Visualizzazione post con etichetta dustin hoffman. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta dustin hoffman. Mostra tutti i post

31/05/22

Rivedere "A Midnight Cowboy" ("Un uomo da Marciapede"): perché è una pietra miliare


Ieri sera ho voluto rivedere, dopo tanto tempo A Midnight Cowboy ("Un uomo da marciapiede" era il non troppo felice titolo italiano).

Che dire, sono rimasto colmo di ammirazione. Un film realizzato nel 1969 che è ancora così incredibilmente moderno, nel modo di essere girato, raccontato, montato, recitato.
John Schlesinger era davvero un genio. Non ricordavo la pellicola così sgranata dei primi meravigliosi 20 minuti (il viaggio in pullman di Joe verso New York), che richiama il calore del Super 8.
Non ricordavo il montaggio psichedelico dei ricordi/sogni/allucinazioni di Joe che anticipa di una ventina d'anni i videoclip musicali.
Non ricordavo l'insistenza nell'uso della canzone di Harry Nilsson (in realtà scritta tre anni prima da Fred Neil e cantata da Nillson) - Everybody's Talking - scelta personalmente da Schlesinger e da lui usata come "marchio" sonoro per quasi tutto il film.
Non ricordavo la crudezza e la durezza nel rappresentare la povertà assoluta e l'ingiustizia sociale dei diseredati in anni nei quali si parlava solo di miracolo e di boom economico.
Non ricordavo la tristezza esistenziale, modello per tutto il nuovo cinema americano degli anni '70, dei Cassavetes, dei Penn, degli Aldrich e di tanti altri.
Non ricordavo il duello di bravura tra due scuole di recitazione così diverse: quella di Voight, più classica, legata alla tradizione hollywoodiana, e quella di Hoffman, stile Actor's studio, già totalmente innovativa, che insieme a una manciata di attori prodigio avrebbe rivoluzionato ancora una volta la storia del cinema americano.
Una pietra miliare.

Fabrizio Falconi

09/06/20

100 film da salvare alla fine del mondo: 67 "Il piccolo grande uomo" (Little Big Man) di Arthur Penn, USA, 1970


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo". Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 67 "Il piccolo grande uomo" (Little Big Man) di Arthur Penn, USA, 1970

Il primo film che, insieme a Soldato Blu, diretto da Ralph Nelson nello stesso anno, 1970, affrontò con approccio completamente diverso il tema del più grande genocidio dell'umanità, quello dei nativi americani compiuto dai colonizzatori inglesi, francesi, nel nord America e spagnoli, portoghesi, olandesi, nel centro e sud America. 

Piccolo Grande Uomo fu realizzato da Arthur Penn (fratello minore del grande fotografo Irving Penn) dopo alcuni film che ne avevano già decretato la statura artistica: Furia selvaggia - Billy Kid (The Left Handed Gun) (1958), Anna dei miracoli (The Miracle Worker) (1962), La caccia (The Chase) (1966) Gangster Story (Bonnie and Clyde) (1967) e Alice's Restaurant (1969).

Il film, oggi registrato per meriti artistici nel National Film Registry per essere conservato presso la Library of Congress è un adattamento del romanzo di Thomas Bergers, pubblicato nel 1964. 

Il 121enne Jack Crabb ( Dustin Hoffman ) ripercorre il suo passato e racconta a uno storico (William Hickey) la sua vita avventurosa, dalla sua adozione da parte dei Cheyennes nel 1860, quando era solo un ragazzo, fino alla sua partecipazione alla sconfitta del Generale Custer (Richard Mulligan) alla battaglia di Little Big Horn il 25 giugno 1876. 

Il film consiste quindi in lunghi flashback intervallati da ritorni alla storia del vecchio.

Little Big man è un western a tutti gli effetti ma sconvolge i codici della rappresentazione del confine e delle due culture che si oppongono

Per la prima volta, gli indiani di Arthur Penn non sono associati ai selvaggi, ma piuttosto rappresentati come vittime della conquista dell'Occidente guidata dall'esercito americano., con 
una rappresentazione positiva degli indiani, i Cheyennes , che vivono in armonia 

Con il loro nome (la tribù degli "esseri umani"), Penn dà loro l'umanità e non esita a mostrare aspetti della vita indiana che lo spettatore non oserebbe immaginare: un "Heemaney" indiano è vale a dire omosessuale, vive nella comunità indiana senza essere giudicato per la sua sessualità e in totale accettazione degli altri, mentre a quel tempo nella civiltà occidentale l'omosessualità rimase un argomento tabù. 

