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13/02/21

Libro del Giorno: "Due vite" di Emanuele Trevi

 


Un libro prezioso, di rara qualità. Emanuele Trevi ritorna con "Due vite", recentemente ristampato da Neri Pozza e già sicuro concorrente - e possibile o probabile vincitore - del premio Strega 2021. Un libro che, nello stile di Trevi, è in parte memoriale, in parte omaggio/tributo a due amici scrittori morti prematuramente, in parte saggio di critica letteraria, in parte pura narrazione (le biografie, cioè, qui diventano pura materia letteraria). 

«L’unica cosa importante in questo tipo di ritratti scritti è cercare la distanza giusta, che è lo stile dell’unicità». Così scrive Emanuele Trevi in un brano di questo libro che, all’apparenza, si presenta come il racconto di due vite, quella di Rocco Carbone e Pia Pera, scrittori prematuramente scomparsi qualche tempo fa e legati, durante la loro breve esistenza, da profonda amicizia. 

Trevi ne delinea le differenti nature: incline a infliggere colpi quella di Rocco Carbone per le Furie che lo braccavano senza tregua; incline a riceverli quella di Pia Pera, per la sua anima prensile e sensibile, così propensa alle illusioni. Ne ridisegna i tratti: la fisionomia spigolosa, i lineamenti marcati del primo; l’aspetto da incantevole signorina inglese della seconda, così seducente da non suggerire alcun rimpianto per la bellezza che le mancava. Ne mostra anche le differenti condotte: l’ossessione della semplificazione di Rocco Carbone, impigliato nel groviglio di segni generato dalle sue Furie; la timida sfrontatezza di Pia Pera che, negli anni della malattia, si muta in coraggio e pulizia interiore. 

Tuttavia, la distanza giusta, lo stile dell’unicità di questo libro non stanno nell’impossibile tentativo di restituire esistenze che gli anni trasformano in muri scrostati dal tempo e dalle intemperie. Stanno attorno a uno di quegli eventi ineffabili attorno a cui ruota la letteratura: l’amicizia

Nutrendo ossessioni diverse e inconciliabili, Rocco Carbone e Pia Pera appaiono, in queste pagine, come uniti da un legame fino all’ultimo trasparente e felice, quel legame che accade quando «Eros, quell’ozioso infame, non ci mette lo zampino». 


Emanuele Trevi

Due Vite

Neri Pozza Editore, 2020

ISBN: 978-88-545-2046-2 

 Collana: Piccola Biblioteca 

 Pagine: 144 Prezzo: €12,00

26/07/15

La bellezza dell'istante. Di Emanuele Trevi.

Atlas Clock, Fifth Avenue, New York



«Scheggia di tempo grande gemma». E ancora: «Ogni istante vale una gemma inestimabile». Sono i consigli che un insegnante di zen che si chiamava Takuan scrisse a un gran signore che si annoiava. 

Si trovano in uno di quei rarissimi libri che in poche decine di pagine racchiudono, si può dire, tutto quello che c’è da sapere: le 101 storie zen, raccolte nel 1957 da Nyogen Senzaki e Paul Reps

Un vero vangelo del transitorio e dell’impermanente.

È una sapienza antichissima che si traduce in racconti leggiadri, rapidissimi, illuminanti. Ma perché sia davvero una sapienza, poco importa che sia antichissima. E ancora di meno conta il fatto che venga studiata, appresa come una delle tante astrazioni dell’intelligenza. 

Al limite, si potrà anche ignorare il concetto di «zen», che è solo una parola come un’altra. 

L’essenziale è che qualcuno, questa sapienza, la sperimenti effettivamente, la viva in prima persona. 

Più che trasmettere un’informazione, allora, un bravo maestro come Takuan intende scuotere l’uomo importante che si è rivolto a lui, costretto a starsene ore e ore impettito a ricevere l’omaggio dei suoi sottoposti, mentre i giorni gli sembrano sempre più lunghi, intollerabilmente. 

Le complicazioni dell’etichetta giapponese hanno finito per traviare il suo spirito, e il maestro deve tentare di risvegliarlo da una cattiva illusione. 

