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07/01/21

L'incredibile assalto al Congresso Americano: la profezia di Gore Vidal




Lo sconcerto provocato dalle immagini televisive che ieri sera hanno raccontato l'inedita e scioccante scena dell'assalto violento al Congresso Americano da parte dei sostenitori di Donald Trump, fa tornare in mente le parole profetiche scritte da uno dei più feroci critici del sistema americano, Gore Vidal, il quale nel suo Il declino e la caduta dell'Impero americano, uscito nel 1992, scriveva: 

Ogni quattro anni la metà ingenua che vota è incoraggiata a credere che se possiamo eleggere un presidente o una donna veramente simpatici, tutto andrà bene. 

Ma non lo sarà. 

Qualsiasi individuo che sia in grado di raccogliere $ 25 milioni per essere considerato papabile alla presidenza non sarà molto utile per la gente in generale

Rappresenterà il petrolio, l'aerospaziale, le banche o qualsiasi altra entità finanziaria che stia pagando per lui.

Certamente non rappresenterà mai la gente del paese, e loro lo sanno

Quindi, il senso di disperazione in tutto il paese quando i redditi diminuiscono, le imprese falliscono e non ci sono rimedi

Man mano che le società diventano decadenti, anche la lingua diventa decadente.

Le parole sono usate per mascherare, non per illuminare, l'azione: si libera una città distruggendola. Le parole devono confondere, in modo che al momento delle elezioni le persone voteranno solennemente contro i propri interessi.



Gore Vidal (1925-2012)


07/11/08

OBAMA PRESIDENTE - Il commento di Enzo Bianchi


Cari tutti, è una settimana storica: Barack Obama è il 44.mo presidente degli Stati Uniti d'America, il primo con sangue afro-americano nelle vene, in tutta la sua storia. Vi riporto di seguito il bellissimo articolo scritto per l'avvenimento da Enzo Bianchi su La Stampa di ieri.


Il dialogo di Obama
La Stampa, 6 novembre 2008

In una società con tradizioni culturali e meccanismi elettorali segnati dalla personalizzazione delle sfide, non sorprende che chi è o sa apparire portatore di cambiamenti desti attese e susciti speranze dai tratti messianici. Soprattutto se mostra capacità di dialogare con le persone a cui si rivolge, se riesce a far sentir loro che le considera non come massa ma come parti di un corpo solidale, un corpo che nutre sogni condivisi e che è consapevole del fatto che “insieme possiamo farcela”.

Non stupisce allora che alla fine del discorso con cui Obama ha annunciato di aver vinto la corsa alla Casa Bianca, questa interazione tra il candidato e i suoi sostenitori abbia assunto tratti tali da richiamare la dialettica tra coro e protagonista propria della tragedia greca o la dimensione della litania alternata tipica di alcune celebrazioni liturgiche. Rievocare i passaggi salienti della storia della democrazia americana nell’ultimo secolo, ricordarne le lotte, le difficoltà, i sogni e le speranze e suscitare nell’uditorio l’adesione esplicita e ritmata - “Sì, possiamo farcela” - non attiene allora unicamente alla conoscenza e all’abilità nell’uso del “mezzo che è il messaggio”, ma riveste una dimensione più profonda, interiore.



Non basta infatti padroneggiare l’arte oratoria, non basta mutuare meccanismi e strumenti tipici dei concerti live o dei mega-raduni – come sovente avviene in quel paese anche in ambito di celebrazioni religiose ed ecclesiali – non basta far leva sull’emotività. Bisogna aver creato qualcosa prima, più in profondità, in quello spazio di interiorità dove ciascuno coltiva più o meno consapevolmente la propria dimensione spirituale. E per fare questo bisogna saper ispirare fiducia, attivare un dialogo, creare una dimensione che è comunitaria e non solo collettiva. Bisogna che ciascuno, indipendentemente dal colore della sua pelle, dalla sua storia, dalle sue sofferenze, senta di essere parte di una realtà più grande, dove i sogni e i bisogni di ciascuno sono presi in carico da tutti, superando individualismi e divisioni.

Certo, vedere e sentire migliaia di persone rispondere ai sogni rievocati come imprese del passato e impegni per il futuro con una formula analoga all’amen delle liturgie - “Sì, è così, lo possiamo!” - ha un forte impatto, soprattutto quando l’attesa si è caricata di ricordi e di speranze di altri tempi, di stagioni che avevano visto i narratori di un sogno come Martin Luther King e Robert Kennedy finire brutalmente assassinati. Eppure, in questa sorta di liturgia catartica si cela anche una pericolosa insidia: se quel flusso di dialogicità si interrompe, se la percezione di essere ascoltati e capiti si spezza, se la realtà quotidiana della convivenza nella polis contraddice il sogno comune intravisto come possibile, saranno proprio i tratti messianici a rivoltarsi in delusione cocente: troppe volte nella storia abbiamo visto gli osanna mutarsi repentinamente in “crucifige”. Sì, cantare insieme la speranza significa anche non delegare a una sola persona, per quanto carismatica, il faticoso lavoro di costruire insieme un futuro più giusto.

Enzo Bianchi