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26/12/17

"Il Pantheon" di Giuseppe Lugli, un piccolo preziosissimo testo.




Scritto nel 1957 e continuamente rieditato, questo testo scritto da Giuseppe Lugli, grandissimo e quasi dimenticato archeologo e accademico italiano, morto dieci anni dopo, nel 1967, è un preziosissimo compendio che riassume molte delle conoscenze acquisite sul grandioso monumento romano, in una forma leggibile, integrandolo con numerose notizie rare e difficili da riperire nel superficiale maremagnum del chiacchiericcio odierno sulla Roma antica che si trasmette soprattutto sul web. 

A partire dal problema riguardante la datazione - e con l'ausilio di tavole e figure - il libro ripercorre le quattro fasi della costruzione, dalla prima erezione ai tempi di Agrippa, il genero e consigliere di Augusto, durante il suo terzo consolato, nel 27 a.C.; i due restauri il primo ai tempi di Domiziano (80 d.C.) e Traiano (110 d.C.): e quello di Adriano, un restauro a fundamentis tra il 130 e il 138 d.C.; anche se è ormai opinione prevalente che tutto il magnifico monumento sia stato concepito fin dall'inizio così completo. 

La descrizione dell'Architettura è la parte più interessante del libro, nella quale emergono le incredibili capacità ingegneristiche dei romani dell'epoca per realizzare quella che per almeno quindici secoli rimase la cupola a volta unica più grande del mondo, con i suoi 43,30 metri di diametro.

C'è poi una sezione dedicata alle interessantissime vicende storiche del monumento nel Medioevo e nell'Età Moderna. 

Una parte finale è infine dedicata ai Monumenti adiacenti al Pantheon che non sono certo di minor interesse: I cosiddetti Septa o Septa Iulia, l'edificio concepito da Giulio Cesare per accogliere i cittadini che si recavano a votare in occasione dei comizi centuriati; le Terme di Agrippa, le prime costruite a Roma con un sistema razionale e con grandiosità principesca; i Giardini, lo Stagno e l'Euripo, il canale scoperto che ripercorreva il tracciato dell'attuale Corso Vittorio Emanuele, verso il Tevere e sulle cui rive solevano radunarsi poeti e filosofi. 

Un vero appassionante viaggio nella grandiosità della Roma che fu. 


02/06/08

Giovanni - Il prediletto, l'eletto.


Giovanni, dunque.

Il post dell'altro giorno ci è servito per introdurre - con la presenza di Giovanni a Roma - un piccolo discorso sull'enigmatica figura del Quarto Evangelista.

Devo confessare che quasi mai avevo riflettuto sul fatto che Giovanni, secondo quanto tramandatoci dalle scritture e le fonti antiche fu l’unico degli apostoli che non morì subendo il martirio, ma per morte naturale, in età veneranda.

Anche in questo, egli occupa dunque un posto a sè nella storia del Cristianesimo. Ma vediamo per bene, prima di proseguire nel viaggio, le notizie che abbiamo su di lui.

Secondo quanto ci riportano le fonti antiche, Giovanni è il prediletto di Gesù e fratello di Giacomo il Maggiore. Dopo la resurrezione di Gesù fu il primo, insieme a Pietro, a ricevere da Maria Maddalena l’annuncio del sepolcro vuoto, e fu il primo a giungervi, entrandovi poi dopo Pietro.

Dopo l’ascesa al cielo di Gesù, gli Atti degli Apostoli ce lo mostrano accanto a Pietro in occasione della guarigione dello storpio al Tempio di Gerusalemme e poi nel discorso al Sinedrio, dopo il quale fu catturato e poi con Pietro incarcerato.

Sempre insieme a Pietro si reca in Samaria. Nel 53 Giovanni si trova ancora a Gerusalemme: Paolo infatti lo nomina (Gal 2, 9) insieme a Pietro e a Giacomo come una delle «colonne» della Chiesa. Ma verso il 57 Paolo nomina a Gerusalemme solo Giacomo il Minore: dunque Giovanni non c’è più, trasferitosi a Efeso, come concordemente testimoniano le fonti antiche, fra le quali basterà citare, per tutte, Ireneo (Contro le eresie, III, 3, 4): «La Chiesa di Efeso, che Paolo fondò e in cui Giovanni rimase fino all’epoca di Traiano, è testimone veritiera della tradizione degli apostoli».

La permanenza di Giovanni a Efeso, dove scrive il Vangelo (secondo quanto afferma ancora Ireneo), è interrotta, come le stesse fonti antiche ci dicono, dalla persecuzione subita sotto Domiziano (imperatore dall’81 al 96), probabilmente verso l’anno 95.

Si innesta qui la tradizione, riportata anche da molti autori antichi, del suo viaggio a Roma e della sua condanna a morte in una giara di terracotta colma di olio bollente, dalla quale uscì illeso per miracolo.

E vediamo qui quali sono le fonti: la fonte più antica che ce ne parla è Tertulliano, intorno all’anno 200: «Se poi vai in Italia, trovi Roma, da dove possiamo attingere anche noi l’autorità degli apostoli. Quanto è felice quella Chiesa, alla quale gli apostoli profusero tutta intera la dottrina insieme con il loro sangue, dove Pietro è configurato al Signore nella passione, dove Paolo è incoronato della stessa morte di Giovanni il Battista, dove l’apostolo Giovanni, immerso senza patirne offesa in olio bollente, è condannato all’esilio in un’isola» (La prescrizione contro gli eretici, 36).

Un’altra testimonianza è quella di Girolamo, che alla fine del IV secolo scrive: «Giovanni terminò la sua propria vita con una morte naturale. Ma se si leggono le storie ecclesiastiche apprendiamo che anch’egli fu messo, a causa della sua testimonianza, in una caldaia d’olio bollente, da cui uscì, quale atleta, per ricevere la corona di Cristo, e subito dopo venne relegato nell’isola di Patmos. Vedremo allora che non gli mancò il coraggio del martirio e che egli bevve il calice della testimonianza, uguale a quello che bevvero i tre fanciulli nella fornace di fuoco, anche se il persecutore non fece effondere il suo sangue» (Commento al Vangelo secondo Matteo, 20, 22).

Alle antiche fonti cristiane sul martirio di Giovanni a Roma si può ora aggiungere, udite udite, con buona attendibilità anche l’allusione del pagano Giovenale (inizi del II secolo), che, nella IV Satira, critica Domiziano raccontando l’episodio della convocazione del Senato per decidere che fare di un enorme pesce, venuto da lontano e portato all’imperatore, che viene destinato a essere cotto in una profonda padella. Come nello stile delle Satire, il pesce sarebbe appunto Giovanni, il povero pazzo cristiano.

E' una ipotesi affascinante, davvero, che è frutto dello studio pubblicato da una ricercatrice italiana, Ilaria Ramelli, che qui troverete nella sua integrità, che vi consiglio di leggere tutto d'un fiato. Bellissimo. Poi, proseguiremo con il discorso. Ma intanto, se la ipotesi della Ramelli fosse giusta, ci troveremmo di fronte alla clamorosa conferma da parte di una fonte pagana, di una lunga tradizione prima orale e poi scritta, tutta cristiana.

Il che ancora una volta avvalorerebbe la tesi che alla base di testimonianze così antiche ci sono sempre riscontri reali, storici, effettivi.