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03/11/20

Libro del Giorno: "Le cose dell'amore" di Umberto Galimberti

 


Quando dico “ti amo” che cosa sto dicendo di preciso? E soprattutto, chi parla? Il mio desiderio, la mia idealizzazione, la mia dipendenza, il mio eccesso, la mia follia? Non c’è parola più equivoca di “amore” e più intrecciata a tutte quelle altre parole che, per la logica, sono la sua negazione.

Tutti, chi più chi meno, abbiamo fatto esperienza che l’amore si nutre di novità, mistero e pericolo e ha come suoi nemici il tempo, la quotidianità e la familiarità. Nasce dall’idealizzazione della persona amata di cui ci innamoriamo per un incantesimo della fantasia, ma poi il tempo, che gioca a favore della realtà, produce il disincanto e tramuta l’amore in un affetto privo di passione o nell’amarezza della disillusione.

Qui Freud ci pone una domanda: “Quanta felicità barattiamo in cambio della sicurezza?”.

Umberto Galimberti ci consegna un volume in cui l’acutezza del pensiero penetra i meandri del sentimento e del desiderio, registrando i mutamenti intervenuti nelle dinamiche dell’attrazione, nel patto con l’amato/a, nei percorsi del piacere (dall’onanismo alla perversione). Sullo sfondo si muove, come un fantasma, continuamente evocato e rimosso, quello che propriamente o impropriamente gli uomini non smettono di chiamare amore.

In 19 capitoletti di poche pagine - originariamente articoli apparsi su La Repubblica -  densissime, la parola amore viene declinata con parole-corrispettivo, in un range che ne scandaglia ogni risvolto:  Trascendenza; Sacralità; Sessualità; Perversione; Solitudine; Denaro; Desiderio; Idealizzazione; Seduzione; Pudore; Gelosia; Tradimento; Odio; Passione; Immedesimazione; Possesso; Matrimonio, Linguaggio; Folli






13/10/20

Amore e Desiderio - Umberto Galimberti

 


AMORE E DESIDERIO

Privo di desiderio, l'amore garantisce tenerezza, intimità, sicurezza, ma non prevede l'avventura, la tensione e il senso del rischio che alimentano la passione.
Dal canto suo il desiderio senza amore è stimolante, eccitante, vibrante, ma non ha l'intensità e il senso di un'elevata posta in gioco che rendono profonda la relazione.
Non ci è dato, se non per brevi attimi, di fare esperienza nello stesso tempo dell'amore e del desiderio verso la stessa persona. E questo perché l'amore, che nasce sotto il segno della stabilità e dell'eternità, vuole ciò che il desiderio rifiuta.
Il desiderio infatti, non sa cosa vuole. E' un atto infondato che trova insopportabile ogni gesto della ripetizione volto a confermare se stesso.
Insinuandosi come un incidente nella propria vita, la fa traboccare, esponendola a un altro senso, quasi sempre fuorviante rispetto all'esigenza unitaria di una biografia.
E questo perché il desiderio, a differenza dell'amore che vuole costruzione e stabilità, è un movimento verso un punto di perdita.
Salvo rare eccezioni, nessuno è disposto a giocare tutto se stesso nel fascino ignoto dell'avventura. Perché, anche per avventurarsi, bisogna partire da un luogo che mi dia il senso del "da dove vengo", "a cosa appartengo" e magari un giorno "dove desidero tornare."
Non riusciamo infatti a immaginare una persona o una cultura che non si orientino a partire da un qualche senso di "casa" che Robert Lee Frost definisce come "il posto in cui, quando ci devi andare, ti devono accogliere."

12/09/19

Amore e Caso secondo Hillman



"Amore" è una sola parola per fenomeni così diversi...


Il problema è: cosa fa la psiche attirandoci in questo desiderio concreto, in questo desiderio di concretezza, e facendoci precipitare in uno dei tanti tipi di amore?

Perché di questo si tratta: di una caduta, di un cascarci.


In tedesco Fall (Scritto come l'inglese fall, caduta), è la trappola, ma è anche il caso, come il latino cadere, che è anche la radice di caso

Essere innamorati significa essere un caso.


Essere caduti in trappola, la trappola del desiderio concreto, come ci casca un animale. Esserci cascati. Ma non "nel peccato".  Non nel "desiderio animale". Quello che è successo è che di colpo ci siamo resi conto della gabbia che abbiamo costruito intorno all'animale, dopo di che diamo la colpa all'animale e diciamo che siamo caduti nell'animale. 


Ma l'animale non cade (Fall in love, forma idiomatica inglese che vale "innamorarsi" o più alla lettera "cadere innamorati") innamorato;  non ne ha bisogno - non perché è già troppo in basso, ma perché non crede di non essere animale, dal quale possa cadere. 


20/04/17

La fine di ogni prospettiva ultramondana - La vita come "gara" individuale.




