna di Trump in particolare rappresenta quasi un modello per chi – come il nostro Nichols – guarda con preoccupazione alla fine della competenza. Trump infatti in pochi giorni –durante la campagna in questione è riuscito: a ammettere che gran parte della sua informazione in politica estera derivava dai programmi televisivi del mattino; a insinuare che il giudice di destra della Corte Suprema Antonino Scalia non fosse morto di cause naturali ma assassinato; a suggerire che Barak Obama non fosse americano e che addirittura dovesse dare prove esplicita di avere la cittadinanza US; a elogiare il potere distruttivo delle armi nucleari; a fare dichiarazioni sui rapporti tra i generi sessuali che in America non sono assolutamente ammissibili; a accusare uno dei suoi rivali per la nomination repubblicana (Ted Cruz) di avere un padre implicato nel “complotto” che condusse all’omicidio di John Kennedy; a schierarsi con i no-vax.

Ora, siamo tutti consapevoli che i comizi elettorali costituiscono un terreno sdrucciolevole, ma qui si tratta non di semplici passi falsi ma di errori clamorosi

Eppure Trump ce l’ha fatta: ha vinto prima la competizione per la nomination repubblicana ed è diventato poi Presidente degli Stati Uniti. Non è chiaro se gli elettori americani si siano accorti degli errori di Trump, e neppure è lecito sapere se –una volta consapevoli- lo abbiano poi perdonato in nome della sua personalità “forte”.

La cosa importante è che, consapevoli o no, alla fine della fiera lo hanno votato assai più del previsto. Difficile non pensare a questo punto che Trump sia stato premiato per avere impersonato quella diffusa ostilità verso gli esperti di cui parla Nichols nel libro.

Come si è detto, favorire l’incompetenza non è solo un problema epistemologico, è anche politicamente rischioso. Dovessi dire perché, sosterrei che la causa principale del pericolo in questione consiste nella sostanziale mancanza di fiducia nelle élites che così si rivela. Ma la fiducia è un carburante indispensabile per far lavorare bene una democrazia, così come lo è l’equilibrio tra expertise e popolo. Questo prezioso saggio ci mostra una frattura pericolosa all’interno di questo equilibrio. E ci fa riflettere sulla necessità di correre ai ripari per cercare di salvare la democrazia dalla tirannia dell’incompetenza.