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10/03/18

Byung-Chul Han: "Lo smartphone ci promette la libertà, ma è diventato un campo di lavoro, un confessionale e uno strumento di sorveglianza".



Byung-Chul Han è uno dei più brillanti pensatori contemporanei:  insegna Kulturwissenschaft presso la Universität der Künste di Berlino, in Germania, ed è uno scrittore e teorico della cultura, di origine coreane (è nato, infatti, a Seoul nel 1959). Dopo gli studi iniziali di metallurgia in Corea del Sud, ha conseguito il dottorato in Filosofia (1994) all’Università di Friburgo in Brisgovia con una tesi su Martin Heidegger e ha insegnato dapprima a Basilea e, fino al 2012, a Karlsruhe – dove è stato collega di un altro influente pensatore contemporaneo, Peter Sloterdijk. A partire dagli anni 2000, con La società della stanchezza (tr. it. di F. Buongiorno, nottetempo, Roma 2012), Han ha costruito un percorso intellettuale di critica dell’odierna società capitalistica e neo-liberale, indagando i (dis)funzionamenti e le conseguenze antropologiche e sociali dei processi di globalizzazione, ricorrendo a categorie tratte dalla letteratura (come la stanchezza, ripresa dall’opera di Handke) e dalla filosofia sociale (come la trasparenza, cfr. La società della trasparenza, tr. it. di F. Buongiorno, nottetempo 2014), per decostruire le strutture dell’odierno neoliberalismo mercatista. Personalità dal profilo eclettico e sfuggente, Han rifiuta generalmente di rilasciare interviste ed evita di divulgare dettagli riguardanti la sua biografia.
Questo brano è tratto dalla bellissima intervista rilasciata a Federica Buongiorno per Doppiozero:


Oggi viviamo nell’illusione di essere liberi, ma non lo siamo affatto: vediamo infatti come la comunicazione, che si presenta come libertà, si rovescia in controllo. Comunicazione e trasparenza producono anche una costrizione al conformismo: oggi crediamo di non essere soggetti sottomessi ma liberi, crediamo di essere un progetto che si delinea in maniera sempre nuova, che si reinventa e si ottimizza. Il problema è che questo progetto, nel quale il soggetto sottomesso si libera, si rivela esso stesso una figura della costrizione. 

L’io come progetto sviluppa delle costrizioni interiori, per esempio nella forma della prestazione e dell’ottimizzazione sempre maggiori. Oggi viviamo in una fase storica particolare, nella quale la stessa libertà implica costrizioni. Per Karl Marx il lavoro conduce all’alienazione: il Sé viene distrutto dal lavoro. Attraverso il lavoro si viene alienati dal mondo e da se stessi: per questo ho sostenuto che il lavoro è una de-realizzazione del Sé. 

Oggi il lavoro assume la forma della libertà e dell’auto-realizzazione. Sfrutto me stesso nella convinzione di realizzarmi. Il sentimento dell’alienazione, qui, non sorge; così, questo è anche il primo stadio dell’euforia da burnout. Mi butto entusiasticamente nel lavoro, fino a esserne annientato: mi realizzo morendo. Mi ottimizzo nella morte. Mi sfrutto volontariamente, fino a distruggermi. Questo auto-sfruttamento è più efficace dello sfruttamento estraneo di Marx, proprio perché procede insieme al sentimento della libertà

Il dominio neoliberale si nasconde dietro la libertà percepita: si dà, anzi, esso stesso come libertà. Il dominio raggiunge la forma più stabile laddove coincide con la libertà. L’odierna società non è la società della repressione, anche se la fine della repressione non implica la libertà. Oggigiorno, piuttosto, noi siamo depressi: la società della repressione cede il passo alla società della depressione.

Prima di tutto, c’è lo smartphone: ho sostenuto che lo smartphone è una forma di campo di lavoro. Con lo smartphone noi ci portiamo dietro un campo di lavoro.

Esso ci promette la libertà, ma di fatto è diventato un campo di lavoro, un confessionale e uno strumento di sorveglianza. Il tratto peculiare del contemporaneo campo di lavoro è che siamo al tempo stesso detenuti e sorveglianti. Non siamo servi, soggetti allo sfruttamento di un padrone. Piuttosto, siamo insieme servi e padroni.

I servi, infatti, devono accettare ogni lavoro: non sono liberi. Il neoliberalismo produce l’obbligo ad accettare ogni lavoro, perché non conosce il concetto della dignità umana. L’ha interamente sostituito con il prezzo

13/02/18

Cosa succede agli adolescenti risucchiati dagli Smartphone ? Il primo studio scientifico lo spiega.





Cosa sta succedendo alle generazioni di adolescenti, dei nostri adolescenti, i cosiddetti nativi digitali, che vivono ormai perennemente connessi ai loro smartphone ? Se ne parla tanto, ma nessuno lo sa esattamente. Adesso se ne sa un po' di più, perché è arrivato il primo studio molto approfondito - scientifico - sull'argomento e con ampio spettro, con ricerche durate diversi anni. Uscito in America, il libro ha suscitato un amplissimo dibattito, e un'eco profonda. Lo firma Jean M. Twenge e il titolo completo dell'opera è IGen: Why Today's Super-Connected Kids Are Growing Up Less Rebellious, More Tolerant, Less Happy - and Completely Unprepared for Aduthood - and What That Means for the Rest of Us, Simon and Schuster, New York, pagg. 392, Dollari 27. Ne ha scritto Gilberto Corbellini nell'ultimo numero de Il Sole 24 Ore - Domenicale, dell'11 febbraio.
Ecco qualche passaggio saliente. 


Da quando gli smartphone sono diventati onnipresenti, all'inizio di questo decennio, l'interazione faccia a faccia tra i giovani è drasticamente diminuita. 

Non solo, ma gli adolescenti e gli studenti universitari statunitensi oggi fanno tutto "meno": lavorano meno, escono meno di casa, si mettono meno nei guai, bevono meno e consumano meno droghe, sono meno interessati a prendere la patente per l'auto, meno interessati all'indipendenza, hanno meno pregiudizi razziali o di genere, sono meno bullizzati e bullizzano di meno, si accoppiano di meno e fanno meno sesso, sono meno disposti ad ascoltare chi dice cose controverse o che giudicano psicologicamente fastidiose, etc.

E, questo secondo Twenge, perché sono incollati a seguire un flusso interminabile di testi e immagini su degli schermi.  

Il risultato è meno tempo dedicato alla "costruzione di competenze sociali, alla negoziazione di relazioni e alla navigazione delle emozioni".  

In termini di conoscenza pratica e di essere disposti ad affrontare il mondo reale, ci sarebbe un ritardo di tre o quattro anni nella maturità: 18 anni equivalgono a quelli che prima erano 15.

La scarsa socializzazione e l'autoreferenzialità prodotta dall'eccessiva mediazione dei rapporti attraverso gli schermi, sarebbe causa del documentato incremento dei disturbi mentali, in particolare depressione, tra questi giovani.