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20/01/15

'A sud del confine, a ovest del sole', di Murakami Haruki - (Recensione)

Ci sono tutti gli ingredienti che hanno fatto la fortuna di Murakami Haruki in A sud del confine, a ovest del sole, uno dei suoi primi romanzi, scritto nel 1992, dopo il grande successo di Norvegian Wood: lo stile piano, quasi elementare, le frasi brevi, i protagonisti maschili e femminili tagliati con tratti immediatamente riconoscibili, il gusto cool per la musica jazz, l'iniziazione della maturità, i perturbamenti, le scene di sesso descritte con chiurgica precisione e occhio strizzato al porno, le donne misteriose (bambole inquiete depositarie di misteri), quella vaga incertezza di direzione così post-post moderna, che affascina il lettore di oggi. 

Murakami qui descrive la storia di Hajime, un uomo come tanti, figlio unico che si sente gemellato con la bella e menomata Shimamoto, suo coetanea.  Un breve innamoramento a dodici anni, le prime condivisioni insieme - l'ascolto dei dischi in vinile a casa di lei - poi la perdita di vista, Hajime che si fidanza all'università con Izumi, le prime vere esperienze, il lavoro come gestore (fortunato) di locali,  il matrimonio con Yukiko, la due bambine, una famiglia come tante, finché l'ombra di Shimamoto - guarita dalla sua menomazione alla gamba - torna a farsi viva, inaspettatamente e a risvegliare l'ombra interiore di Hajime.

Risucchiato dal mistero di quella donna, alla quale l'anima è rimasta sempre legata, Hajime arriva fino alla soglia del precipizio e oltre: mette in discussione tutta la sua vita, distrugge il suo legame, si perde e (forse?) si ritrova in un finale aperto che lascia spazio ad ogni possibile soluzione. 

La storia d'amore, che è protagonista di questo romanzo, è sufficientemente stravolgente: per Hajime  e per il lettore.  La consapevolezza di essere portati fuori da sé, di essere agiti dall'amore, cioè da una forza trascendente che non si può controllare e che non vuole essere capita, ma vuole essere soltanto ciò che è, è la parte più convincente del libro, il cui laborioso titolo si riferisce all'insieme dei titoli di due famosi standard jazz. 

La perdizione di Hajime è in quello strettissimo confine tra morte e amore, tra amore romantico e perdizione, che è stata definitivamente indagata dal celebre L'amore e l'occidente di Denis de Rougemont

In questo senso la storia di Murakami aggiunge poco. Ma coltiva il dono della leggibilità e della possibile identificazione di ciascuno nel sentimento interdetto di Hajime che vive e si guarda vivere, come accade ad ognuno di noi, in un punto cruciale della vita. 

Fabrizio Falconi




30/04/14

L'amore è addomesticamento (De Rougemont e la nostra smania di avere tutto).




 Edward John Poynter: Orfeo e Euridice 

Come ci ha insegnato Denis De Rougemont,  per qualche migliaio d'anni  in Occidente e anche per i padri greci e romani, la questione era molto chiara: da una parte c'era la lussuria (il soddisfacimento degli istinti) dall'altra c'era il vincolo matrimoniale (dello hieros-gamos,  ιερογαμία) necessario per l'allevamento della prole.

Poi, a partire dal XII provvidero i menestrelli provenzali con le loro Chansons e la loro invenzione dell'amore romantico, assoluto, passionale, che vince perfino la morte, a rendere le cose molto più complicate. 

Oggi l'arcano della nostra incompletezza, della nostra perenne insoddisfazione, poggia sulla pretesa ideale e idealizzata (ormai assorbita dal nostro modello antropologico interiore, occidentale) di voler tenere e avere tutto insieme (e ci manca sempre un pezzo): lussuria, vincolo, passione, romanticismo, sicurezza, contratto, tutto nello stesso tempo, nella stessa persona. Qui e ora, e per sempre (come recitano le catenine d'oro o le incisioni sugli anelli che si scambiano gli innamorati, come simboleggiano i lucchetti che riempiono le ringhiere dei ponti sui fiumi occidentali).

Ma questo complesso di cose che chiamiamo amore e che naturalmente comporta anche cose non del tutto piacevoli come esclusione, esclusività, possessività, possesso, gelosia, fatica a concretizzarsi, nella vita concreta.

Perché l'amore in fondo è qualcosa di molto più delicato e impalpabile, e assomiglia molto all'addomesticamento.

Cresciamo talmente convinti che essere non amati sia la norma (i genitori sono sempre più distratti, gli altri hanno sempre meno tempo per occuparsi di noi), che sin dalla tenerissima età sviluppiamo, come i nostri simili selvatici, molte efficaci strategie di difesa: fuga, aggressione, lotta, graffi, morsi, veleno, mimetismo, girare alla larga, fingersi morti.

Poi quando arriva qualcuno che ci ama davvero - ci vuole accogliere gratuitamente, vuole farsi carico di noi, della nostra persona e della nostra estraneità al mondo, un vero miracolo che succede soltanto una volta nella vita, in genere  - la cosa più difficile (in tanti non ci riescono mai) è convincere noi stessi che nessuno ci farà più male, nessuno ci farà soffrire.

E che possiamo non mostrare più i denti, avvicinarci e lasciarsi avvicinare.

Questo siamo, e questo dovremmo ricordarci di essere. Un animale selvatico può essere addomesticato - se lo sceglie, se lo sente, se lo vuole - ma non accetterà mai di diventare una cosa nostra.  La sua essenza selvatica, in definitiva, resterà sempre soltanto sua, e diversa da noi.

Per fortuna.

Ma la gioia sarà quella di incontrarsi ogni volta nella libera fiducia riconfermata, vera, concreta, che non è la pretesa assoluta di un idea.

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.