La verità, ricorda Takuan al potente signore, è che il tempo è prezioso, è come una gemma inestimabile, e non è mai più lungo di quello che deve essere

Il segreto del suo valore sta proprio nel dileguarsi senza lasciare tracce. La nostra vita consiste di giorni, possiamo dire che vivendo non facciamo altro che passare da un giorno all’altro, ognuno ancora più effimero di una bolla di sapone. Se ci fosse il modo di conservarlo nel ghiaccio, un giorno, o di metterlo in una cassaforte, non sarebbe così inestimabile. «Scheggia di tempo grande gemma».

13/01/14

Libri: Nasce UTET - Extra - Nuova collana diretta da Emanuele Trevi.



Nasce UTET extra, una nuova collana a cura di Emanuele Trevi che attinge al patrimonio dei ClassiciUtet per proporre percorsi inusuali tra antico e moderno, curiosita' e perle della letteratura di ogni tempo. 

Brevi e preziosi i libri sono selezionati con l'idea che, "a volte, leggere poco sia il modo migliore per leggere bene" spiega la nota editoriale. 

Ad inaugurare la collana "Lucrezio, La natura dell'amore", con un racconto di Marcel Schwob; Antony Ashley Cooper, conte di Shaftesbury, "Lettera sull'entusiasmo" e Carlo Collodi con "Pipi' o lo scimmiottino color rosa". 

I tre titoli di meno di 100 pagine ciascuno, 96 per la precisione, sono in vendita a 5,00 euro, ebook compreso, fino al 30 giugno.

09/01/14

Emanuele Trevi: lo strano incontro del dott. Stevenson e di Mr. Hyde.


Sullo scorso numero di 'Sette', un bellissimo articolo di Emanuele Trevi racconta l'incredibile vicenda - poco conosciuta - dell'incontro di Robert Louis Stevenson avvenuto nel 1864 (tre anni dopo aver scritto Lo strano caso del Dr. Jeckill e Mr. Hyde), dopo lo sbarco dello scrittore nell'atollo hawaiano di Mokokai, con un pastore protestante che si chiamava di cognome proprio Hyde, e che manifestò strane, sorprendenti assonanze con la malvagità del personaggio immaginato da Stevenson, macchiandosi di una infamante operazione di linciaggio del povero Padre Damiano, missionario cattolico che assitette eroicamente i lebbrosi dell'isola per più di un ventennio. 
La vicenda è ricostruita da Trevi con piglio decisamente letterario (come si conviene all'autore) e merita di essere letta d'un fiato.  La versione on line è tuttora indisponibile. Pubblico le immagini dell'articolo pubblicato da Sette-Il corriere della Sera che si possono apprezzare a piena pagina, leggere e stampare qui, cioè sul sito delle Edizioni Medusa, che hanno pubblicato il libro La difesa di Padre Damiano, di Stevenson, in edizione italiana.  




04/07/13

Cari psicoanalisti, leggete King. Un intervento di Emanuele Trevi sul Corriere della Sera.



È abbastanza comune affermare che per amore si arriva a delirare, eppure il desiderio e il delirio, in quell’assurdo labirinto che è la mente umana, possono anche diventare feroci antagonisti. Chi nega o in qualunque modo scaccia dalla coscienza il proprio desiderio, sta già delirando. E non c’è energia mentale più potente, si direbbe, di quella dell’errore e dell’autoinganno. Per certi individui, rivelare a se stessi ciò che veramente amano è l’impresa più difficile. Tale è il loro orrore della verità, che sono capaci di costruire interi mondi fittizi per seppellirla più a fondo che possono. Ma più di tanto, per quanto si sforzino, non possono. Ed è qui che cominciano i guai. Tra i narratori più efficaci di questa ingegnosa trappola psicologica, il prolifico Wilhelm Jensen occupa un posto del tutto particolare. Da poco ristampata con le bellissime illustrazioni di Cecilia Capuana Gradiva (Donzelli) è l’unica sua opera, tra le decine che ne scrisse, ad essergli sopravvissuta. Lo scrittore tedesco pubblicò questa fantasia pompeiana, come la definì, nel 1903, quando era già avanti con gli anni e all’apice di una vasta ma effimera fama.