Qualcosa è successo, nel breve volgere di decenni, alla vita.

Eliminata, tolta di mezzo ogni prospettiva ultramondana (Dio è morto) - anche se dal punto di vista delle pure acquisizioni scientifiche nulla conforta per ora questa ipotesi, ma gli uomini hanno deciso o sentono comunque, che è la stessa cosa, così - gli esseri umani sono rimasti soli con la loro terrestritudine

Se la vita è un orizzonte finito, circoscritto dalla pura morte biologica, l'unico possibile senso dell'esistenza è allora il godimento, cioè l'appagamento dei desideri, quelli del corpo e quelli psichici, che non sempre coincidono, fin tanto che si è in vita. 

Perché se è vero che la vita occupa una porzione di tempo finito - e forse a maggior ragione - è sperabile riempire questo tempo di sensazioni ed esperienze positive, confortanti, soddisfacenti piuttosto che spenderla in fatiche o sacrifici, i quali per definizione estendono il loro significato, il loro senso, in una prospettiva futura

Ecco allora che la vita contemporanea sembra esser diventata una gara individuale - giacché l'ottica dei consumi ci vuole sostanzialmente individuali e individualisti - ad accumulare godimenti personali, i quali oggi possono essere assicurati dal progresso tecnologico, dalla libertà dei costumi, dal principio di autodeterminazione, solennemente sancito da ogni carta dei diritti evoluta. 

Il contrappasso di questo possibile eden, è però sotto gli occhi di tutti: la gara a cui ciascuno di noi è chiamato, non è una gara aperta a tutti. I meccanismi economici, le sperequazioni tra parti di mondo ricche e parti di mondo povere (spesso convivono queste porzioni braccio a braccio, porta a porta, in microrealtà urbane e non urbane), non rendono la gara uguale per tutti

Anzi, mano a mano che il progresso si espande e che le promesse degli slogan blandiscono i sogni di tutti, le condizioni diventano sempre più diseguali

Per godere dei beni terreni, per appagare i desideri, occorrono condizioni che non tutti hanno e che non tutti hanno nello stesso modo.  

La maggior parte delle persone, nel mondo della terrestritudine, sostanzialmente guarda gli altri, guarda qualcun altro godere.  Cercando di accontentarsi di ciò che può riservargli la sua scala di valori. 

Ma il confronto, in un mondo dove tutto è (sempre) in mostra, è sempre meno sopportabile.

Per questo la cifra contemporanea più eloquente sembra essere quella della frustrazione.

La frustrazione infatti è un desiderio non esaudito. Che non può essere esaudito perché mancano le condizioni oggettive e soggettive per farlo. 

Il mondo della terrestritudine appare sempre di più come un popolo di frustrati (chiamati ad esibire piccoli godimenti che non possono stare al passo con la concorrenza alta e con l'asticella continuamente alzata dalle necessità dei consumi). 

Nel gioco delle perle di vetro del soddisfacimento individuale è sempre più ardua la scelta dell'unica via di fuga che garantirebbe orizzonti diversi: l'autocentratura, il rifiuto della gara, l'estraneamento, la ricerca di nuovi e più profondi e ancestrali godimenti, che sono quelli della vita vera, del contatto con la natura (biofilia), del riconoscimento delle sofferenze autentiche (e non delle nevrosi), della priorità dei rapporti, dell'ascolto di se stessi (in funzione anche di multi-dimensionalità, oggi del tutto aborrite). 

Fabrizio Falconi

06/11/15

"Il desiderio è una malattia, tutti vogliono sempre quello che gli altri vogliono." E' morto il grande René Girard.


E' passata quasi completamente inosservata in Italia, la scomparsa di uno dei grandi protagonisti del novecento filosofico: René Girard. 

Il grande antropologo è morto mercoledì 4 novembre, a Stanford, negli Stati Uniti, dove abitava e insegnava, a  91 anni. 

Fondatore della "teoria mimetica" quella scena intellettuale anticonformista aveva costruito un lavoro originale, che unisce la riflessione accademica e la predicazione cristiana.

I suoi libri hanno formato e  formano i passi di una vasta indagine sul desiderio umano e la violenza sacrificale in cui qualsiasi società, secondo Girard, trova la sua origine vergognosa.

Nato il giorno di Natale, il 25 Dicembre, 1923 ad Avignone, René Théophile è cresciuto in una famiglia di piccola borghesia intellettuale. Suo padre, socialista radicale e anticlericale, è curatore della biblioteca e il museo di Avignone e il Palazzo Papale. 

Sua madre è una cattolica, appassionata di musica e letteratura. In serata, lei legge i romanzi italiani o Mauriac ai suoi cinque figli. La famiglia non naviga nell'oro, lei è preoccupata per la crisi.