Gli indiani sembrano quindi più saggi dei bianchi raffigurati come dissoluti e allettati dal guadagno, dalla violenza o persino dai piaceri della carne 

Jack Crabb (un grandioso Dustin Hoffman) è un uomo che oscilla tra due culture, due civiltà: è americano di nascita ma cresce a fianco del popolo Cheyenne . Per tutto il film, sarà diviso tra la sua vita con i nativi e con i bianchi. 

Ogni episodio è scandito da un viaggio di andata e ritorno tra questi due popoli. 

Sebbene sia cresciuto nella tribù Cheyenne, Jack rimane un americano. 

A differenza della maggior parte dei film occidentali , l'obiettivo non è quello di ingrandire il destino manifesto , una missione sacra intrapresa dagli americani, ma piuttosto di evidenziare una parte trascurata della storia. 

La conquista dell'Occidente rappresentata da Arthur Penn mette in discussione la storicità di questo periodo, in particolare attraverso il personaggio del generale Custer , personaggio storico, morto nella battaglia di Little Big Horn, considerato un eroe americano. 

Uscito nelle sale durante la guerra del Vietnam, Little Big Man fu percepito come pieno di rimandi all'attualità: il comportamento autoritario e bellicoso del generale Custer e dei suoi eserciti contrasta con il discorso non violento di Peau de la Vieille Hutte nella battaglia di Little Bighorn . 

Questo contrasto fu ampiamente paragonato all'impegno contestato delle truppe americane in Vietnam un secolo dopo. Arthur Penn ha dichiarato " Custer ha massacrato gli abitanti di un villaggio mentre massacravamo gli abitanti dei villaggi vietnamiti " .

Al di là della sua valenza ideologica, Piccolo grande uomo è un grande film, meravigliosamente sceneggiato, fotografato, e interpretato da attori in stato di grazia.

PICCOLO GRANDE UOMO 
Little Big Man
Regia di Arthur Penn. 
Usa, 1970 
con Dustin Hoffman, Faye Dunaway, Martin Balsam, Richard Mulligan, Jeff Corey, Aimée Eccles. durata 150 minuti. 


23/09/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 40. "Il maratoneta" (Marathon Man) di John Schelsinger (1976)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 40. "Il maratoneta" (Marathon Man) di John Schelsinger (1976)

Cosa è e cosa dovrebbe essere un thriller. 

New York: dopo l'assassinio del fratello (Roy Scheider), Babe Levy (Dustin Hoffman), giovane e timido ebreo americano - se la deve vedere con l'ex criminale nazista Szell (Laurence Olivier), trafficante di diamanti, sottratti agli ebrei bruciati nei forni della Seconda guerra mondiale. 

La mitologica storia di Davide contro Golia, riadattata nel contesto moderno in un thriller ambizioso e perfetto, tratto dal romanzo omonimo di William Goldman, autore anche della sceneggiatura e realizzato dalla mano esperta e felice di John Schlesinger.

Le psicologie sono approfondite, rese fino all'essenziale con il contributo di attori in stato di grazia. Ma è soprattutto nella suspence e nel tono spettacolare (senza volgari effetti roboanti), che il film dà il suo meglio, con scene da antologia, come quella in cui Szell rispolvera la sua prima e vecchia professione di dentista per torturare il malcapitato Babe e farsi dire qualcosa che nemmeno sa.

Il maratoneta del titolo è proprio Babe, che passa le sue giornate a correre per il Central Park, sognando di notte Abebe Bikila, e sarà proprio questa passione a salvarlo.

Grande fotografia di Conrad Hall.

Strepitoso il vecchio Sir Laurence Olivier nei panni del terribile criminale nazista.

Il Maratoneta
(Marathon Man)
di John Schlesinger
USA 1976
con Dustin Hoffman, Laurence Olivier, Marthe Keller, Roy Scheider, Lou Jacobi
durata: 125 minuti