Sarebbe un vero peccato se anche Gradiva fosse scivolata nell’inesorabile gorgo dell’oblio. A rileggerlo oggi, questo breve romanzo sentimentale-archeologico, mascherato da storia di spettri, conserva una notevole forza di persuasione. Com’è noto, però, a garantire all’opera la sua durata nel tempo non furono né i lettori di narrativa né i critici letterari, ma l’interesse, quasi vampiresco, di Sigmund Freud. È questa circostanza a rendere del tutto eccezionale la fortuna dell’operetta di Jensen. Fu Carl Gustav Jung, nell’aprile del 1906, a mettere in mano a Freud Gradiva. Erano ancora lontani, Freud e Jung, dalla clamorosa rottura del 1912. Erano i tempi eroici della Società di Vienna, e quegli eccezionali speleologi procedevano solidali, come fossero legati in cordata, nei cunicoli e nelle voragini della coscienza umana. Le loro idee provocavano una generale diffidenza, che rafforzava la solidarietà fra gli iniziati. Ad ogni modo, il romanzo di Jensen, intessuto com’era di fantasie deliranti e sogni rivelatori, e pervaso da una potente corrente erotica, fece letteralmente balzare Freud sulla sedia. Durante le vacanze estive, trascorse come d’abitudine all’Hotel du Lac di Lavarone, Freud si mise all’opera componendo quello che sarebbe destinato a rimanere uno dei suoi saggi più limpidi e belli, intitolato Il delirio e i sogni nella «Gradiva» di W. Jensen, pubblicato la prima volta nel 1907. Quando si dice (giustamente) che Freud è un grande scrittore, è a testi come questo che bisogna pensare. Dando fondo alle sue innate qualità di narratore Freud riscrisse Gradiva creando quello che Giorgio Manganelli avrebbe definito un «libro parallelo». Ci si può rendere conto del valore e dell’importanza dell’impresa servendosi di un vecchio ma utilissimo libro curato nel 1961 da Cesare Musatti, intitolato Gradiva, che ristampa insieme il romanzo di Jensen e il saggio di Freud, accompagnati da un intelligentissimo commento.

L’interesse dell’autore dell’Interpretazione dei sogni per le avventure italiane del giovane archeologo tedesco Norbert Hanold è più che giustificato. La sua è una vicenda che rende manifesto, in modo molto più efficace di qualunque trattazione scientifica, il funzionamento della rimozione, che dei meccanismi della psiche umana è il più pericoloso e gravido di conseguenze. L’eroe di Jensen ha consacrato l’esistenza alla sua unica passione, l’archeologia. Solo al mondo, le uniche figure femminili che ha considerato sono fatte di marmo e di bronzo. E di una di queste figure arriva addirittura a innamorarsi. O perlomeno, così lui stesso crede che vadano le cose. Si tratta, ad ogni modo, di un’opera d’arte realmente esistente, e conservata ai Musei Vaticani: il bassorilievo di una fanciulla velata che cammina, dirigendosi chissà dove, sollevando con la mano un lembo della veste. L’elemento più notevole della figura è la posizione del piede destro, sollevato in maniera quasi perpendicolare al suolo. È questo particolare che genera in Norbert una vera ossessione per l’opera così leggiadra di un ignoto artista greco, da lui ribattezzata Gradiva, «colei che avanza», versione femminile dell’epiteto che in latino accompagnava abitualmente Marte.

Un misterioso concatenarsi di sogni e premonizioni induce Norbert a partire da un giorno all’altro per l’Italia, finendo per cercare le tracce della Gradiva tra le rovine di Pompei. E in effetti, la incontrerà, ma in carne ed ossa. Ma non si tratta di uno spettro autorizzato a vagare nella luce del sole nell’ora meridiana, come crede il giovane archeologo, ma della ben concreta e viva Zoe Bertgang, vicina di casa di Norbert e sua amica d’infanzia, ben decisa a sposarlo. È questo personaggio femminile l’invenzione più riuscita di Jensen, e la sua strategia finisce per affascinare Freud molto più dei sintomi di Norbert. Zoe comprende al volo che il giovane non solo l’ha totalmente dimenticata, ma la crede un fantasma del passato, morta a Pompei nell’eruzione del Vesuvio del 79 dopo Cristo. Ma la peggiore strategia da usare con un delirante è quella di sbattergli in faccia la realtà, nuda e cruda. Per tirare a sé Norbert, serve una lenza più sottile. Sarà necessario accettare il particolare ordine di realtà in cui vive Norbert, e aspettando di scardinarlo, prestarsi al ruolo del fantasma della fanciulla pompeiana morta sotto le ceneri del vulcano.

Emanuele Trevi

Fonte: Corriere della Sera