Piuttosto felice, l'infanzia di René Girard è quanto meno caratterizzata dall'ansia. Alla domanda su quale sia il suo primo ricordo della politica, ha risposto senza esitazione:
"Sono cresciuto in una famiglia borghese decrepito, che era stato impoverita dai famosi prestiti russi dopo la prima Mondiale Guerra. Abbiamo avuto una profonda consapevolezza della minaccia nazista e la guerra stava per arrivare. Anche nel parco giochi avevo paura della grande brutalità imperante. E ho invidiato gli studenti del college gesuiti che sono andati a sciare sul Monte Ventoux ... "

Dopo gli studi irrequieti (anche lui espulso dalla scuola per un cattivo comportamento), il giovane Girard finalmente nel 1940, si recò a Lione ma le condizioni materiali sono troppo dure, e lui decide di andare ad Avignone. Suo padre gli suggerì di entrare nella scuola di Charters.

A Parigi in tempi difficili, accetta l'offerta di diventare assistente di francese negli Stati Uniti. Questo è l'inizio di un'avventura americana che si concluderà solo con la sua morte, tutta la traiettoria accademica di Girard si svolge principalmente negli Stati Uniti. Poi arriva il primo salto: responsabile per l'insegnamento della letteratura francese ai suoi studenti, commenta davanti a loro i libri che hanno segnato la sua giovinezza, Cervantes, Dostoevskij e Proust. Quindi, confrontando i testi, inizia a studiare le risonanze in Stendhal e Flaubert o Proust. 

Emerge così quale sarà il grande progetto della sua vita: tracciare il destino del desiderio umano attraverso le grandi opere della letteratura.

Nel 1957, Girard si trasferì  alla Johns Hopkins University di Baltimora. Qui si svolgerà il secondo turno decisivo della sua storia, quello della antropologia religiosa 

"Tutto quello che dico è stato dato a me in una sola volta. E 'stato nel 1959, stavo lavorando sulla relazione dell'esperienza religiosa e scrittura di romanzi. Ho pensato: è lì che la tua strada, è diventato una sorta di difensore della cristianità ", confidò Girard nel 1999.

A quel tempo risale il libro che rimarrà uno dei suoi più noti saggi: Truth Lies romantiche e romantici (1961).

Ci sono esposte per la prima volta come parte della sua teoria mimetica: per comprendere il funzionamento della nostra società, è necessario partire dal desiderio umano e dalla sua profondità patologica: il desiderio è una malattia, tutti vogliono sempre quello che gli altri vogliono, che è la molla principale di qualsiasi conflitto. 

In questa competizione è  nato il ciclo di rabbia e di vendetta. Questo ciclo non si risolve con il sacrificio di un "capro espiatorio", come testimoniato gli episodi più diversi della storia, come lo stupro di Lucrezia o l'affare Dreyfus.

E' qui una distinzione fondamentale per Girard occhi: "La differenza insormontabile tra le religioni arcaiche e giudaico-cristiane. "Per pienamente cogliere le differenze tra loro, dobbiamo cominciare identificando il loro tratto comune: a prima vista, in un caso come nell'altro, si tratta di una narrazione di crisi che risolve una linciaggio trasfigurato in epifania. Ma se le religioni arcaiche si risolvono in una forma di moderna caccia alle streghe -  sopraffare il capro espiatorio - è il cristianesimo a proclamare ad alta voce l'innocenza della vittima. 

Contro coloro che riducono la Passione di Cristo a un mito tra gli altri, Girard ribadisce la singolarità irriducibile e scandalosa verità della rivelazione cristiana. Non solo rompe la logica infernale della violenza mimetica ma scopre definitivamente il substrato sanguinoso di qualsiasi cultura umana: il linciaggio che lenisce la folla e ripara la comunità. 

Così Girard, a lungo scettico, così a poco a poco ha indossato i panni del predicatore cristiano, con l'entusiasmo e la combattività di un esegeta convertito dai testi. Di libro in libro, La violenza e il sacro (1972) fino a Vedo Satana cadere come la folgore (1999), esalta la forza sovversiva dei Vangeli. Un impegno religioso criticato Questo impegno religioso è stato spesso indicato dalla critica, per la quale la sua prosa è più una apologetica cristiana che la scienza umana. Per loro, l'antropologo ha risposto che i Vangeli sono vera scienza dell'uomo ... "

Per lui, la teoria mimetica ha permesso di illuminare non solo la costruzione di desiderio e genealogia miti umani, ma questa violenza, l'infinita spirale di risentimento e rabbia, lo ha portato ad asserire che l'Apocalisse sta arrivando. "Oggi non c'è bisogno di essere religiosi per sentirsi che il mondo si trova in uno stato di totale incertezza ".


Tratto da La morte di René Girard, antropologo e teorico della "violenza mimetica" Le Monde, 2015/05/11, di Jean Birnbaum